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Mirazur

Univers Mirazur

Univers Mirazur, la filosofia associata al celeberrimo ristorante di Mauro Colagreco, trae spirito vitale e ragion d’essere sia dalla tavolozza di suggestioni, per lo più mediterranee, cui lo Chef ha attinto pienamente nel corso degli anni che dalla natura prima ammirata, poi osservata e scandagliata nella sua interezza.

Il risultato è la composizione di un menù, o, meglio, di quattro menù improntati al calendario biodinamico che definisce le quattro variazioni nel mondo vegetale, in cui, a seconda del passaggio lunare, si concentreranno energie (e sapori) nelle diverse parti della pianta; un vero e proprio fulcro che caratterizza i menù di Mauro Colagreco legandoli letteralmente al giorno di visita al ristorante. Ed ecco allora, seguendo pedissequamente il succedersi delle fasi lunari, i menù “Fiori”, “Frutti”, “Radici” e “Foglie” di ognuno dei quali l’universo Mirazur interpreterà il leit-motiv proponendone per ciascuno ragionato approfondimento e alternandoli virtuosisticamente con variazioni sul tema in uno sforzo organizzativo e imprenditoriale davvero ammirevole.

Suggestioni

Nella bella sala con vista mare il menù “Fiori” di Colagreco, eccellente, si è distinto per alcune portate ambasciatrici di un livello di cucina in cui nulla è lasciato al caso e in cui la parte estetica dei piatti funge da piacevole e soprattutto funzionale complemento a un magnifico gusto dapprima espresso in tonalità più delicate e poi sempre più composite e variegate.

E allora l’asiatico fiore di Osmanthus arricchisce molto, molto felicemente, allineandosi per giustapposizione, lo scampo di cui definisce la dolcezza sia nell’insalata, cui la Granny Smith dona quella punta di opportuna acidità che ne sottolinea l’edulcorata grazia, sia nell’emulsione che farcisce la testa, sia nella bernese che ne accompagna il corpo. O la vaniglia che perfettamente intreccia la sua esotica amabilità alla note affumicate di aragosta e sedano rapa e alla ricchezza delle erbe provenzali che assai compiutamente ne definiscono il côté gustativo. O, ancora, la Faraona, già arricchita delle note iodate della Lucerna con cui vengono allevate le galline de La Cerea, si coniuga efficacemente alla salsa al locale zafferano di Castiglione di Mentone e alle cozza della Camargue in un surf & turf di fortunatissimo esito. Persino la più rustica Torta di carciofi, che potrebbe erroneamente creare qualche perplessità riguardo l’opportunità della sua presenza in un menù simile, si rivela essenziale e riuscitissimo omaggio al nobile ortaggio celebrandolo tout court in modo impeccabile. Si arriva alla fine a gustare l’ottimo dolce di Colagreco dedicato al Miele in tutte le sue forme felici, pur se lievemente caricati di qualche caloria in eccesso che a fine pasto si è fatta sentire. Ciò non lede affatto la piacevolezza di una grande esperienza in un ristorante che è giustamente annoverato tra i grandi europei, e non solo, e che ha trovato un modo di rapportarsi e ispirarsi alla natura assolutamente originale ed efficace, merito di Mauro Colagreco.

IL PIATTO MIGLIORE: Osmanthus e scampo.

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Così come per il miglior piatto del 2022, abbiamo tentato di risalire al miglior abbinamento esperito in questo anno solare. Perché se un piatto, da solo, può spalancare mondi, un abbinamento ben riuscito è un virtuosismo, oltre che un raffinatissimo affondo nelle dinamiche della percezione. Ultimo ma non ultimo, l’abbinamento accende i riflettori sulla sala: un sodalizio dal quale nessun cuoco, nemmeno il più creativo, può prescindere.

Ribolla di Josko Gravner e l’Animella ai fiori d’arancio di Alberto Gipponi e Alessandro Lollo da Dina

Non è proprio una novità, ma l’abbinamento proposto da Dina e assaggiato nell’anno corrente, con colpevole ritardo, si è rivelato qualcosa di straordinario per la sensazione che la combinazione cibo-vino crea al gusto e all’olfatto del commensale. Si mangia e si beve in successione. Piatto e bicchiere vengono di proposito serviti l’uno dopo l’altro, evitando di alternare assaggi a sorsi. C’è una infinità di nuance aromatiche che sopraggiungono soltanto dopo aver mangiato l’animella, dal momento in cui si inizia a sorseggiare la Ribolla di Josko Gravner e, in qualche modo, il piatto si completa nel commensale che metabolizza l’ensemble in un continuo allungo tra fiori d’arancio e sentori dolci e balsamici. Una persistenza che è ancora un vivido ricordo. (Leonardo Casaleno)

Viña Gravonia di Lopez de Heredia e Tagliatelle di Fagioli, cozze e trippa di baccalà di Massimo Raugi e Antonino Cannavaccuolo a Villa Crespi

Antonino Cannavacciuolo è anche un grande interprete delle paste. Questa sua, che rivisita molto intensamente la pasta fagioli e cozze di Napoletana memoria, trova un abbinamento splendido con questo intenso e persistente vino spagnolo, Viña Gravonia, ottenuto da uve Viura provenienti da viti impiantate 50 anni lungo il fiume Ebro, a 200 metri di altitudine e su terreni poveri. Il vino viene invecchiato per 48 mesi in botti di rovere usate per non conferirgli un carattere troppo marcato. Vino dal tannino marcato, al naso si scoprono frutti bianchi maturi e una leggera nota di vaniglia, una bocca elegante seppur intensa infine si sposa perfettamente con la pasta di fagioli e la componente ittica e cremosa del piatto. (Alberto Cauzzi)

Kabinett Bernkasteler Badstube 2020 di J.J.Prüm e Melanzana arrosto e caramello di pesca di Gianni Sinesi e Niko Romito al Reale

Un accostamento per assonanza, di precisione millimetrica! (Orazio Vagnozzi)

Barolo Cappellano Piè Rupestris 2014 e Agnello con salsa al mirto e carote di Polignano di Heinz Beck e Marco Reitano

Un abbinamento anche fin troppo classico ma mai così azzeccato, nato casualmente sfogliando una monumentale carta dei vini e benedetto da Marco Reitano, un grandissimo uomo di sala e profondo conoscitore di vino. Il Barolo di Cappellano 2014, annata fresca e ingiustamente sottovalutato, abbinato ad uno dei migliori piatti d’agnello degli ultimi tempi, opera dello chef Heinz Beck, con carote di Polignano e una leggerissima salsa al mirto. (Antonio Sgobba)

Roses de Jeanne La Bolorée e Fetta di pompelmo, una goccia di tabasco, foglia di shiso rosso di Carlo Cracco e Luca Sacchi da Cracco

Esattamente al centro del menù degustazione, passaggio neppure in carta, invenzione dove si vede il valore del cuoco nello scandire, in spirito e gusto, la transizione tra i due atti dell’opera. Cosa si beve con questo? Difficile dirlo. Ma avevo davanti un Roses de Jeanne La Bolorée (Cedric Bouchard ne fa un migliaio di bottiglie all’anno, 100% Pinot Blanc, vigne di oltre 50 anni, radicate su terreno ricco di calcare, un quattro anni d’affinamento su lieviti indigeni). Che si beve su quel semplice brillante intermezzo? …vado… Le vedete le scintille? (Gianni Revello)

Lepre à la Royale di Enrico Crippa e il Barolo Bussia 2017 di Ceretto del Maître Davide Franco e dell’head sommelier Jacopo Dosio

Un grande piatto della tradizione francese sapientemente interpretato da Enrico Crippa abbinato ad un grande vino del territorio ancora giovane, con un tannino moderato ma molto elegante che si sposa alla perfezione con il piatto. (Davide Bertellini)

La Marinara del pescatore di Filippo Venturi e il Palome di Luca Nuzzoli

Un giovane talento dell’arte bianca (Filippo Venturi) che sta muovendo gli interessi di larga parte della critica, un barman di grande abilità (Luca Nuzzoli) che sperimenta miscelati da abbinare alle pizze. Nella Marinara del pescatore il profumo intenso ed elegante dell’aglio di Voghiera si mischia con la salinità delle acciughe del Cantabrico e la dolcezza del San Marzano e dei datterini rossi. In abbinamento, “Palome”, Tequila, lime e bergamotto, bitter al sedano, agrumata Baladin: acidità e freschezza a mitigare la sapidità della pizza e prolungarne il gusto. (Roberto Bentivegna)

Mosnel Riserva 2008 e Agnello e melanzane sotto cenere di Cristian Torsiello all’Osteria Arbustico

A opera di Cristian Torsiello, sommelier dell’Osteria Arbustico, un abbinamento magistrale: provare per credere. Non facile, preparazione ricca di nuance affumicate e di una certa grassezza, il tutto risolto brillantemente con una bollicina italiana di gran classe che pulisce e sferza il palato allungando incredibilmente in bocca i sapori del piatto (Giovanni Gagliardi)

Empreinte 2021 di Alain Robert e Petto d’anatra, arancia, finocchio e aneto di Gianmarco Dell’Armi e Davide Coletta da Materia Prima

La mineralità del vitigno e la sua peculiare territorialità non si limita ad accompagnare il petto d’anatra. L’abbinamento rappresenta un valore aggiunto al piatto; il binomio che il vino crea con l’arancia di guarnizione esalta la carne, amplificandone e trasformandone il gusto. (Valerio De Cristofaro)

Chambolle Musigny Laurent Roumier 2017 e Spaghetti affumicati con aragosta e limone d’Amalfi di Domenico Magistri e Valentina Bertini alla Langosteria

La Langosteria, in tutte e sei le sue declinazioni (Cucina, bistrot, café…), è un caposaldo quando si parla di pesce. La materia prima è di qualità suprema e le preparazioni sono pressoché perfette. Piatti per lo più semplici, appartenenti alla tradizione marinara, che, tuttavia, sono riattualizzati con sapienza e senza eccessi. Iconici in questo senso gli Spaghetti affumicati con aragosta e limone d’Amalfi, rotondi e confortanti, ma con quel guizzo in più donato dal sentore fumé. Ideale, poi, l’abbinamento con il 100% Pinot Nero di Laurent Roumier, che con la sua struttura agile non sovrasta mai il crostaceo. (Adriana Blanc)

Meursault AOC 1995 di Robert Ampeau et Fils e Passatello, brodo ghiacciato di carciofo, menta, limone e parmigiano di Alessandro Lollo da Dina

L’apice di una serie di abbinamenti straordinari concepiti da Alessandro Lollo per il menù “I’M PASTA” di Aberto Gipponi. Un piatto che, di primo acchito, potrebbe sembrare impossibile da affiancare ad un vino (una nota amara molto importante, l’astringenza, la menta ad aumentare la difficoltà…): invece, il Meursault di Robert Ampeau & Fils riesce nell’impresa, grazie alle note di menta e a quella componente burrosa dei borgogna del passato, capace di smussare l’amaricante. Memorabile. (Claudio Marin)

Il vino della Volta de La Stoppa e il Diaframma e nocciola di Antonio Ziantoni

Confesso che ho peccato. E lo confesso nel senso che non si tratta di un abbinamento concepito a monte, ma immaginato solo successivamente dalla sottoscritta. Il Diaframma e nocciola di Antonio Ziantoni, qui in asilo al Cavallino, di Modena: un piatto tutto all’insegna di una succulenza ematica molto fondente e torrefatta, a cui il vino passito de La Stoppa – arrivato solo in seconda battuta, ahinoi, col dolce – restituiva tutta la bellezza carnale e istintuale. Una ulteriore conferma della versatilità dei vini dolci, quando non si limitano a esser solo dolci, appunto, ma si aprono a tutto l’universo delle provvidenziali durezze. (Leila Salimbeni)

Vin Jaune 2000 di Rolet Père et Fils e Torta di carciofi, parmigiano e tartufo con salsa perigourdine di Mauro Colagreco e Benoît Huguenin al Mirazur

Lo Chef Mauro Cologreco conclude la parte salata del menù degustazione, a tema floreale, con una splendida torta di carciofi, parmigiano e tartufo nero. Il piatto, decisamente gourmand, è sorretto ed arricchito da una concentratissima salsa perigourdine, al tempo stesso smorzato da una più fresca al limone nonché accompagnato da un calice di Vin Jaune, con le sue classiche note fortemente ossidative che donano un sorso complesso, strutturato ed intenso perfettamente complementare alla portata per un risultato che non può non rimanere a lungo impresso nella memoria gustativa del commensale. (Gherardo Averoldi)

Gattinara 2018 di Cantine Nervi e lo Spaghetto freddo con gazpacho di pomodori verde, scampi e plancton di Massimiliano Musso al Ca’ Vittoria

Un abbinamento azzardato, ed è estate tutto l’anno, con un nebbiolo prodotto in Alto Piemonte nel 2018 da Cantine Nervi anzi prima annata come Conterno, il Gattinara, con i suoi tannini fibrosi e più ampi spingono lo Spaghetto freddo con gazpacho di pomodori verde, scampi e plancton di Massimiliano Musso, Chef di Ca’ Vittoria nella Villa settecentesca a Tigliole d’Asti. L’alchimia non è data da un impeto creativo ma da una consapevole ricerca di freschezza e potenza dei gusti che, con un effetto venturi, arrivano con grande piglio. (Erika Mantovan)

Buttafuoco Bricco Riva Bianca Picchioni e la Pecora di Anguillara in tre servizi di Andrea Rossetti e Filippo Pojana all’Osteria V

Andrea Rossetti dell’Osteria V va in scena con i tre passaggi sulla Coscia di pecora di Anguillara. La tartare accompagnata dal chawanmushi emulsionato con l’acqua di fasolari. Il secondo servizio  con lo stinco sfilacciato e reso in croccanti chips, adagiate su purè al cui interno vi è, come il più classico tra dipping, il fondo di pecora vibrante e potente. Infine, lo Shabu-shabu in brodo di formaggio Vezzena schiude le porte alla masticazione, lubrificata dalla leggerezza del brodo, in temperatura sapientemente tiepida. L’abbinamento enoico scelto dai Pojana bros’ è il Buttafuoco Bricco Riva Bianca di Picchioni. Nulla di anticonvenzionale o fuori dal coro, bensì un’etichetta che che nel suo blend di croatina, barbera e unghetta di Solinga sa spaziare dalla freschezza del frutto rosso fino al solco di orme torrefatte. La costante? La nota balsamica presente, salda ma mai stonata ad accompagnare questa piccola gemma dell’Oltrepò Pavese. (Giacomo Bullo)

Tokaji Aszú 6 puttonyos 2013 di Szepsy e la Tarte tatin con gelato di Norbert Niederkofler e Lukas Gerges al St. Hubertus

Raramente mi affido all’abbinamento sia perché amo scegliere da me le bottiglie che mi accompagneranno durante il pasto, sia perché spesse volte il pairing non viaggia allo stesso livello della cucina (e ciò accade purtroppo anche in locale con molti blasoni…). Ovvio, le lodevoli eccezioni ci sono, Enoteca Pinchiorri in primis, con Alessandro Tomberli che si conferma fra i maestri di riferimento. Altro luogo ove sempre mi affido alle mani del sommelier è il St. Hubertus (hotel Rosa Alpina, San Cassiano, Badia, Bz), il ristorante della famiglia Pizzinini ove officia l’eccelso Norbert Niederkofler. Qui il poco più che trentenne Lukas Gerges si dimostra capace, ogni volta di più, di pianificare un grandioso percorso fra grandi etichette: una marcia che passa dall’Italia alla Francia, dalla Germania all’Austria, dalla Spagna al Nuovo mondo. Segnalo, fra i tanti sponsali proposti, quello fra la celebre (e per me irrinunciabile) Tarte tatin con gelato del cuoco altoatesino e un grande Tokaji Aszú 6 puttonyos, prodotto da Szepsy (annata 2013). Con la sua glicerica avvolgenza, la bella acidità (spalleggiata da una sostenuta mineralità), l’enorme spettro aromatico questo Tokaji accompagna, sostiene e avviluppa in modo magistrale il boccone ove predominano l’acidità della mela, la dolce amarezza dello zucchero caramellato e l’escursione termica acido-dolce del gelato. (Gianluca Montinaro)

Riesling Mosel 1994 e i Tortelli con crema pasticcera salata, riduzione di vermouth e artemisia di Federico Pettenuzzo a La Favellina

Un primo piatto travestito da dolce, o viceversa. Assai goloso nell’abbraccio tra la crema e il Parmigiano, a cui la nota amaricante della riduzione al vermouth ha donato una lunghezza rilanciata dal Riesling in grado, al netto dell’età, di manifestare una freschezza impressionante. (Gianpietro Miolato)

Chenin La Roche Bezigon di Jean Christophe Garnier e Ostrica, olio di levistico e granita all’acetosella di Atsushi Tanaka

Se nei piatti che vengono serviti, c’è un intero universo di sapori ed aromatiche intense ma mai predominanti come nel caso del menù di A.T. di Atsushi Tanaka, a Parigi, il compito del sommelier non è di certo dei più semplici. Ostrica, olio di levistico e granita all’acetosella, è un piatto con un intenso profumo di piselli freschi e prato appena tagliato, il gioco di caldo freddo aumenta il piacere della sensazione citrica e vegetale che in bocca si è sposata a perfezione con un Chenin Blanc La Roche Bezigon di Jean Christophe Garnier. (Marco Bovio)

Matos Nonet Venezia Giulia IGT Bianco Selezione Limitata 2016 Parovel e il Risotto al Plancton all’Aqua Crua

Presente nel menù degustazione “Iniziazione 1” è fra i piatti che di più hanno contribuito a portarlo al traguardo della stella Michelin parecchi anni or sono, un piatto che dimostra la fantasia e vitalità della Chef. L’abbinamento prima si gioca sulla struttura, il risotto mette in campo una struttura densa e compatta, quasi grassa accentuata dalla tendenza dolce del riso, il vino tiene testa al piatto e dopo la deglutizione ritornano assieme in un altalena dove sembrano giocare assieme. Ma la parte più interessante viene qualche secondo dopo, quando la parte aromatica del risotto, zenzero, plancton alga tostata giocano con quella del vino quasi a ricordare un tuffo nel mare, un gioco di iodo e salsedine bellissimo, inusuale. (Angelo Sabbadin)

Lambrusco di Sorbara Rosé 2017 di Cantina della Volta e Risotto ai crostacei, corallo di gamberi e katsuobushi di Salvatore Morello all’Inkiostro 

Un’esplosione di piacere. L’acidità del sorbara, agrumata e perentoria, incrocia qui le sue pulsioni con un piatto che tende più all’avvolgenza, alla rotondità, alla ‘lentezza’, scatenandone la vivezza e innescando accensioni prima agrumate, poi fruttate, infine, salino-iodate. Imperdibile. (Vania Valentini)

I Pici con clorofilla mantecati al ragout di agnello della Val di Funes e il Petruccino 2017 di Podere Forte

Il piatto più coinvolgente con il quale abbia avuto la fortuna di abbinare un vino. La scelta è andata per l’abbinamento con il Petruccino 2017 prodotto da Podere Forte in Val d’Orcia. Sangiovese in purezza da un vigneto giardino curato in regime biodinamico e lavorato da un giovane francese ed i suoi cavalli. Stupisce l’aroma mediterraneo di timo, maggiorana e lavanda per poi avvolgere il palato con una setosità inaudita, una frutta nera piccola, matura ma croccante, e un finale di una leggera nota muschiata. Menzione speciale per Marika, maître sommelier del Tyrol Hotel di Selva Gardena, al Suinsom da più di cinque anni. Nasce in un piccolo paese della provincia di Verona e diventa sommelier a Londra attraverso bellissime esperienze in ristoranti stellati quali l’Orrery, Murano e Tamarind a Londra per più di dieci anni attraverso il percorso WSET. Il suo libro dei vini racconta la sua passione per lo Champagne, la grande amicizia con i piccoli produttori dell’Alto Adige, la dinamicità della Toscana di oggi e di ieri e la bellezza del patrimonio ampelografico italiano e straniero con più di mille storie di vino da ascoltare. (Eros Teboni)

Il Mediterraneo secondo Mauro Colagreco

Mauro Colagreco e il suo ristorante, “Mirazur” di Mentone, sono oggi un punto di riferimento per la gastronomia francese e mondiale. Il titolo di miglior ristorante del mondo nel 2019 secondo la classifica “50 Best” stilata ogni anno dalla rivista britannica “Restaurant” e le tre stelle Michelin ottenute il medesimo anno, primo Chef a non essere nato sul territorio francese a ricevere tale riconoscimento Oltralpe, ne hanno sancito il definitivo ingresso nell’Olimpo dei grandi.

Colagreco è nato in Argentina e ha origini italiane (la sua famiglia è di Guardiagrele, in provincia di Chieti) ma la sua formazione è avvenuta in Francia, al cospetto di vere e proprie leggende della gastronomia francese, dalla prima esperienza con Bernard Loiseau fino ai due grandi Alain, Ducasse e Passard. L’influsso di questi ultimi è assai visibile nella sua cucina, che ne costituisce una perfetta sintesi capace di unire il rigore, la disciplina e l’amore per il Mediterraneo di Ducasse alla sensibilità nel trattare l’elemento vegetale, appresa in Rue de Varenne, quale sous chef di Passard; il tutto, filtrato dallo spirito cosmopolita di chi si sente autenticamente cittadino del mondo e vede nella cucina un mezzo per abbattere barriere e limiti.

Così, la cucina di Colagreco è il trionfo del concetto di glocal, influenze globali ma prodotto locale, frutto di una fitta rete di fornitori ma, soprattutto, dei magnifici giardini e orti che circondano il ristorante e che costituiscono il suo vero cuore pulsante.

Univers Mirazur

L’importanza dell’orto è oggi ancor di più rimarcata dall’impostazione stessa del menù. Il ristorante propone infatti un solo menù che cambia giornalmente in funzione del calendario lunare, ruotando attorno a quattro elementi Terra, Acqua, Aria e Fuoco che si esprimono, secondo i principi della biodinamica, rispettivamente nelle radici, nelle foglie, nei fiori e nei frutti, i quali costituiscono l’elemento centrale della degustazione. Il risultato sono piatti dai sapori nitidi e freschi, di grande eleganza e leggerezza, ma anche di immediata (ma non banale) piacevolezza, oltre che di una bellezza rara, anche per un ristorante di questo livello.

L’universo dei fiori, provato nella presente visita, rivela la capacità di Colagreco di estrarre da un elemento, quello floreale, spesso visto come semplice orpello estetico, quasi ridicolizzato come vezzo fine a sé stesso, un caleidoscopio di profumi e sapori che va dalla freschezza e acidità della Tartare di ricciola, caviale e fiore di liliacee e del Carpaccio di manzo e barbabietola, dove la nota fresca derivante dall’ibisco smorza, senza sovrastare, le note terrose della barbabietola, ai sentori tropicali del fiore di osmanto utilizzato per la quasi eterea salsa bernese in accompagnamento alla grande materia prima dello scampo e, anche, infine, alle note fruttate del Ragout di mare (scampi, calamari, trippe di merluzzo) con taccole e nasturzio. A chiudere la parte salata della degustazione non un secondo piatto di carne, come ci si potrebbe aspettare, ma una Torta di carciofi, parmigiano e tartufo nero con vari piatti satellite che ruotano attorno sempre al carciofo, che costituisce il piatto più spiccatamente gourmand sorretto dalla ricchezza di una concentratissima salsa périgourdine ma al tempo stesso smorzato da una più fresca al limone.​

La filosofia del ristorante pervade anche la selezione dei paring alcolici e non, per i quali si predilige da un lato la selezione di vini provenienti da cantine che lavorano in biodinamica, dall’altro si offre anche la possibilità di optare per una selezione di succhi, cocktail analcolici e infusi basati sullo stesso tema del menù degustazione. In conclusione non si può non rimanere colpiti dallo straordinario livello raggiunto da questo ristorante sotto ogni aspetto: dalla vividezza e nitidezza della cucina alla coerenza dell’approccio fino al servizio, impeccabile, professionale ma non distaccato, fino alla bellezza della location, con una vista davvero unica. Tutto ciò non può che giustificare pienamente i traguardi raggiunti in questi anni.

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La Costa Azzurra di Mauro Colagreco: un nuovo capitolo per la cucina francese

Il Mar Ligure e le montagne delle Alpi Marittime, gli orti e i giardini, Francia e Italia. Binomi, questi, in grado di dare un’idea dei sapori e dei profumi di cui possa inebriare, anche solo incidentalmente, la Costa Azzurra e in particolare il ristorante Mirazur.

Il Mirazur è lo specchio di questi binomi e la cucina di Mauro Colagreco è la splendida cornice che ne racchiude l’essenza. Un trionfo di sapori vivaci, come i colori di Menton, quel lembo di riviera francese che, con le sue sfumature pastello, divide l’azzurro del cielo da quello del mare la cui brezza lambisce i tavolini affacciati della meravigliosa sala panoramica di quello che oggi rappresenta, per critica e pubblico, il miglior ristorante di Francia.

Ma quelle che sembravano essere delle semplici nozze tra la cucina transalpina, italiana e sudamericana sono ora un idillio fatto di personalità, perfezionismo, profumi di macchia mediterranea e cultura dell’ingrediente, selezionato e lavorato con estro e sensibilità, al massimo delle sue potenzialità. La “caratura” dei frutti o delle verdure, nel fiore della loro stagionalità, sono il massimo che si possa immaginare per nitore e purezza. La freschezza del prodotto ittico regala un’istantanea gustativa da incorniciare nella memoria gastronomica del commensale. Ultima ma non ultima, si segnala la disinvoltura con cui vengono messi a fuoco i retaggi gastronomici che lo chef italo-argentino ha introiettato nel corso della sua vita e formazione professionale.

Mirazur: una cucina sospesa tra neo-classicismo e contemporaneità

Ma il 2019 è stato un anno memorabile per Colagreco e per i suoi collaboratori: le tre stelle Michelin e la vetta raggiunta nella classifica dei 50 Best hanno regalato al Mirazur una ampia e luminosissima visibilità rendendola una delle tavole più ambite del paese, molto di più di quanto già non fosse accaduto ad altre insegne francesi. Colagreco si è scrollato di dosso i canoni della rigida formazione acquisita nelle cucine di tristellati transalpini facendosi guidare dall’accecante bagliore dell’istinto e da quella capacità innata che hanno in pochi e che si chiama identità.

Uno stile personalissimo, fatto di padronanza tecnica, privo di déjà-vu e riferimenti modaioli fanno della cucina del Mirazur una delle più interessanti sull’attuale scena culinaria mondiale, così lontana e così vicina alla tradizione dell’haute cuisine transalpina da farne un ibrido sospeso – ma in meraviglioso equilibrio – tra neo-classicismo e contemporaneità. Tutti i trascorsi dello chef in Francia, da Bernard Loiseau ad Alain Ducasse, dal Grand Vefour a Alain Passard, si intravedono nei dettagli delle sue creazioni, senza che traspaia una predilezione per uno stile rispetto a un altro. La bravura di Colagreco sta anche qui, allorquando prende spunto da solidissime basi per inventare qualcosa di diverso, sebbene saldamente ancorato all’esperienza.

La barbabietola in crosta di sale e salsa al caviale Oscietra e il calamaro di Bordighera con salsa alla bagna cauda, due dei suoi capolavori, possono essere l’icona di una cucina moderna, tanto belli esteticamente quanto perfetti in termini di cifra tecnica (temperature, proporzioni, contrasti, consistenze). La parte meno interessante della degustazione è stata la partenza, con gli appetizers buonissimi ma carenti di emozioni forti presenti, ad esempio, nella quasi totalità del menu Univers Mirazur, come nello scampo con una straordinaria pesca alla verbena, nel fungo porcino servito con foie gras e un prezioso infuso ai porcini, in una fetta di pesce spada dalla straordinaria intensità iodata, in un pomodoro alla brace con sentori mediterranei o in un trancio di San Pietro con uova di trota e salsa sudachi. Audace e da applausi il dessert al cacao peruviano, rosmarino e olio d’oliva.

Un’impeccabile brigata

Il servizio di sala ha un approccio che rispecchia molto l’indole dello chef: amichevole e simpatico ma che esegue con rigore il proprio ruolo e, anche in rarissimi casi in cui non si mostri immediatamente perfetto (durante la nostra cena è stato servito un piatto contenente un allergene segnalato che è stato immediatamente sostituito con un differente portata), riesce a recuperare a fulmicotone evitando cadute di stile. Anche sulla carta dei vini c’è poco da dire, variegata (forse un filo poco estesa) ma che incontra un limite nella scelta alla mescita (ci sono soltanto 3 opzioni a seconda del valore della bottiglia che viene stappata in base al gusto/volontà del sommelier).

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Sono passati ormai molti anni da quando il tamtam gourmet iniziò a rimbalzarsi il nome di un giovane chef argentino, di speranze assai più che belle.
E dieci anni sono passati anche da quando Mauro Colagreco, fresco di un apprendistato che aveva visto fra i propri maestri Ducasse, Passard e perfino Loiseau, inaugurò a due giri di tango dal confine italiano il proprio Mirazur. Ora, due stelle, innumerevoli altri importanti riconoscimenti e qualche apertura collaterale dopo, Mauro Colagreco ha quarant’anni. Non cinquantacinque. Quaranta. Si tende a percepire lo chef argentino come un cuoco “arrivato”, quasi che il momento di andare a provare la sua cucina per raccontare l’evento agli amici fosse superato in favore di nomi più freschi, mentre ci troviamo davanti a un professionista maturo, sì, ma ancora in piena parabola ascendente.

Colagreco sembra arrivato a un primo punto di ripensamento, in cui le conoscenze maturate durante l’apprendistato hanno iniziato ad amalgamarsi perfettamente in una cucina che ha come centro espressivo l’orto. Un orto che non è (o non è più, o non è più solo) sterile icona di virtuosismi agresti, ma è utilizzato come specchio per rileggere l’intero spettro gustativo. Forse rispetto al passato la cucina di Colagreco ha anche meno del Prometeo che cerca di liberare se stesso dall’ombra della propria, sontuosa, formazione culinaria; le acidità sono utilizzate non solo in senso provocatorio ma, onnipresenti e dosate magistralmente, sono funzionali al perfetto e antiaccademico non-equilibrio delle creazioni. L’insalata di asparagi con pompelmo, crema di yogurt e miele d’acacia è un piatto di rara perfezione, metallico e affilato come una spada di Hattori Hanzo, destinato a non abbandonare facilmente la nostra memoria.

Moltissimi, poi, sono i miglioramenti che il ristorante ha visto negli ultimi anni: ad una cucina con picchi altissimi facevano infatti un tempo da contraltare una notevole discontinuità (in cui molto giocava la presenza dello chef in cucina), un servizio in perenne difficoltà e una carta dei vini sotto il livello minimo dell’accettabilità a questi livelli gastronomici. Nonostante l’assenza dello chef, invece, abbiamo vissuto un’esperienza gastronomica di livello assoluto, con un servizio di assoluta efficacia e con la possibilità di accompagnare il nostro pranzo con una chicca imperdibile come il Clos de la Néore 2014 di Edmond e Anne Vatan.

E se a tutto ciò aggiungiamo la ciliegina, ovvero la bella sala con una splendida vista sul mare, diviene in pratica quasi impossibile trovare un valido motivo per non passare da queste parti.

Stuzzichini: gelée di rapa rossa, mousse di formaggio di capra, macaron di sanguinaccio e mela verde, sardina del mediterraneo e limone di Mentone.
stuzzichini, Mirazur, Chef Mauro Colagreco, Menton, France
Il pane, strepitoso.
pane, Mirazur, Chef Mauro Colagreco, Menton, France
amuse-bouche, Mirazur, Chef Mauro Colagreco, Menton, France
Uovo Florentine con caviale Osciètre: un inizio rotondo e opulento.
uovo florentine, Mirazur, Chef Mauro Colagreco, Menton, France
Insalata d’asparagi, pompelmo, crema di yogurt e miele d’acacia.
Insalata d'asparagi, Mirazur, Chef Mauro Colagreco, Menton, France
Spugnole, favette e patate. Materia prima strepitosa (una costante).
Spugnole, favette, Mirazur, Chef Mauro Colagreco, Menton, France
Baccalà candito, nage di verdure primaverili, agrumi e vongole. Capolavoro di tecnica in cui orto e mare emergono a braccetto senza prevaricarsi ma ben distinti. Piatto di incredibile persistenza.
baccalà, Mirazur, Chef Mauro Colagreco, Menton, France

Sella d’agnello, cavolfiore, purea di broccoli affumicati e latte di capra. Carne strepitosa, va bene, ma anche qui è l’orto a fare la differenza fra un buon prodotto e un grande piatto di carne.
Sella d'agnello, Mirazur, Chef Mauro Colagreco, Menton, France
Pomelo candito, spuma di cioccolato bianco.
Pomelo Candito, Mirazur, Chef Mauro Colagreco, Menton, France
Strutture di cioccolato nero: come rendere interessante un elemento che nel 2016 ha ormai detto tutto molte volte.
Strutture di cioccolato, Mirazur, Chef Mauro Colagreco, Menton, France
Gelatine all’arancia amara, di mate e cioccolato bianco, meringa all’acetosella.
Gelatine all'arancia amara, Mirazur, Chef Mauro Colagreco, Menton, France