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L’Arcade

L’arcadia di Nikita

L’arcadia, d’accordo, e poco importa che ogni lavoro sia gabbia, purché dorata. Quella di Nikita Sergeev, cuoco russo autodidatta che dopo la formazione accademica all’Alma e senza alcuno stage di grido in curriculum apre il suo ristorante a Porto San Giorgio, è oggi una gabbia di vetro, legno, e tessuti, aperta a sfioro sull’estate adriatica italiana. E in Italia, anzi in un’arci-Italia, per meglio dire, è ubicata e incarnata la sua cultura, culinaria e non: perché se e è vero, com’è vero, che “ogni identità si forgia dall’incontro e lo scontro tra le differenze, nessun’altra dialettica è mai stata così determinante e feconda di felici contaminazioni, aspre contrapposizioni e cicliche rappacificazioni come quella tra il mondo occidentale e quello russo. Una tensione che unisce e divide, come in un gioco di specchi tra due entità mosse da un magnetismo che a volte attrae e a volte respinge, ma che nutre e informa entrambe le parti.

Prendiamo a piè pari questo piccolo estratto di un monumentale articolo di Vincenzo Pisani per dire che, ecco, la cucina di Nikita è tanto più riuscita quanto più precisamente accoglie il suddetto agone, mentre invece pare perdere qualcosa, ancorché solo leggermente, quando la introietta in toto, la cultura ospitante, obbedendo senza contraddittorio ai suoi stilemi e ai suoi stereotipi.

La predilezione per l’attore non protagonista

E difatti, quando si sente libero di spaziare Nikita vola alto, con mano leggera, italianissima, ma precisione siderale, sovietica, tra consistenze, ingredienti, registri stilistici e citazioni: perché la tecnica, e sarebbe assurdo il contrario, è presenta al punto da permettergli qualunque cosa, come accade sempre presso ogni sistematizzazione della conoscenza made in Russia (pensiamo tipo al balletto classico). Ma si cadrebbe in errore a pensare che questa tecnica consegni e condanni uno Chef così giovane e così autodidatta, per giunta, a una sorta di effetto Zelig, che è forse l’unica vera insidia per un cuoco come Nikita che, invece, mostra anche una solida necessità di coerenza, e di controllo: nulla mai appare sopra le righe nemmeno di fronte alle repentine virate stilistiche e ai cambi di registro che tengono altissimo il ritmo, oltre che il pensiero, durante il Grande aperitivo della casa: un carillon dove si alternano crudi (Gambero rosso marinato e barbabietola) e cotti (il Tacos) di grande bellezza, mentre gelati, sorbetti e granite stemperano e rinfrescano ogni morso, e la tavola completamente imbandita è altresì perfettamente leggibile: a ogni assaggio corrisponde una posata, a ogni posata un ordine di fruizione.

Ora, a proposito di posate e utensili, bisogna dire che Nikita non indulge affatto: anzi, sono proprio questi, spesso, a parlare di quel gusto squisitamente rococò quando non kitsch di tutta l’estetica balcanica, e che diventa un vero e proprio trionfo nel piatto di servizio dell’Ostrica pochè con caviale e pomodoro verde, che la gelatina cubica del pomodoro verde, oltre al caviale, richiama esplicitamente, allungando peraltro la percezione del gusto in maniera estremamente edotta, oltre che fresca, tanto da spodestare parzialmente sia l’ostrica che il caviale stesso. E qui si consuma un’altra peculiarità della cucina di Nikita: ovvero la predilezione per l’attore non protagonista quando, addirittura, antagonista, nella sintassi del piatto. Accade nella Capasanta alla Rossini in cui, per dire, ci si chiede se essa sia in grado di reggere il confronto col foie gras: risposta affermativa, visto che proprio in virtù di questo confronto la capasanta brilla in tutta la sua beata, virginale delicatezza. E stessa cosa ancora accade coi Ravioli ripieni di ricotta, ruta e geranio odoroso: dove l’antagonista neutro, ovvero la ricotta, così come l’impasto del raviolo appena sfogliato, uscivano esaltatissimi dall’incontro con l’amaro (amarissimo) della ruta, in un gioco dove appunto è l’elemento debole a vincere sempre, come a svelare la recondita passione dello Chef per le cause perse. Quelle vinte in partenza come, invece, sono le Linguine ai cipollotti e peperoni cruschi o l’Agnello, whisky e coriandolo, che obbediscono alla propria gerarchia di “primo” e “secondo”, invece, lo stimolano meno, col risultato che stimolano meno anche chi assaggia. Troviamo conferma di questo assunto nella carota che accompagna l’agnello, appunto, impreziosita da tutto un gioco di foglie e ornamenti minuziosi che la elevano a vera protagonista del piatto, e senza ombra di dubbio nel Soffritto all’italiana, piatto storico, dove un condimento o, meglio, una tecnica di cottura diventa protagonista di un boccone-sineddoche, visto che trasforma una parte nel tutto: uno schiaffo in pieno viso, e ottimamente assestato, per giunta, di italianità, che solo un non-italiano avrebbe potuto concepire oltre centrare con tale precisione e profondità.

