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I piatti che più ci sono mancati nel 2020

Quali sono i piatti che più ci sono mancati in questo 2020 appena trascorso? Eccovi una carrellata di piatti memorabili: bocconi che ci hanno fatto sobbalzare dalla sedia e che si sono impressi con così tanta efficacia, e altrettanta ferocia, nella nostra memoria, che ci è ancora possibile rievocarli, in attesa del tanto anelato bis.

Alberto Cauzzi

La lièvre à la royale, mio piatto feticcio, di Luigi Taglienti al Lume. Un piatto che, pur mantenendo legame e attinenza filologica con la trazione, si proietta nel futuro attraverso piccoli tocchi e dettagli che lo rendono raffinato e avanguardista.

Andrea Grignaffini

Mi manca la cucina di caccia che infiammava gli antichi inverni di Igles Corelli. Per un ritorno alla normalità, però, non vedo l’ora di gustarmi la super-classica Carbonara dell’Osteria Angelino di Milano.

Orazio Vagnozzi

Riso, pane e pepe nero con riduzione di Marsala, di Davide Oldani al D’O. Piatto goloso e raffinato, che interpreta in modo del tutto originale il piatto tipico della cucina lombarda, il risotto, usando ingredienti poveri. Il risultato è da leccarsi i baffi.

Alessandro Pellegri

Uno dei piatti di cui più sento la mancanza è Acqua Olio Limone Liquirizia, di Luigi Taglienti: questa entrée mi manca non come piatto a sé, ma in quanto costante preludio dei sublimi menù degustazione di Luigi Taglienti, sempre presente, negli anni, in tutti i ristoranti in cui ho avuto il piacere di provare la sua cucina. E non vedo davvero l’ora di tornare a farlo.

Davide Bertellini

Senza ombra di dubbio la lièvre à la royale dello chef Antonio Guida al Seta. Un piatto che ho assaggiato diverse volte, un confort food d’eccezione di cui ho sentito parecchio la mancanza… Fortunatamente presto colmerò il vuoto.

Erika Mantovan

Le Cicale di mare, tapioca e bergamotto di Enzo Di Pasquale  ad Aprudia. Un tuffo nel mare, il sale invade ogni cosa. Stuzzica, solleva, agisce: al palato c’è un velours che non lascia intravedere i confini, il piatto afferma quanto promette, arricchendosi di parti più acide e amare, grazie alle perle di tapioca.

Leila Salimbeni

Le capesante, il midollo e il brodo di fagioli di Matteo Baronetto, e l’abilità di utilizzare il veicolo lipidico del midollo come prisma per modulare almeno due tipi di sapidità: quella, umamica, del brodo di fagioli, e quell’altra, più dolce, della capasanta. Un piatto che è la conciliazione perfetta tra libido e intelletto.

Leonardo Casaleno

L’inimitabile vitello tonnato di Diego Rossi, da Trippa. Un vuoto quasi incolmabile nella normalità della vita milanese di un appassionato di cibo.

Giovanni Gagliardi

Dim Sum ripieni di coscia di piccione al brodo con thè nero e anice di Silvio Salmoiraghi, ovvero della concentrazione dei sapori. Ti resta a lungo in bocca e per sempre in mente. Entusiasmante. 

Claudio Persichella

Patate, caviale, dragoncello, burro affumicato, spinaci e coquillage del sommo Troisgros, ovvero quando artigianato e arte hanno confini che diventano sfumati e indistinguibili: sensibilità, raffinatezza e gusto sono legate in un ricordo che scatena, parimenti avvicendate, malinconia ed euforia.

Giacomo Bullo

Il cappuccino murrina del Gran Caffè Quadri degli Alajmo. Non ci stancheremo mai di questo piatto e di tutte le sue declinazioni, sempre centrate! Tuttavia la golosità di questa versione, in ogni boccone, è un caleidoscopico viaggio tra i sapori nella laguna veneziana. La cremosità della crema di patate unita alla sapida carnosità dei molluschi catapulta l’avventore nel più bel salotto del mondo: Piazza San Marco. Conturbante!

Gianpietro Miolato

Il mare di frutta all’arancia, a Le Calandre di Massimiliano Alajmo: l’Alajmo-pensiero fatto piatto, e, per di più, come antipasto. Gioco di contrasti tra consistenze e sapori, alternanza tra morbidezza e croccantezza, eleganti passaggi tra dolcezza e acidità, il tutto senza dimenticare pulizia e golosità in chiusura. Confortevole per chi ama la rotondità; ragionato per chi ama l’introspezione. In una parola: universale.

Adriana Blanc

L’entraña del The Brisket è un tenerissimo taglio di manzo, nello specifico Black Angus americano, allevato libero. Il morso sprigiona i succhi sapientemente conservati all’interno, rivelando un boccone particolarmente ferroso e saporito. Attenzione, però, alle controindicazioni, perché questo piatto dà dipendenza.

Silvia Izzi

La mano delicata e decisa di Davide Caranchini a Cernobbio nel piccione cotto in crosta di sale e fave di cacao in due servizi: un viaggio di andata verso Oriente, e ritorno, qui in un succulento petto di piccione con burro alle spugnole, biete scottate ed estratto di alloro. Il burro alle spugnole trova il suo contraltare nella nota amaricante dell’estratto di alloro. Una gioia per le papille gustative.

Francesco Zito

Il risotto alla pescatora di Antonio Zaccardi al Pashà di Conversano: un piatto classico della tradizione italiana reinterpretato in chiave contemporanea. Riporta alla mente gli anni Ottanta, è ricco e gustoso, richiama il mare del Sud e, in un certo senso, riporta alle feste di una volta, che tanto ci mancano. 

Carlo Nicolo

Insalata 21, 31, 41… 121 di Enrico Crippa al Piazza Duomo di Alba. Un piatto che nella sua apparente semplicità scatena reazioni sinaptiche complesse che attivano e stimolano tutti i sensi; un giardino lussureggiante, un dedalo di vegetali nel quale è un piacere perdersi  dolcemente. Capolavoro!

Antonio Sgobba

I ravioli di melanzana con ventricina e crema di olive Nolche di TrippaDiego Rossi è un bravissimo cuoco di cui tutti celebrano le capacità di valorizzare gli ingredienti poveri e il quinto quarto; tuttavia, ritengo che il meglio di sé lo dia coi vegetali. Infatti, a un’attenta selezione della materia prima affianca un’ottima tecnica con cui riesce ad esaltarne tutti i sapori. Questi ravioli dalla sfoglia sottilissima racchiudono un fondente di melanzana dolce e concentrato che trova nella salsa di olive il contrasto amaro. La ventricina dà la parte grassa al piatto e un piacevole finale piccante al boccone. Un piatto assaggiato a fine estate, fortemente evocativo di cui ho sentito la mancanza nelle fredde giornate di “forzata reclusione” autunnale.

Luca Nicoli

Il riso all’aglio nero di Riccardo Camanini. Forse anche per i ricordi legati al Lido 84, oltre che per la perfezione del piatto in sé: il riso contemporaneo per definizione. Eccellente anche quello con scampi olio di fragole e acqua di governo provato nell’ultimo menù: cremoso e perfettamente equilibrato nella sua dolcezza.

Cento di queste forchettate

Abbiamo deciso di suggellare la fine di questo anno solare con un’inconsueta classifica, la nostra classifica, dedicata all’italianità a tavola per antonomasia: la pasta. Per risvegliare il senso di appartenenza e, se non proprio l’amor patrio, quantomeno il gusto di essere italiani e così introdurvi, piatto dopo piatto, forchettata dopo forchettata, uno dei nostri progetti più ambiziosi di questo imminente 2020.

ALBERTO CAUZZI

Cappelletti alla genovese, zuppa forte di piccione, yogurt acido, lampone e funghi di Antonino Cannavacciuolo

La pasta ripiena è spesso utilizzata dallo chef partenopeo per perseguire il suo credo legato alle contaminazione tra Nord e Sud, tra la sua terra adottiva e la sua terra d’origine. Una commistione realizzata con classe ed eleganza estrema, come in questa pasta in cui la genovese del ripieno, dolce e sugosa, si amalgama incredibilmente con il dolceforte di piccione. Chiudono il cerchio le acidità di yogurt e cristalli gelati di lampone, la terrosità del brodo di funghi e il piccione, dalla nota ematico-piccante: un piatto tanto classico, tanto italiano, tanto sottile ed elegante, oltre che profondo e contrastato. Un inno alla pasta italiana.  

ANDREA GRIGNAFFINI

Cacio e 7 pepi alla brace di Errico Recanati

Sulla base dello stile narrativo di Errico Recanati che triangola spiedo, griglia e fumo ecco una Cacio e Pepe che parte dalla cottura della pasta alla brace, ovviamente dopo pre-cottura in acqua bollente prima e passiva poi. La brace quindi interviene in ripasso (per 5/6 minuti) con tecnica del cappello. Così si ottiene una sorta di breve affumicatura a caldo.  Il cacio si sdoppia tra la classicità del Parmigiano e il genius loci del Formaggio di Fossa che moltiplica peraltro l’idea di affumicatura. La base casearia è pronta per essere innervata dai 7 pepi mixati ad hoc: Timut, Lungo, Selvatico del Madagascar, Verde naturale della giungla, Bianco, Sichuan, Nero di Sarawak. L’affumicato precede il boccone, l’amido dello Spaghettone Benedetto Cavalieri si diffonde sul cacio, il pepe riverbera e punteggia.

ORAZIO VAGNOZZI

Pasta agli anemoni di mare di Antonio Guida

Il mare nel piatto in un’interpretazione tanto personale – quella di Antonio Guida – quanto universale, nei colori, nei profumi, nei sapori e nelle consistenze. Un piatto dall’equilibrio perfetto.

DAVIDE BERTELLINI

Le tagliatelle di patate con tartufo bianco d’Alba di Matteo Baronetto

Tanto semplice quanto straordinariamente buono: la consistenza incredibile della pasta di patate con cui sono realizzate le tagliatelle e lo spessore perfetto con cui sono tirate ne fanno il piatto di pasta antonomastico dell’anno appena trascorso.  Un mix di sapori, consistenze ed emozioni che rimandano all’ infanzia ma, al tempo stesso, alla contemporaneità e al grande carattere, oltre che alla filosofia, di questo grande chef italiano.

ALESSANDRO PELLEGRI

La Lasagna alla Bolognese di Luigi Taglienti

Un piatto realmente popolare, di cui è difficile – per non voler utilizzare il termine “impossibile” – trovare due versioni uguali in due case diverse. Nella versione proposta da Luigi Taglienti esso viene preso e, senza snaturarne né l’idea, né la forma né tantomeno l’esecuzione, viene sparato nell’iperspazio dell’alta cucina: gusto, finezza, golosità e italianità all’ennesima potenza. Un piatto in grado di posizionarsi, con pari spessore e dignità, tanto in una proposta alla carta quanto in un menù degustazione. Sublime.

Lume, Luigi Taglienti

LEONARDO CASALENO

Il tagliolino al tartufo di Diego Rossi 

Come può un piatto di pasta arginare l’idea di un cibo popolare? Basta mettere molti tuorli e tirare un tagliolino di callosità ed elasticità inappuntabili, unire brodo di pollo con tanto Parmigiano Reggiano e tantissimo burro, mantecare il tutto e, dulcis in fundo, affettarci sopra qualche fetta di tartufo bianco. Solo già la salsa che ne sortisce ha un equilibrio raro, che già parla per sé, ma l’allungo irresistibile del tubero lo rende magico. È la magia di un piatto semplice che si veste d’opulenza, in trattoria, lì dove alta cucina e tradizioni danzano senza soluzione di continuità.

ROBERTO BENTIVEGNA

Garganelli con astice, porcini e tartufo nero di Nicola Portinari

Il piatto “inclusivo”: capace di unire invece che dividere, che mette d’accordo tanto il gourmet quanto il gourmand, il seguace della creatività così come il fedele alla classicità estrema. Perché è semplicemente perfetto, per gusto, tecnica e precisione stilistica. Un grande classico de La Peca, un piatto da grandissimo ristorante.

GIACOMO BULLO…

Penne, burro ai ricci di mare, capesante essiccate, erbe spontanee e seppia ai carboni di Moreno Cedroni

Proprio un piatto di pasta consacra Moreno Cedroni al rango del fuoriclasse: un piatto assoluto dove la carica gustativa della capasanta è amplificata grazie all’uso della liofilizzazione, cui si unisce il vigore delle erbe selvatiche essiccate e poi passate sulla brace e la seppia appena scottata. La nota empireumatica del fuoco impressa sulle erbe si sposa con la dolcezza del riccio regalando sentori e ricordi di una grigliata di pesce sul mare del litorale di Marzocca.

…e FILIPPO BOCCIOLETTI

Più che un piatto di pasta “il” piatto di pasta, tale da rappresentare, iconograficamente, il manifesto del corso nobile del celebre carboidrato italico. Innanzitutto al posto della posata classica è sagacemente imposto all’ospite l’uso di una pinza, che costringe a gustare le penne una ad una: il ritmo “lento” va a nobilitare l’elemento nazional-popolare. Poi, la mano del maestro fa il resto: il burro ai ricci di mare insieme alla polvere di capesante dona sapidità, l’ortica e le seppie ai carboni l’amaricante e una textura da manuale, per un equilibrio d’insieme di ingredienti apparentemente antitetici davvero superlativo. La stellina composta di ricci di mare liofilizzati, da sbriciolare tra le dita sulle penne completa il servizio, confermando una tecnica all’avanguardia ma anche quella componente ludica tanto caratteristica di Moreno Cedroni. Un piatto che, a distanza di mesi, è ancora ben impresso nella memoria.

CLAUDIO PERSICHELLA

Pasta e cipolla di Andrea Leali

Un grande piatto di pasta che con maestria e solo apparente semplicità si anima degli ingredienti che lo compongono, in questo caso differenti tipologie e cotture di cipolla, tirandone fuori un concerto di sapori con gradazioni che si avvicendano in modo sorprendente e definito.

LEILA SALIMBENI

Spaghetto mantecato al burro di genziana, caciotta di capra, scorzetta di bergamotto candito di Gianluca Gorini

Servito alla fine del menù degustazione, una deflagrazione: un ko dei sensi. L’onda d’urto è spaventosa e somiglia alla carica, sia metaforica che letterale, di una capra appena uscita dal bosco: una capra che ha fatto incetta, per la precisione, di radici, cortecce e d’altre forme, tutte boschive, di amarezza. L’amaro purissimo della genziana e quello agrumato del bergamotto proiettano la percezione in una dimensione di gusto praticamente infinita: avanguardia pastorale.   

GIANPIETRO MIOLATO

Spaghetti freddi alla carbonara con uova di salmone e caviale di Massimiliano Alajmo

O di come semplificare la complessità con una profondità di pensiero impressionante. Dissimulazione e reinvenzione; nello specifico: la sapidità delle uova di pesce, in sostituzione del guanciale, e la base all’uovo a garantire quella rotondità capace di legare gli ingredienti, senza nostalgia, in un servizio a bassa temperatura. Una scelta straniante che permette tuttavia alla componente ittica di sprigionare tutta la propria potenza, facendo spiccare un salto vertiginoso, tanto immediato quanto ragionato.

FRANCESCO ZITO

Pasta mista in zuppa di crapiata, bisque di gamberi agli agrumi, crema di foie gras al Cardenal Mendoza, pesto di prezzemolo e tartare di gamberi  di Vitantonio Lombardo 

È un piatto visivamente ed emotivamente di impatto: è l’omaggio più bello e buono a Frank Rizzuti, compianto chef e prima stella Michelin in Basilicata. Gusto deciso, sapori netti, definiti e bilanciati caratterizzano una vecchia ricetta della tradizione materana, arricchita e nobilitata dal foie gras e dalla quenelle di tartarre di gambero. Il risultato è strepitoso… e commovente!

Il food pairing nell’alta cucina, in collaborazione con Bonaventura Maschio

Eccoci giunti all’ultima puntata di Gente di Spirito, rubrica che ci ha accompagnato a spasso per lo stivale alla ricerca di sommelier o bartender che inseriscono dei cocktail nel percorso di abbinamento al calice del loro ristorante.

Chiusura con il botto: siamo a Milano, in una delle strutture più lussuose della città. Il primo e finora unico Mandarin Oriental aperto in Italia, a due passi dalla Scala e dal cuore del centro cittadino. Siamo andati a trovare Teo Rizzolo, Head Mixologist del Mandarin Bar & Bistrot e di Seta, il prestigioso ristorante dello Chef Antonio Guida, che non necessita di ulteriori presentazioni.

Classe 1982, si diploma al Carlo Porta di Milano nel 2000. Inizia a muoversi in svariati ristoranti ed hotels di Milano, per poi approdare nel 2007 al bancone del Nottingham Forest di Dario Comini, dove resta fino al 2013. Lascia il Nottingham per partecipare all’apertura del 1930, all’inizio del 2013. Poi due anni al Bamboo Bar dell’Armani Hotel, come head bartender. Ora da quasi due anni è head mixologist all’interno del Mandarin Bar & Bistrot, al Mandarin Oriental Milano.

Raccontaci come hai iniziato ad abbinare dei cocktail ai piatti nel tuo ristorante.

Il nostro lavoro vive grazie a un costante flusso creativo. L’idea di abbinare i cocktail ai piatti dello Chef Antonio Guida nasce sicuramente dalla mia curiosità verso il lavoro di uno Chef così talentuoso, e sicuramente dal mio desiderio di imparare il più possibile dal suo processo creativo. Se aggiungiamo anche la spinta ad uscire dagli schemi per regalare esperienze sempre nuove ai nostri ospiti, ecco che la risposta è semplice e arriva quasi in automatico.

Come reagiscono i clienti alla proposta, durante il pranzo o la cena, di uno o più cocktail abbinati?

Ultimamente stiamo riscontrando un interesse sempre maggiore degli ospiti nei confronti della miscelazione, degli ingredienti, della storia e del lavoro che c’è dietro a ogni singolo cocktail. Per questo la maggior parte delle volte sono intrigati dalla possibilità di abbinare un piatto a un cocktail, curiosi della genesi e delle motivazioni dietro gli abbinamenti, ma soprattutto entusiasti del risultato finale.

Qual è secondo te la parte più intrigante ed il rovescio della medaglia del Food Pairing con i cocktail?

La parte più intrigante del pairing con i coktail è sicuramente la commistione tra cucina e mixology, e la sorpresa nello scoprire la riuscita di abbinamenti inediti, dopo aver superato il momento più impegnativo, che è quello di far funzionare insieme le diverse temperature, quelle più calde del piatto insieme alle più fredde del drink.
Quanto al minus, ritengo che se il pairing è percepito ancora come un “esperimento” che tarda a decollare del tutto, è anche a causa del pensiero comune che vuole che i cocktail debbano per forza essere tutti molto alcolici, e che quindi una cena con cocktail abbinati “…no, non la reggo!”. L’inverno scorso con lo chef Guida abbiamo organizzato una cena dove a una serie di suoi piatti abbinavo dei cocktail a base di cognac, e sono usciti tutti felici e sulle proprie gambe. Gli scettici che pensano “cocktail = gradazione eccessiva” dovrebbero provare un’esperienza del genere: perché è vero che esiste Sua Maestà il Martini Cocktail, ma la forza dello Spritz – ma ce ne sono molti altri – è che è beverino ed è nato proprio per chi vuol stare leggero (o chi vuol seguire una moda, ma questo è un altro discorso…)

Opposite Cuban Manhattan

La base di partenza di questo cocktail è quella di un classico Cuban Manhattan, rivisto in chiave opposite inserendo nella ricetta degli ingredienti gustativamente “opposti” rispetto a quelli del cocktail classico. Il maraschino si pone a metà strada a fare da trait d’union, come una sorta di attrazione tra i due opposti.

Ricetta – powered by Bonaventura Maschio:

20 ml di Botran Reserva Blanca
20 ml di Botran Reserva 15 anni
10 ml di vermouth dolce all’uso di Torino
10 ml di vermouth secco francese
1 dash di angostura
1 dash di bitter al cioccolato
1 dash di maraschino

Procedimento:

Versare tutti gli ingredienti in un mixing glass precedentemente raffreddato. Aggiungere ghiaccio a cubetti e raffreddare per 30 secondi. Versare in una coppa da cocktail ghiacciata e finire con il profumo di una scorza d’arancia strizzata in superficie.

Questo drink è servito in abbinamento con il piatto “Ostriche con patate, peperoni friggitelli e salsa allo Champagne” dello chef Antonio Guida.

Sfarzo. Delicatezza che è allo stesso tempo morbida voluttà. Leggerezza ed eleganza senza tempo. Memoria ancestrale di traiettorie orientali. Seta.
A ormai più di un anno dall’apertura, la corazzata capitanata da Antonio Guida rivive totalmente nei pregi del nobile tessuto e lo chef salentino, chiamato con gli inseparabili Federico Dellomarino e Nicola Di Lena a portare immediatamente ai vertici nazionali il locale gourmet del primo Mandarin Oriental italiano, ha dimostrato di essere l’uomo giusto al posto giusto.
Forte della tecnica appresa Oltralpe durante il proprio apprendistato e di capacità organizzative fuori dalla norma, Guida ha portato a Milano, in un’edizione se possibile ancora più radicale, l’idea di cucina che gli appassionati avevano già ammirato negli anni del Pellicano. Uno stile imperniato su una classicità fuori dal tempo negli elementi principali ed impreziosito da fregi salentini e orientali, frutto della propria memoria gustativa e delle esperienze di viaggio compiute negli anni.
Fulcro della cucina di Guida sono le salse. Tirate alla perfezione, leggiadre al palato senza nascondere l’opulenza che nasce dal sapiente utilizzo dei grassi, esse fungono non da ingrediente o semplice contrasto ma da elemento di sintesi, sia quando a chieder spazio è la sferzante acidità dello Champagne (in abbinamento a ostriche, patate e friggitelli) sia quando sono chiamate a sostenere la struttura di un piatto con un ingrediente dello spessore della lepre.
Restando in tema di lepre, è inevitabile che uno chef che domina il repertorio classico ceda alla tentazione di proporre uno dei piatti-simbolo della cucina borghese d’Oltralpe: ecco perciò una lièvre à la royale da manuale, dalla salsa densa e cioccolatosa e di deflagrante impatto olfattivo.
Se la cucina viaggia a pieno ritmo, non le è da meno una sala che raduna professionisti giovani ma già di grande esperienza come Alberto Tasinato o il sommelier Ilario Perrot e che, senza isterie e manierismi, gestisce con disinvoltura le richieste degli avventori gourmet così come quelle, spesso più curiose, degli ospiti dell’hotel.
Per queste e tante altre ragioni come la splendida location, l’offerta del bar, i dettagli di una mise en place perfetta e, non da ultimi, gli straordinari dessert creati da Nicola Di Lena, Seta è un locale da non mancare per ogni appassionato. Faro di un movimento gastronomico meneghino senza eguali nella storia, che noi di Passione Gourmet siamo fieri ed orgogliosi di poter raccontare, aspettando fiduciosi che qualche riconoscimento arrivi anche da parte di altri.

L’offerta in accompagnamento all’aperitivo.
aperitivo,Seta, Mandarin Oriental Milano, Chef Antonio Guida
Il pane e il burro.
pane e burro, Seta, Mandarin Oriental Milano, Chef Antonio Guida
Ostriche con patate, peperoni friggitelli e salsa Champagne. Una sferzata acida a sostenere un equilibrio tanto pericoloso quanto perfettamente risolto.
ostriche, Seta, Mandarin Oriental, Milano, Chef Antonio Guida
Astice Blu arrosto con zabaione ai funghi, cardi e polvere di trombette. Qui la salsa arricchisce il crostaceo di sfumature complesse senza caricarlo di grassezza eccessiva.
astice, Seta, Mandarin Oriental, Milano, Chef Antonio Guida
Terrina tiepida di piccione al Vadouvan con crema di cavolo nero e rigaglie di pollo. Qui siamo sul gourmand spinto.
piccione, Seta, Mandarin Oriental, Milano, Chef Antonio Guida
Riso in cagnone con verdure, Maccagno e polvere di lampone. Sublime.
riso in cagnone, Seta, Mandarin Oriental, Milano, Chef Antonio Guida
Tortelli farciti con polenta e pan brioche, zuppa di lepre, con i tortelli leggermente in affanno nel confronto con l’intensità della salsa di lepre.
tortelli, Seta, Mandarin Oriental, Milano, Chef Antonio Guida
Rombo arrosto con asparagi, caviale, mimosa e salsa miso e rosmarino.
rombo, Seta, Mandarin Oriental, Milano, Chef Antonio Guida
Triglia avvolta in foglie di bieta, salsa di granciporro e conchiglie di mare. Materia prima strepitosa per una preparazione di lunga persistenza.
triglia, Seta, Mandarin Oriental, Milano, Chef Antonio Guida
Germano reale farcito, crema di cipolle al sedano e zucca.
germano reale, Seta, Mandarin Oriental, Milano, Chef Antonio Guida
Lepre à la royale, ruote pazze e cavoletti di Bruxelles. Hors catégorie.
lepre, Seta, Mandarin Oriental, Milano, Chef Antonio Guida
Tre meravigliosi dessert: Mela fondente, gelato al pan brioche e cognac, litchees e melagrana…
dessert, Seta, Mandarin Oriental, Milano, Chef Antonio Guida
…zucca e cioccolato bianco…
zucca, Seta, Mandarin Oriental, Milano, Chef Antonio Guida
…e Campari, pompelmo, ciliegia e cioccolato bianco.
campari, Seta, Mandarin Oriental, Milano, Chef Antonio Guida
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Seta, Mandarin Oriental, Milano, Chef Antonio Guida

Mai come in questo periodo è possibile assistere ad una semplificazione dell’offerta gastronomica, certo sempre alquanto sfaccettata ma con buona parte delle proposte che volgono ad un approccio “smart” alla tavola. Un tripudio di bistrot in tutte le salse, ristorantini con carte semplici e stringate, enoteche con cucina, fino ad arrivare ai food truck; tutti luoghi dove è possibile mangiare -alle volte anche bene- con una cifra congrua, spesso conveniente, ma senza troppi orpelli.
Questo trend è sovente riscontrabile nei centri delle grandi città, dove i costi degli affitti gravano in maniera decisa sullo scontrino e, per far sì che il conto finale si mantenga in una media accettabile, è necessario smussare le altre voci di spesa.

Ora prendete questa premessa per intero, gettatela nel cestino, e pensate all’esatto opposto.

Un’operazione mastodontica, più unica che rara nel panorama italiano. Tre interi palazzi storici, in una delle più eleganti zone del centro di Milano (praticamente a ridosso della Scala), profondamente ristrutturati ed uniti armoniosamente per creare il primo, magnifico Mandarin Oriental sul suolo italico.
I lavori di realizzazione hanno richiesto più tempo del previsto ma, una volta calate le coperture, quel che vi si celava sotto ha lasciato tutti senza parole.

Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano

Il filo conduttore è uno solamente: nessun compromesso.
L’ingresso, i cortili, il personale, le camere, i materiali utilizzati, i servizi… tutto è stato pensato, scelto e realizzato con il solo scopo di offrire la massima qualità possibile.
In questo tripudio di assoluta eccellenza, l’aspetto ristorativo non è certo tenuto in secondo piano, anzi, gioca un ruolo da vero protagonista: se da una parte troviamo uno dei cocktail bar già più in vista della città, e dall’altra un bistrot frequentatissimo, il vero e proprio fiore all’occhiello, la primadonna, è il ristorante gastronomico della struttura, Seta.
Com’è possibile, in così poco tempo dall’apertura, mandare a regime uno dei migliori ristoranti che la città ricordi?
Semplicissimo: identifica i migliori e più adatti allo scopo, falli tuoi, e mettili in condizioni di esprimersi al meglio.

Proprio per questo in cucina non c’è solamente uno chef di grido, ma un’intera squadra, talentuosa ed affiatata: l’executive è Antonio Guida, uno tra i nomi più importanti nel panorama della cucina classica nostrana, insieme al suo fido secondo, Federico Dell’Omarino, ed al loro capo Pasticcere, Nicola Di Lena, la massima espressione del dessert in chiave italiana.
Una squadra così unita, già da anni fianco a fianco al Pellicano, non ha praticamente richiesto tempi di rodaggio, partendo subito a rotta di collo, con un livello che si è dimostrato altissimo fin dai primi servizi.

E la loro cucina è probabilmente la più adatta alla tavola di un grande hotel di respiro internazionale: classica, fine ed equilibrata, dai contrasti armonici, mai astratta o cerebrale anzi, materica e di sostanza, senza per questo mai scadere nel dozzinale, rimanendo costantemente elegante e sussurrata. Una cucina dagli innumerevoli livelli di lettura, tutti straordinariamente appaganti e, proprio per questa sua caratteristica, è davvero molto difficile trovare qualcuno a cui questi piatti non piacciano, o anche che soltanto non ne rimanga pienamente soddisfatto.
Una strabiliante grande table in chiave tricolore, a cui forse manca soltanto un pizzico di ulteriore finezza e di cura nell’impiatto per scendere nell’arena -ad armi pari- con i grandissimi a livello mondiale. Non ultimo gioverebbe una sorta di ricerca dello spunto, della ruvida imprecisione stilistica, dell’accelerazione in dissonanza di qualche ingrediente, senz’altro un bene come contrappunto all’iperclassicismo imperante di questa cucina.
Ma riflessioni del genere, a soli tre mesi dall’apertura, suonano indubbiamente come un pregio, prima ancora che un difetto.

Data la cura al dettaglio globale, d’eccellenza non è solo l’aspetto meramente gastronomico, ma anche l’importantissimo -e spesso trascurato- diretto contatto con il cliente. In sala troviamo il bravo Alberto Tasinato, giovane ma tra i più brillanti e capaci maître di casa nostra, che coordina una squadra in grado di girare anch’essa già in armoniosa sincronia. Non un tempo sbagliato ed un profluvio di accortezze, sorrisi, consigli e parole giuste.
Carta dei vini già interessante e di spessore, con oltre 700 etichette e un’ampia scelta di vini al calice. Ricarichi, com’è facile immaginare, necessariamente allineati al luogo.

In definitiva, un luogo davvero imperdibile, uno tra i pochi indirizzi in grado di catapultare il cliente oltre il concetto di “ristorante”, riuscendo a soddisfare in contemporanea palato, spirito ed ego, in un affascinante e inimitabile turbine epicureo.

Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
L’amuse bouche: capasanta cotta e cruda, bisque e gocce di yuzu.
amuse bouche, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Il pane, una sola eccellente versione di Altamura, autoprodotta.
pane, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Il burro, in due versioni: salato classico ed un concentrato (e magnifico) burro alle alghe.
Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
La prima portata.
Cavolfiore con salsa al latte di mandorla, succo di yuzu e frutti di mare.
Equilibratissimo il croccante/amaro della mandorla, la lieve acidità dello yuzu e la freschissima sapidità dei frutti di mare. Partenza in quarta.
Cavolfiore, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
La bottiglia che ci accompagnerà per la serata.
Krug, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Astice blu arrosto con zabaione, capperi, patate affumicate e tè Matcha.
Piatto dalla deriva molto classica, con l’astice morbido adagiato su una base di zabaione lievemente dolce e vellutata. La spinta tannica del tè e la decisa nota affumicata delle patate (che ricorda molto la scamorza, tanto è intensa) lo spingono ad un livello superiore.
Astice blu, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Riso in cagnone con verdure, maccagno e polvere di lampone.
Semplicemente, uno dei migliori risotti mai provati.
riso in cagnone, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Gnocchi di patate al nero di seppia con zuppa di granseola all’arancia.
Gnocchi lievi e vaporosi ma dalla bella componente sapida, fanno da ariosa texture ad una zuppa di pesce concentrata e dall’acidità tenue. Da mangiarne senza fermarsi mai.
gnocchi, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
gnocchi, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Petto di pollo ficatum con crema di cannellini alle alghe, fregola e garusoli.
La nobilitazione del pollo, dalla carne succulenta e gustosa, ulteriormente valorizzato da una persistente e concentrata salsa…
petto di pollo, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
…con il vino in accompagnamento. Abbinamento non usuale, ma perfettamente funzionante…
vino, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
…e un boccone da Re, a chiudere il piatto.
boccone del re, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Il piatto per il servizio del pollo. Il diavolo si nasconde nei dettagli.
pollo, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Maialino di cinta senese al macis con salsa di sedano rapa e barbabietola marinata al campari.
Una versione non banale dell’inflazionatissimo maialino, dalla croccantissima e squisita pelle.
maialino di cinta senese, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Petto di piccione farcito con scaloppa di fegato grasso, polenta al pan brioche e ananas.
Altissimo comfort food. Piatto di stampo iperclassico, con le lievi acidità di ananas e lime a salvare dalla deriva stucchevole.
petto piccione, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Il vino in accompagnamento, un ottimo Pinot Nero dell’Oltrepò.
vino, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Il predessert: crema di limoni e frutti rossi.
predessert, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
I dessert, sublimi per cura nel dettaglio, esecuzione, rigore stilistico e gusto. Si potrebbe fare una cena intera solo di dolci.
Ananas arrosto con tapioca al frutto della passione e gelato allo zenzero.
dessert, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Cioccolato Jivara al lime, salsa al caramello e fior di sale e gelato all’avena.
cioccolato Jival, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
La piccola (grande) pasticceria…
piccola pasticceria, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
…con il caffè, servito in una tazzina di rara bellezza.
caffè, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Dettagli, si diceva?
Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
L’illuminazione del tavolo affianco al nostro, in una delle due salette a lato della sala principale, in grado di garantire un pizzico di privacy in più.
illuminazione, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano

Infine, per un aperitivo o un after dinner da Seta, ma anche soltanto un passaggio in zona, non mancate una sosta al meraviglioso Mandarin Bar. Qualsiasi sarà la vostra scelta, sia che optiate per un cocktail classico o per uno dei signature cocktail di Mattia Pastori e della sua valida squadra, varrà il medesimo discorso fatto per tutto il resto della struttura: eccellenza.
Bravissimi i bartender così come tutto lo staff di servizio, in grado ambedue di entrare immediatamente in sintonia con il cliente e comprenderne le esigenze e le preferenze.
Chapeau, Mandarin Oriental Milano.

Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Le nostre scelte, per non sbagliare: Martini Cocktail, con Tanqueray N°Ten e twist di limone (alla base)…
martini cocktail, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
…e un superlativo Negroni del Professore, con whiskey in luogo del gin ed una coreografica affumicatura al caffé svelata al tavolo.
neuroni, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
I tavoli del bistrot/bar, con il carrello dei dolci (sempre disponibile, da mattina a sera, ovviamente by Di Lena) che occhieggia tentatore dall’angolo…
bistrot bar, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
bistrot bar, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano