Passione Gourmet Arpège - Passione Gourmet

Arpège

Ristorante
84 rue de Varenne, Paris
Chef Alain Passard
Recensito da Claudio Marin

Valutazione

18.5/20 Cucina prevalentemente classica

Pregi

  • Uno dei più grandi cuochi viventi, a tutt’oggi capace di gesti trascendenti l’umana comprensione.
  • Il menù del pranzo – “Le déjeuner des jardiniers” – consente di approcciarsi ad una grande cucina, ad un prezzo conveniente per gli standard parigini.

Difetti

  • Il prezzo del menù esteso “Terre et Mer” (l’unico disponibile a cena)
  • I ricarichi sui vini.
Visitato il 04-2022

L’Arpège di Alain Passard: una cucina fuori dal tempo

L’Arpège è uno di quei rari ristoranti che, varcata la soglia d’ingresso, provocano un vortice di emozioni. Una volta seduti al tavolo, è inevitabile poggiare per un attimo il pensiero sul fatto che in quegli stessi locali, un tempo, vi era l’Archestrate di Alain Senderens – citato da Alain Passard quale proprio maestro – la storia della cucina francese e, allo stesso tempo, una vicenda umana che non può lasciare indifferenti e, anzi, conduce a sorvolare su qualche carenza in termini di comodità (la sala principale notoriamente stretta, la vicinanza tra i tavoli e la stanza al piano interrato).

La parabola di Alain Passard è oramai nota ai più: un cuoco che, nel 2001, con i tre macarons appuntati sul petto – e una gran fama di rôtissier – decideva di proporre un menù interamente vegetale, un’autentica rivoluzione (quando si parla di avanguardia e di svolta green…). Ora, la proposta gastronomica dell’Arpège è per la gran parte basata sui prodotti della terra – interamente provenienti dai tre appezzamenti di proprietà (terreni di diversa composizione) – con qualche inserimento proteico, ossessivamente selezionato. Ciò posto, la domanda che molti appassionati si pongono è: ad oggi, la cucina di Alain Passard merita di essere frequentata per la sua attualità oppure si risolve in un omaggio al passato? Ebbene, questo pranzo ha restituito un cuoco in grande forma, quasi rigenerato dalla pausa imposta dalla pandemia. Dinanzi, si ha un uomo che ha un evidente dono – c’è una componente imponderabile in alcuni passaggi –, una figura romantica, quasi cinematografica, di cuciniere che, grazie a ingredienti straordinari, tanta tecnica (non esibita) e un’ossessione per l’importanza del gesto, riesce ad emozionare. Si badi, sarebbe un errore recarsi in rue de Varenne alla ricerca di una cucina “contemporanea”, anche in termini banalmente estetici: quella del cuoco bretone è senza tempo, eterna, personalissima e richiede un approccio libero da preconcetti per essere apprezzata. Il servizio è preciso ed essenziale – magari il cambio delle posate avrebbe potuto essere più puntuale – e nessuno spazio è lasciato a orpelli o manierismi. I ricarichi sui vini rasentano l’immoralità (un’abitudine parigina), con alcune eccezioni (da scovare con il lanternino).

Una cucina di archetipi

In occasione della nostra ultima visita abbiamo optato per il menù “Le déjeuner des jardiniers” – un percorso interamente verde e calibrato sugli ingredienti della stagione – con l’aggiunta di due proteine alla carta (vi è la possibilità di condividere una portata in due persone). La capacità del cuoco di estrarre la massima concentrazione di sapore emerge subito in Fines ravioles potageres, consommé de printemps: una pasta finissima ripiena di cipolla, salvia e cavolo in un brodo dalla grande intensità: boccone veramente complesso. In termini di  a-temporalità, paradigmatica è la Tartare pourpre végétal acidulé au raifort moutarde des jardinier, un piatto-icona capace come pochi altri di valorizzare l’ingrediente vegetale e, nel contempo, un caso rarissimo in cui al trompe-l’oeil segue un assaggio strabiliante (la sostanza sovrasta l’impatto visivo, non viceversa). Un passaggio memorabile – forse il migliore – è poi la vellutata (tiepida) di foglie di rapa e spinaci con crema chantilly alla salvia, in un intreccio – del tutto privo di consistenza o masticabilità – tra dolcezza, note balsamiche, sensazioni tanniche e grasse, al termine delle quali resta al palato il sapore di salvia più nitido, lungo e intenso che si possa immaginare.

Ancora, il sushi di rapa bianca, olio d’oliva di Alentejo e olive nere è un piatto che si fatica a comprendere come possa funzionare: eppure, la consistenza e la mineralità della rapa, la nota piccante, la grassezza e leggera acidità dell’olio, la temperatura del riso… ineccepibile. Il passaggio meno indovinato è, invece, la parmentier di rapa, spinaci, carote e senape, in cui un eccesso di note speziate (un errore?) incide sulla piacevolezza e sulla percezione del singolo ingrediente. Il carré d’agnello di Sisteron (alta Provenza)  è la prima delle scelte alla carta: carne di qualità eccelsa, cottura di una perfezione prima sconosciuta, in un abbinamento con una salsa alle ostriche –  dai sentori iodati e salmastri – che porta alla mente Senigallia, banchina di Levante. La seconda aggiunta è invece una sogliola con salsa al vino Côtes du Jura e dragoncello, foglie di cavolo e patata fondente, in cui il pesce ha una consistenza turgida (ai confini con il croccante) e la salsa – un classico del cuoco – amplifica le note marine: le foglie di cavolo – carnose e succulente – e la patata – cremosa e setosa – non sono un’anonima presenza, bensì potrebbero rappresentare una portata a sé. Da ultimo, un soufflé di avocado e pistacchio con cuore di cioccolato fondente, un guizzo di genialità nonché un altro passaggio difficilmente “spiegabile”: ingredienti inconciliabili tra loro funzionano alla perfezione.

La cucina di Alain Passard è apparentemente semplice e scevra da sovrastrutture, tanto da correre il rischio di venire banalizzata o risultare indecifrabile, soprattutto se non sia ha una memoria gustativa minimamente strutturata, come alcuni grandi album jazzGiant Steps o Kind of Blue – , al primo ascolto ostici ma, quando vi si ritorna, a tempo debito, capaci di aprire uno squarcio e far rivalutare ciò che si è sino al quel momento ascoltato – o, in questo caso, mangiato –: l’agnello non sarà più lo stesso, così come la rapa o l’immagine che balzerà alla mente quando si penserà alla salvia.

La Galleria Fotografica:

4 Commenti.

  • Francesco2 Settembre 2022

    Una domanda: i 2 plats (sogliola e agnello) sono extra menu? Sono quelli in carta a 200€ l’uno?

  • Passione Gourmet13 Ottobre 2022

    […] essa è sotto l’egida di Alberto Annarumma. Tante esperienze in cucine prestigiose, dall’Arpége di Alain Passard, al George V di Parigi, dall’Intercontinental di Tokyo, al Casino de Madrid di […]

  • Passione Gourmet26 Dicembre 2022

    […] fama leggendaria soprattutto per la rivoluzione vegetale che ha coinvolto il suo ristorante, l’Arpege, dal 2001. Tuttavia non va dimenticata la sua maestria come rôetisseur, che trova uno dei suoi […]

  • Passione Gourmet17 Aprile 2023

    […] scelta che – in una logica corrispondenza – lo accomuna ad un altro cuoco-artista, quel Alain Passard i cui piatti, così semplici alla vista – quasi “banali” e, perciò, indecifrabili -, […]

Lascia un commento

La tua email non sarà pubblicata. I campi obbligatori sono contrassegnati *