Valutazione
Pregi
- L'arredo, originale fine e con dettagli sofisticati.
- Cucina molto personale e con un'impronta avanguardista marcata.
Difetti
- Il parcheggio difficoltoso in zona.
- L'ingresso fronte strada.
La rinascita evolutiva di Dina a Gussago
In questa fase post-riaperture, le nostre esperienze al tavolo stanno trovando un movimento gastronomico in stato di grazia. Non possiamo negare di esserci sorpresi a pensare, nei giorni più bui della pandemia, a una ripartenza gastronomicamente felice ma la tendenza , quantitativamente non omogenea ma certamente trasversale, supera ampiamente fantasticherie che, in un impeto di superbia, potremmo persino azzardarci a definire previsioni. Di fronte a un periodo di forzata sospensione dai ritmi frenetici e dalle strette routine della vita ristorativa, per molti chef incertezza, rielaborazione ed esplosione creativa hanno finito per diventare tutt’uno: una sorta di otium culinario. Così, laddove le insegne, per bravura, lungimiranza e – perché no? – per fattori contingenti son tornate a riaccendersi in coda all’ultimo giro di chiusure, stiamo ritrovando cuochi emotivamente provati ma allo stesso tempo carichi di rinnovato furore gastronomico. E non ci sorprende di trovare, nel novero dei most improved, Alberto Gipponi di Dina, a Gussago.
Più domande che risposte gustative
Chef di intelligenza, inventiva e retroterra culturale decisamente sopra la media, e non solo quella di categoria, Gipponi ha saputo trarre il massimo beneficio dal primo vero momento di ripensamento dall’apertura di Dina – a fine 2017, quando era poco più che un appassionato pieno di talento e di sacro fuoco – per aggiungere, limare, reinventare il proprio linguaggio gastronomico alla luce di una nuova professionalità conquistata in un lustro, corso a perdifiato. La sua cucina, oggi, ha una dimensione autoriale che si esplicita in un mondo fatto di domande, più che di risposte: di stimoli, più che di verità.
Non lascia scampo al commensale, Gipponi: lo spinge in tutte le fasce dello spettro gustativo, portandolo lontano dalle zone di sicurezza ma facendosi egli stesso carico della sicurezza dei passeggeri, come in una sospensione guidata della gravità usuale. Imboccando il menu degustazione più ampio, i segni del talento assoluto si mostrano già dall’amuse-bouche aria-acqua-terra-fuoco, il quale non è mero esercizio di riscaldamento né semplice preparazione del commensale all’esperienza gastronomica. Esso è invece, a nostro parere, la rappresentazione di uno spazio palatale in divenire in cui i vari elementi già interagiscono attraverso tensioni, in particolare fra toni salmastri, terragni e umami, che verranno via via sviluppate, ma mai completamente sciolte, durante lo scorrere di un menu che sembra seguire la linea dell’aprés-coup in senso globale – quasi a mimare l’accidentato percorso professionale dello chef – come, talvolta, sul piano locale: ne è un esempio l’animellaGhiandola corrispondente al timo umano presente in agnelli e vitelli che scompare con l’avanzare degli anni. Rientra tra le frattaglie bianche, si presenta come una massa spugnosa e va consumata fresca, altrimenti fermenta. La parte commestibile, di forma allungata, si definisce noce e, previa cottura, va immersa in acqua, ricambiandola ogni volta che assume un colore rosato, al fine di... Leggi ai fiori d’arancio, il cui senso si rivela solo con un abbinamento enologico, la Ribolla 2009 di Gravner, che però apre ulteriormente il piatto in luogo di fornirne la clausola.
Una cucina autoriale e autobiografica
La cucina di Dina è certamente autobiografica ma, con abilità, scansa le trappole più facili del ricordo per approdare al mondo più indefinito della reminiscenza: non c’è alcuna retorica della “cucina della nonna” nei casoncelli, crudi in apertura di pasto e conditi prima dell’approdo ai dessert, quanto l’esigenza di raccontarsi attraverso la condivisione – per sua stessa natura fallimentare nel proposito ma ineluttabile nello tentativo – di una personalissima madeleine, fondamentale però per la comprensione dei passaggi più arditi.
Straordinario si rivela il lavoro sulle paste, con la croccantezza estrema delle eliche, a lasciar quasi l’idea di mordere direttamente il grano, seguita dalla tenace callosità dei vari formati nella pasta e fagioli, con un fusillo sugli scudi (ahinoi! non presente in ogni piatto). Non convince fino in fondo la spaziatura finale fra l’esplosione pepata dell’eccellente spaghettino con sambucoIl sambuco è un genere di piante tradizionalmente ascritto alla famiglia delle Caprifoliacee, che la moderna classificazione filogenetica colloca nella famiglia Adoxaceae. I fiori del sambuco trovano impiego in erboristeria per la loro azione diaforetica. Con i fiori è possibile fare uno sciroppo, da diluire poi con acqua, ottenendo una bevanda dissetante che è molto usata in Tirolo, in Carnia... Leggi, miele, aceto di miele e pepe Tellicherry e indivia riccia, quasi un effetto di rimbalzo termico guidato dal gelo e dalla piccantezza, e le mezzetinte dolci della quaglia, chiusura dal tono quasi confidenziale.
Ed è, del resto, una linea narrativa e non didascalica, quella di Gipponi, cuoco che attraverso i suoi piatti ci racconta di sé più che della cucina d’oggi. E e noi va benissimo così.