Passione Gourmet Villa Crespi Archivi - Passione Gourmet

Il miglior abbinamento del 2022

Così come per il miglior piatto del 2022, abbiamo tentato di risalire al miglior abbinamento esperito in questo anno solare. Perché se un piatto, da solo, può spalancare mondi, un abbinamento ben riuscito è un virtuosismo, oltre che un raffinatissimo affondo nelle dinamiche della percezione. Ultimo ma non ultimo, l’abbinamento accende i riflettori sulla sala: un sodalizio dal quale nessun cuoco, nemmeno il più creativo, può prescindere.

Ribolla di Josko Gravner e l’Animella ai fiori d’arancio di Alberto Gipponi e Alessandro Lollo da Dina

Non è proprio una novità, ma l’abbinamento proposto da Dina e assaggiato nell’anno corrente, con colpevole ritardo, si è rivelato qualcosa di straordinario per la sensazione che la combinazione cibo-vino crea al gusto e all’olfatto del commensale. Si mangia e si beve in successione. Piatto e bicchiere vengono di proposito serviti l’uno dopo l’altro, evitando di alternare assaggi a sorsi. C’è una infinità di nuance aromatiche che sopraggiungono soltanto dopo aver mangiato l’animella, dal momento in cui si inizia a sorseggiare la Ribolla di Josko Gravner e, in qualche modo, il piatto si completa nel commensale che metabolizza l’ensemble in un continuo allungo tra fiori d’arancio e sentori dolci e balsamici. Una persistenza che è ancora un vivido ricordo. (Leonardo Casaleno)

Viña Gravonia di Lopez de Heredia e Tagliatelle di Fagioli, cozze e trippa di baccalà di Massimo Raugi e Antonino Cannavaccuolo a Villa Crespi

Antonino Cannavacciuolo è anche un grande interprete delle paste. Questa sua, che rivisita molto intensamente la pasta fagioli e cozze di Napoletana memoria, trova un abbinamento splendido con questo intenso e persistente vino spagnolo, Viña Gravonia, ottenuto da uve Viura provenienti da viti impiantate 50 anni lungo il fiume Ebro, a 200 metri di altitudine e su terreni poveri. Il vino viene invecchiato per 48 mesi in botti di rovere usate per non conferirgli un carattere troppo marcato. Vino dal tannino marcato, al naso si scoprono frutti bianchi maturi e una leggera nota di vaniglia, una bocca elegante seppur intensa infine si sposa perfettamente con la pasta di fagioli e la componente ittica e cremosa del piatto. (Alberto Cauzzi)

Kabinett Bernkasteler Badstube 2020 di J.J.Prüm e Melanzana arrosto e caramello di pesca di Gianni Sinesi e Niko Romito al Reale

Un accostamento per assonanza, di precisione millimetrica! (Orazio Vagnozzi)

Barolo Cappellano Piè Rupestris 2014 e Agnello con salsa al mirto e carote di Polignano di Heinz Beck e Marco Reitano

Un abbinamento anche fin troppo classico ma mai così azzeccato, nato casualmente sfogliando una monumentale carta dei vini e benedetto da Marco Reitano, un grandissimo uomo di sala e profondo conoscitore di vino. Il Barolo di Cappellano 2014, annata fresca e ingiustamente sottovalutato, abbinato ad uno dei migliori piatti d’agnello degli ultimi tempi, opera dello chef Heinz Beck, con carote di Polignano e una leggerissima salsa al mirto. (Antonio Sgobba)

Roses de Jeanne La Bolorée e Fetta di pompelmo, una goccia di tabasco, foglia di shiso rosso di Carlo Cracco e Luca Sacchi da Cracco

Esattamente al centro del menù degustazione, passaggio neppure in carta, invenzione dove si vede il valore del cuoco nello scandire, in spirito e gusto, la transizione tra i due atti dell’opera. Cosa si beve con questo? Difficile dirlo. Ma avevo davanti un Roses de Jeanne La Bolorée (Cedric Bouchard ne fa un migliaio di bottiglie all’anno, 100% Pinot Blanc, vigne di oltre 50 anni, radicate su terreno ricco di calcare, un quattro anni d’affinamento su lieviti indigeni). Che si beve su quel semplice brillante intermezzo? …vado… Le vedete le scintille? (Gianni Revello)

Lepre à la Royale di Enrico Crippa e il Barolo Bussia 2017 di Ceretto del Maître Davide Franco e dell’head sommelier Jacopo Dosio

Un grande piatto della tradizione francese sapientemente interpretato da Enrico Crippa abbinato ad un grande vino del territorio ancora giovane, con un tannino moderato ma molto elegante che si sposa alla perfezione con il piatto. (Davide Bertellini)

La Marinara del pescatore di Filippo Venturi e il Palome di Luca Nuzzoli

Un giovane talento dell’arte bianca (Filippo Venturi) che sta muovendo gli interessi di larga parte della critica, un barman di grande abilità (Luca Nuzzoli) che sperimenta miscelati da abbinare alle pizze. Nella Marinara del pescatore il profumo intenso ed elegante dell’aglio di Voghiera si mischia con la salinità delle acciughe del Cantabrico e la dolcezza del San Marzano e dei datterini rossi. In abbinamento, “Palome”, Tequila, lime e bergamotto, bitter al sedano, agrumata Baladin: acidità e freschezza a mitigare la sapidità della pizza e prolungarne il gusto. (Roberto Bentivegna)

Mosnel Riserva 2008 e Agnello e melanzane sotto cenere di Cristian Torsiello all’Osteria Arbustico

A opera di Cristian Torsiello, sommelier dell’Osteria Arbustico, un abbinamento magistrale: provare per credere. Non facile, preparazione ricca di nuance affumicate e di una certa grassezza, il tutto risolto brillantemente con una bollicina italiana di gran classe che pulisce e sferza il palato allungando incredibilmente in bocca i sapori del piatto (Giovanni Gagliardi)

Empreinte 2021 di Alain Robert e Petto d’anatra, arancia, finocchio e aneto di Gianmarco Dell’Armi e Davide Coletta da Materia Prima

La mineralità del vitigno e la sua peculiare territorialità non si limita ad accompagnare il petto d’anatra. L’abbinamento rappresenta un valore aggiunto al piatto; il binomio che il vino crea con l’arancia di guarnizione esalta la carne, amplificandone e trasformandone il gusto. (Valerio De Cristofaro)

Chambolle Musigny Laurent Roumier 2017 e Spaghetti affumicati con aragosta e limone d’Amalfi di Domenico Magistri e Valentina Bertini alla Langosteria

La Langosteria, in tutte e sei le sue declinazioni (Cucina, bistrot, café…), è un caposaldo quando si parla di pesce. La materia prima è di qualità suprema e le preparazioni sono pressoché perfette. Piatti per lo più semplici, appartenenti alla tradizione marinara, che, tuttavia, sono riattualizzati con sapienza e senza eccessi. Iconici in questo senso gli Spaghetti affumicati con aragosta e limone d’Amalfi, rotondi e confortanti, ma con quel guizzo in più donato dal sentore fumé. Ideale, poi, l’abbinamento con il 100% Pinot Nero di Laurent Roumier, che con la sua struttura agile non sovrasta mai il crostaceo. (Adriana Blanc)

Meursault AOC 1995 di Robert Ampeau et Fils e Passatello, brodo ghiacciato di carciofo, menta, limone e parmigiano di Alessandro Lollo da Dina

L’apice di una serie di abbinamenti straordinari concepiti da Alessandro Lollo per il menù “I’M PASTA” di Aberto Gipponi. Un piatto che, di primo acchito, potrebbe sembrare impossibile da affiancare ad un vino (una nota amara molto importante, l’astringenza, la menta ad aumentare la difficoltà…): invece, il Meursault di Robert Ampeau & Fils riesce nell’impresa, grazie alle note di menta e a quella componente burrosa dei borgogna del passato, capace di smussare l’amaricante. Memorabile. (Claudio Marin)

Il vino della Volta de La Stoppa e il Diaframma e nocciola di Antonio Ziantoni

Confesso che ho peccato. E lo confesso nel senso che non si tratta di un abbinamento concepito a monte, ma immaginato solo successivamente dalla sottoscritta. Il Diaframma e nocciola di Antonio Ziantoni, qui in asilo al Cavallino, di Modena: un piatto tutto all’insegna di una succulenza ematica molto fondente e torrefatta, a cui il vino passito de La Stoppa – arrivato solo in seconda battuta, ahinoi, col dolce – restituiva tutta la bellezza carnale e istintuale. Una ulteriore conferma della versatilità dei vini dolci, quando non si limitano a esser solo dolci, appunto, ma si aprono a tutto l’universo delle provvidenziali durezze. (Leila Salimbeni)

Vin Jaune 2000 di Rolet Père et Fils e Torta di carciofi, parmigiano e tartufo con salsa perigourdine di Mauro Colagreco e Benoît Huguenin al Mirazur

Lo Chef Mauro Cologreco conclude la parte salata del menù degustazione, a tema floreale, con una splendida torta di carciofi, parmigiano e tartufo nero. Il piatto, decisamente gourmand, è sorretto ed arricchito da una concentratissima salsa perigourdine, al tempo stesso smorzato da una più fresca al limone nonché accompagnato da un calice di Vin Jaune, con le sue classiche note fortemente ossidative che donano un sorso complesso, strutturato ed intenso perfettamente complementare alla portata per un risultato che non può non rimanere a lungo impresso nella memoria gustativa del commensale. (Gherardo Averoldi)

Gattinara 2018 di Cantine Nervi e lo Spaghetto freddo con gazpacho di pomodori verde, scampi e plancton di Massimiliano Musso al Ca’ Vittoria

Un abbinamento azzardato, ed è estate tutto l’anno, con un nebbiolo prodotto in Alto Piemonte nel 2018 da Cantine Nervi anzi prima annata come Conterno, il Gattinara, con i suoi tannini fibrosi e più ampi spingono lo Spaghetto freddo con gazpacho di pomodori verde, scampi e plancton di Massimiliano Musso, Chef di Ca’ Vittoria nella Villa settecentesca a Tigliole d’Asti. L’alchimia non è data da un impeto creativo ma da una consapevole ricerca di freschezza e potenza dei gusti che, con un effetto venturi, arrivano con grande piglio. (Erika Mantovan)

Buttafuoco Bricco Riva Bianca Picchioni e la Pecora di Anguillara in tre servizi di Andrea Rossetti e Filippo Pojana all’Osteria V

Andrea Rossetti dell’Osteria V va in scena con i tre passaggi sulla Coscia di pecora di Anguillara. La tartare accompagnata dal chawanmushi emulsionato con l’acqua di fasolari. Il secondo servizio  con lo stinco sfilacciato e reso in croccanti chips, adagiate su purè al cui interno vi è, come il più classico tra dipping, il fondo di pecora vibrante e potente. Infine, lo Shabu-shabu in brodo di formaggio Vezzena schiude le porte alla masticazione, lubrificata dalla leggerezza del brodo, in temperatura sapientemente tiepida. L’abbinamento enoico scelto dai Pojana bros’ è il Buttafuoco Bricco Riva Bianca di Picchioni. Nulla di anticonvenzionale o fuori dal coro, bensì un’etichetta che che nel suo blend di croatina, barbera e unghetta di Solinga sa spaziare dalla freschezza del frutto rosso fino al solco di orme torrefatte. La costante? La nota balsamica presente, salda ma mai stonata ad accompagnare questa piccola gemma dell’Oltrepò Pavese. (Giacomo Bullo)

Tokaji Aszú 6 puttonyos 2013 di Szepsy e la Tarte tatin con gelato di Norbert Niederkofler e Lukas Gerges al St. Hubertus

Raramente mi affido all’abbinamento sia perché amo scegliere da me le bottiglie che mi accompagneranno durante il pasto, sia perché spesse volte il pairing non viaggia allo stesso livello della cucina (e ciò accade purtroppo anche in locale con molti blasoni…). Ovvio, le lodevoli eccezioni ci sono, Enoteca Pinchiorri in primis, con Alessandro Tomberli che si conferma fra i maestri di riferimento. Altro luogo ove sempre mi affido alle mani del sommelier è il St. Hubertus (hotel Rosa Alpina, San Cassiano, Badia, Bz), il ristorante della famiglia Pizzinini ove officia l’eccelso Norbert Niederkofler. Qui il poco più che trentenne Lukas Gerges si dimostra capace, ogni volta di più, di pianificare un grandioso percorso fra grandi etichette: una marcia che passa dall’Italia alla Francia, dalla Germania all’Austria, dalla Spagna al Nuovo mondo. Segnalo, fra i tanti sponsali proposti, quello fra la celebre (e per me irrinunciabile) Tarte tatin con gelato del cuoco altoatesino e un grande Tokaji Aszú 6 puttonyos, prodotto da Szepsy (annata 2013). Con la sua glicerica avvolgenza, la bella acidità (spalleggiata da una sostenuta mineralità), l’enorme spettro aromatico questo Tokaji accompagna, sostiene e avviluppa in modo magistrale il boccone ove predominano l’acidità della mela, la dolce amarezza dello zucchero caramellato e l’escursione termica acido-dolce del gelato. (Gianluca Montinaro)

Riesling Mosel 1994 e i Tortelli con crema pasticcera salata, riduzione di vermouth e artemisia di Federico Pettenuzzo a La Favellina

Un primo piatto travestito da dolce, o viceversa. Assai goloso nell’abbraccio tra la crema e il Parmigiano, a cui la nota amaricante della riduzione al vermouth ha donato una lunghezza rilanciata dal Riesling in grado, al netto dell’età, di manifestare una freschezza impressionante. (Gianpietro Miolato)

Chenin La Roche Bezigon di Jean Christophe Garnier e Ostrica, olio di levistico e granita all’acetosella di Atsushi Tanaka

Se nei piatti che vengono serviti, c’è un intero universo di sapori ed aromatiche intense ma mai predominanti come nel caso del menù di A.T. di Atsushi Tanaka, a Parigi, il compito del sommelier non è di certo dei più semplici. Ostrica, olio di levistico e granita all’acetosella, è un piatto con un intenso profumo di piselli freschi e prato appena tagliato, il gioco di caldo freddo aumenta il piacere della sensazione citrica e vegetale che in bocca si è sposata a perfezione con un Chenin Blanc La Roche Bezigon di Jean Christophe Garnier. (Marco Bovio)

Matos Nonet Venezia Giulia IGT Bianco Selezione Limitata 2016 Parovel e il Risotto al Plancton all’Aqua Crua

Presente nel menù degustazione “Iniziazione 1” è fra i piatti che di più hanno contribuito a portarlo al traguardo della stella Michelin parecchi anni or sono, un piatto che dimostra la fantasia e vitalità della Chef. L’abbinamento prima si gioca sulla struttura, il risotto mette in campo una struttura densa e compatta, quasi grassa accentuata dalla tendenza dolce del riso, il vino tiene testa al piatto e dopo la deglutizione ritornano assieme in un altalena dove sembrano giocare assieme. Ma la parte più interessante viene qualche secondo dopo, quando la parte aromatica del risotto, zenzero, plancton alga tostata giocano con quella del vino quasi a ricordare un tuffo nel mare, un gioco di iodo e salsedine bellissimo, inusuale. (Angelo Sabbadin)

Lambrusco di Sorbara Rosé 2017 di Cantina della Volta e Risotto ai crostacei, corallo di gamberi e katsuobushi di Salvatore Morello all’Inkiostro 

Un’esplosione di piacere. L’acidità del sorbara, agrumata e perentoria, incrocia qui le sue pulsioni con un piatto che tende più all’avvolgenza, alla rotondità, alla ‘lentezza’, scatenandone la vivezza e innescando accensioni prima agrumate, poi fruttate, infine, salino-iodate. Imperdibile. (Vania Valentini)

I Pici con clorofilla mantecati al ragout di agnello della Val di Funes e il Petruccino 2017 di Podere Forte

Il piatto più coinvolgente con il quale abbia avuto la fortuna di abbinare un vino. La scelta è andata per l’abbinamento con il Petruccino 2017 prodotto da Podere Forte in Val d’Orcia. Sangiovese in purezza da un vigneto giardino curato in regime biodinamico e lavorato da un giovane francese ed i suoi cavalli. Stupisce l’aroma mediterraneo di timo, maggiorana e lavanda per poi avvolgere il palato con una setosità inaudita, una frutta nera piccola, matura ma croccante, e un finale di una leggera nota muschiata. Menzione speciale per Marika, maître sommelier del Tyrol Hotel di Selva Gardena, al Suinsom da più di cinque anni. Nasce in un piccolo paese della provincia di Verona e diventa sommelier a Londra attraverso bellissime esperienze in ristoranti stellati quali l’Orrery, Murano e Tamarind a Londra per più di dieci anni attraverso il percorso WSET. Il suo libro dei vini racconta la sua passione per lo Champagne, la grande amicizia con i piccoli produttori dell’Alto Adige, la dinamicità della Toscana di oggi e di ieri e la bellezza del patrimonio ampelografico italiano e straniero con più di mille storie di vino da ascoltare. (Eros Teboni)

A Novara c’è fermento grazie al Masterchef Antonino Cannavacciuolo

Il Teatro Coccia è il tempio della lirica novarese. Dedicato a Carlo Coccia, per più di trent’anni maestro di Cappella del Capitolo del Duomo nonché direttore del Civico Istituto Musicale “Brera”, è qui, in quelli che furono i locali del teatro, che Antonino Cannavacciuolo ha aperto la prima delle due “succursali” della casa madre, Villa Crespi. Il grande cuoco-Masterchef ha messo alla guida delle cucine del cafè e del bistrot Vincenzo Manicone, ragazzo cresciuto e maturato alla sua corte il quale possiede, invero, il dono dei predestinati: il senso del gusto, dote paradossalmente rara in questo mestiere.

Ed è proprio grazie a questo gusto che Vincenzo elabora creazioni eleganti, con le giuste geometrie e proporzioni tra gli ingredienti, con una grande capacità di saucier che lo rende, a tutti gli effetti, un grande interprete dell’alta cucina classica. Mai un tocco fuori posto, mai un eccesso e – del resto da un capofila partenopeo come Cannavacciuolo non potevamo aspettarci altro – grande elaborazione tecnica, soprattutto nelle prime pietanze. Come il riso, decisamente intrigante, con le note amare della cipolla bruciata e l’acidità del pomodoro giallo, che controbilanciano la dolce grassezza degli scampi. Un riso volutamente tenuto al dente, cucinato ed elaborato in modo tale che ricorda tanto una paella, con le sue ossidazioni pronunciate e il tocco amaro della parte leggermente e volutamente bruciata in padella. Splendidi, poi, anche gli spaghetti, serviti consapevolmente ancorché lievemente bassi di temperatura, così costruiti per non ossidare la componente iodata del piatto e mantecati con una splendida crema di anguilla affumicata e salsa aioli da manuale. Ed è proprio questo il quid: l’impiego equilibrato di salse e fondi di cottura non appesantisce, anzi, fa veleggiare leggeri nel mondo della classicità, senza rinunciare nemmeno a qualche guizzo creativo. Il risultato finale? Tremendamente buono, goloso, elegante e pieno, in una parola, ricco.

In questo contesto, anche la battuta, la capasanta e l’anatra erano compiutamente equilibrate, l’unico appunto che sentiamo di fare è che ciascuna di queste portate scontava una leggera flessione per quello che attiene la centralità del piatto rispetto ai collaterali. Dettagli che, se sistemati, potrebbero ulteriormente far volare questa cucina verso traguardi nettamente superiori.

Completano il quadro un servizio all’altezza, seguito da ragazzi molto giovani ma preparati e attenti, e da una carta dei vini interessante nelle proposte e articolata quanto basta. Nella bella stagione il vero lusso è poter pranzare o cenare sul terrazzo del teatro, con vista su Piazza Martiri della Libertà.

Peranto, se finora le rotte dei gastro-fanatici non prevedevano particolari fermate a Novara, adesso è d’uopo  pensare a una deviazione: perché questo chef e questa cucina meritano decisamente.

La galleria fotografica:

Non si ferma mai, Antonino Cannavacciuolo

I fitti impegni televisivi, l’appagamento di un successo di pubblico e di critica e, soprattutto, un pressoché costante sold-out: fattori che potrebbero indurre in più di una tentazione o, quantomeno, in un rilassamento fisiologico. Lungi dall’essere così: nella sua bomboniera di Orta San Giulio, Antonino Cannavacciuolo spinge, e spinge forte. Spinge sulla location, con novità graditissime quali una terrazza rinnovata con tanto di bar esterno e la possibilità di pranzare/cenare all’esterno (possibilità per ora purtroppo riservata ai soli ospiti delle camere).

Ma soprattutto spinge, ed è questo che a noi interessa ancor di più, sulla cucina. Sempre personalissima pur nella sua indiscutibile neoclassicità, fruibilissima da qualsiasi palato e pur costantemente sorprendente anche per i più avvezzi: una cucina solare, verace, magistralmente calibrata sia sul piano gustativo che texturale (quest’ultimo elemento che si rivelerà importantissimo in più di un’uscita). Un inno alla mediterraneità che non disdegna neppure frequenti incursioni estetiche e concettuali, al di fuori dei confini nazionali. La carta non evolve alla velocità della luce, ma le nuove proposte non mancano, come pure le evoluzioni di piatti già in precedenza incontrati e, in entrambi i casi, i risultati non hanno mancato di entusiasmarci.

Un manuale di alta gastronomia

Le tagliatelle di fagioli, cozze e trippa di baccalà sono un piccolo compendio di alta scuola gastronomica: di come sia possibile rivisitare un grande classico senza che l’interesse venga meno; lo spaghetto allo zafferano, ricci di mare e quinoa croccante è un modello di perfetto equilibrio gustativo e texturale, con acidità e croccantezza a perfetto contrappunto vivacizzante alla prorompenza del riccio. Il sontuoso maialino in porchetta, albicocche, carote e finferli è solarità allo stato puro mentre la quaglia, scampo, veli di ostrica sorprende per l’inattesa armonia e uno sviluppo orizzontale che pare infinito. Il dolce miele, aloe vera e polline evita abilmente il tranello teso da un risultato troppo stucchevole – il quale, considerando la materia di partenza, non è così scontato – raggiungendo una leggiadria davvero inattesa.

Il tutto, sostenuto da una macchina ormai perfettamente collaudata in cui tutto, ma proprio tutto, funziona alla perfezione dall’arrivo alla partenza.

Vale quindi la pena di armarsi della pazienza necessaria per accomodarsi a questa tavola ma, a tal proposito, due consigli: se pernottate, siete in pole position; per gli altri, invece, non sottovalutate le possibilità di prenotare con un last minute!

La Galleria Fotografica:

Masterchef Tonino e la nuova cucina italiana

Tante parole ormai abbiamo speso su Villa Crespi e sulla cucina di Antonino Cannavacciuolo. E dobbiamo dire che abbiamo temuto, per i suoi tanti impegni extra-ristorante, che allentasse lievemente la presa. In realtà qualche piccolo accenno c’è stato, in un recente passato, ma si è trattato di qualche scossa di assestamento, probabilmente necessaria, naturalmente comprensibile.

Ma Antonino è cuoco – e cuoco rimane – e ciò colpisce con evidenza lapalissiana quando meno te lo aspetti. Lui ama la cucina, e difatti ha connaturati un talento e un senso del gusto che davvero pochi hanno. Ha palato, Tonino, ma anche tanta tecnica e tanto mestiere. Ed è un lavoratore instancabile, che vive Villa Crespi quasi come se fosse il suo hobby, un buen ritiro, uno svago. E non dimentichiamoci un aspetto, fondamentale. Ha il ristorante pieno 7 giorni su 7, in tutte le aperture a pranzo e ce. E questo da un lato consolida il ristorante ma dall’altro mette sempre a dura prova il servizio, sia in sala che in cucina, che mai presta il fianco a critiche, mai genera una sbavatura.

E non contento, con apparente facilità, è riuscito a creare due gioielli, i Cannavacciuolo bistrot di Novara e di Torino, che hanno immediatamente ricevuto ambiti e meritati riconoscimenti. Ma è qui, a Villa Crespi, appunto, che si compone la vera rivoluzione della nuova cucina italiana. Con spirito neoclassico, ma effervescente nei sapori e nei contrasti, con uno stile inconfondibile, sincero e schietto. Con gusti precisi, misurati ma potenti e lunghissimi. Con una cucina che ha pochi punti di riferimento ma tanta personalità, la sua, e un senso del gusto prettamente, squisitamente italiano.

Il palato di un grande cuoco neo-classico

Si staglia, in degustazione, la rivisitazione delle tagliatelle ai fagioli, qui ammantate di ulteriore eleganza e finezza, per un risultato antologico. Che dire, poi, degli spaghetti ricci, zafferano e quinoa croccante? Qui, è il lieve tocco del limone sotto sale a donare una freschezza inaudita. E poi la sogliola, magistrale, in cui quell’indivia croccante, ripiena di mille tesori, è di per sé già un piatto, e non un contorno, che vale da solo il viaggio. Ottimo, il dessert, un giro attorno all’oliva, inaspettato quanto piacevole e consistente.

Un luogo che è l’emblema della cucina neoclassica italiana, con un pizzico di tecnica francese, con tanta personalità e tanto gusto. Un ristorante che continua ad essere sulla breccia dell’onda gustativa e continua a stupire sia la critica più severa che il pubblico.

E questo qualcosa vorrà pur dire, no?

La Galleria Fotografica:

La prima succursale di Cannavacciuolo: un bistrot comme il faut

Il termine bistrot, oggi molto abusato nella ristorazione, viene associato a una tavola economicamente accessibile, poco formale o, come nel caso del coinvolgimento di un grande cuoco, a una sorta di versione low cost del ristorante principale, una (preziosa) vetrina accessibile a una ampia e disparata gamma di clienti.

Raramente però evoca quello che forse è il significato più autentico da cui nasce il termine transalpino, ossia un caffè/osteria con vini alla mescita.

Ecco, il bistrot di Antonino Cannavacciuolo, tavola pilota delle sue aperture “pop”, che esprime al meglio il vero significato di bistrot.

Dopo essere entrato nelle case di molti italiani, facendosi amare dal pubblico di tutte le età per la sua genuina presenza, Cannavacciuolo ha deciso di ampliare il suo raggio d’azione – per il momento all’interno dei confini sabaudi – cavalcando l’onda del successo televisivo, con due poliedriche succursali del suo bellissimo ristorante sul Lago d’Orta. E, neanche a dirlo, il successo non si è fatto attendere.

Certo, è inutile ribadire quanto lo chef partenopeo sappia il fatto suo in cucina e, soprattutto, quanto sia bravo come ristoratore. Il progetto novarese, sorto negli spazi del foyer dello storico Teatro Coccia, ne è una piacevolissima conferma. Anche al di sopra delle aspettative.

Sala piena, servizio rapido e piatti all’altezza

Il fatto che ci facciano aspettare qualche minuto per (ri)apparecchiare il nostro tavolo (al secondo turno!), servendoci al bar una bollicina e una eccellente pizza fritta, ci fa subito capire che siamo al cospetto di una piccola macchina da guerra. La sala è piena, ma tutto scorre con ritmo incalzante. Nel menu gli antipasti, i primi, i secondi e i dolci sono suddivisi in metaforiche categorie teatrali, ouverture, musical, opera e balletto.

La cucina, affidata al bravo Vincenzo Manicone, viaggia in parallelo con lo stile proposto al Villa Crespi; i piatti sono equilibrati e armoniosi. È una cucina solida ed elegante, caratteristica, quest’ultima, che ha sempre contraddistinto lo stile dello chef partenopeo.

Ad esclusione del sapore evanescente di uno degli stuzzichini iniziali e del pre-dessert (una spuma al basilico e limone), abbiamo apprezzato praticamente tutto: dalla rotondità degli Spaghettoni con trippa, burrata e gamberi rossi, ai domati contrasti fenico-acidi del Risotto con ricci, cavolfiore e tuorlo d’uovo marinato al bergamotto, fino al classico Capocollo di maialino con zucca e aglio nero. Interessanti e moderni anche i dolci, a tratti anche più audaci dei piatti salati, inclusa la golosissima piccola pasticceria nel finale.

Troviamo intelligente anche la politica sui ricarichi delle bottiglie. Assolutamente in linea con i prezzi (contenuti) dell’intera offerta. Bravi.

Il servizio è ben oliato, sebbene si mostri un po’ distaccato e sbrigativo (forse c’e qualche coperto di troppo?); gli ambienti sono poco ariosi e gli spazi ridotti, anche se i dettagli degli arredi sono curati e conferiscono al luogo una identità ben definita.

Un’esperienza complessiva decisamente di qualità.

La galleria fotografica: