Passione Gourmet DaGorini - Passione Gourmet

DaGorini

Ristorante
via Giuseppe Verdi 5, San Piero in Bagno (FC)
Chef Gianluca Gorini
Recensito da Leila Salimbeni

Valutazione

17/20 Cucina prevalentemente di avanguardia

Pregi

  • Un talento puro in un momento di grande serenità.
  • La carta dei vini di Mauro Antonio Donatiello sa far divertire.
  • Una grande cucina, a un prezzo ancora accessibile.

Difetti

  • I dolci, non alla stessa levatura delle preparazioni salate.
  • Le luci, non molto efficaci alla fruizione dell'esperienza.
Visitato il 05-2019

Vicino alle foreste casentinesi, il talento istintivo di Gianluca Gorini

Si muove lesto tra i tavoli, con movimenti  felini: è l’agilità istintiva dell’animale nel suo habitat naturale. Un habitat identificato due anni orsono quando, con figlio e compagna al seguito, abile donna di sala, Gianluca Gorini s’è insediato in questa dimora nel paese preappenninico di San Piero in Bagno, non lontano da Camaldoli e comunque vicino ai genitori di lei, già titolari di un’azienda agricola e di un allevamento di conigli, in un luogo così defilato che devi andarlo a cercare e dove, comunque, non si arriva mai per caso. 

Eppure, benché si tratti di un lunedì di fine maggio coi connotati di una giornata novembrina, il ristorante è al completo, gremito di voci di adulti festanti e dei giochi dei rispettivi bambini: sembra quasi di essere a casa, o comunque in famiglia, con la differenza che dietro ai fornelli si muove uno dei talenti e dei palati più brillanti, e più istintivi, del presente momento storico.

Un talento tale che verrebbe da immaginarselo chiuso in una sorta di autismo compiaciuto e che invece sa essere anche narciso perché conscio, crediamo, della sua missione, che altro non è se non quella di appagare rispondendo all’imperativo più puro e più tacito della cucina tutta, quello edonistico, tanto che pure i meno edotti si possano sentire legittimati a dire, dopo ogni piatto, semplicemente “che buono!“.

Una cucina ispirata, impeccabile e accessibile

Forse il migliore mai assaggiato, è il Coniglio alla diavola con maionese, erbe di campo e fave: un piatto dove le verdure hanno la medesima dignità della carne – leitmotiv, questo, di tutta la cucina goriniana – che è quasi porchettata nel jus della sua marinatura e ormai caramellata da una cottura che è parte stessa del repertorio degli ingredienti e che, del coniglio, restituisce la proverbiale, tosta asciuttezza irrorata però di umori animali ed essenza boschive. Un piatto, questo, in cui il virtuosismo risiede nel nascondere l’artificio, dissimulare la tecnica sembrando, appunto, semplicissimo.

Approccio simile, encomiastico, verrebbe da dire, per il Carciofo, che è uno studio sulla stratificazione dell’amaro più vegetale, quasi medicinale, del gambo e che traccia un tributo a Paolo Lopriore abbozzando una sensibilità di tipo bucolico che si corona poco dopo nei Pisellini con crema di latte, salicornia e aringa: un piatto povero, quasi agreste – dove lo spigolo sapidissimo dell’aringa viene contrastato dalla lattosità della crema e dalla tenera dolcezza del pisellino appena scottato – semplice ma assoluto come la saggezza del contadino.

Della Spoja lorda si dirà invece del profumo, quasi animale, profondamente ormonale che esalava dal piatto, umorale stratificazione di funghi, tabacco e tartufo nero e che ritroviamo acuito, benché più imbellettato, nella sensazione di pelliccia e fragole dello splendido boccone di Cervo alla liquirizia con fragole e rapa rossa. 

Del Piccione di Gorini, poi, s’è molto scritto: si tratta di un’esecuzione magistrale, evoluzione stessa del concetto di signature dish perché, una volta realizzato, è lui a segnare il suo fautore che non può più prescindervi. Buona parte del merito, oltre alla cottura millimetrica di ciascun taglio che, lo ricordiamo, per Gorini è parte stessa dell’ingredientistica locale (come la griglia romagnola), risiede nell’estratto di alloro e nel suo profumo solenne, quasi di incenso da chiesa; una sensazione estatica che viene presto spazzata via dalla carica, metaforica e letterale, di una capra appena uscita dal bosco, e dall’amaro puro della genziana che investe sensi e palato nello Spaghetto al burro, che la scorzetta di bergamotto proietta in una dimensione di gusto iperuranica, praticamente infinita. 

Golosissimi ma leggermente meno ispirati i dolci, canonicamente dolci e senza particolari virtuosismi, fatta eccezione per la crema di mandorle armelline a chiosa di Fucsia, del cui sapore continuiamo a sentire sia il riverbero che la mancanza. 

La Galleria Fotografica:

Lascia un commento

La tua email non sarà pubblicata. I campi obbligatori sono contrassegnati *