Ottimo tutto il reparto pasticceria, comunque, così come l’abbinamento territoriale con una rosa di interpreti, annate e tipologie di Verdicchio.

IL PIATTO MIGLIORE: Il soffritto all’italiana. 

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…o delle cozze

Diffuse anche col nome di muscoli, peoci, pedoli e móscioli, le cozze hanno subìto un sensibile indebolimento negli ultimi anni in termini di mercato. Prima causa, la concorrenza da paesi UE (Danimarca e Germania) ed extra UE, come la Cina, che ne è la prima produttrice al mondo; secondo motivo, il calo dei consumi, imputabile alla sempre maggiore differenziazione e varietà dei costumi alimentari incoraggiato, com’è noto, dalla globalizzazione. Come si risponde, dunque, alla spinta unificante e integrante della globalizzazione? Iperlocalizzando. Una  tendenza incalzata anche dai nostri chef, che premiano iniziative “di nicchia” come quella della famiglia Bigi, ad Olbia, o quella di Lorenzo Busetto, classe 1984, acquacoltore da oltre due decenni e fondatore di Mitilla, allevamento che garantisce altissimi e costanti standard qualitativi nello straordinario paesaggio di Pellestrina. Vediamo, ora, come la cozza si declina in cucina.

Alessandro Rapisarda, Casa Rapisarda, Numana (AN)

A proposito di iper-localismi, eccovi servito il mosciolo selvatico di Portonovo, ingrediente feticcio di Rapisarda. Siamo a poche decine di metri dalle spiagge della turistica Numana, nel pieno centro del borgo storico. Qui, l’acqua dei molluschi – che non vengono puliti – viene sottoposta a successive operazioni di spurgatura che danno luogo a un liquido limpido ma, allo stesso tempo, più sporco e gustoso nel sapore. Risultato? Un ottimo guazzetto di cozze!

Matias Perdomo, Contraste, Milano

Un’opera collettiva, quella che Matias Perdomo, Simon Press Thomas Piras perpetuano al Contraste,  dove i tre danno vita a una performance gustativa unica e corale, ricca di bassi e acuti, capace di dosare morbidezze e sferzate improvvise realizzate con consapevolezza e senso del gusto. Una cucina originale, divertente e divertita, come in questa cozze cacio e pepe.

Giulio Terrinoni, Per Me, Roma

Una cucina di mare, dalla materia prima attentamente selezionata, trattata con rispetto, presentata in piatti dai sapori netti, puliti e punteggiati di estrosi elementi: questa è la firma di Giulio Terrinoni, un tributo all’arte dell’essenzialità, come si evince da questo golosissimo, originale boccone che alla cozza combina ’nduja e toma di bianca alpina.

Donato Ascani, Glam, Venezia

I mercati quotidiani di Venezia sono parte integrante della proposta di Donato Ascani, in questo menu che si richiama tanto a Paolo Lopriore quanto al bancone del Kiyota Sushi, di Tokyo. Quanto al piatto in questione, esso è entrato di diritto tra i migliori assaggi dell’anno (2019 n.d.a), cliccare sul link per credere.

Alberto Gipponi, Dina, Gussago

Un dialogo interrotto e ripreso alla fine del menù quello di Alberto Gipponi e la cozza. Un elemento importante, perché capace di combinarsi, nella sua grammatica gustativa, con efficacia semantica fino a comporre un ritratto di straordinaria italianità a dispetto dell’orientalissimo dei due condimenti utilizzati: il miso di caffè e lo shiokoji di Michele Valotti de La Madia di Brione.

Antonino Cannavacciuolo e Vincenzo Manicone, Caffè e Bistrot, Novara

Vincenzo Manicone, ragazzo cresciuto e maturato alla corte di Cannavaccioulo, è portatore sano di quell’innato senso del gusto che gli fa elaborare creazioni eleganti e proporzionate. Un grande talento di saucier, il suo, capace di piatti di grande classicismo dove, al netto di una indubbia complessità, non c’è mai un tocco fuori posto, mai un eccesso, come accade in questa sorta di architettura votiva.

Alessandro Negrini e Fabio Pisani, Il Luogo di Aimo e Nadia, Milano

Un viaggio che va alla ricerca di  materie prime eccellenti, quello di Alessandro Negrini e Fabio Pisani, nel Luogo per antonomasia. Uno e mille luoghi, invero, perché l’Italia è percorsa in lungo e in largo nel menù, rappresentata una volta dai gamberi viola di Sanremo, dai peperoni di Senise, dal tonno rosso di Sicilia, dalla fassona piemontese, dall’anguilla del Delta del Po, dalle patate di Polignano, dal pomodoro del Pollino, dal maialetto orvietano e dallo zafferano di San Gavino, fino a questa carnosissima cozza dell’Adriatico, a comporre un piatto di grande eloquenza.

Nicola Portinari, La Peca, Lonigo (VI)

Un altro tributo all’Italia quello di Nicola Portinari, per cui la nostra nazione è sia musa che deus (dea) ex machina, ovvero una divinità  onnisciente capace di infiniti giri intorno al mondo, divagazioni e depistaggi, ma che parla sempre di se stessa, e per se stessa, interpolando i confini della verdura e della carne, della frutta e del pesce. Qui la cozza, di straordinaria consistenza croccante, è sdrammatizzata e anzi elevata sin quasi alla sublimazione dal concentrato di cetriolo.

Silvio Salmoiraghi, Acquerello, Fagnano Olona (VA)

Attualizzazione e valorizzazione dei grandi classici della cucina italiana: questa la dichiarazione che si legge all’interno del menù di Silvio Salmoiraghi dove campeggiano in nuce tutti i precetti della Nuova Cucina Italiana, scandita in chiave kaiseki. Un viaggio strepitoso è rappresentato proprio dalla capasanta di Venezia cotta al vapore con acqua alla menta e ricoperta di polvere di felce, accompagnata da yogurt valdostano, cavolo nero, bergamotto e  cozza pelosa pugliese in salsa di acqua dolce.

Valentino Cassanelli, Lux Lucis, Forte dei Marmi

Prendendo proprio spunto dal viaggio che lo ha portato da Modena a Forte dei Marmi, Valentino Cassanelli ha creato il suo menù più completo, “On the road. Via Vandelli”: una strada già percorsa dal Duca Francesco III d’Este per arrivare, da Modena, al mare. Per lo chef, un viaggio nel tempo e nello spazio alla ricerca dei sapori delle due terre, Emilia e Toscana, rappresentato da piatti – o più spesso solo assaggi – così evocativi che non necessitano nemmeno della descrizione.

Chang Liu, Serica, Milano

Mauro ed Elisa Yap sono figli d’arte: seconda generazione di una famiglia di ristoratori cinesi che ha dato lustro a molti locali milanesi, decidono di aprire un locale tutto loro che affidano alle cure di Chang Liu, cuoco con tante esperienze alle spalle, qui artefice di una cucina sorprendentemente capace di rileggere i grandi classici italiani studiandone le potenzialità in termini di contaminazione, come già fece Yoji  Tokuyoshi alla corte di Massimo Bottura.

Primi piatti

Rocco Santon e Nicola Cavallin, Noir, Ponzano Veneto (TV)

Nasce ad agosto 2019 grazie alla passione di due giovani chef, Rocco Santon e Nicola Cavallin, e dalle rispettive esperienze che, combinatesi assieme, daranno vita a una realtà nuova e diversa. Ne sortisce un’impostazione non banale né accondiscendente di cui sono vessillo proprio i fusilli, ceci, cozze e bieta amara: un ottovolante tra l’acidità delle cozze alla scapece, la rotondità della purea di ceci a donare struttura e l’amaricante degli elementi vegetali e floreali a garantire lunghezza. Un piatto davvero ben eseguito.

Alessandro Negrini e Fabio Pisani, Il Luogo di Aimo e Nadia, Milano

Siamo di nuovo nel Luogo per antonomasia della Nuova Cucina Italiana: qui in un primo piatto  dalla golosità prorompente che nobilita la tradizione popolana della pasta, cozze e patate per farne un risotto alto-borghese, fin nella componente estetica: superba.

Donato Ascani, Glam, Venezia

Di nuovo Ascani (visita del 2020), in un piatto che punta sull’aromaticità del sesamo e del cipollotto marinato forieri di sensazioni amare e acide, anche spigolose, che si combinano con la carnosità del gambero e della cozza, con grande maestria.

Simone Marchelli, Meta, Celle Ligure (SV)

Chef e patron di MetaSimone Marchelli è artefice di una cucina che affonda profondamente le proprie radici nel territorio – Liguria ma anche Piemonte – combinandone anche gli stilemi più rigidi, come accade nei plin con ripieno di tartrà di Parmigiano Reggiano 24 mesi in zuppetta di cozze: un piatto sicuramente assai sapido, reso aromatico dall’aglio dolce.

Creature del Nord

René Redzepi, Noma, Copenaghen

22 portate che esplora le profondità marine del Baltico e dell’Atlantico, portando nel piatto creature abissali che solo dal nome richiamano le gesta del Capitano Nemo. Dalla vongola centenaria servita con panna acida e olio di pino al nobile alla cozza del Baltico servita con caviale e brodo di alghe: una combinazione vincente tra uomo, territorio e clima.

Nicolai Nørregaard, Kadeau, Copenaghen

Un solo menù degustazione dove ogni portata è un’occasione per sviluppare uno studio attorno a un ingrediente.  È quello che accade coi germogli di abete, che donano una felice nota balsamica alla cozza delle Far Øer affumicata, o il succo di ribes bianco e i fuori di sambuco alla più primaverile e virginale cozza artica cruda.

Interpretazioni iberiche…

Joan Bayén, “Juanito”, Pinotxo Bar, Boqueria, Barcellona

Un locale che fa cucina di mercato, nel mercato, aperto settantasei anni fa Joan Bayén, detto Juanito, iconico oste sorridente del Pinotxo Bar della Boqueria di Barcellona. Non c’è un menu. Si lascia fare a loro e ci si imbatte in semplici ma indimenticabili tapas: come la cozze ripiena di verdure in agrodolce.

…e d’Oltralpe

Sven Chartier, Saturne, Parigi

All’interno delle due sale in cui si sviluppa il ristorante, lo chef, affiancato in sala da Ewen Le Moigne, manda in scena una rappresentazione il cui credo è il rispetto per la natura in ogni sua forma. Sven Chartier dimostra di possedere una maturità sorprendente, che applica a ogni piatto, dando vita a una cucina vivace, inappuntabile dal punto di vista tecnico, vivace nei cromatismi e soprattutto nelle studiatissime temperature di servizio.

Carni e cozze

Nikita Sergeev, L’Arcade, Porto San Giorgio (MC)

Lo chef moscovita ha smussato gli angoli e trovato un suo centro di gravità gustativa “permanente” che non teme, se è il caso, commistioni audaci, e ormai distintive, come quelle tra terra e mare.  Accade nel cervo e la sua salsa – una salsa da manuale, in stile bouillabaisse catapultata lungo la costa marchigiana  – che allunga in maniera esponenziale il gusto.

Alex e Vittorio Manzoni, Osteria degli Assonica, Sorisole (BG)

Una degustazione “vit.ale”, così come il nome del menù, dove si familiarizza con le due anime della cucina dell’Osteria. Frequenti i giochi di acidità in piatti dai contrasti decisi, ma ben pensati, come nel caso dell’agnello dove la dolcezza della carne viene ottimamente valorizzata dalla nota iodata delle cozze: un abbinamento insolito ma molto ben eseguito.

Enrico Mazzaroni, Il Tiglio in Vita, Porto Recanati (MC)

Nel corso dell’ampio menu degustazione Mazzaroni alterna due pulsioni: quella di sedurre l’ospite con un’avvolgente golosità e quella (come in questo caso) in cui la mano si fa più tranchant, e dunque piacevolmente spigolosa. In questa combinazione di terra e mare, a persuadere è la consistenza e, in particolare, la carnosità della cozza per interpolazione della carne.

Alberto Faccani, Magnolia, Cesenatico 

Una cucina composta e borghese, nel senso migliore del termine, e neoclassica, ovvero elegante, perché centrata mediante intelligenti contrasti, studiati col bilancino, questa di Alberto Faccani. Una cucina che non teme di abbinare in un sol boccone carne e pesce, come accade in questa paradigmatica piadina, tanto sostanziosa quanto vorrebbe, appunto, il palato romagnolo.

Mariano Guardianelli e Camilla Corbelli, Abocar, Rimini

Sapori nitidi e persistenti, ben contrastati da ingredienti molto ben combinati e, di conseguenza, ben valorizzanti. Come in questo caso, dove il secondo e ultimo servizio della faraona la fa convivere con la dolcezza delle carote, con la maionese, la salicornia e, ultima ma non ultima, con un’impeccabile cozza in scapece.

Dulcis in fundo

Alberto Gipponi, Dina, Gussago

Un colpo ben assestato alla morale comune: questo rappresenta questo piccolo, grande piatto, che racchiude in toto il pensiero, e il palato, di Alberto Gipponi.

La maturità di Nikita, a Porto San Giorgio

Può sembrare un ossimoro questo titolo – pensando al film di Luc Besson – ma il giovane Nikita Sergeev, al di là dello scherzo, non ha nulla di paragonabile al personaggio del famoso film. Pur essendo ancora molto giovane ha alle spalle ormai 7 anni di apertura del suo L’Arcade, che possiamo dire oggi con certezza aver raggiunto un suo discreto equilibrio. Ed è anche fresco di apertura di una nuova avventura, quel Banco 12 a due passi dal suo ristorante gastronomico, nel cuore di Porto San Giorgio, all’interno del mercato coperto.

Nikita sta dimostrando anche buone doti imprenditoriali oltre a un buon talento in cucina che ha costruito e affinato nel tempo, forgiando uno stile decisamente personale e marcato tanto che, oggi, quel suo gioiello che è, appunto, L’Arcade, è più brillante che mai. E così, grazie al bistrot sopra citato, si è potuto concentrare ulteriormente sull’estremizzazione della sua cucina per un gruppo di pochissimi eletti: poco più di una decina i commensali, ogni giorno, possono sedersi ai tavoli del ristorante gastronomico, per scoprire una cucina che, nel suo menù più completo, annovera già molti dei suoi classici.

Ma non si pensi che questi classici siano rimasti immobili e fermi nel tempo. Un esempio paradigmatico è “Come un riccio di mare“, millesimo 2013, in carta da sempre, quindi. Oggi, ovviamente, si è evoluto nel tempo, ha trovato i suoi equilibri, ha smussato gli angoli più spigolosi, ha trovato un suo centro gustativo ed è diventato, oltre che un piatto simbolo, anche un sinonimo della personalità dello chef che, a dire il vero, ha colpito nel segno ancor di più con i millesimi 2019 e 2020. Piatti come pollo e conchiglie, di una golosità e di un equilibrio salmastro davvero invidiabile, o come il risotto, davvero formidabile per equilibrio dei contrasti ricercati e trovati e, infine, la quaglia.

Un elemento distintivo di Nikita sono le commistioni terra e mare che nel cervo e la sua salsa – si, salse da manuale, qui all’Arcade, questa è in stile bouillabaisse catapultata lungo la costa marchigiana  – prende vita e allunga in maniera esponenziale il gusto animale della carne.

Anche il dolce, originale e intrigante, va a chiusura di un pasto che ci ha davvero convinto. Un plauso anche per Leonardo Niccià che, come vedrete, ci ha divertito e convinto con abbinamenti tutt’altro che scontati.

Una sala davvero all’altezza di una ottima cucina, in un indirizzo certamente da non perdere se vi trovate nelle vicinanze.

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Da Mosca a Porto San Giorgio

Della strada percorsa dal trentenne Nikita Sergeev, i km che separano la natia Mosca da un anonimo loggiato nella turistica Porto San Giorgio non sono che una minuscola porzione.

Il grande viaggio, per il quasi ex giovanotto proveniente dall’invidiatissima buona borghesia russa, si è compiuto negli ultimi 6 anni. Tanto è trascorso dall’apertura dell’Arcade, inaugurato nel 2013 e subito accolto con un misto curiosità e scetticismo da parte dei locali e qualche – prematuro, a nostro modo di vedere– panegirico da parte della stampa di settore. Siamo invece lieti e onorati di essere stati saltuari spettatori della crescita e del percorso di individuazione, professionale e personale, di un ragazzo cui di certo non son mancate le possibilità ma che ha finito per sfruttare al meglio l’unica opportunità che si è concesso per mantenere vivo il proprio fuoco. 

La messa a fuoco di uno stile personale

In questi anni, Sergeev si è notevolmente consolidato sia sotto il profilo tecnico che dal punto di vista gustativo: nelle nostre prime visite, infatti, avevamo riscontrato una buona inventiva, qualche spunto interessante e un’interessante paletta timbrica, ma anche numerose ingenuità, reiterazioni e scelte stilistiche grossolane.
Negli ultimi anni, invece, Sergeev ha gradualmente messo a fuoco i sapori e affinato la tecnica: aspetto, quest’ultimo, ancora più rilevante alla luce degli spazi minimi che la cucina dell’Arcade concede. A sorprendere, oggi, è l’equilibrio delle preparazioni, non tanto in termini gustativi, visto che diversi passaggi spingono in direzione del salmastro, del piccante, dell’amaro – le acidità sferzanti non sembrano in questo momento al centro dello studio di Nikita – quanto piuttosto in termini di misura. I piatti sono belli senza essere estetizzanti e la scelta degli ingredienti privilegia il territorio ma non pare esserne ossessionata. I riferimenti, infine, sono chiari ma, forse anche perché numerosi ed eterogenei, Sergeev trova modo di tenersene alla giusta distanza. La capasanta alla Rossini con salsa al Vin jaune è un’intelligente stravaganza neoclassica inserita in un menu di stampo altamente contemporaneo e cosmopolita. Il riso con brodo di manzo, ricci di mare e kombu è un dardo gettato dritto al cuore dell’umami mentre i tortelli di ombrina si tingono di tenui nuances vegetali che si tengono alla larga dal sovrastare l’eterea farcia.

Ci troviamo, è evidente, di fronte a un cuoco in gran forma: oggigiorno quella dell’Arcade è, probabilmente, la cucina più interessante rintracciabile lungo il litorale marchigiano a sud di Senigallia. Ad arricchire ulteriormente il quadro troviamo Leonardo Niccià, che in sala si impone da vero mattatore e, con un mix di ironia e tecnica, si candida come una delle figure di maitre-sommelier da tenere d’occhio per il prossimo futuro.

Ci auguriamo che tanto lui quanto Nikita Sergeev non perdano la rotta di questa loro entusiasmante crescita.

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Nikita Sergeev è, lo tradisce il suo nome, un giovane, anzi giovanissimo, ragazzo di origini russe, divenuto ormai marchigiano d’adozione. Vive in Italia da oltre 15 anni e qui ha imparato il mestiere di cuoco, sua grande e profonda passione.

Dopo aver frequentato l’Alma, Nikita ha deciso di aprire il suo ristorante nella terra che lo ha adottato e cresciuto. Di buon gusto, l’Arcade è e vuole essere il ristorante di riferimento di Porto San Giorgio, complice il fatto di avere al timone un cuoco che in brevissimo tempo sembra aver appreso al meglio le basi della cucina italiana. Metodico, esteta e scrupoloso, Nikita propone una cucina personale, molto diretta e dai tratti assai interessanti. Piatti come i tortelli di rapa rossa e anguilla o il piquillo con brodo di faraona allo zafferano e tartufo denotano una complicità con fuochi e pentole, tanto da tenere alla larga da queste preparazioni l’ombra della banalità, qui elegantemente lasciata in disparte.

Però tutto questo non basta, non deve bastare. Da uno come lui, colto e intelligente, ci aspetteremmo molto di più. Innanzitutto sulla ricerca della materia prima. Che in questa nostra visita ci è parsa scontata, seppur di ottima qualità, e a tratti anonima. Capesante e gamberi presi lontano e, sopratutto i secondi, pensiamo decongelati… perché?

Siamo a Porto San Giorgio, vicino al mare. E’ così difficile cercare tra i pescatori della zona qualche prodotto più local e meno global? Quel risotto aveva bisogno di una nota dolce a stemperare l’irruenza dello scalogno e quel gambero raffinava il vero protagonista della preparazione, il sedano rapa cotto nel brodo del lardo, grandissimo colpo di genio e d’ala di una cucina che non vuole scendere a compromessi ma che spesso fa saltare gli equilibri.

Potenza senza controllo, in sintesi. Irruenta, maschia a tratti troppo sapida o troppo, veramente troppo, amara, tanto da rendere stordente un piatto che potrebbe anche essere interessante. Quei trucioli di seppia nostrana -questa sì- limone bruciato ed extravergine e salvia, in cui sia il limone bruciato che l’oliva davano una virata quasi rancida nella preparazione. Virata che sarebbe stata mitigata dagli equilibri, rivedibili, o dalla tecnica di lavorazione.

Idee tante, spesso strabordanti. Belle, divertenti e anche originali. Forse qualche lacuna tecnica ancora da colmare e qualche irruenza da placare. E ci siamo permessi questi appunti diretti e affilati, come affilata e diretta è la cucina di Nikita. Perché siamo convinti che la sua crescita, vista la giovane età, sia tutt’altro che compiuta. E che abbia nel contempo ampi, ampissimi margini di crescita e di evoluzione.

Già oggi comunque, una tappa interessante per chi si trova in questo stupendo angolo del litorale marchigiano.

Il benvenuto della cucina.
Arcade: Il Benvenuto
Bulgur, bisque di crostacei, riccio. Freddo il bulgur e troppo sapido l’insieme. Ottima l’idea, meno felice l’esecuzione.
Arcade: Bulgur, bisque di crostacei, riccio
L’ottimo pane in accompagnamento.
Arcade: Pane
Ostrica, cetriolo, spaghetto di mare.
Arcade: Ostrica, cetriolo, spaghetto di mare 1Trucioli di seppia nostrana, limone bruciato ed extravergine.
Arcade: Ostrica, cetriolo, spaghetto di mare 2
Gamberi rossi di Mazara, finto lardo, finger lime e coriandolo.
Arcade: Gamberi rossi di Mazara, finto lardo, finger lime e coriandolo
Alcuni degli ottimi accompagnamenti del maitre/sommelier.
Arcade: Vino 1
Arcade: Vino 2
Arcade: Vino 3
Piquillo, brodo di faraona allo zafferano e tartufo. Strepitoso.
Arcade: Piquillo, brodo di faraona allo zafferano e tartufo
Tortelli di rapa rossa e anguilla. Qui il connubio aromatico-grasso-fumè dell’anguilla al cospetto della terrosa dolcezza della rapa. Chapeau!
Arcade: Tortelli di rapa rossa e anguilla
Riso, scalogno, capasanta. Ottima l’idea di addolcire con la capasanta, non locale, un riso molto aggrappante ed estremo, virante verso l’amaro-acetico.
Arcade: Riso, scalogno, capasanta
Altro accompagnamento.
Arcade: Vino 4
Guanciola di tonno brasata.
Arcade: Guanciola di tonno brasata
Lampone, mandarino, uva fragola.
Arcade: Lampone, mandarino, uva fragola
Altri abbinamenti…
Arcade: Vino 5
Arcade: Vermouth
Visciole, mandorle, dragoncello e meringhe.
Arcade: Visciole, mandorle, dragoncello e meringhe
La piccola pasticceria.
Arcade: La piccola pasticceria.