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Krug 2008

La “bellezza classica”

Ormai non c’è bisogno di ricordare quanta eleganza, forza ed equilibrio possegga quella che è stata considerata, in Champagne, la migliore annata del secolo, la 2008. La vera emozione è scoprire come Krug, Maison che rivaleggia con poche altre etichette per il ruolo di protagonista della categoria, l’abbia interpretata. Così, dopo una lunga e fervida attesa da parte degli appassionati finalmente è stato presentato, in anteprima mondiale, Krug 2008.  E se a questo champagne si è soliti attribuire connotati di vigoria e potenza, nonché assoluta eleganza, era facile prevedere che questa sarebbe stata una bottiglia sorprendente entro la quale avremmo trovato, oltre alla consueta maestosità krugiana, tutte le energie estreme, totalizzanti e radiose di un millesimo come questo.

Un’annata di assoluta serenità

Un’annata fresca, “estremamente delicata” ha osservato Olivier Krug (che rincontriamo dopo la presentazione di Clos du Mesnil 2006) come non se ne vedevano da tempo in Champagne, nonché una delle meno soleggiate della regione negli ultimi cinquant’anni. Un’annata di assoluta serenità, soprattutto se comparata ai capricci delle annate precedenti. Contraddistinta dall’inizio alla fine da un equilibrio straordinario, da un’armonia che ha volteggiato indisturbata tra giornate calde, notti fresche e favorita da una totale assenza di condizioni estreme, ha conferito una maturazione dei grappoli lenta, tranquilla e regolare, donando, al momento del raccolto, chicchi intensi, eleganti, meravigliosamente strutturati. Allo stesso tempo, la strabiliante eterogeneità dei vigneti è stata in grado di intessere una complessità, una gamma di suggestioni, aromi e sapori di rara finezza.

Krug alza così il sipario sull’ennesimo, autentico, capolavoro, Krug 2008, all’altezza delle idee di perfezione e raffinatezza che il fondatore Joseph Krug, con la sua “Cuvée n.2”, aveva in mente. Come Olivier Krug ama spesso ricordare, infatti, Joseph Krug, fondatore della maison nel 1843, organizzò la sua produzione in soli due grandi linee di prodotto. La prima, denominata “Cuvée n.1”, che può considerarsi la capostipite dell’attuale Grande Cuvée e che rappresenta la sublimazione dell’arte dell’assemblaggio, dove si trascende dalla nozione di millesimato per ricreare, con l’ausilio di mani esperte, edizione dopo edizione, uno champagne di piacere, frutto di una serrata selezione di più di un centinaio di vini di annate diverse, mantenendo inalterato lo stile, imprescindibile, della Maison.

Le Cuvée

La seconda, denominata “Cuvée n.2”, oggi il Vintage, prodotta soltanto in annate eccezionali e che ha come fattore predominante la variabilità del clima che, soprattutto negli ultimi anni, è spesso eccentrico, imprevedibile. L’espressione del concetto di annata che, grazie alla mano virtuosa di chi è riuscito a interpretarla, vive in ogni millesimo di luminosità propria, di pura energia, in un’esibizione da unico protagonista e prodigioso solista. 

Per la creazione di Krug 2008, furono selezionati i vini dei vigneti che potessero meglio rappresentare le caratteristiche di un’annata, semplicmeente, straordinaria. I Pinot Noir (53%) a donare profondità e struttura; i Meunier (25%), a conferire quel carattere agrumato che troviamo solo nelle espressioni migliori di questo vitigno; infine gli Chardonnay (22%), a regalare eleganza, verticalità e slancio.

A seguire, oltre 12 anni di permanenza nelle cantine della Maison per un Krug che entrerà negli annali e che è stato nominato, dal comitato di degustazione della maison che, di volta in volta, assegna un soprannome al millesimo in uscita, “bellezza classica”.

KRUG 2008 – Sboccatura autunno 2019, Krug ID 419044

Tono evolutivo sofisticato sotto il quale emergono, incalzanti ma sottili, i profumi degli gli agrumi, i fiori bianchi e la grafite e, se lo si attende, sontuose note mentolate e balsamiche a miscelarsi a quelle di tabacco, nocciola, iodio; a preannunciare un’evoluzione nel tempo che sarà straordinaria. Un olfatto di grande complessità e vibrazione, dai chiaroscuri pregiati e profondi tipici di Krug qui altresì accesi, illuminati dall’annata. In bocca è altrettanto memorabile. Dotato di una purezza agrumata tanto sottile quanto incisiva, è ampio, granitico, solido nella disposizione gustativa, reattivo, capace di fondere l’insita cremosità e la raffinata texture a una bollicina fine, precisa e penetrante. Dotato di forza, classe e infinita persistenza è solo all’inizio, anche se già splendido, ed evolverà magnificamente. 99/100

Krug 2008 è stato presentato, in anteprima mondiale, al Ristorante Sixiéme Bistrò di Milano da un Olivier Krug, in Italia dopo due anni di assenza, visibilmente emozionato. Durante il pranzo, assieme a Krug 2008 è stata riproposta la Grande Cuvée 164ème, che vede come vino base sempre la vendemmia 2008. A dare valore e lustro a Champagne così importanti, non potevano che esserci gli straordinari piatti dello Chef Antonino Cannavacciuolo e una voce sensuale e potente come quella della cantante Vhelade, carsimatica ed elegante interprete afrosarda.

A Novara c’è fermento grazie al Masterchef Antonino Cannavacciuolo

Il Teatro Coccia è il tempio della lirica novarese. Dedicato a Carlo Coccia, per più di trent’anni maestro di Cappella del Capitolo del Duomo nonché direttore del Civico Istituto Musicale “Brera”, è qui, in quelli che furono i locali del teatro, che Antonino Cannavacciuolo ha aperto la prima delle due “succursali” della casa madre, Villa Crespi. Il grande cuoco-Masterchef ha messo alla guida delle cucine del cafè e del bistrot Vincenzo Manicone, ragazzo cresciuto e maturato alla sua corte il quale possiede, invero, il dono dei predestinati: il senso del gusto, dote paradossalmente rara in questo mestiere.

Ed è proprio grazie a questo gusto che Vincenzo elabora creazioni eleganti, con le giuste geometrie e proporzioni tra gli ingredienti, con una grande capacità di saucier che lo rende, a tutti gli effetti, un grande interprete dell’alta cucina classica. Mai un tocco fuori posto, mai un eccesso e – del resto da un capofila partenopeo come Cannavacciuolo non potevamo aspettarci altro – grande elaborazione tecnica, soprattutto nelle prime pietanze. Come il riso, decisamente intrigante, con le note amare della cipolla bruciata e l’acidità del pomodoro giallo, che controbilanciano la dolce grassezza degli scampi. Un riso volutamente tenuto al dente, cucinato ed elaborato in modo tale che ricorda tanto una paella, con le sue ossidazioni pronunciate e il tocco amaro della parte leggermente e volutamente bruciata in padella. Splendidi, poi, anche gli spaghetti, serviti consapevolmente ancorché lievemente bassi di temperatura, così costruiti per non ossidare la componente iodata del piatto e mantecati con una splendida crema di anguilla affumicata e salsa aioli da manuale. Ed è proprio questo il quid: l’impiego equilibrato di salse e fondi di cottura non appesantisce, anzi, fa veleggiare leggeri nel mondo della classicità, senza rinunciare nemmeno a qualche guizzo creativo. Il risultato finale? Tremendamente buono, goloso, elegante e pieno, in una parola, ricco.

In questo contesto, anche la battuta, la capasanta e l’anatra erano compiutamente equilibrate, l’unico appunto che sentiamo di fare è che ciascuna di queste portate scontava una leggera flessione per quello che attiene la centralità del piatto rispetto ai collaterali. Dettagli che, se sistemati, potrebbero ulteriormente far volare questa cucina verso traguardi nettamente superiori.

Completano il quadro un servizio all’altezza, seguito da ragazzi molto giovani ma preparati e attenti, e da una carta dei vini interessante nelle proposte e articolata quanto basta. Nella bella stagione il vero lusso è poter pranzare o cenare sul terrazzo del teatro, con vista su Piazza Martiri della Libertà.

Peranto, se finora le rotte dei gastro-fanatici non prevedevano particolari fermate a Novara, adesso è d’uopo  pensare a una deviazione: perché questo chef e questa cucina meritano decisamente.

La galleria fotografica:

Cento di queste forchettate

Abbiamo deciso di suggellare la fine di questo anno solare con un’inconsueta classifica, la nostra classifica, dedicata all’italianità a tavola per antonomasia: la pasta. Per risvegliare il senso di appartenenza e, se non proprio l’amor patrio, quantomeno il gusto di essere italiani e così introdurvi, piatto dopo piatto, forchettata dopo forchettata, uno dei nostri progetti più ambiziosi di questo imminente 2020.

ALBERTO CAUZZI

Cappelletti alla genovese, zuppa forte di piccione, yogurt acido, lampone e funghi di Antonino Cannavacciuolo

La pasta ripiena è spesso utilizzata dallo chef partenopeo per perseguire il suo credo legato alle contaminazione tra Nord e Sud, tra la sua terra adottiva e la sua terra d’origine. Una commistione realizzata con classe ed eleganza estrema, come in questa pasta in cui la genovese del ripieno, dolce e sugosa, si amalgama incredibilmente con il dolceforte di piccione. Chiudono il cerchio le acidità di yogurt e cristalli gelati di lampone, la terrosità del brodo di funghi e il piccione, dalla nota ematico-piccante: un piatto tanto classico, tanto italiano, tanto sottile ed elegante, oltre che profondo e contrastato. Un inno alla pasta italiana.  

ANDREA GRIGNAFFINI

Cacio e 7 pepi alla brace di Errico Recanati

Sulla base dello stile narrativo di Errico Recanati che triangola spiedo, griglia e fumo ecco una Cacio e Pepe che parte dalla cottura della pasta alla brace, ovviamente dopo pre-cottura in acqua bollente prima e passiva poi. La brace quindi interviene in ripasso (per 5/6 minuti) con tecnica del cappello. Così si ottiene una sorta di breve affumicatura a caldo.  Il cacio si sdoppia tra la classicità del Parmigiano e il genius loci del Formaggio di Fossa che moltiplica peraltro l’idea di affumicatura. La base casearia è pronta per essere innervata dai 7 pepi mixati ad hoc: Timut, Lungo, Selvatico del Madagascar, Verde naturale della giungla, Bianco, Sichuan, Nero di Sarawak. L’affumicato precede il boccone, l’amido dello Spaghettone Benedetto Cavalieri si diffonde sul cacio, il pepe riverbera e punteggia.

ORAZIO VAGNOZZI

Pasta agli anemoni di mare di Antonio Guida

Il mare nel piatto in un’interpretazione tanto personale – quella di Antonio Guida – quanto universale, nei colori, nei profumi, nei sapori e nelle consistenze. Un piatto dall’equilibrio perfetto.

DAVIDE BERTELLINI

Le tagliatelle di patate con tartufo bianco d’Alba di Matteo Baronetto

Tanto semplice quanto straordinariamente buono: la consistenza incredibile della pasta di patate con cui sono realizzate le tagliatelle e lo spessore perfetto con cui sono tirate ne fanno il piatto di pasta antonomastico dell’anno appena trascorso.  Un mix di sapori, consistenze ed emozioni che rimandano all’ infanzia ma, al tempo stesso, alla contemporaneità e al grande carattere, oltre che alla filosofia, di questo grande chef italiano.

ALESSANDRO PELLEGRI

La Lasagna alla Bolognese di Luigi Taglienti

Un piatto realmente popolare, di cui è difficile – per non voler utilizzare il termine “impossibile” – trovare due versioni uguali in due case diverse. Nella versione proposta da Luigi Taglienti esso viene preso e, senza snaturarne né l’idea, né la forma né tantomeno l’esecuzione, viene sparato nell’iperspazio dell’alta cucina: gusto, finezza, golosità e italianità all’ennesima potenza. Un piatto in grado di posizionarsi, con pari spessore e dignità, tanto in una proposta alla carta quanto in un menù degustazione. Sublime.

Lume, Luigi Taglienti

LEONARDO CASALENO

Il tagliolino al tartufo di Diego Rossi 

Come può un piatto di pasta arginare l’idea di un cibo popolare? Basta mettere molti tuorli e tirare un tagliolino di callosità ed elasticità inappuntabili, unire brodo di pollo con tanto Parmigiano Reggiano e tantissimo burro, mantecare il tutto e, dulcis in fundo, affettarci sopra qualche fetta di tartufo bianco. Solo già la salsa che ne sortisce ha un equilibrio raro, che già parla per sé, ma l’allungo irresistibile del tubero lo rende magico. È la magia di un piatto semplice che si veste d’opulenza, in trattoria, lì dove alta cucina e tradizioni danzano senza soluzione di continuità.

ROBERTO BENTIVEGNA

Garganelli con astice, porcini e tartufo nero di Nicola Portinari

Il piatto “inclusivo”: capace di unire invece che dividere, che mette d’accordo tanto il gourmet quanto il gourmand, il seguace della creatività così come il fedele alla classicità estrema. Perché è semplicemente perfetto, per gusto, tecnica e precisione stilistica. Un grande classico de La Peca, un piatto da grandissimo ristorante.

GIACOMO BULLO…

Penne, burro ai ricci di mare, capesante essiccate, erbe spontanee e seppia ai carboni di Moreno Cedroni

Proprio un piatto di pasta consacra Moreno Cedroni al rango del fuoriclasse: un piatto assoluto dove la carica gustativa della capasanta è amplificata grazie all’uso della liofilizzazione, cui si unisce il vigore delle erbe selvatiche essiccate e poi passate sulla brace e la seppia appena scottata. La nota empireumatica del fuoco impressa sulle erbe si sposa con la dolcezza del riccio regalando sentori e ricordi di una grigliata di pesce sul mare del litorale di Marzocca.

…e FILIPPO BOCCIOLETTI

Più che un piatto di pasta “il” piatto di pasta, tale da rappresentare, iconograficamente, il manifesto del corso nobile del celebre carboidrato italico. Innanzitutto al posto della posata classica è sagacemente imposto all’ospite l’uso di una pinza, che costringe a gustare le penne una ad una: il ritmo “lento” va a nobilitare l’elemento nazional-popolare. Poi, la mano del maestro fa il resto: il burro ai ricci di mare insieme alla polvere di capesante dona sapidità, l’ortica e le seppie ai carboni l’amaricante e una textura da manuale, per un equilibrio d’insieme di ingredienti apparentemente antitetici davvero superlativo. La stellina composta di ricci di mare liofilizzati, da sbriciolare tra le dita sulle penne completa il servizio, confermando una tecnica all’avanguardia ma anche quella componente ludica tanto caratteristica di Moreno Cedroni. Un piatto che, a distanza di mesi, è ancora ben impresso nella memoria.

CLAUDIO PERSICHELLA

Pasta e cipolla di Andrea Leali

Un grande piatto di pasta che con maestria e solo apparente semplicità si anima degli ingredienti che lo compongono, in questo caso differenti tipologie e cotture di cipolla, tirandone fuori un concerto di sapori con gradazioni che si avvicendano in modo sorprendente e definito.

LEILA SALIMBENI

Spaghetto mantecato al burro di genziana, caciotta di capra, scorzetta di bergamotto candito di Gianluca Gorini

Servito alla fine del menù degustazione, una deflagrazione: un ko dei sensi. L’onda d’urto è spaventosa e somiglia alla carica, sia metaforica che letterale, di una capra appena uscita dal bosco: una capra che ha fatto incetta, per la precisione, di radici, cortecce e d’altre forme, tutte boschive, di amarezza. L’amaro purissimo della genziana e quello agrumato del bergamotto proiettano la percezione in una dimensione di gusto praticamente infinita: avanguardia pastorale.   

GIANPIETRO MIOLATO

Spaghetti freddi alla carbonara con uova di salmone e caviale di Massimiliano Alajmo

O di come semplificare la complessità con una profondità di pensiero impressionante. Dissimulazione e reinvenzione; nello specifico: la sapidità delle uova di pesce, in sostituzione del guanciale, e la base all’uovo a garantire quella rotondità capace di legare gli ingredienti, senza nostalgia, in un servizio a bassa temperatura. Una scelta straniante che permette tuttavia alla componente ittica di sprigionare tutta la propria potenza, facendo spiccare un salto vertiginoso, tanto immediato quanto ragionato.

FRANCESCO ZITO

Pasta mista in zuppa di crapiata, bisque di gamberi agli agrumi, crema di foie gras al Cardenal Mendoza, pesto di prezzemolo e tartare di gamberi  di Vitantonio Lombardo 

È un piatto visivamente ed emotivamente di impatto: è l’omaggio più bello e buono a Frank Rizzuti, compianto chef e prima stella Michelin in Basilicata. Gusto deciso, sapori netti, definiti e bilanciati caratterizzano una vecchia ricetta della tradizione materana, arricchita e nobilitata dal foie gras e dalla quenelle di tartarre di gambero. Il risultato è strepitoso… e commovente!

Masterchef Tonino e la nuova cucina italiana

Tante parole ormai abbiamo speso su Villa Crespi e sulla cucina di Antonino Cannavacciuolo. E dobbiamo dire che abbiamo temuto, per i suoi tanti impegni extra-ristorante, che allentasse lievemente la presa. In realtà qualche piccolo accenno c’è stato, in un recente passato, ma si è trattato di qualche scossa di assestamento, probabilmente necessaria, naturalmente comprensibile.

Ma Antonino è cuoco – e cuoco rimane – e ciò colpisce con evidenza lapalissiana quando meno te lo aspetti. Lui ama la cucina, e difatti ha connaturati un talento e un senso del gusto che davvero pochi hanno. Ha palato, Tonino, ma anche tanta tecnica e tanto mestiere. Ed è un lavoratore instancabile, che vive Villa Crespi quasi come se fosse il suo hobby, un buen ritiro, uno svago. E non dimentichiamoci un aspetto, fondamentale. Ha il ristorante pieno 7 giorni su 7, in tutte le aperture a pranzo e ce. E questo da un lato consolida il ristorante ma dall’altro mette sempre a dura prova il servizio, sia in sala che in cucina, che mai presta il fianco a critiche, mai genera una sbavatura.

E non contento, con apparente facilità, è riuscito a creare due gioielli, i Cannavacciuolo bistrot di Novara e di Torino, che hanno immediatamente ricevuto ambiti e meritati riconoscimenti. Ma è qui, a Villa Crespi, appunto, che si compone la vera rivoluzione della nuova cucina italiana. Con spirito neoclassico, ma effervescente nei sapori e nei contrasti, con uno stile inconfondibile, sincero e schietto. Con gusti precisi, misurati ma potenti e lunghissimi. Con una cucina che ha pochi punti di riferimento ma tanta personalità, la sua, e un senso del gusto prettamente, squisitamente italiano.

Il palato di un grande cuoco neo-classico

Si staglia, in degustazione, la rivisitazione delle tagliatelle ai fagioli, qui ammantate di ulteriore eleganza e finezza, per un risultato antologico. Che dire, poi, degli spaghetti ricci, zafferano e quinoa croccante? Qui, è il lieve tocco del limone sotto sale a donare una freschezza inaudita. E poi la sogliola, magistrale, in cui quell’indivia croccante, ripiena di mille tesori, è di per sé già un piatto, e non un contorno, che vale da solo il viaggio. Ottimo, il dessert, un giro attorno all’oliva, inaspettato quanto piacevole e consistente.

Un luogo che è l’emblema della cucina neoclassica italiana, con un pizzico di tecnica francese, con tanta personalità e tanto gusto. Un ristorante che continua ad essere sulla breccia dell’onda gustativa e continua a stupire sia la critica più severa che il pubblico.

E questo qualcosa vorrà pur dire, no?

La Galleria Fotografica:

L’emblema di chi ha saputo sfruttare la popolarità televisiva

Se da un lato decresce lo share dei programmi di cucina che elevano gli chef a delle vere e proprie star, lo stesso non si può dire per l’interesse che muove gli appassionati a sedersi alle suddette tavole. Una delle prove è il caso che riguarda Antonino Cannavacciuolo. Da anni alla guida del ristorante Villa Crespi assieme alla moglie Cinzia Primatesta, con l’ingresso nei programmi TV ha goduto di un importante successo tale da permettergli di avviare una piccola galassia, per ora confinata agli spin-off di Novara e Torino, in attesa di altri importanti aggiornamenti.

L’idea di cafè contemporaneo

Nel centro della città di Novara, all’interno dell’edificio del Teatro Coccia, si trova il secondo più importante quartier generale dello chef Tonino: il Cannavacciuolo Cafè & Bistrot. Aperto ogni giorno dalle 7:30 alle 24, si propone come il luogo ideale per una gustosa colazione – la nostra brioche pere e cannella lo conferma – per un aperitivo o per un pasto frugale. Nel dopocena, inoltre, è una meta consigliata per consumare un cocktail o un dessert monoporzione a cura del pasticcere Kabir Godi, responsabile anche della produzione della Bakery, della proposta della colazione e dei dessert al Bistrot. Per la trasversalità dell’offerta e per la cura nei singoli dettagli, anche nei colori e negli arredi scelti da Cinzia, non fatichiamo a credere che il locale sia già diventato un punto di riferimento per i novaresi in soli due anni dall’apertura.

Rapporto qualità/prezzo senza eguali

Salendo le scale si raggiunge il bistrot, il regno dello chef Vincenzo Manicone. La carta richiama l’arte dell’adiacente teatro: ouverture, musical, opera e balletto i nomi per le portate. Due sono i menu degustazione presenti, in cui il principale fattore differenziale risulta essere il fatto sorpresa del secondo. Noi abbiamo optato per il primo, che abbiamo trovato molto appagante.

Gli amuse bouche, fra i quali spiccano le ottime finte portate dell’Arachide tostata e del Baccalà al pomodoro, introducono la prima portata della cena: Crudo di ricciola, insalatina di papaya, cipollotto e sesamo. Un piatto fresco, delicato ed evocativo della stagione estiva. Quindi, un trionfare di sapori mediterranei con il cremoso Risotto, ricci di mare, capperi, limone e acciuga in cui la salinità degli ingredienti viene ben contrastata dall’acidità del limone e dalla Falanghina in abbinamento, e il Filetto di branzino scottato, latte di mandorla, cozze e chutney di pomodori verdi, che ben evidenzia la delicata mano dello chef capace di esaltare pochi e delicati ingredienti in un equilibrio perfetto di sapori e consistenze.

Le poche e lievi imprecisioni riscontrate restano un lontano ricordo dopo la piccola pasticceria, nella quale primeggiano il Macaron alla pastiera dal forte sentore di canditi e la Gelèe al frutto della passione.

Trovarne di tavole così a questi prezzi.

La galleria fotografica:

Cafè:

Bistrot: