Passione Gourmet La cucina nell’Alma - Antipasto - Passione Gourmet

La cucina nell’Alma – Antipasto

di Leila Salimbeni

La cucina del Maestro

C’è un elemento che scandisce la vita accademica di ALMA. Inaspettato, spontaneo e liberatorio, è l’applauso che, levandosi, anima tanto i laboratori quanto la didattica. Lo stesso applauso che, stamattina, apre la lezione su Gualtiero Marchesi, al cui ritratto è precisamente indirizzato.

A condurla, una combinazione d’assi della didattica: toque bianca in testa l’uno, libro alla mano l’altro, Chef Bruno Ruffini e Professor Luca Govoni ricordano che, all’unisono, Gualtiero Marchesi fu, tra i tanti ruoli e le tante cariche ricoperte, anche Rettore di ALMA sin dall’anno della sua fondazione. 

La storia della Cucina Italiana

“Nella vita, se si è fortunati, si ha più di un Maestro; ma è una parola, questa, da non usare a sproposito: perfino per me, che non ho mai voluto essere cuoco, era lui il mio Maestro”, confessa Luca Govoni, Docente di Storia e Cultura di Cucina Italiana che, prosegue, insistendo sui molteplici modi che aveva lui d’esser tale: perché Marchesi ha formato una generazione di cuochi la cui mano – marchesiana – è riconoscibile in tutti i piatti e, cionondimeno, ha anche fatto in modo che ciascuno di questi cuochi prendesse la sua strada e, nel corso della Storia, imprimesse il suo segno: la sua storia. “Però vi devo anche dire che, negli ultimi tempi,  ero riluttante a utilizzare la mia macchina per le nostre trasferte: era molto malato e io già vedevo i titoli sul giornale Professore di Storia della Cucina Italiana uccide la Storia della Cucina Italiana! Risate. Ride lui, rido io, ride tutta l’aula.

A spezzare l’attenzione, ad ALMA, non sono solo gli applausi…

Arte & Cucina

E difatti si dirà che nell’unica pausa prevista, in una lezione di quattro ore, invece di uscire al sole, già primaverile, di questa giornata di metà marzo un nutrito gruppo di alunni si è invece riunito attorno al pass dove Chef Ruffini ha appena realizzato alcuni dei piatti più iconici del Maestro. “Ma proprio i suoi piatti più iconici – precisa – sono anche impossibili da realizzare in maniera fedele: il motivo, lo si evince facilmente ma prima devo fare una digressione: io non sono tra quei cuochi che crede che la cucina possa essere arte. Non ci ho mai creduto. L’unico cuoco per il quale sono disposto a rivedere questa mia posizione è, però, proprio Marchesi che era, a modo suo, un artista. Per cominciare, faceva parte del tessuto culturale della Milano di Arnaldo Pomodoro e Piero Manzoni e, difatti, questi piatti gli erano stati commissionati dalla rivista Stile Arte per cui lui traduceva le opere d’arte in cucina. Così, dall’opera di Caravaggio aveva creato Riso Oro e Zafferano, mentre la Seppia al nero era d’ispirazione fiamminga e il Teatrino di Lucio Fontana aveva invece dato origine a il Rosso e il Nero. Era un processo creativo trascinante, il suo, tanto che se oggi possiamo permetterci di pensare “avrei potuto farlo anch’io, è solo perché l’ha fatto lui, prima di tutti noi!”

Lo potevo fare anch’io!

Lo potevo fare anch’io. Perché l’arte contemporanea è davvero arte di Francesco Bonami è anche il libro che Luca Govoni stringe tra le mani, e che legge agli alunni, mentre su un maxischermo si susseguono le immagini delle tavole imbandite della Eat Art di Daniel Spoerri, le performance di Jannis Kounellis e quelle del situazionista del Pad Thai Rirkrit Tiravanija accanto agli affreschi del Pontormo, alla Merda d’artista del già citato Piero Manzoni, alla Mozzarella in Carrozza di Gino De Dominicis – altre risate… – alla Vucciria di Renato Guttuso fino allo straniamento indotto dalla performance This is so contemporary di Tino Sehgal.

Dripping di pesce e libertà

Ci si nutre d’arte, a lezione di cucina con Ruffini e Govoni e, così facendo, ci si sente liberi. E difatti dopo la realizzazione del Dripping di pesce parte un altro applauso: “si tratta di una tecnica anti-tecnica – spiega Ruffini – che sovverte anche le regole della cucina perché, differentemente da qualunque altra ricetta, non permette a nessuno di riprodurre il piatto in serie. I gesti, che poi sono gli stessi gesti di Jackson Pollock, non sono codificati, tanto che lo stesso Marchesi poteva rifarlo, certo, ma mai uguale al precedente.

In questo piatto la linea è come la tavolozza dei colori: come fosse un pittore, lo chef lavora con una campitura di maionese – diluita con acqua – perché fondamentale è la densità degli ingredienti, che sono i nostri colori: la salsa di pomodoro è setacciata e ristretta, quella al nero di seppia idem, così come la salsa al prezzemolo, deve esser materica. Abbiamo poi bisogno di vongole, meglio se vongole grigie, o poveracce, e dei calamaretti spillo, appena sbollentati, e poi scolati.”

Applausi, risate, e domande…

Quel che si evince subito è che questa lezione non vuole chiudere il discorso, vuole aprirlo. Non propone una risoluzione ma domande che, appunto, si tengono e s’inanellano l’un l’altra: nel momento in cui Marchesi usciva in carta con questi piatti – chiede un alunno – l’idea era quella del cuoco, o dell’artista? C’è un collegamento tra gli artisti che seguiva Marchesi? chiede un altro… Perché mettere un bordo ai confini del piatto, quando Pollock non ha mai messo una cornice? E, ancora: in questo piatto è venuta prima l’idea o la materia? “Ecco, nel caso dell’Insalata di animella con soia e sesamo – spiega Ruffini – nasce prima il piatto e poi l’opera, nel senso che è il piatto ad esser stato accostato all’opera di Jean Fautrier Otages, ovvero, ostaggi: si trattava di un pittore francese che impresse le sue sensazioni su tela, dopo aver assistito alle torture dei prigionieri uccisi dai nazisti: erano opere cruente, che mostravano la violenza, la crudeltà e, in ultima analisi, liberavano un espressionismo astratto potentissimo.” 

È una lezione di vita, questa, prima ancora che d’arte, o di cucina. È una lezione in cui, con mano leggera, docenti e alunni esplorano le categorie estetiche e semiotiche del buono e del cattivo, dell’utile e dell’inutile, del pieno e del vuoto, del presente e dell’assente come nell’Achromes di branzino, “che Marchesi realizzò riprendendo una serie di opere di Piero Manzoni dove, per esprimere una certa sensazione di vuoto, o di assenza, l’artista comprese di dover aggiungere l’immateriale”.

Una lezione, insomma, che è stata mille lezioni in una e, per noi che l’abbiamo vissuta, e assaggiata, un piacere, nonché un onore, da raccontare.

1 Commento.

  • Rina9 Aprile 2019

    Si cucina in ogni luogo , ma quando entri in Alma, ogni persona che incontri ,fosse anche la donna delle pulizie esprime una educazione e un rispetto inimmaginabile. Girando per i corridoi ,sbircio dalla finestrella delle demo i docenti e gli sguardi degli allievi. Ecco in quel momento "la reggia" è fuori con il suo giardino e il suo palazzo. In questo corridoio.senti la sua anima... L'arte si sa non è da tutti...ma una cosa è certa che "linsegnamento è ll suo,le proiezioni sono le stesse ,l'educazione e lo stile sono inconfondibili. Lui è lui..ma tanti sono degni di lui.

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