Passione Gourmet Cracco Archivi - Pagina 2 di 3 - Passione Gourmet

Lo spaghetto, lo zenzero, il pomodoro e lo Champagne

O del lusso della semplicità

Incredibile l’urbanità dello spaghetto al pomodoro dell’ultimo Cracco. Nel corso di quella visita rimanemmo colpiti, quasi annientati dal sapiente uso del sale, sempre tenue, e dalla naturalità nel veicolare i sapori in forma naturale. Neutra. Quasi come se si fosse tracciata una nuova strada, mistica e dunque zen nei suoi riferimenti culturali: la rotta verso l’esplorazione dell’insapore quale perfetta combinazione di acido-dolce-sapido e amaro. Una vera avanguardia, questa, che trova il suo paradigma nello spaghettone zenzero e pomodoro, in cui l’equilibrio tra le componenti è tutto, e tale da trasformare l’insidia di qualcosa di potenzialmente inespressivo in, semplicemente, grandissimo. Grandissima come la rinascita di Carlo Cracco, sia in termini di cucina e che di stile personale.

Complice, dunque, il morso dello spaghetto, sapido, la dolcezza del pomodoro, la speziatura dello zenzero e quella, freschissima, del sedano, questo piatto rivendica a gran voce di essere sposato al Clarevallis Extra Brut Bio di Drappier che, prodigo di orpelli ossidativi, ben accompagna, con la freschezza e la dolcezza dell’acqua di risorgiva, questo incredibile piatto. Siamo, del resto, a Urville, il villaggio dove la famiglia Drappier ha fondato la Maison nel 1808 e dove si è imposta per l’attenzione, in tempi non sospetti, al Pinot Noir dato anche il suolo Giurassico Kimmeridgiano. Qui, l’azienda lavora nel massimo rispetto dell’integrità del suolo, con l’unico imperativo del minor interventismo possibile: per questo, in campagna e in cantina si lavora con bassissimi dosaggi – la liqueur d’expedition viene fatta invecchiare per 10 anni in botti di rovere e successivamente conservate in damigiana – livello minimo di anidride solforosa, privilegiando vitigni dimenticati, come Arbanne e Petit Meslier, che maturano nelle cantine costruite dai monaci dell’Abbazia di Clairvaux nel 1152.

Alberto Cauzzi

Da Gorini

Il fatto che Da Gorini resti ancora una delle mete più “calde” di questo 2021 lo dimostra – anche – questo riso in acqua di vongole, olio di Oliva, dragoncello, limone salato in pasta, origano e polvere di olive nere essiccate e affumicate. Un tripudio di acido, amaro, quasi iodato-fenico dalla lunghezza e derive aromatiche decisamente intriganti e persistenti.

Cracco

Forte anche della decisiva collaborazione di Luca Sacchi, Cracco sovverte e diverte: come in questo piatto, tecnicamente e concettualmente un dessert, ma proiettato nel mondo salato. L’uso sapiente, peraltro, del sale, tenue, e la veicolazione di ingredienti in forma naturale, traccia la rotta verso l’esplorazione dell’insapore, ovvero del neutro, come combinazione in perfetto equilibrio di acido-dolce-sapido e amaro.

Antica Corona Reale

Perché l’Antica Corona Reale è ancora il posto dove gustare il mio piatto feticcio, qui realizzato veramente a regola d’arte. Grazie all’equilibrio perfetto tra farcia e carne e una salsa da manuale tirata col sangue, come vuole la tradizione, morbidezza e tenerezza sono filologicamente rispettate pur mantenendo, della carne, la provvidenziale turgidità.

Andrea Grignaffini

La Madia

Da un alchimista delle fermentazioni – lo chef Michele Valotti – un menù impavido tra ruvidità, spunti amarotici e profondità, per una quadro finale assolutamente personalissimo e fuori dagli schemi.

Mistral

Ettore Bocchia gioca sotto traccia mediatica ma infila piatti in cui l’ingrediente è assoluto e rispettato come difficilmente succede, in una filosofia che mette l’italianità più nitida, con tocchi contemporanei, su una trama classica.

Moebius

Enrico Croatti ha finalmente aperto il suo Moebius (nella versione “sperimentale”): cucina che sperimenta, spinge, si acquieta e torna in vibrante in un susseguirsi di portate in cui la parte ludica è solo un movimento in più di un gioco molto più complesso.

Davide Bertellini

Osteria Francescana

Per la geniale rilettura di alcuni celebri piatti italiani da parte di Massimo Bottura.

Diverxo

Per la straordinaria capacità di David Muñoz di farti viaggiare sull’ottovolante del gusto.

Noma

Il menù di caccia di Rene Redzepi riesce senza dubbio a portarti a spasso nel suo bosco ideale. 

Alessandro Pellegri

Asina Luna

Una scoperta inaspettata, un tempio della carne di altissimo livello, in una periferia milanese dove proprio non te lo aspetteresti. Una scelta incredibile di carni, trattate con mano capace e felice. Se siete amanti delle proteine animali poco o nulla cucinate, un indirizzo da scrivere tassativamente in rosso sul taccuino gourmet (e, chiaramente, visitare al più presto).

Fradis Minoris

Una piacevolissima scoperta in un uno dei più begli angoli di Sardegna, un luogo strepitoso che, con il cambio dello chef avvenuto quest’anno, ha ora finalmente la cucina che si merita. Davvero un posto che resta nel cuore, in primis per l’ambiente… e ora anche per i piatti.

Frangente

Conoscevamo bene Federico Sisti al Ronchettino, felici di ritrovarlo in una tavola più urbana e che meglio si addice al suo stile, Frangente. Un piccolo ottovolante gourmet, capace di far star bene chiunque. Da consigliare a tiro zero, meglio se seduti nel “tavolo” al pass, per un’esperienza più a 360°

Orazio Vagnozzi

Duomo

Ho iniziato e terminato l’anno gastronomico da lui. In un ristorante accogliente e dal servizio impeccabile Ciccio Sultano propone una cucina dalla personalità forte, basata su materie prime eccelse e una capacità unica di estrarre i sapori. Nei suoi piatti raffinatezza, intensità gustativa e armonia. 

Frangente

Frangente, una delle novità a Milano del 2021. Lo chef Federico Sisti ci allieta con la sua naturale simpatia e con una cucina originale e creativa che parla il linguaggio della tradizione dove l’ingrediente è protagonista e il godimento il fine ultimo.

Uliassi

Che sia pesce, cacciagione o quinto quarto, senza parlare della pasta, Mauro Uliassi esprime una cucina golosa, ludica e goduriosa mettendo nel piatto capolavori di equilibrio gustativo, basati su ingredienti che sono un vero e proprio tributo al suo amato territorio marchigiano sulla capacità di usare al meglio le moderne tecnologie culinarie.

Adriana Blanc

The Brisket

Forse a causa del virus che troppe volte ho nominato, il 2021 è stato per me l’anno in cui più che mai ho apprezzato comfort food e luoghi accoglienti. Grazie alla simpatia di Lucas, chef e patron, al The Brisket mi sono sentita a casa, ma con un delizioso bbq argentino-texano da mettere sotto ai denti.

Il filo di paglia

Se al The Brisket mi sento a casa, Il Filo di Paglia è la perfetta fuga dalla quotidianità. Un’isola felice fatta di passione, cordialità e ottimo cibo interamente auto-prodotto. E lucciole. Migliaia di lucciole a illuminare il bosco nelle calde sere d’estate: magia pura.

AALTO

La bravura del giovane chef di origine nipponiche e derivata identità italiana, che rende Aalto una delle tappe gastronomiche più interessanti di Milano. Sapori sorprendenti, umami all’ennesima potenza e tanta bellezza nel piatto; due paesi presentati nella loro veste migliore, uniti in un’armonia senza confini.

Roberto Bentivegna

Signum

Non si può scindere la cucina di Martina Caruso dalla proposta di vini al calice di suo fratello Luca. Sono affari di famiglia: così la cucina di Martina si perfeziona anno dopo anno, mentre la cantina di Luca è sempre più piena di chicche sorprendenti (che lui non teme di stappare al momento giusto).

Kresios

Uno tra i pochi locali in Italia in cui menù degustazione obbligatorio e pairing hanno davvero un senso. Giuseppe Iannotti e Alfredo Buonanno sono una delle coppie d’oro della ristorazione italiana. 

I Masanielli

Non solo la pizza a un livello superiore, ma tutto quello che le ruota attorno. Locale, organizzazione, dessert, carta vini e birre. La Pizzeria del 2021, con la P maiuscola, è quella – ovvero, questa – che può dare del tu ai grandi ristoranti europei.

Fiorello Bianchi

Materia

Il menù degustazione Revolution Revival di Davide Caranchini ci porta in promenade palatali di acidità, erbosità, balsamicità, aromaticità, amaro, dolce, fermentazioni, a scoprire tanti quadri, tutti diversi, della sua cucina assolutamente unica, fortemente identitaria, e rock nell’anima. Un’esperienza “Stratos-ferica”, per citare, il geniale Demetrio Stratos. Così come Stratos, Caranchini sperimenta e si spinge verso nuovi orizzonti: quelli della polifonia.

I Tenerumi

Davide Guidara è uno dei giovani più talentuosi della scena italiana, da anni studia e fa ricerche approfondite in collaborazione con università, sulle tecniche di conservazione, fermentazione, macerazione, ossidazione, alla ricerca del “Sacro Graal dell’umami“. La nuova frontiera? Estrarre l’essenza dal vegetale, rigorosamente autoctono, espandendola alla massima potenza.

Dina

Alberto Gipponi è il “disruptive chef” per eccellenza. È uno chef che si fa continuamente tante domande sul ruolo della cucina, della ristorazione e ovviamente del suo in questo mondo. La sua valenza e la sua unicità stanno nel fatto che, soprattutto nel menù degustazione più sperimentale, ognuno dei suoi piatti susciti, come lui, un pensiero capace di attivare i recettori sia palatali che cerebrali. Excellent food for thought!

Giacomo Bullo

Koks

Difficile da raggiungere, difficile da dimenticare. Massima espressione con l’agnello e monumentali doni che il mare regala ad un grande cuoco che ne è suo interprete, Poul Andrias Ziska.  

Le Cementine

Il format Alajmo che ancora una volta brilla con millimetrica leggerezza. Un luogo dove cucina e spazio viaggiano in parallelo tra la golosità e la bucolica bellezza circostante. Atmosfera piacevolmente onirica. 

Marzapane

Che bello godere della sana, (ma non semplicistica) irriverenza gastronomica di questa realtà. Un’alta cucina da banco a mezza via tra un izakaya giapponese condito in salsa trasteverina. Materica, coraggiosa e divertente questa è cucina che sa emozionare dall’inizio alla fine. 

Leonardo Casaleno

L’Ambroisie

La classe, la magnificenza e la straordinaria esecuzione dei piatti di Bernard Pacaud (settanta e passa anni e non sentirli) quest’anno ci hanno letteralmente stregato. I piatti del L’Ambroisie sono leggenda e, ancora oggi, tra avanguardia e sperimentazione gastronomica, l’assaggio della feuillantine al sesamo con scampi, spinaci e salsa al curry, delle scaloppine di branzino selvaggio, carciofi e caviale e della incredibile torta sabbiosa al cacao amaro, è un’epifania gastronomica. Un trois étoiles immortale.

Hyle

Non siamo in Alta Badia o a Parigi, ma a San Giovanni in Fiore, nella Sila calabrese. Eppure si rischia piacevolmente di perdere la cognizione di tempo e luogo a ogni boccone. Che sia un microscopico assaggio di cervo servito a carpaccio su una meringa al limone e burro alle acciughe, una sontuosa salsa à la royale o un elegantissimo beurre blanc ai porcini, la sensazione di essere seduti in una pluristellata tavola di montagna o della capitale francese è molto realistica.

Stadera

In una piccola gastronomia di quartiere, in centro a Milano, si nasconde una perla gastronomica dove una cucina sincera e generosa vi ruberà il cuore. Tutti i piatti – della tradizione ma non solo – sono curati personalmente dallo chef-patron Aldo Ritrovato, con un’esecuzione perfetta, frutto della sua lunga esperienza nell’alta ristorazione. Comfort food ai suoi massimi livelli.

Valerio De Cristofaro

Sora Maria e Arcangelo

Tradizione, stagionalità, semplicità e qualità sono i pilastri su cui si poggia quest’ottima trattoria.

Pascucci al Porticciolo

La certezza. Probabilmente una delle migliori cucine di pesce in Italia al momento. 

Marzapane

Innovazione, freschezza e gioventù. Ne sentiremo parlare…

Giovanni Gagliardi

Franco Mare

Un lido pieno di charme in Versilia, si mangia a bordo piscina guardando il mare. Si gode di un servizio alla lampada d’altri tempi, di grandi pesci porzionati in sala, di salse preparate al tavolo in diretta. Classicità, sapienza tecnica un tuffo in una Versilia che fu ma che, volendo c’è ancora.

Al Gambero

Ci sono tornato dopo diversi anni ed ho avuto il piacere di provare lo stesso piacere di sempre. In sala impareggiabile Antonio Gavazzi, padrone di casa esemplare, degno seguace della grande scuola dell’accoglienza italiana (quella di Gianluigi Morini e di Antonio Santini). La cucina regala piacere, succulenza e golosità in dosi massicce.

Re Santi e Leoni

Scendiamo al sud ma lontano dalle rotte turistiche. Siamo a Nola, qui un giovane e capace cuoco è tornato a casa dove sta riuscendo ad esprimersi al meglio. Sgombro, mela verde, cetrioli e alghe, questo il piatto che che riassume al meglio la cifra stilistica di Luigi Salomone nel segno di equilibrio, essenzialità e pulizia.

Erika Mantovan

All’Enoteca

Nel cuore pulsante di Canale, lo chef Davide Palluda riesce a fare sempre un passettino in avanti. Curiosità e dinamismo si uniscono all’esperienza, e il darsi agli altri e al territorio, fanno sì che la clientela apprezzi e comprenda piatti dai sapori più spinti e ingredienti nuovi come un daino dal gusto torbato.

Dina

Indelebile l’ingresso e l’uscita, da una piccola porta, al ristorante. Nessuna insegna. La luce è dentro, un mondo incredibile aspetta i commensali che diventano un po’ tutti navigatori, come Magellano; Gipponi fa scoprire rotte nuove, per un giro intorno al mondo inedito della cucina. 

Condividere

A Torino, Italia e Spagna si uniscono, le forme dei piatti e dei gusti sono come la vista di nuove insenature. La location, incredibile, a firma di Dante Ferretti, autenticano l’aspetto di divertimento e conviviale. Molte portate si prestano ad essere consumate a mo’ di finger food, superiore la fattura e la ricchezza del gusto.

Claudio Marin

Mugaritz

Per il coraggio dimostrato nel proporre una cucina che anticipi i nostri desideri futuri, anziché assecondare quelli attuali.

Uliassi

Per un Lab – ancora una volta – entusiasmante.

Da Gorini

Perché è uno Chef capace di mettere il proprio talento cristallino a servizio di un’offerta gastronomica inclusiva. 

Gianpietro Miolato

El Molin

La capacità, a tratti impressionante, di proporre al commensale la Val di Fiemme nel piatto, utilizzando fiori, muschi, licheni, erbe; insomma, tutto ciò che il bosco può offrire, senza paura di puntare su note amare e balsamiche, come in Olio extravergine di oliva e la montagna: un piatto indimenticabile.

La Cru

Lucidità di pensiero e chiarezza programmatica da professionisti navigati. Attenzione massima su acidità e note amaricanti, senza dimenticare i tesori della Lessinia. Spaghetti turanici al sugo di gallinella, asparagine selvatiche e liquirizia è un esempio princeps di equilibrio tra rotondità e lunghezze acide.

Al Pestello

Trattoria 2.0 ai massimi livelli, grazie a un uso oculato, intelligente e preciso della tecnica al servizio della materia prima. La tradizione più agreste, rispettata e ammodernata, esaltando ogni singolo ingrediente. Il Baccalà alla vicentina senza glutine e cotto a bassa temperatura è lì a dimostrarlo.

Gianluca Montinaro

Osteria Francescana

L’Italia è il Paese con la più complessa stratigrafia gastronomica al mondo, il cui epifenomeno ultimo è la sua alta ristorazione. Ci voleva un genio come Massimo Bottura per creare un menu – quello proposto durante il 2021 – che ne raccontasse, dando senso attraverso l’interpretazione, alcuni dei suoi piatti più iconici…

Dalla Gioconda

…come ci voleva ‘l’allievo’ par execellence del cuoco modenese, Davide Di Fabio, per dare un nuovo corso a un locale di lunga tradizione: Dalla Gioconda. Qui la cucina si fa introspezione, riflettendo e riflettendosi, nei prodotti e negli usi di terra e di mare di uno spazio culturale indiviso fra Marche e Romagna.

Tiglio

E, infine, all’altro capo della ‘regione plurale’, abbarbicato nel suo eremitaggio sui Sibillini, un finalmente sereno Enrico Mazzaroni stupisce con la sua cucina gustativamente complessa, smagliante in abbinamenti ed equilibri, con piatti di immensa soddisfazione, ora liberi dalle forzature del passato.

Luca Nicoli

Lido 84

Quasi impossibile non ammirare la cucina di Riccardo Camanini. Un menù vivace e personale, soprattutto nella sua versione invernale, e dai moltissimi livelli di lettura. Un luogo destinato a fare la storia della cucina italiana.

Pashà

Una cucina ricca di sapori e tecnica, legata a doppio filo a un servizio eccelso, in perfetto equilibrio fra professionalità e accoglienza. Una stella che ormai brilla per due.

Bolle 

Un locale che in solo due anni è riuscito ad imporsi in un territorio tradizionalistico, come quello bergamasco, con una cucina d’avanguardia e molto saporita. La sala giovane, la cantina divertente e l’eccellente rapporto felicità/prezzo fanno il resto.

Claudio Persichella

Hyle

Per come il bravissimo Antonio Biafora rappresenta degnamente l’affermazione gastronomica, ormai di rilievo nazionale, di una regione.

La Table

Per come Bruno Verjus ci ricorda che la materia prima, qui ossessivamente selezionata, sia il mantra di qualsiasi tavola degna di questo nome.

Materia

Per il cristallino talento di uno degli chef più bravi del panorama nazionale: Davide Caranchini.

Giampiero Prozzo

Marotta

Nel diluvio di stelle campane il mio pranzo dell’anno è dal grande escluso. Una cucina di estrema precisione e molto accattivante. Di Domenico Marotta ne sentiremo molto parlare. 

Pashà

Lo chef Antonio Zaccardi sempre più in sintonia con il territorio per uno straordinario utilizzo della componente vegetale. Sicuramente uno dei posti più interessanti della scena meridionale, con la complicità della sala di Antonello Magistà e i dessert di Angelica Giannuzzi.

Minibar

Una delle creature di José Avillez, star della gastronomia portoghese. Un posto alternativo per una cucina dove la tecnica sottende il divertimento. Il foie gras con zucchero filato e iyo al lampone, per esempio. 

Leila Salimbeni

Ristorante Cavallino

Un’accelerata di piatti divertenti nel gusto e performanti nell’estetica, capaci di conciliare tra loro propensione pratica, ludica, utopica e critica. Ecco perché ciascun piatto è così efficace non solo da un punto di vista gustativo ma anche enciclopedico, dove va a scomodare tutti i sottesi possibile. Come insegna il maestro, Massimo Bottura, qui, per interposta persone del precisissimo, e altrettanto veloce, Riccardo Forapani.

AALTO

La perizia tecnica e la sensibilità nei confronti delle consistenze e delle temperature attinta sia dal Sol Levante che dalla scuola occidentale, permette a Takeshi Iwai di concepire una cucina assoluta, ovvero libera, scissa da qualunque riferimento enciclopedico o modello precostituito. Ne nasce un percorso che vivifica il palato, anche mentale, del commensale, che ne esce rinnovato o, comunque, profondamente, impercettibilmente cambiato.

Arduino Bolgheri Osteria Ancestrale

Una cucina brutale, oltre che ancestrale, poiché fondata su cotture eminentemente alla brace e quasi nessuna linea. E con limitatissima presenza di elementi di origine animale, perché il resto è tutto vegetale, a eccezione dei formaggi, spesso caprini, da allevamenti locali. Ne sortisce un trompe-l’œil di grande mimetismo con l’ambiente circostante, amplificato dal fatto che, qui, si mangia solo en plein aire.

Giancarlo Saran

Il Pedrocchino

È l’ambasciata che ha scelto Krug per l’Italia, nel regno della famiglia Dalla Torre. Una cantina che avrebbe stregato Gino Veronelli. I piatti sembrano composti in uno studio di design edibile. Si viaggia di pesce con contaminazioni a tutto Stivale. Un piatto per tutti, i ravioli cacio e pepe con scampi crudi

Da Munaretto

I Colli Berici sono un’enclave di storie tra gola e cultura. I gargati marchiano il territorio. Sorta di maccheroni partoriti al torchio con trafila dedicata. Abbinati secondo stagione, tra orto e stalla: piselli, maiale & co. Non lasciatevi sfuggire le lumache. Polenta e musso (asino) altra madeleine senza tempo. 

Caprini

Una storia di molte storie radicata dal 1907 nella Valpolicella dove regnano l’Amarone e i suoi fratelli. C’è chi torna, recidivo e impenitente, anche solo per le lasagnette della Pierina, rigorosamente tirate a mano tagliate al coltello con ragù conseguente. Carni bovine e suine a metro zero. 

Antonello Sgobba

Uliassi

Un posto che regala emozioni uniche, soprattutto se visitato fuori stagione quando dalle vetrate dello chalet marino si scorge la spiaggia deserta ed austera. A tutto questo fa da contraltare una cucina ricca di sapori e smaniosa di trasmettere emozioni con piatti di caccia e di mare, come l’indimenticabile tartare di lepre e ricci di mare, un piccolo capolavoro giocato sulle note ferrose e iodate. 

Stadera

Una piccola bomboniera nel centro di Milano, tra le nuove apertura di quest’anno, la gastronomia dello chef Aldo Ritrovato è diventata in fretta uno dei banconi preferiti dove assaggiare piatti semplici ma tecnicamente perfetti come l’evocativo spaghetto con le vongole oppure i saporitissimi e originali piatti di verdure, rigorosamente di stagione.

Locanda Mariella

Si definiscono come libera “comunità” di Fragno e dintorni, in realtà sono un’oasi vera e propria del buon cibo e del buon bere. La nuova formula prevede pochissimi coperti e tre tipologie di menù preparate dallo chef Kuni, in sala invece c’è l’ospitalità e la passione di Guido e Mariella Gennari, sempre pronti a proporre qualche rarità enologica. Quasi impossibile non innamorarsi di questo luogo che pare sospeso nello spazio e nel tempo.

Andrea Solari

Lido 84

Riccardo Camanini ha ormai raggiunto uno stato di grazia (quasi) universalmente riconosciuto. La sua cucina è un costante, naturale fluire che sembra rendere semplice anche quello che a una più attenta analisi semplice davvero non è.

Materia

In continua, costante crescita Davide Caranchini, che sempre più si sta staccando dagli esordi nordici per un approccio vieppiù personale e interessante. È ormai vicino ai grandi, manca solo una location degna di una tale crescita.


Uliassi

Anche raggiunto l’apice, Mauro Uliassi non si ferma mai e anzi osa, come forse mai ha fatto fino ad ora. Una rivisitazione di un piatto tanto inflazionato quale la pasta al pomodoro denota una sicurezza di sé davanti alla quale ci si può solo inchinare.

Il caffè è da sempre utilizzato prevalentemente come una bevanda, con il suo effetto stimolante, che dà inizio alla giornata di milioni di persone in tutto il mondo. Sempre sotto forma di bevanda è utilizzato come fine pasto e come collaterale al pasto stesso. La sua degustazione è una vera e propria arte, tanto che ci è sembrato doveroso tracciare un parallelismo con il mondo del vino e approfondire per intero la filiera, a partire dalle piantagioni in cui si coltivano le Cru de Le Piantagioni del Caffè, ormai nostro punto di riferimento in termini di qualità.

Ma fondamentalmente, sia nella sua forma non tostata – verde – ma anche e soprattutto tostato, è un incredibile e versatile ingrediente che si presta ad essere abbinato a molteplici altri ingredienti ed è utile se non fondamentale nella conclusione del cerchio gustativo di un piatto. Le diverse tostature, ad esempio, regalano aromatiche più o meno intense con sfumature di nocciola, vaniglia, cannella che si comportano come una vera e propria spezia, utile alla conduzione ed esaltazione del gusto di ingredienti principali come la carne, la selvaggina e i funghi.

Il caffè come una spezia

Ma anche nelle preparazioni ittiche, magari utilizzando una tostatura più tendente al verde, la “spezia” riveste un ruolo molto interessante. Pensiamo ad un pesce di fondale come la cernia, grassa e consistente, che con una polvere a basso grado di tostatura può avere risvolti interessanti al pari se non superiori all’utilizzo di un pepe. Aromatiche nuove, quasi spiazzanti, per persistenza e lunghezza gustativa espressa. L’aumento di intensità gustativa, donata dalle derive del nostro protagonista, e l’allungamento dei ritorni aromatici del pesce possono portare ad un risultato che, se abbinato ad un carciofo o meglio ancora ad un fungo, ha del sorprendente.

Carlo Cracco e il suo crudo di dentice

Uno dei cuochi, a nostra memoria, che da tempo immemore lo utilizza come spezia e di riflesso come conduttore gustativo è Carlo Cracco. Ricordiamo ancora un crudo di dentice, capesante, lime e caffè che sorprendeva per il risultato gustativo. L’amaro-acido del lime è un connubio formidabile.

Un altro ricordo interessante di applicazione, qui nella sua forma non tostata, è quello che ci presentò lo chef spagnolo Josean Alija nel suo ristorante Nerua di Bilbao. Carciofo, caffè verde, fondo di jamón ibérico ed erbe aromatiche. Anche qui la grassezza del fondo, in abbinamento con la consistenza e il sapore intenso del carciofo, trovavano la chiusura gustativa con l’estratto di caffè verde che riverbera note vegetali molto intense e speziate, in cui la componente che emerge in maniera eclatante è sostenuta dalle erbe aromatiche in abbinamento.

Massimo Bottura e il camouflage

Massimo bottura, in uno dei suoi piatti simbolo, il camouflage, lo utilizza come spezia, annegato in una miriade di altri ingredienti. Però l’evidenza di quanto il gusto si distenda grazie a questo incredibile tocco è palese a tutti quelli che lo hanno assaggiato.

Il mondo dei dessert

La forma di utilizzo più immediata, a memoria, risulta essere l’applicazione nel comparto dolce. Ma come abbiamo evidenziato con gli esempi precedenti anche il comparto salato ne può beneficiare in maniera significativa. Ciò detto dal tiramisù a sorbetti e bavaresi, molteplici sono gli esempi di dolci, anche della tradizione, con una forte connotazione di questo versatile ingrediente.

Stefano Baiocco lo abbina con il cappero

Non mancano anche qui però riferimenti illustri di innovazione, come nello splendido Cappero, caffè e maggiorana di Stefano Baiocco, che a sua volta rimanda a una preparazione del grande Massimiliano Alajmo, altro cuoco che lo usa spesso, spessissimo in qualità di spezia.

Ecco quindi che l’attenzione verso l’impiego del suddetto, meglio se di grande qualità come quello de Le Piantagioni del Caffè, come spezia o come ingrediente, può aprire le porte ad abbinamenti innovativi, performanti e decisamente originali.

La Galleria Fotografica:


Ecco una nuova rubrica dedicata alle influenze, ovvero a quegli chef la cui ispirazione e identità contemporanea è stata determinata da un singolo individuo il quale, con la forza e la sistematicità del suo pensiero, ha fatto “scuola”, indicando a molti la traiettoria. Date queste premesse, non potevamo dunque esimerci dal dedicare il primo articolo di questo ciclo a Gualtiero Marchesi, ma con un’avvertenza: “Marchesiani si nasce”, appunto, nel senso che non bastano un singolo piatto o un pugno di citazioni per esser considerati tali (per questo abbiamo creato un’apposita appendice, quella relativa agli “omaggi”, in calce). Serve, piuttosto, un registro stilistico da lui forgiato e a lui ispirato; un impianto culinario che sia qualcosa di più che un tributo, per quanto indefesso. Serve, insomma, aver assimilato così profondamente la sua lezione da rifrangerla fedelmente attraverso il prisma della propria identità. E scusate se è poco.

Paolo Lopriore, il Canto, Siena

Forse più di tutti Paolo Lopriore ha incarnato il mito del cuoco contemporaneo. Metamorfico, controverso, cerebrale, viscerale, nonché marchesiano di primissima generazione, di cui era considerato l’allievo prediletto. Come tale, Lopriore ha iniziato presto a indagare la lezione del Maestro fino a metterla radicalmente in discussione pur mantenendone il profondo estetismo. Come faceva negli splendidi spazi della Certosa di Maggiano presso Il Canto di Siena dove, fino al 2013, andava in scena una cucina che, attraverso la lezione del Maestro, isolava, indagava, sviscerava e talvolta esasperava leitmotiv che erano solo suoi, come l’amaro, le consistenze – sempre di confine – e le violente acidità. Una cucina che sopravvive nei ricordi di tutti coloro che l’hanno esperita, e che ha fatto di lui il cuoco più intellettuale di sempre.

Giugno 2013

Le lasagne verdi al piatto, omaggio dichiarato a Marchesi nonché congedo dal cuoco di Appiano Gentile dalla cucina fine dininig.

Carlo Cracco

Curriculum inappuntabile, da cui occhieggia tanta scuola classica francese (Alain Ducasse e Alain Senderens) e fino a Gualtiero Marchesi, con cui è stato sia da giovanissimo, a Milano, che successivamente all’Albereta, in Franciacorta. E benché la consacrazione arrivi con le tre stelle conquistate al timone dell’Enoteca Pinchiorri, a Firenze, in Carlo Cracco alberga tutta la milanesità – quella fatta di internazionalismo, minimalismo e identificazione con l’arte contemporanea – che permea tutta la scuola marchesiana. Una cucina fatta di ingredienti feticcio, come l’uovo, di tecnica, la stessa che non di rado si presta a stravolgere i piatti della tradizione – sua la  pasta all’uovo senza farina – e, ultimo ma non ultimo, di una radicalità nella definizione del gusto espressa attraverso ingredienti difficili quali le animelle, il caffè, i capperi e i ricci di mare, solo per citarne alcuni.

Andrea Berton 

Ha trovato la maturità cercandola semplicemente in se stesso Andrea Berton che, oggi, appare quanto mai maturo e pacificato, anche nell’imprinting. Da lui, come da Cracco, è passata un’intera generazioni di cuochi che oggi sono considerati sì marchesiani, ma di seconda generazione. Suo, invece, uno stile fatto di padronanza tecnica, una ricerca espressiva completamente vocata alla pulizia nonché una precisione millimetrica nell’assemblaggio degli ingredienti e conseguenti combinazioni di sapore. In  poche parole, nel perfezionismo innato dello chef sommato a qualche indovinata contaminazione. Suo il feticcio di un intero menù dedicato alle suggestioni del brodo, che s’è dimostrato fecondo sin dal 2017.

Silvio Salmoiraghi, febbraio 2020

Da Gualtiero Marchesi Silvio Salmoiraghi ha attinto l’arte, e la disciplina, della riattualizzazione, e conseguente valorizzazione dei grandi classici della cucina italiana. I primi vagiti di quel movimento, chiamato Nuova Cucina Italiana han preso forma proprio con lui. Uno stile che ha influenzato i canoni estetici molto più di quanto si creda, e che si ritrova in tutte le evoluzioni dei suoi menu degustazione (in ordine cronologico nel 2013, nel 2015, nel 2016, nel 2018 e nel 2020) cadenzati secondo un ritmo affine a quello del kaiseki, ovvero secondo quell’orientalismo filo-nipponico che tanto fu caro al suo Maestro. Quel che ne sortisce, in anni di rifiniture e perfezionamenti, è l’espressione di un talento puro, autorevole e definito, nonché il palato assoluto di un direttore d’orchestra, che non fa che perfezionare la stessa pièce: un compositore di spartiti con un pentagramma palatale che fa arrivare e percepire ogni singola nota in modo chiaro e distinto. Qui, oltre all’omaggio dello spaghetto freddo si ritrova anche il topos del carpione.

Riccardo Camanini

Ciò che non si dice mai abbastanza di questo grandissimo talento nostrano è quanta tecnica ci sia nella sua mano. Non una tecnica di laboratorio, ma una tecnica artigiana “fatta di pentole, forni e griglie e, soprattutto, di una conoscenza profondissima della materia in tutte le sue sfaccettature, coerentemente con la lezione marchesiana”. Al bando sifoni o sottovuoto. La modernità viene qui concepita in altre forme – simili a quelle di Lopriore – che non a caso si magnificano nella ricorrenza dell’amaro, come nella potente componente estetica di ciascun piatto. Un’estetica raffinata e mai sofisticata, figlia di una cultura vera e profonda, la stessa che è servita a Camanini ad affinarsi fino a lambire, con naturalezza e senza forzature, il confine stesso con l’arte. Di Marchesi ritroviamo poi anche i continui rimandi alla grande tradizione italiana, introiettati così profondamente da rifrangerli in chiave personalissima e sempre di grande attualità. Infine, un dettaglio: che tutto abbia un senso nel suo impianto era un sospetto che avevamo già da tempo: lo troviamo puntualmente confermato nelle porcellane – qui nella linea intitolata, non a caso, Oriente Italiano – di Richard Ginori, che già fu cara e ricorrente anche nelle sale calcate da Marchesi.

Enrico Crippa

Il “marchesismo” – passateci il neologismo – di questo grandissimo chef consiste in una combinazione precisa: da un lato il fraseggio arioso degli elementi vegetali e floreali (questi ultimi reali o anche solo disegnati), dall’altra il rigore stilistico: una tensione verso l’essenzialità che da un lato lo porta a giustapporre anche decine di ingredienti nello stesso piatto, dall’altra si manifesta invece come un raffinatissimo lavoro di lima su una materia bruta: un approccio quasi scultoreo alla materia, di michelangiolesca memoria. Tra l’altro questa posizione, che è estetica prima di tutto, parla del gusto marcatamente orientale che Crippa si porta dentro sin dalla sua fondamentale esperienza in Giappone e che, ancora una volta, già fu di Gualtiero Marchesi.

Davide Oldani 

Marchesiano di formazione e di indole, Davide Oldani del Maestro incarna la propensione a lasciare lindo l’ingrediente: a tenersi aperte tutte le strade di manipolazione della materia, memore del fatto che “l’esempio è la più alta forma di insegnamento” diceva Marchesi, e “solo quando sai fare un esempio – sostiene Oldani – sei uno chef”. E lui è uno chef contemporaneo ancora perfettamente sospeso tra il “classique” e il “pas classique”: una tensione tra due poli tanto feconda da aver determinato, in lui, la capacità di ordire una cucina nuova, pop nel vero senso del termine: e pertanto funzionale, come il design che, non a caso, si ritrova in ogni dettaglio del suo ristorante di Cornaredo.

Ilario Vinciguerra

Sua è la paternità di quella che è stata unanimemente definita come una delle più interessanti cucine del sud Italia, benché oggi eserciti in quel di Gallarate, in provincia di Varese. Una cucina “col sole dentro“, per dirla con un eufemismo: leggera, fondata su alcuni prodotti simbolo della mediterraneità, a cominciare dall’olio extravergine d’oliva, che lo chef utilizza sempre anche per mantecare i risotti, fino al pomodoro, passando per le grandi paste artigianali dello Stivale.  Non si tratta solo di un esercizio di stile, come pure potrebbe sembrare: perché in Ilario Vinciguerra alberga pensiero, tecnica ed estetica: quella di soluzioni cromatiche mai scontate che gli permettono di ordire piatti che sono sì molto belli e, dunque, anche molto buoni, secondo la regola aurea di marchesiana memoria.

Pietro Leemann, coming soon

La sua cucina è fatta di scelte rigorose, quasi monastiche nell’approccio alla materie prima, cui viene rivolta un’attenzione maniacale, imposta dall’etica. Recentemente riconosciuta, peraltro, perché insignita della stella verde Michelin, e non poteva essere diversamente essendo lo chef da molti anni uno dei riferimenti, in Italia e non solo, dei valori di ecologia e di sostenibilità in cucina. Oltre all’etica, tuttavia, c’è l’estetica, perché Pietro Leemann non smette di concepite piatti che sono pure architetture ludiche, caleidoscopi di cromie, consistenze e gusti perfettamente puliti e definiti ancorché precisamente interrelati. Ebbene, ci piace pensare che larga parte di questa prolifica linfa green che sembra abitare senza cedimenti la creatività dello chef di Locarno naturalizzato a Milano, gli provenga proprio dagli insegnamenti mutuati dal suo  Maestro.

Omaggi

Gli spaghetti freddi alle vongole e prezzemolo di Giancarlo Perbellini

Uno dei piatti più riusciti dell’intero menu. Un colpo ben assestato, quello degli spaghetti freddi alle vongole e prezzemolo, in cui l’omaggio al maestro Marchesi diventa per il suo fautore il pretesto per esprimere personalità e tecnica, nonché, anche in questo caso, profondità di gusto.

Leonardo Marongiu

Proviene dalla Scuola Superiore Alma di Colorno, dove ricopre ruoli importanti per quasi 6 anni. Decide quindi di abbandonare il ruolo accademico per riprendere quello fattivo della cucina, e lo fa ambientando la sua idea di cucina regionale italiana in terra sarda. Influenze fusion e riferimenti marchesiani si ritrovano soprattutto nella scelta di servire freddi gli spaghetti: uno dei temi ricorrenti di Gualtiero Marchesi. 

Enrico Bartolini, settembre 2020

Con la sua fidata squadra lo chef più stellato d’Italia ha ripreso da dove aveva lasciato. Tra estetica, gusto e una materia prima rigorosamente nazionale, con l’intento di valorizzare sempre di più i meravigliosi prodotti italiani. Il tutto all’insegna della perfezione. A cominciare dall’introduzione al nuovo menu degustazione, che si tributa al “dio” della cucina italiana: ancora una volta, Gualtiero Marchesi.

Enrico Bartolini, maggio 2016

Accadeva cinque anni orsono, e si trattava di sorta di sfida bonaria al sommo Marchesi secondo il quale, all’epoca, anche nelle grandi tavole d’Italia i risotti avrebbero avuto tutti solo sapore di formaggio e un’eccessiva acidità. Ed è proprio partendo da questo concetto che Bartolini trova l’espediente: alla base del piatto c’è un arcobaleno di sapori sul quale viene, solo in un secondo momento, adagiato un “semplicissimo” risotto alla parmigiana, perfettamente bilanciato nel trittico parmigiano-burro-limone. L’esito, però, è sorprendente: un equilibrio di sapori e richiami all’India, all’Asia, alla Provenza e all’Italia, ça va sans dire.

Il casoncello crudo ma cotto di Alberto Gipponi 

Rimanda nella forma alla pasta ripiena tipica del bresciano, per racchiudere un ripieno di molluschi, pesce e zenzero di raccordo all’iconico raviolo aperto. In un boccone tutta la grande cucina di Gualtiero Marchesi, pulita e lineare, in alternanza alla memoria gustativa infantile della pasta cruda, appena fatta e rubata dalla spianatoia. Il riferimento, stavolta, è rivolto a un altro grande della cucina contemporanea, Massimo Bottura.

Il risotto argento e gó di Luca Tartaglia

Nell’epoca bistronomica per eccellenza, Zanze XVI è un’insegna dove la cucina della Serenissima ritorna a nuovo splendore con Luca Tartaglia. Sul desco dell’avventore si susseguono gli attori, tra cui questo Risotto foglia d’argento e gó che impreziosisce l’ostico pesce di laguna con la lunare foglia d’argento, dichiaratissimo omaggio all’aureo riso, oro e zafferano di marchesiana memoria.

Un’immersione nelle Langhe, con un occhio all’Oriente e al sud America

Fresco di riconferma della prima stella Michelin conseguita nel 2017, Andrea Larossa – cresciuto professionalmente sotto l’ala di Carlo Cracco – continua il proprio percorso culinario in maniera programmatica: sposare la tradizione al fine di valorizzare gli ingredienti delle tavole piemontesi, avendo però uno sguardo volto all’assimilazione di elementi di altre culture (Giappone e Messico in primis) così da ottenere una koinè culinaria quanto più audace e interessante.

Nella nostra visita abbiamo optato per il menù “Gastronomico”, trovando una realizzazione binaria che se ci ha convinti nella prima parte ci ha lasciato qualche dubbio nella seconda.

Se l’intento dello chef albese era chiaro già dalla descrizione del menù, che specificava la messa in opera delle “idee più creative e gli abbinamenti più particolari”, è pur vero che nell’esperienza complessiva questa stessa intenzione si è vista in maniera discendente.

Una degustazione a due facce

Nella prima parte dell’esperienza, almeno tre piatti si sono rivelati notevoli. In primis, Mare d’autunno, con un gioco di delicati accordi tra le consistenze degli elementi, a cui il cavolfiore ha fornito una croccante interruzione atta a valorizzare lo champonzu e la lunghezza del gorgonzola. A seguire, Taco di Langa, in cui la rotondità della lingua di Fassona cotta a bassa temperatura è stata esaltata dalla bagna cauda per garantire, di nuovo, una notevole lunghezza finale tramite la tostatura della farina di mais messicano del taco. In terza istanza, Spaghetti alla puttanesca, di gran lunga la portata migliore della serata: piccolo gioiello di tecnica, il piatto si è elevato ad attore protagonista grazie all’ottovolante gustativo fornito dall’incontro tra la sapidità dei capperi disidratati, la dolcezza dei pomodori canditi, la nota amaricante della polvere di cipolla e la persistenza della pasta al peperoncino. Un piatto cosmopolita e intrigante. Semplicemente ottimo.

Purtroppo, nella seconda parte del percorso abbiamo riscontrato una flessione discendente rispetto ai risultati della prima metà, in particolare nelle ultime due portate. Il Controfiletto di renna si è rivelato, ahinoi, un piccolo insuccesso: dall’impiattamento rivedibile, la portata ha palesato una sovrabbondanza gustativa data dalle tre maionesi e del burro di arachidi, che ha annullato la presenza dell’ottima carne.

Ciò detto, e al netto di altri passaggi da mettere a fuoco, come il dolce Nevoso, la splendida sala è il luogo di Patrizia Cappellaro, compagna di vita del patron, coordinatrice di un servizio di squisita precisione e puntualità.

Confermiamo quindi il voto della visita precedente, augurandoci un pizzico di equilibrio in più nel complesso delle future degustazioni al fine di valorizzare a una tavola che, ne siamo certi, potrà dare ancora tanto nei prossimi anni.

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