Passione Gourmet Bistrot Archivi - Passione Gourmet

Carlo e Camillo

Un bistrot sabaudo di gran classe

Nel cuore di Torino, al piano terra del Grand Hotel Sitea, trova spazio Carlo e Camillo, un moderno bistrot dove la cucina è diretta dallo Chef Davide Scabin, responsabile anche dei fornelli del più blasonato Carignano di cui si è già raccontato. Il bistrot ha una linea di cucina classica che affianca ai piatti della tradizione piemontese le grandi creazioni regionali della cucina italiana, realizzati a regola d’arte con materie prime di ottima qualità. Non manca, tuttavia, lo spazio per alcuni interessanti piatti ispirati al Brasile, che esprimono le origini dell’executive chef braccio destro di Scabin qui al bistrot. L’ambiente è curato ma al tempo stesso informale, il tutto ruota attorno a tre sale con tavoli ampi e apparecchiati con cura (uno dei pochi bistrot ormai ad avere le tovaglie). La scelta alla carta è abbastanza vasta e le porzioni sono volutamente generose, quasi da trattoria.

Una solida cucina trans-regionale

Buono ed autentico il Cavolfiore arrosto con salsa di acciughe e pinoli. Scenografica invece la presentazione del Tour a Palazzo Madama, un trittico con tre assaggi della cucina piemontese serviti in una piccola alzatina: ottima la battuta di fassona e ben fatto il vitello tonnato, in linea con la tradizione; leggermente sbilanciata ci è parsa invece l’insalata russa. Molto golosi i Plin con fonduta e sugo di arrosto, serviti in una porzione molto generosa. Più contento nella quantità ma altrettanto gustoso il Bobó de Camarão, ovvero una crema di manioca leggermente piccante con gamberi scottati e del riso pilaf in accompagnamento. Si prosegue sul filone sudamericano con il Figado con polenta, vale a dire fegato di vitello cotto in umido con una delicata salsa agrodolce accompagnato da una classica polenta. Vasta anche la scelta dei dessert con un imperdibile Panna cotta, realizzata al forno, addensata con l’albume d’uovo e servita e porzionata a fette, una portata golosa oltre che tecnicamente perfetta.

La carta dei vini di Carlo e Camillo rispecchia la filosofia del locale, un’attenta selezione di etichette italiane e straniere con focus particolare sul Piemonte. Il servizio è attento e spigliato, votato al benessere dei commensali.

IL PIATTO MIGLIORE: Figado con polenta.

La Galleria Fotografica:

Atmosfera semplice e piatti gustosi: la bistronomia in contrapposizione al lusso di Dubai

Dubai è un luogo dove tutto è possibile e, quasi sempre, i concetti di lusso e ospitalità vanno di pari passo. Orfali Bros, considerata da critica e pubblico una delle migliori tavole della città, invece, è un luogo dove si respira un’atmosfera tranquilla e in contrapposizione con la vasta opulenza circostante. Un bistrot che, sebbene sia considerato il miglior ristorante dall’autorevole classifica della World’s 50 Best – edizione Medio Oriente e Nord Africa – propone piatti tutt’altro che sofisticati, con una bella centralità gustativa e un debole per l’alta pasticceria francese. È qui, a due passi dall’impressionante Burj Khalifa e dalla parte vecchia della città, che i tre fratelli immigrati dalla Siria rompono le regole della loro tradizione gastronomica e vanno alla scoperta di nuovi sapori e sensazioni, pur rimanendo legati al loro passato e ricordando le loro origini. Lo scopo della loro cucina è quello di evocare un senso di creatività che sia trasversale ed immediata per adattarsi alla multiculturalità e all’avanguardia di Dubai. Un viaggio gastronomico che contempla ingredienti, tecniche, tradizioni e influenze da tutto il mondo al fine di dare forma ad una cucina mediorientale contemporanea e popolare.

Tre fratelli, due passioni, un obiettivo

Orfali Bros condivide con i commensali due passioni: la prima è quella di Mohammad, personaggio televisivo molto noto, che si focalizza sull’offerta salata, tra bocconi simil-tapas da condividere tra i commensali, che danno grande soddisfazione, come le interpretazioni dei cibi da strada o la Pita, servita proprio come una pizza, a dimostrazione del multistrato culturale di influenze gastronomiche che va in scena su questa tavola; la seconda passione è quella per la pasticceria, qui messa in atto con solidissime basi dagli altri due fratelli, Wassim e Omar, che spaziano, anche in tal caso, a reinterpretare i sapori del passato e della tradizione a loro cara riesplorandole in chiave francese, ma non solo. Da Orfali Bros dietro ogni piatto c’è una storia che può essere riassunta con la descrizione di due dei piatti più iconici presenti in carta: l’insalata Guess What?! che è un piatto nato per essere un fattoush mediorientale, successivamente arricchito da olive e formaggio come da tradizione  siriana, e trasformato in un’insalata greca e, infine, trasformato in una sorta di gazpacho spagnolo. A pochi giorni dall’apertura, però, lo chef Mohammad, temendo che il personale di sala trovasse difficoltà a spiegare il piatto al commensale, ha pensato di ribattezzare questa insalata con il nome “indovina cos’è?”. Una versione moderna di un’insalata tipica levantina ma con un tocco mediterraneo. Allo stesso modo lo Shish Barak, piatto siriano di pasta ripiena e yogurt viene servito in un gyoza rievocando i manti della tradizione turca/armena/afgana/saudita, in questo caso farciti di manzo wagyu, serviti con yogurt all’aglio, olio di sujuk, pinoli e menta. Davvero tutto impeccabilmente eseguito e sapori concentrati e persistenti.

Quanto al resto, il servizio ci è sembrato amichevole ma, in alcuni casi, poco attento al punto da non averci fornito, inizialmente, tutte le informazioni utili in merito alle bevande. Tra queste, non c’è traccia di vini o alcolici. Soltanto una ristretta selezione di acque profumate, bevande analcoliche fatte con frutta fresca, tè e caffè, tutto selezionato con grande attenzione.

IL PIATTO MIGLIORE: Guess What?! pomodori locali latto fermentati, cetrioli, erbe aromatiche, feta e olio d’oliva.

La Galleria Fotografica:

Il bistrot dall’animo gourmet di Andrea Mattei

Forte dei Marmi è stata tra le prime località della Versilia ad aver avuto un grande successo sin dagli anni ’60 e ciò ha inevitabilmente portato alla nascita di strutture ricettive e ristoranti che in alcuni casi fanno parte della storia della ristorazione italiana. Il Bistrot della famiglia Vaiani ha una storia che parte da lontano (iniziata negli anni ’70 con una storica trattoria) e, in un passato relativamente recente, è approdato a una cucina ricercata ed elegante grazie ad Andrea Mattei, Chef di origini versiliesi tornato nella sua terra dopo una formazione in giro per l’Europa. Questo locale, situato sul lungomare, è oggi una realtà rodata che riesce a proporre ristorazione d’alta fascia per un numero non indifferente di coperti durante tutto l’anno. In tavola arrivano principalmente proposte di mare che sono spesso abbinate ai prodotti dell’orto della Fattoria Vaiani, che la famiglia gestisce sulle colline lucchesi. Vegetali che, alcune volte, sono anche protagonisti assoluti come l’eccellente Cavolo romanesco cotto al forno a legna con corbezzolo e foglie di olivo.

Un’elegante cucina non solo di mare

Tra gli antipasti è difficile dimenticare i Calamaretti arrosto ripieni di crema di patate abbinati a una bietola dal sapore autentico: un passaggio elegante e bilanciato. Tra i primi piatti il Risotto al burro acido e liquirizia viene “impiattato” al tavolo e adagiato su seppie arrosto e puntarelle: un’esecuzione magistrale sia per la cottura del riso che per l’amalgama dei sapori armonici ma al contempo persistenti. Buona tecnica esecutiva che si riscontra anche nei Cappellacci di orata con ricci e funghi pioppini e nel Branzino, dalla cottura millimetrica, accompagnato a cime di rapa e sedano rapa, un passaggio meno ardito ma di indubbia bontà. Unico passaggio a vuoto il Polpo, in cui la cottura, a nostro avviso eccessiva, ledeva la croccantezza e la callosità tipica del mollusco.

Ben eseguiti e di stampo classico i dolci, vasta e personale poi la carta dei vini, mentre il servizio attento e cordiale è pronto a far dimenticare alcune disattenzioni dovute, probabilmente, alla gestione dei tanti coperti.

La Galleria Fotografica:

Giovani italiani (all’estero) con un roseo avvenire

Eugenio Anfuso e Cecilia Spurio fanno coppia fissa nella vita e nel lavoro. Da poco sono a capo della cucina di Korus, piccolo bistrot parigino tra Bastille e République. Dopo aver cucinato straordinari piatti di pesce chez Bernard Pacaud (ed esperienze precedenti da Igles Corelli, Aimo e Nadia e Pascal Barbot) lui, e dessert di un certo livello in alcuni tre stelle (Enrico Bartolini, Pierre Gagnaire e Guy Savoy, dopo essersi formata all’ALMA) lei, hanno deciso di fare il passo decisivo della loro carriera e lavorare spalla a spalla mettendo a frutto le loro esperienze.

Il risultato si è materializzato in una cucina quasi istintiva sorretta però dalle solidissime basi classiche francesi. Da Korus, infatti, Eugenio e Cecilia propongono una cuisine du marché che più istintiva non si può. Un menu in costante movimento che ha conquistato subito la fiducia dell’esigente cliente locale, molto avvezzo alle proposte “bistronomiche” di qualità dello sterminato panorama gastronomico cittadino. Ambiente chic e sobrio e due menù degustazione per la sera, uno a 62€ con 7 portate, antipasti e pasticcini, l’altro a 72€ con 8 portate, stuzzichini e mignardises finali.

Un menu diviso in capitoli che parte dal prodotto stagionale

Préparations créatives de produits bien élevés” è la filosofia di questo locale. I piatti sono divisi in capitoli, a raccontare una storia che varia con il variare delle stagioni e del mercato. Una sequenza di sensazioni e ricordi: acidità, braci, ripieni e farce, suggestioni di Bretagna, affumicature, primavere e infanzie. I due giovani cuochi ci hanno dato saggio di grande esperienza con colpi di classe come il Carciofo alla brace, latte di Chevre e liquirizia, il Piccione, ketchup di peperone, ribes e mezcal o gli elegantissimi dolci: la Mousse al lime, piselli, basilico e citronella o la Meringa al rabarbaro, riso al latte e anice verde, eccezionalmente giocato tra contrasti piuttosto spinti.

Parliamo di due talenti da tenere attentamente d’occhio, che si cimentano con una cucina che ricorda molto le grandi tavole “bistronomiche” parigine, tra Inaki e Passerini, ma non solo. L’esperienza viene completata da un servizio giovane, rapido e amichevole e da una proposta di etichette di vini naturali, mai in voga come oggi.

La Galleria Fotografica:

Minore a chi?

Bistrot di un’osteria – o meglio, della “osteria” par excellenceFranceschetta58 non è però “sorella minore” della mondialmente nota Francescana, il ristorante modenese di Massimo Bottura, cuoco giustamente onusto di gloria e onori. Non è “minore” Franceschetta58 – al di là che così per lungo tempo la si è presentata (fino a che sul sito web si è poi rettificato in «bistrot di») – perché in effetti è un locale che, negli anni, ha maturato uno stile definito e una cucina “personale” e identitaria.

Se ai tavoli della Francescana, la proposta è frutto di una geniale rilettura globale che chiama in causa i grandi piatti classici di derivazione francese, le tradizioni regionali italiane, nonché spunti e ingredienti che giungono dai cinque continenti (con particolare attenzione per il Giappone), alla Franceschetta58 sono soprattutto le ricette e gli usi emiliano-romagnoli a essere posti al centro delle meditazioni del giovane cuoco – Francesco Vincenzi – e della sua brigata. Qua e là, poi, senza pesantezze né cerebralismi, appaiono alcuni azzeccati tocchi fusion e alcune lievi inflessioni nipponiche che vivacizzano ulteriormente l’esperienza del gusto. A contorno l’ambiente accogliente, l’atmosfera piacevolmente informale, il servizio giovane, attento, sorridente e una carta dei vini, giusta in ampiezza, che predilige le etichette naturali e i nomi meno “noti”, e che permette di bere bene a prezzi corretti.

La cucina “local

Emilia-Romagna in cucina, si scriveva poco sopra: è lei la protagonista ai fornelli, con il territorio geminiano sugli scudi (d’altronde il claim di Franceschetta58 è appunto «I love Modena»). Tradizioni local e materie prime altrettanto local concorrono a tratteggiare una rilettura, viva e meditata, di piatti e ingredienti iconici di questa ricca regione: come i modenesissimi tortellini con crema di Parmigiano Reggiano, come la ravennate pasta con granchietti e granceola, come i riminesi fritto e grigliata di pesce (nel nostro caso mazzancolle “tra il crudo, la griglia e il frittocon agrumi e il suo fondo) o come il cesenate piccione (nello specifico con rapa rossa marinata e salsa al Porto, quasi una citazione di un antico piatto del compianto Gianfranco Bolognesi della Frasca di Castrocaro Terme).

Dal punto di vista meramente tecnico la cucina, assai parca nelle sapidità (ma questo non è un male, anzi), pare prediligere un approccio “classico” nella costruzione dei piatti. E gli elementi, in genere pochi, sono accompagnati da fondi (ben fatti: né pesanti ma neppure inconsistenti) che vengono perlopiù aggiunti al momento del servizio. Ovviamente, come nella migliore tradizione botturiana, non manca il fegato. Alla Francescana è il celeberrimo croccantino di foie gras al Balsamico. Qui invece, tenendo comunque fede all’idea del piatto da gustare in uno o due bocconi, è un più “povero” e più “deciso” paté di fegato di faraona con Albana passito, noci tostate e marmellata di cipolle rosse. Risultano, invece, un po’ “ostici” i piatti meno lineari, quelli che presentano più ingredienti. A fronte di una bella piacevolezza aromatica, il (codigorese) risotto mantecato con crema di anguilla affumicata, oltre a scontare una tostatura non perfetta (la superficie del chicco, infatti, appare non liscia ma irregolare e sfaldata) fa sorgere, in bocca, alcune percezioni metalliche date dallo scontro delle note affumicate del pesce con il rafano fresco, che viene grattugiato all’ultimo momento, prima di portare il piatto in tavola. Anche fungo, cotechino, aglio nero (ovvero crema di funghi galletti al forno, brodo di porri, crema di aglio nero fermentato, prezzemolo, cotechino e tartufo bianco) appare un piatto irrisolto: gli ingredienti farebbero pensare a una pietanza sontuosa: ricca, grassa, profumata. Di soddisfazione, insomma. L’esito – non che non sia buono – è però assai esile: lontano dall’idea che, almeno sulla carta, sarebbe logico aspettarsi da tal proposta.

I golosi si possono però rifare con la coppa di Mora Romagnola che, dopo essere passata per 24 ore in salamoia, viene scottata in padella con una bella salsa di aringhe e cicoria, e con i dolci. Fra i quali, chi scrive, consiglia la torta sabbiosa con gelato al mascarpone e marasche calde. E allora, finalmente paghi, con la mente non si potrà non riandare – almeno per chi ha avuto la ventura di assaggiarle – ad altre mitiche “sabbiose”, come quella di Franco Colombani, del Sole di Maleo, appena oltre il Po… Perché la cucina niente altro è che un intreccio di piaceri, e di ricordi…

La Galleria Fotografica: