Dal caffè al vino, e ritorno, con le Piantagioni del Caffè
Un parallelo possibile, sulle tracce del Dio terroir
La bevanda d’importazione più diffusa in Italia – il caffè – condivide col mondo del vino alcune caratteristiche essenziali come la regione entro la quale si è sviluppata la sua storia. Quella che, difatti, ha l’aria di essere una semplice coincidenza cela invero una precisa verità di tipo culturale: perché la storia del caffè, in Italia, si sviluppa principalmente in Toscana, ovvero presso una delle una regioni più autorevoli anche in fatto di vino e dove oggi risiede, non a caso, il maggior numero di torrefazioni della nazione.
Allarghiamo dunque lo zoom su una di queste, ma non su una qualunque bensì su quella che ha fatto della propria impostazione, per così dire vitivinicola e, come vedremo, risolutamente torroiriste, una scelta tanto seminale quanto rivoluzionaria: a Le Piantagioni del Caffè, in quel di Livorno, la famiglia Meschini tosta caffè da singola piantagione dal 1994.
Cosa significa tostare caffè da singola piantagione? Semplicemente fare quello che, nel mondo del vino, chiamano “vinificazione separata”, un’operazione volta a isolare le caratteristiche precipue di ogni singolo appezzamento, di ogni singola parcella, spesso anche di ogni singolo filare.
Ma fare questo significa aver assimilato un concetto di “territorio” che l’Italia del vino ha dovuto mutuare dalla Francia, dove i produttori hanno compreso anzitempo quanta importanza avesse vincolarsi al territorio, prima ancora che al vitigno, verso cui si proiettano non a caso concetti di unicità e, non di rado, anche di sacralità. Una concezione sottile davvero ma essenziale per la nascita della cultura enologica nazionale così come la conosciamo oggi e che sottende, peraltro, un’altra grande verità: ovvero che se il vitigno è esportabile – e dunque replicabile – ovunque e altrove, il territorio invece – inteso come quella combinazione di fattori geologici, climatici e culturali – è uno e unico e, pertanto, irriducibile.
I terroir del caffè
Un imperativo perfettamente assimilato a Le Piantagioni del Caffè dove, da sempre, la famiglia Meschini istituisce – valorizzandolo – il rapporto diretto coi produttori presso i rispettivi paesi d’origine per propiziare quella conoscenza che è alla base di ogni approccio terroiriste degno di questo nome.
Ecco allora che diventa importante non solo il contesto ambientale ma anche il tessuto sociale e culturale e, non ultimo, il capitale umano, di ogni realtà. Così scopriamo che in Etiopia questo coincide con Abdullah Bagersh – uno dei più grandi esperti di caffè etiopi – per la piantagione di Yrgalem e, in America Latina, con Emilio Lopez nella splendida finca de La Cumbre, a El Salvador; con Olman Valladarez e con suo padre Luis Emilio nel cuore delle montagne di Dipilto, in Nicaragua o, ancora, con Oscar Daza, in Colombia, solo per citarne alcuni.
Da ciò si evince che ciascuna delle piantagioni presenti nel suo portfolio, e da cui la torrefazione livornese mutua il nome, è una visione del mondo: un frammento di mondo accuratamente portato alla luce in anni di viaggi, di degustazioni, di negoziazioni, di storie e di vita vissuta e che si ritrova, animandolo dall’interno, in ogni sorso di caffè de Le Piantagioni del Caffè.
I caffè “Di Piantagione”
I sei caffè Di Piantagione, in particolare, sono dedicati a questo unico scopo: parlare dei singoli, particolarissimi Cru da cui provengono.
Come Alto Palomar, che vanta note dolci di tabacco, mandorle tostate, cioccolato e miele millefiori: siamo in Perù, tra i 1200 e 1800 metri sul livello del mare, dove le scelte agronomiche, fatte di rispetto per l’ambiente e metodi naturali, attirano una moltitudine di insetti, farfalle in particolare, che rendono ancora più incantevole, e trasognata, la piantagione.
Oppure Samaria, in Colombia, dove un’antica tecnica culturale Maya chiamata milpa restituisce un caffè che sprigiona intense note fiorite ma decise, golose di nocciola e cioccolato.
Restando in Sud America, poi, c’è Cachoeira da Grama (Brasile), donde arriva un caffè peculiarissimo abitato da note di cioccolato e mandarino candito e, ancora, lo straordinario, affollatissimo bouquet del caffè di Emilio Lopez a La Cumbre, dove si riconosce una cornucopia affollata di mele, banane e persino ciliegie.
Quanto alle due piantagioni messe a dimora presso la grande madre del caffè, l’Etiopia, qui, coi suoi accenti fioriti di bergamotto, miele e agrumi spicca senz’ombra di dubbio Yrgalem, la piantagione curata come un giardino di Abdullah Bagersh e, poi, l’incredibile Dambi Uddo, un caffè di foresta coltivato a poco meno di 2200 metri di altitudine, coi suoi profumi “rossi” di fragole, frutti di bosco e il caratteristico retrogusto di lampone e di mela rossa.
Accanto a questi, ancor più focalizzati sull’imperativo territoriale sono poi i caffè appartenenti alla linea dei “Dirompenti“, ovvero caffè dal particolarissimo profilo organolettico – e identitario – provenienti da piccolissime, straordinarie piantagioni che, nel vino, potrebbero essere associate ai cosiddetti climat o lieux-dit, che dir si voglia.
Quanto alle 8 miscele, non vi illudete poiché si tratta, anche in questo caso, di blend realizzati, manco a dirlo, dalla torrefazione separata di caffè da singola piantagione e solo successivamente assemblati nella linea degli “Specialty People Blends“.
TO BE CONTINUED…