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Idylio

Terra mia!

Nella sua accezione classica, l’idillio è componimento poetico riconoscibile per brevità ma, soprattutto, per le percezioni proprie dell’individuo che lo compone. Storie e luoghi personali rappresentano punti di partenza per la comprensione stessa dei versi presentati e, così, l’Idylio tangibile di Francesco Apreda è collocato all’interno dell’altisonante Pantheon Iconic Rome Hotel, ma ricerca una propria dimensione intima dove declamare l’abile miscellanea gastronomica che lo abita. Una precisazione, però, è d’uopo: da qualche tempo i percorsi proposti da Apreda si prefiggono la cosiddetta sapidità essenziale, dove l’estrazione rappresenta il cambio gustativo con cui accelerare o rallentare la percezione di un piatto. Decisive le esperienze in Asia, di cui la vis speziata diventa esatta rappresentante, e si rivela utile anche per rileggere in chiave attuale le proprie origini. La cosiddetta “Terra Mia”, definita qui in cinque passaggi, è la visione offerta da Apreda per la sua Campania Felix, ed è la chiave con cui ci siamo approcciati in questa nostra visita.

Una tradizione atavica

Si comincia con una Caprese tiepida liquida e affumicata. Qui la mozzarella di bufala, nella sua stra-ordinaria semplicità, è servita alla temperatura dei 38°, la stessa della mungitura del latte, ed è velata dalla gelatina di latte di bufala fondente con il brodo di pomodoro piccatiello. Interlocutorio invece il fagiolo borlotto reidratato a donare masticazione, di difficile collocamento nell’ensemble del piatto, dove il pomodoro tende a sovrastare il latticino. I Moscardini alla Luciana sono una tra le effigi campane più conosciute, qui sublimati in una cottura millimetrica grazie alla forte arrostitura antecedente l’affogatura in umido. Tentacolo deliziosamente croccante e salsa all’Aglianico piacevolmente incentrata sulla forza del vino impiegato. Intelligente l’uso del sedano abbinato all’alga kombu, binomio tra freschezza e salinità.

I Maccheroni arruscati al ragù napoletano sono manifestazione balsamica dove il pepe della tradizione napoletana, trova una connotazione indiana con varietali aromatici tendenti alla liquirizia. Il maccherone nella sua duplice cottura però cede il passo alla plastica coriacità del passaggio eccessivo in padella. Il Baccalà alla genovese “rinforzata”, piatto principe della sequenza, è anche sintesi tecnico-locale. Il baccalà cotto nel grasso del vitello, preserva la sua morbida consistenza, al contempo l’estratto di genovese distilla il lato dolce della cipolla, rinforzato appunto per acidità e textura dalle verdure in agro accompagnamento. Infine il dolce Babà “Mille Culure”, alloro e mela annurca, opulento negli elementi presenti, panna all’alloro, sfera di gelato alla mela annurca come inserto del babà a sua volta aromatizzato allo speziato rhum nero Kraken. Un dessert esteticamente impattante ma difficilmente coeso.

Dalle mille sfaccettature, caleidoscopica nella forma ma anche nei contenuti, in alcuni casi di non facile comprensione, la cucina di Apreda, come un dialetto, anche nelle imperfezioni risulta affascinate e curiosa nella sua arcaica musicalità. La clientela dell’Idylio, del resto, è prettamente internazionale e sfoggia lingue, storie e culture che si mescolano tra loro anche nel linguaggio a tavola. Crediamo che la sfida di Apreda sarà anche quella di rendere intellegibile una tradizione atavica anche per chi arriverà dall’altra parte dell’oceano, preservandone autenticità e sapori. “A meglia parola è chella ca’ nun se dice” oggi qui aggiungeremmo “ma forse quella che si assaggia!”

IL PIATTO MIGLIORE: Baccalà alla genovese “rinforzata”.

La Galleria Fotografica:

Il paradigma dell’autunno

Chiamato legnasanta in napoletano – pare infatti che il frutto aperto ospiterebbe la caratteristica immagine del Cristo in croce – legata all’iconografica cristiana è anche la sua interpretazione sicula, nel cui seme spaccato dimora un germoglio che somiglierebbe, appunto, alla mano della Vergine Maria. Prodigo tanto di superstizione quanto di virtù (diuretico, energizzante, integratore di vitamine e protettore del fegato), il caco è il paradigma indiscusso dell’autunno, ma nelle cucine d’autore campeggia quasi sempre tra i dolci…

Ouverture

Moma, Andrea Pasqualucci e Federico Cucchiarelli, Roma

Nonostante la lapalissiana dolcezza su cui insiste questo antipasto, da lodare è senz’altro il tentativo da parte dei due chef di delocalizzare un frutto che, proprio nella sua manifesta natura, se opportunamente contrappuntato potrebbe prestare il fianco a tutto il pasto.

Lume, Luigi Taglienti, Milano

Uno dei più grandi interpreti de La Grande Cucina italiana capace di condensare Liguria, Piemonte, Lombardia e tutta Milano, in un sol boccone. Un piatto, questo “minestrone”, capace di parlare sottovoce dell’impressionate talento e della personalità di Luigi Taglienti.

Il piacere della carne

Idylio by Apreda, Francesco Apreda, Roma

Una cucina che dimostrato di poter fare fusion in maniera intelligente e audace, mantenendosi sul filo del minimalismo e del manierismo, con classicità e personalità. Come queste costine di vitello, quintessenza di sapori tardo-autunnali.

Pre-dessert

La Madia, Pino Cuttaia, Licata

Tutto un piccolo compendio di autunno nella cucina delle memorie d’infanzia di Pino Cuttaia. Qui, le castagne si trasformano in wafer da inzuppare in una zuppa di caco e chicchi di melograno.

Enigma, Albert Adrià, Barcellona

Stupirà attribuire questo piatto al re dell’avanguardia. Eppure pochissima audacia alberga nel caco di Albert Adrià, se non la sua collocazione, in un decrescendo di sapidità tra l’ultima portata salata, a base di pomodoro, e la carrellata dei dolci.

Villa Naj, Alessandro Proietti Refrigeri, Stradella

Una cucina dinamica e creativa, territoriale ma capace di svincolarsi, guardando altrove e soprattutto a Oriente, da cui attinge spunti e contrappunti acidi e amari, nonché il rinnovato interesse per l’elemento vegetale, ora centrale, come in questo delizioso predesset, tutto frutta e spezie.

…e tartufo

La Peca, Nicola Portinari, Lonigo

Un grande ristorante, che continua a scrivere la storia dell’alta cucina di “lusso” con un quid tutto suo: il senso di familiarità che solo la vera eleganza sa trasmettere. Emblematico, questo piatto, quintessenza di topos autunnali sia ricchi che poveri; sia alti che bassi.

Kaki e cacao

Trattoria Visconti di Roberto Visconti ad Ambivere

Quando la tradizione gastronomica bergamasca si miscida con la passione per l’orto, da’ vita a una cucina semplice, ma squisitamente agreste e domestica.

Dulcis in fundo

L’Osteria all’Orologio, Marco Claroni, Fiumicino

Un dolce eccezionalmente buono, capace di  giocare in punta di fioretto sulla falsariga dolce-salato, non lesinando sulle tonalità aromatiche officinali date dall’intuizione di addizionare di rosmarino il Pan di Spagna.

Pakta, Albert Adrià, Barcellona

Parlando di contrappunti, da sottolineare il delizioso contraltare offerto dallo strategico umeboshi sulla dolcezza del caco, enfatizzato dalla combinazione con la sensazione salata e acida delle prugne. Un dolce tutto in levare.

Enigma, Albert Adrià, Barcellona

In questa occasione, anteriore di un anno rispetto alla precedente, il caco trova una sua degna collocazione tra i dessert, e, precisamente, questa combinazione con rafano e zucca occhieggia tra una banana ossidata e foie gras e un cioccolato e yuzu.

All’Enoteca, Davide Palluda, Canale

Una eccellente rivisitazione del Montblanc da parte del re delle rivisitazioni, Davide Palluda. Un’interpretazione accurata, vestita di tutto punto di altri orpelli autunnali tra cui spicca, oltre alla castagna, proprio il caco.

28 Posti, Marco Ambrosino, Milano

Tutti nel solco del dolce-non dolce sono i dessert di Marco Ambrosino, molto coerenti con la sua personalità  votata alla sperimentazione sulle fermentazioni tra cui spicca, per originalità e carattere, proprio questo gelato di miso di tumminia, tempeh di orzo e gel di kombucha di cachi. 

Marta in Cucina, Marta Scalabrini, Reggio Emilia

Versione “nostrana” del Mont-Blanc, il Monte Cusna di Marta Scalabrini è l’emblema di come elementi chiave della tradizione locale siano utilizzati per dar vita a preparazioni contemporanee, talvolta inaspettate.

Il Portico, Paolo Lopriore, Appiano Gentile

Il senso sociale come struttura formale dell’esperienza gastronomica: questa, una delle ultime strade imboccate dal grande chef allievo di Gualtiero Marchesi, fautore di una cucina conviviale dove il processo creativo viene restituito all’avventore.

Il luogo di Aimo e Nadia, Alessandro Negrini e Fabio Pisani, Milano

Una cucina elegante, classica nel senso più puro e ispirato del termine, che utilizza la stagione in corso per realizzare un affresco dalle tinte vivaci e accattivanti, come questo dolce: una irresistibile miniatura d’autunno.

 

Una cucina cosmopolita e personale

Una delle più interessanti nuove aperture di una Roma che pare più vivace sul versante dell’alta ristorazione è senza dubbio questo Idylio by Apreda, la recente avventura dello chef dopo molti anni all’Imàgo dell’Hotel Hassler. Francesco Apreda ha l’aria felice di chi aveva bisogno di nuovi stimoli e si vede già premiato dalla critica (pochi mesi sono bastati per il macaron della “rossa”) e dal pubblico e, a vederlo sorridente in cucina e in sala a fine servizio, non pare rimpiangere i tetti di Roma che si dominano dalla terrazza dell’Hassler .

Se il locale, ospitato al piano terra del Pantheon Iconic Rome Hotel, sembra andare incontro a un gusto internazionale un po’ vistoso (sul marmo decisamente non si è lesinato) la cucina di Apreda si conferma cosmopolita nel senso migliore, attingendo alle tante esperienze dello chef e alla notevole tecnica in suo possesso. Sia che si parli di piatti che richiamano le sue origini partenopee, sia che ci si sposti su ricette ispirate al Giappone o all’India, lo chef dimostra come sempre di non copiare nessuno e di non temere abbinamenti originali di tecniche e ingredienti.

Tre i menù a disposizione: “Inside the Pantheon”, con le riletture dei piatti della cucina romana; “Iconic Signature”, con i classici del cuoco napoletano o “Seasons at the Pantheon”, il più ampio. Volendo si possono scegliere piatti alla carta pescati da tutte e tre le proposte. Sin dagli amuse-bouche il messaggio è chiaro: si può fare fusion in modo intelligente e si può ancora, in tempi di minimalismo spesso banale, proporre piatti in cui le combinazioni sono davvero complesse.

Tanti i passaggi notevoli: le polpettine di spuntature accompagnate da un ragù napoletano abbellito ma potentissimo; l’abbinata wagyu-ricciola in un carpaccio con finocchi davvero ben combinato; i veli di pasta all’uovo con rigaglie di pollo e canocchie, eleganza e carattere; le costine di vitello alle foglie di castagno e cachi, classicità con personalità. Al di là dei titoli sintetici,  in ogni piatto uno o più tocchi di spezie, erbe, frutti che allungano il gusto, spiazzano, divertono.

Una sola portata non convince, gli ziti alla cipolla rossa, sgombro e foie gras che sin dall’utilizzo dell’’azoto liquido sembrano una concessione un po’ datata ai clienti che lo vogliono “fare strano” e si rivelano nel complesso slegati e non all’altezza del resto del menu.

Notevole la sezione dolce, dalla samosa di datteri e coriandolo, in cui l’India e l’antica Roma vanno a braccetto, alla mela, sfoglia e vaniglia in cui si azzarda un brodo di pollo nel dessert con risultati davvero sorprendenti.

Bella la carta dei vini con ricarichi lodevolmente contenuti, soprattutto alla sezione Champagne e servizio giovane ma non impacciato che si abbina bene con una cucina tutt’altro che paludata.

Qualcosa da registrare ancora c’è (la ricerca di un gusto intenso porta ancora a qualche eccesso di sapidità già segnalato in passato; talvolta alla complessità della concezione non corrisponde un risultato altrettanto significativo al gusto) ma la valutazione rimane quella precedente, che siamo convinti sia la più giusta per una cucina sempre ricca di spunti e sorprese.

La galleria fotografica:

Se per la ristorazione di fascia media e l’onnipresente street food va riconosciuto a Roma un certo dinamismo, l’offerta di alta ristorazione resta abbastanza statica. I grandi ristoranti sono un pugno e sono sempre gli stessi e, tra questi, una certezza è l’Imàgo dell’Hotel Hassler.

Questo non significa che Francesco Apreda proceda col pilota automatico, tutt’altro, perché la sua cucina è sempre piena di stimoli, d’invenzioni e di riletture consapevoli e personali di cucine dei vari angoli di mondo, che ha frequentato e frequenta ancora: la Napoli delle sue origini, la Roma di oggi, l’India, il Giappone, l’America.
Di ogni posto e di ogni cucina lo chef pare aver tratto una conoscenza non superficiale, e gli va dato atto di essere capace non solo di sapercela restituire con i suoi piatti, ma di riuscire anche a mettere insieme questi elementi in una policromia davvero armoniosa.
Questo è vero sia nel menù dei suoi classici sia nel “sapori di viaggio”, che viene rinnovato spesso e contiene gli ultimi frutti di una creatività sempre vivace.

I piatti sono sempre ad alto grado di difficoltà, sia per l’uso di tecniche di cucina proprie di tradizioni distanti tra loro, sia per l’impiego di spezie che lo chef adora e seleziona con grande cura (il suo blend di pepi è una pozione magica…). La maestria si rivela nella resa, sempre capace di soddisfare anche palati meno avvezzi a queste contaminazioni.
Dell’ultima visita, ci piace ricordare (e lo abbiamo anche messo come copertina) un suo classico che ne sintetizza eloquentemente il lavoro, i vermicelli di soia al sugo di ricciola e cozze: grandissimo impatto visivo, gioco di texture seducente, matrimonio tra Napoli e Asia da antologia. Con, se si vuole essere fiscali, in nuce, anche uno dei pochi difetti di questa cucina: la tendenza, alle volte, a eccedere in sapidità.
Tutto il resto della carta o dei menu è pieno di piatti arditi, spiazzanti sin dai titoli e sempre risolti con tecnica matura in grado di renderli sensati, stimolanti, originali.
Anche la sezione dessert ha il pregio di proporre preparazioni bellissime e suggestive (il babà in sospensione al cioccolato e saké, ghiacciato alla banana, forse meno riuscito nel gusto di precedenti preparazioni di babà di Apreda, ma dall’impatto visivo davvero notevole), che rendono la chiusura del pranzo memorabile.

Servizio accogliente e molto meno paludato, per fortuna, di quello che ci si aspetterebbe in un ristorante collocato in un grand hotel storico: l’affettazione non ha posto all’ hotel Hassler, fatto a immagine e somiglianza dello straordinario Roberto. E. Wirth che lo dirige da una vita.
Una parola in chiusura per il locale: la vista sulla capitale, letteralmente dal suo centro, è impareggiabile. E se la sala è improntata a un lusso internazionale con qualche virata kitsch, il panorama vi aprirà il cuore e renderà ancor più piacevole l’esperienza.

Cappesante impanate e ripiene di mozzarella di bufala, foglie di sedano e tartufo nero.
Capesante, Imàgo, Chef Francesco Apreda, Milano

I celeberrimi e portentosi cappellotti di parmigiano in brodo freddo di tonno, doppio malto e 7 spezie.
ravioli, Imàgo, Chef Francesco Apreda, Milano

Risotto al pomo d’oro provolone e cardomomo nero.
risotto, Imàgo, Chef Francesco Apreda, Milano

Babà in sospensione al cioccolato e sake, ghiacciato alla banana.
babà, Imàgo, Chef Francesco Apreda, Milano

Francesco Apreda rappresenta una delle poche e solide certezze gastronomiche del panorama attuale della capitale.
E’ uno chef mai banale, data la sua incredibile curiosità e voglia di ricerca che lo ha portato ad approfondire diverse culture culinarie, soprattutto dell’Estremo e Medio Oriente, con cui ha avuto molti contatti nel suo incessante peregrinare. Le ha approfondite queste culture fino a padroneggiarle completamente, fondendo felicemente queste esperienze con la sua anima fortemente mediterranea in un blend unico di sapori, profumi e consistenze.
Il termine fusion, che può destare facilmente perplessità per un suo ricorrente utilizzo atto a dissimulare idee approssimate e confuse, assume qui un senso compiuto.
La sicurezza dello chef traspare anche dalla messa a punto di tecniche e accorgimenti che danno vitalità e sostanza alla sua cucina originale e davvero stimolante.
Un esempio è un piatto come lo spaghettoro al pomodoro e basilico, quasi spiazzante in una tavola del genere, sintomatico della capacità di dare sfumature diverse a ciò che appare, a prima vista, decisamente scontato. Ma la scelta dello chef è quella di esaltare il concetto di rivisitazione aggiungendo valore all’originale, non sottraendone.
Ecco allora un pomodoro San Marzano, che, frullato con aglio e aceto e successivamente filtrato, fornisce l’acqua in cui viene cotta la pasta che ne assorbe tutta l’acidità. A completare il quadro varie consistenze di diversi tipi di pomodoro che conferiscono notevole vivacità al piatto nonché una concentrazione persistente e significativa.
Sulla stessa linea concettuale si pongono i diversi modi di veicolare l’umami nei tagliolini alla seppia: nelle interiora del cefalopode mantecato col suo fegato, negli spinaci frullati con alga kombu e nell’alga nori di cui è fatta la pasta. Una serie di glutammati naturali che conferiscono sapore e leggerezza al tempo stesso.
Ogni spezia è impiegata con encomiabile accortezza, vero strumento per completare ed esaltare una pietanza, come nello splendido risotto dove una carezza soavemente piccante accompagna l’astice in modo ammirevole.
Più in generale, ogni portata è espressione di una sintesi riuscita tra grande padronanza dei fondamentali e la complementare, cosmopolita passione dello chef per le scuole gastronomiche che hanno forgiato la sua esperienza professionale: in primis il Giappone, con il suo rigore e il suo equilibrio, e l’India con ingredienti e spezie delle sue millanta cucine regionali.
Il tutto in una sala dai cui tavoli vicini alle vetrate si gode una vista spettacolare sulla città eterna e in cui il servizio, adeguato al livello del ristorante e dell’albergo che lo ospita, è piacevolmente privo di quelle ingessature formali che potrebbero facilmente alterarne la scioltezza.

Uova di quaglia in tempura su crema di peperoncino agrodolce, soia e polvere di lime, cannoli di riso con baccalà, polvere di pomodori e capperi e patè di olive nere e crema di maionese, frittelle di fiori di zucca e bianchetti polvere di curry.
appetizers, Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Bruschetta di pane di Lariano, guacamole, pomodori, aglio nero, carpaccio di ricciola, olio extravergine liofilizzato, portulaca.
bruschetta di pane, guacamole,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Selezione di pani. In evidenza il croissant al finocchio, i grissini alle noci con sesamo e la burrata con paprika dolce.
pane,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Gelatina di alga Kombu, mousse di melone, crumble di taralli, peperoni allo cherry. Felice rivisitazione del prosciutto e melone.
gelato alga kombu,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Terrina di foie con pistacchi e ciliegie al maraschino, betel nut (noce gommosa indiana dalle mille virtù) e galgant (spezia acida simile allo zenzero).
terrine di foie gras,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Fluida di pomodoro con mozzarella, verdure in ceviche, patata viola peruviana, caviale. Piatto più leggero di quanto lascerebbe presagire la presenza della mozzarella. Caviale superfluo.
fluida di pomdooro,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Tris di tartare: gobbetti su pane all’olio, scampi con carote, gamberi rossi con taccole e fresella alla soia, rinfrescante cetriolo aromatizzato al lime e pepe a mò di zenzero giapponese tra una tartare e l’altra.
tris di tartare,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Tagliolini all’umami di seppia alla piastra, semi di finocchio selvatico e purea di spinaci
tagliolini all'umami,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Spaghetto Verrigni, purea di pomodoro confit di tre pomodori diversi, polvere della buccia, pomini essiccati, parmigiano fluido.
spaghetto verrigini,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Risotto all’astice cotto in infuso di verbena e blend di spezie Mombay dolcemente piccante.
risotto all'astice,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Ravioli al vapore con coniglio e olive, asparagi e ricotta al rosmarino
raviolo di coniglio,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Triglia, tartufi di mare, carbone di melanzana, spugne al prezzemolo e purea di ceci.
triglia,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Vitello in casseruola al fieno, anguria piastrata, finferli e bianchetti.
vitello casseruola al fieno,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Secreto (costato) di maiale, mango, miele di eucalipto, parmigianina di patate, pepe verde.
costato di maiale,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
“Ciliegie” con sherry e mollica di pistacchio.
ciliege con sherry,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Yogurth con cioccolato bianco, frutti di bosco, crumble e caramello.
yoghurt con cioccolato,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Luna (sfera di zucchero soffiato) con spuma di cheesecake al lemongrass, frutti di bosco, cupole di champagne e spumante.
sfera di zucchero soffiato,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Interno…
interno,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Cannoli di mango e albicocca, ghiacciato di cocco, terra chai (ispirata al tè chai fatto con tè darjelling, latte e varie spezie con cardamomo, cannella, zenzero).
cannoli di mango e albicocca,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Petit fours
petit fours,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Cristal
cristal,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Dom
Dom perignon,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Roederer rosé
roederer,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Interno
 Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Esterno lontananza
esterno,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Roma…
Roma,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler