Intelligenza, personalità e misura. Al servizio coerente di una grande struttura alberghiera.
Valentino Cassanelli è un “giovane grande” che sta muovendo con maturità, insieme a tanti altri suoi coetanei colleghi, il ritmo gastronomico della nuova cucina italiana.
Pensiamo, in chiave romantica, ad un movimento sviluppato individualmente dal Nord al Sud Italia, che riesce a trovare punti espressivi in comune tra più cuochi, attraverso una forte identità; esperienza tecnica consolidata sul campo e un talento innato che viaggia di pari passo alla sensibilità. I ragazzi di AGA a San Vito di Cadore; Undicesimo Vineria a Treviso; L’Argine di Antonia Klugmann; La Tana di Asiago; Giuseppe Iannotti e il suo Kresios; i Bros’ di Lecce; Luca Abruzzino in Calabria e molti altri grandi giovani interpreti, come Gianluca Gorini nella sua prossima e inedita avventura.
Qui in Versilia, patria toscana del bien vivre, Cassanelli ha saputo ritagliarsi uno spazio di ammirabile libertà espressiva, gestito con estro e mentalità all’interno del lussuoso Hotel Principe Forte dei Marmi. Capacità di adattamento al rigore di un grande hotel, veicolata da metodo, classe e autonomia creativa, senza scendere a compromessi.
La dimostrazione è appurabile nella gestione del Bagno-Ristorante Dalmazia affacciato sullo stabilimento balneare dell’albergo. Qui è possibile assaporare una cucina solo apparentemente semplice e quotidiana nel più bel significato del termine. Grande materia prima locale, levità esecutiva sorprendente, precisione tecnica e soprattutto una riabilitazione brillante di piatti tradizionali elevati al moderno con pensiero affine al contesto.
Tornando al Lux Lucis, ristorante gourmet e “pista da ballo” dello chef; clima e location si spostano sul suggestivo rooftop dell’hotel: posizione con vista mozzafiato, adiacente al 67 skylounge bar, capace di confezionare davvero ottimi cocktail pre-dinner.
Cucina a vista (praticamente open air) in modalità zen e un fenomenale rapporto complementare con il servizio in sala del locale. Merito del bravissimo Sokol Ndreko: sommelier e restaurant manager da record, che riesce nel raro compito di applicare la medesima personalità dei piatti anche nei rispettivi abbinamenti enologici. Classe, professionalità e abilità di lettura impressionanti. Un’esperienza eno-gastronomica sussultante a 360°, che dona rilevanza al binomio cibo-vino senza oscurare nessuna delle due parti chiamate in gioco. Affinità elettive forse, decisamente un dialogo impeccabile e stimolante applicato con risultato vincente ad ogni corsa.
Un bel trampolino per la cucina di Cassanelli, che contro ogni tendenza recente di contrasti spesso senza equilibrio, preferisce portare in tavola gran maturità, adagiata sul suo solido background stilistico (Cassanelli è figlio professionale di Cracco/Baronetto). Contrappunti presenti in ogni forma: dall’allineamento virtuoso di consistenze e contaminazioni allo stravolgimento ponderato della forma degli elementi, fino ad una padronanza colta ed efficace di tonalità difficili: come dolcezza e sapidità, prontamente spezzate da iodio, acidità e punte amare o balsamiche accennate con armonia.
Sunto di questo animo sono esercizi come i formidabili Maccheronici, karkadè, timo e anguilla arrosto dove la pasta, impregnata di succo acido e spigoloso, trasporta grassezza e aromaticità in una progressione coinvolgente, armoniosa e cangiante ad ogni boccone. Rilanci tecnici studiati al millimetro, in un alternarsi cadenzato di sfumature, privilegiano senso del gusto e riconoscibilità dei singoli elementi. L’impeccabile gioco della Perla nella cozza o della triglia al pino marittimo e alghe; l’esaltazione rassicurante dei sapori marini del Bianco e nero di scampo al pomodoro; l’allungo profondo del carpaccio di cuore alle erbe. O ancora l’assalto dei bottoni di salsiccia d’anatra, foie gras e amarena.
Una dote, quella di osare, modulata con garbo e senza ostentazione: anche nel finale a base di tacos, alici, caviale, yuzu e midollo; o nell’equilibrismo tecnico/gustativo di Parmigiano, melone, cardamomo e curcuma e Anguria, cioccolato e shiso. Unico appunto, dove l’idea non trova corrispondenza nel gusto, va fatto sul dessert Aglio, olio e peperoncino: l’ingombrante gelato all’aglio ha penalizzato uno spunto interessante.
Dettaglio trascurabile, per una cucina d’autore capace sicuramente di regalare altre valide emozioni in futuro. Come del resto ci si può aspettare da tutto lo splendido panorama di “giovani grandi” cuochi, che stanno rivitalizzando uno spicchio importante dell’attuale ristorazione italiana.
Valentino Cassanelli è senza ombra di dubbio un talento. Dichiariamo l’assassino all’inizio, perché siamo stati davvero molto colpiti dalla sua eleganza in cucina, dalla sua mano tenue nel dominare e gestire gli equilibri millimetrici tra i vari -e molto originali- ingredienti presenti nei suoi piatti. Ma ciò che più ci ha colpito è stato sicuramente il suo capolavoro di gestione delle texture, molto originali, sempre piuttosto turgide ed intrinsecamente espressive della materia e dei suoi sapori.
Una cucina molto tecnica quanto difficile, e in molti passaggi ci siamo accorti di quanti rischi il cuoco emiliano, poco più che trentenne, si prenda in questa direzione. L’unica perplessità quindi è proprio legata alla costanza; a come farà a gestire, a sala piena, questo tripudio di sapori che facilmente sfuggono se non dosati e gestiti con la sensibilità di un grande. Come appunto Cassanelli è e sarà certamente.
Dicevamo una cucina tecnica, ma al contempo molto emozionante. La sua esperienza alla corte di Cracco-Baronetto è evidente. Mai nulla di più che sussurrato, con piatti sempre poco contrastati, tendenzialmente armonici ma che trovano una compiutezza palatale decisamente unica e distintiva.
Una cucina riflessiva ma al contempo molto diretta, e buona. Divertente, accattivante ma molto profonda e concreta. Prendiamo ad esempio la triglia, la cui consistenza è da annoverare tra le nuove forme espressive di una originale textura. Turgida ma morbida, sapido-iodata ma dolce, fantastica! E poi l’ostrica, figlia di abbinamenti arditi ma dosati con mano superiore e profondamente prorompente.
Non troppe tecniche à la page oggigiorno. Ma tanta originalità e tanti spunti davvero molto personali. A Valentino l’ulteriore sfida: stabilizzare e riuscire a rendere costantemente intriganti le sue preparazioni. I fuori giri, per il rischio corso, ci stanno, ma devono essere calcolati.
Un plauso doveroso all’ottimo servizio capitanato da Sokol Ndreko, restaurant manager ma anche sommelier di rara eleganza e personalità, che ha accompagnato i piatti dello chef con abbinamenti intriganti, originali e molto personali.
Insomma, una visita a questo ottimo luogo gourmet non può mancare.
Polvere di gamberi, olive, aglio. Una interessante partenza, forse solo da rivedere nelle proporzioni e negli arnesi di degustazione. Ma già si intravede una tecnica al servizio del gusto e un piglio avanguardista interessante.
Aperilux, il primo virtuosismo di Sokol Ndreko.
Pomodoro, virgin mary, shiso e liquirizia… boom!
Un vero colpo da maestro. Triglia al pino marittimo con alghe e mare. La cottura della triglia, più shockata che cotta, la rende di consistenza e sapore unici. Abbinamenti coerenti e centrati.
Un’ostrica al vapore con agro di scalogno e zafferano. Senso del gusto e proporzioni millimetriche rispettate, per un risultato davvero interessante.
Pane di farina di farro e grano saraceno e all’olio di oliva e mais.
Un intruso per il dopopranzo.
Fenomenale negli equilibri e nei tenui ma fermi sapori lo sgombro al profumo di caffè con crema di lumache e mela cotogna. Idee e originalità… con al centro il gusto.
Gnocchi di patate e alici con infuso di capperi e puntarelle.
Ombrina al mandarino affumicato, bietola e tartufo bianco.
Di elegante e pertinente sapidità i Fasolari con olio di nocciola e moka di ceci.
Un passaggio forse leggermente fuori contesto il cotechino con gambero al frutto della passione e polenta.
Un piatto che forse è stato penalizzato da un lieve errore di esecuzione, ma che nasconde spunti interessanti. Qui però ancora una volta si dimostra come Cassanelli si prenda dei rischi notevoli in cucina, che possono generare risultati interessanti ma anche alcuni passaggi che lasciano perplessi. Linguine allo zenzero, cacao e testina di vitello.
Stupefacente anatra glassata, carciofi e carbone. Da eliminare il tentacolo troppo marmorizzato, che richiama l’intenso brodo-fondo.
Refresh.
Ottima millefoglie di panettone, sorbetto ai cachi e schiuma di latte.
La piccola pasticceria.
Gli esaltanti abbinamenti ai piatti, in rigoroso ordine di apparizione.
Camminare sul lungomare di Forte dei Marmi al tramonto in una calda serata estiva è un piacere. La brezza marina accompagna piacevolmente la passeggiata, mentre quasi naturalmente ci si abitua ai rombi del motori delle supercar che sfrecciano da una parte all’altra della strada. Il blu del mare si riflette sugli hotel di lusso che placidamente si incantano ascoltando le onde morbide appoggiarsi sul bagnasciuga.
Uno di questi è l’Hotel Byron, all’interno del quale, nonostante l’aria marina del posto faccia percepire un’atmosfera agiata e rilassata, quasi statica, alle porte della stagione estiva è avvenuto un significativo avvicendamento dietro i fornelli. Cristoforo Trapani, ventisette anni, di Sorrento, con alle spalle importanti esperienze sviluppate alla corte di grandi chef, ha sostituito il precedente chef Andrea Mattei, portando con sé una ventata di aria nuova, mediterranea, nel tentativo di smuovere il lussuoso torpore versiliese.
La piscina dell’hotel, ad effetto calamita per tutti i tavoli del ristorante, è un esplicito riferimento ad un moto vacanziero al di sopra delle righe, viziato, a tratti capriccioso, sicuramente molto abbiente. Lo scricchiolio delle assi di legno sul pavimento, le tovaglie di cotone grezzo che accarezzano le gambe degli ospiti, il cinguettio degli uccellini che piano piano sfuma sul frinio delle cicale, evocano un’estate già cominciata e nel pieno della sua forza.
Mentre si sfoglia la carta dei vini, ben studiata e con una profondità di annate interessante, l’animo generoso tipicamente campano dello chef esce preponderante, come non potesse più attendere il momento di mettersi in mostra. Chef giovane certo, ma per questo non affatto ingenuo. Centra l’obiettivo di rispettare ricette versiliesi, aggiungendo un tocco squisitamente meridionale, coniugando il tutto in una cucina dal forte carattere continentale.
La terrazza bordo piscina è piena. Russi, francesi, spagnoli, pochi italiani. Il servizio di sala, in perfetta armonia artistica con la cucina, accoglie, consiglia e accetta richieste del tutto particolari da parte della eterogenea clientela. Ecco quindi che dopo sfavillanti sorrisi e il classico :”Ma certo signore, faremo il possibile…” ci si vede passare davanti piatti ordinati fuori carta, con richieste di modifiche sostanziali, spesso eccessive.
La cucina proposta da Trapani invece, quella vera, nonostante denoti una tecnica ineccepibile, sembra essere frutto di un compromesso fatto con un’altra parte di clientela, disposta sì a provare nuove emozioni ma senza uscire troppo dal seminato. Scampi e foie gras è un classico della cucina francese, ben eseguito da Trapani, ma che lascia poco spazio all’espressione della sua personalità. Personalità che si capisce poter essere piuttosto ingombrante nel momento in cui ci si trova al cospetto di un piatto di linguine, parmigiano, tartufi di mare, crema al basilico e limone, che rievoca ad ogni boccone la gioia di cucinare del cuoco Cristoforo, prima ancora di essere chef. La pasta che salta nella padella che arde sul fuoco vivo. Il momento in cui le linguine cominciano a fare quel particolare rumore, di viscosità lubrificata dall’olio nello stesso tempo amalgamate dall’amido, che sembrano chiedere solo di essere impiattate. Non un semplice piatto di pasta, ma una parte di anima di Trapani, al quale brillano gli occhi come ad un bambino quando gli vengono fatti i doverosi complimenti al riguardo. Poi ancora riferimenti ai classici francesi, con cotture millimetriche, piatti tecnicamente ineccepibili ma in cui manca un tocco di personalità, il classico cambio di marcia.
Cristoforo Trapani è un giovane cuoco generoso ed intelligente. È lecito aspettarsi grandi cose da lui. Gusti un po’ più decisi, accostamenti un po’ più azzardati e uno sviluppo del menù meno inquadrato di certo aiuterebbero.
Ma forse tutto questo non è necessario, perché se è vero che il lavoro del cuoco è quello di fare da mangiare alla gente, allora Cristoforo lo sta interpretando nel migliore dei modi, riempiendo la sala del suo ristorante e andando incontro ai gusti, seppur stravaganti, di tutti i suoi clienti. L’umiltà non è per tutti, e Trapani ne ha da vendere. Un grande applauso a lui e a tutto lo staff.
La mise en place.
Stuzzichini da parte della cucina.
Crostino toscano con gelatina di Aleatico e fegatini.
Burrata e cialda allo zafferano.
Scampo marinato al limone e chips al nero di seppia.
Tartare di canolicchi.
Il pane.
Ancora dei benvenuti da parte dello chef. In questo caso un chiaro omaggio alla terra natia. Pizza fritta. Ottima.
Pastella ripiena di pasta, besciamella e salumi.
Il primo vino in accompagnamento con il menù degustazione.
Cocktail di gamberi. Gamberi marinati con sedano, lattuga di mare e gelato alla mela. Ottima la qualità del gambero. Il tentativo di armonizzare la sapidità della lattuga di mare con la dolcezza del gelato alla mela è riuscito a metà.
Scampi e foie gras.
Carne di fassona, ostrica, caviale, gelatina di ostrica e limone e spuma di borraggine. Piatto di corretta concezione, dal gusto equilibrato ma dalla consistenza purtroppo discutibile. L’ostrica lasciata intera all’interno della carne non aiuta la masticazione.
Si prosegue con l’abbinamento vino
Linguine, tartufi di mare, crema al basilico, fonduta di parmigiano e limone. Spettacolari.
L’abbinamento scelto per i successivi due piatti.
Risotto patate e cozze, quinoa, pomodorino confit e limone. Il risotto visto in chiave mediterranea. Molto bene.
Triglia alla brace, crema di finocchio, arancia e nocciole tostate. Piatto potenzialmente buono ma privo di mordente.
Un super classico.
Piccione, crema di albicocche, funghi porcini e tartufo nero. Cotture perfette e abbinamenti tanto classici quanto azzeccati. Ottimo piatto.
“Rabarbabietola”. Mousse alla barbabietola, sorbetto al rabarbaro, meringa alle fave di Tonka. Trapani ha una bella mano anche in pasticceria.
Il vino da dessert
Torrone ghiacciato 2015. Un classico della pasticceria firmata Trapani che ogni anno viene aggiornato. La versione 2015 accompagna il semifreddo al torroncino con un biscotto al pistacchio, una marmellata e un sorbetto di arancia. Ottimo.
La piccola pasticceria con una menzione speciale per la sfogliatella.
L’apparenza inganna, è proprio vero. Succede anche a Forte dei Marmi, in una serata di giugno, camminando sul lungomare. Strade perfettamente asfaltate, piste ciclabili ben segnalate e spiagge con file di ombrelloni ordinatamente “incappucciati” attendono solo l’arrivo dei turisti. Le edicole mostrano locandine di giornali russi e sparsi qua e là i ristoranti scalpitano nell’attesa di risvegliarsi dopo il torpore invernale.
É proprio da queste parti che si trova il Bistrot. Un menù scritto prima in inglese e poi “tradotto” in italiano, camerieri in livrea e un considerevole numero di coperti lasciano subito presagire l’ennesimo locale creato ad hoc per turisti sprovveduti.
E invece no. Merito dei Vaiani, famiglia di ristoratori, che dal 1990 è alla guida di questo bell’esempio di ristorazione versiliese. Piero, il capofamiglia, ogni giorno coglie dalla sua azienda agricola frutta e verdura da portare al ristorante, mentre David, suo figlio, si occupa della gestione. La sala è rifinita nei dettagli, elegante, ricercata e a tratti sontuosa come pare essere gradito alla clientela. Enormi vasi di fiori ne delimitano il perimetro e la veranda esterna, a due passi dal mare, è decisamente adorabile. Il servizio, sorridente e premuroso, rende il tutto ancora più piacevole.
Sfogliare l’importante carta dei vini accarezzati dalla brezza marina, in compagnia di un bel tramonto, sarebbe di per sé già sufficiente per giustificare la visita. David però non si accontenta e quindi con grande intelligenza, in compagnia dell’amico fraterno Daniele Angelini, da molti anni chef del Bistrot, offre una cucina ricercata e curata. Piatti semplici, cucinati con una buona materia prima, dal gusto rotondo.
Un antipasto di crudità apre le danze convincendo nel momento in cui crostacei e “carpacci” si presentano “nature”, lasciando invece un po’ perplessi quando l’estro dello chef lo spinge a lanciarsi in abbinamenti un po’ più arditi. Semplicità che paga anche nello spaghetto, gamberi, fave e pomodori canditi. Piatto goloso e fresco allo stesso tempo, che riesce a contestualizzarsi perfettamente con l’ambiente.
Le note dolenti invece arrivano da alcune pietanze che ci sono apparse piuttosto slegate nell’assemblaggio. É questo il caso del medaglione di pescatrice impanato con insalata di carciofi e olio alle arance, in cui la convivenza forzata di pesce e verdure finisce per sminuire la loro dignità. Peccato. Ugual discorso anche per quanto riguarda lo spiedino di calamaretti con zucchine, pomodorini e crema di burrata.
La sala si riempie, molti russi e una manciata di lombardi sembrano apprezzare il locale, il suo concept e la sua cucina. Tutt’intorno sorrisi, complimenti e soffuse risate regalano fascino ad un ristorante con un’energia propria già decisamente positiva. Dal forno a legna continua ad essere sfornato il pane, le bottiglie vengono stappate. Mentre arriva il nostro dessert, un’ottima rivisitazione del più celebre dolce italiano, il tiramisù, abbiamo l’impressione che la serata possa non concludersi mai, proseguire da lì all’infinito.
A pasto concluso ci si trova a camminare sulla spiaggia deserta, pensando che paradossalmente, in un luogo tanto assurdo come può essere Forte dei Marmi fuori stagione, un locale come il Bistrot riesca ad avere un senso, con la genuinità dei proprietari, lo stile del ristorante e perchè no grazie anche ai suoi clienti.
La bella sala
Un aperitivo. Una crocchetta di ricotta e nel bicchierino un infuso di pomodoro, cozze e crostini di pane.
La schiacciatina
Pane e grissini fatti in casa, sfornati dal bel forno a legna.
Piatto di crudità di mare. Ottima materia prima, talvolta intaccata dall’eccessiva presenza di germogli o da abbinamenti poco riusciti come salmone e caffè…
Medaglione di pescatrice impanato alle erbe, con insalata di carciofi e olio alle arance.
Spiedino di calamaretti, zucchine, pomodori, olive taggiasche e crema di burrata. Calamaretti ottimi ma piatto nel complesso decisamente poco armonico.
Ravioli ripieni di astice e bottarga, con calamaretti e astice di caviale. Piatto gourmand, caratteristico soprattutto per l’idea di “trasformare” il caviale in bottarga. Discutibile.
Spaghetti, gamberi, fave e pomodoro candito. Piatto della serata.
Scorfano alla napoletana “alla nostra maniera”. Trancio di pesce superbo. Peccato per le patate di una consistenza davvero strana: dure all’esterno e morbide all’interno.
Pre dessert. Panna cotta al cioccolato bianco con salsa alle fragole. Non all’altezza.
Tiramisù. Ottimo, quasi non fosse fatto dalla stesse mani che hanno realizzato il pre dessert.
La piccola pasticceria. Scolastica ma di ottima fattura. Bravi.
La bella cantina
Il mare di Forte dei Marmi, a due passi dalla sala del ristorante
In un mondo in cui tutto cambia velocemente, è bello che alcune cose restino uguali. Dà sicurezza.
E’ questa la sensazione che si ha entrando nel ristorante Lorenzo a Forte dei Marmi, un senso di sicurezza. Un senso di familiarità, rimasto inalterato nel corso degli anni, dato da un’accoglienza sì formale, ma mai distaccata, algida, come spesso accade in alcuni ristoranti di alto livello in cui l’ostentata cortesia, più di maniera che spontanea, mette quasi a disagio gli avventori. Qui no, qui l’ospitalità è di casa.
In questo storico ristorante della Versilia, il patron Lorenzo Viani è il direttore di un’orchestra ben affiatata sia in sala, dove è coadiuvato dalla figlia Chiara, che in cucina, regno dello chef Gioacchino Pontrelli.
Un po’ come ai grandi sarti napoletani basta un’occhiata per capire il tipo di stoffa ed il taglio d’abito più adatto al cliente, così a Lorenzo, con un savoir faire d’altri tempi, è sufficiente uno sguardo per capire le esigenze dei suoi ospiti e per cucirgli addosso un’esperienza gastronomica su misura (a patto che si lascino consigliare ovviamente).
Un’esperienza, va detto subito, senza inutili effetti speciali, incentrata sulla grande qualità delle materie prime e sulla felice mano dello chef Pontrelli che sa farle arrivare in tavola senza troppi stravolgimenti, dimostrando al contempo un’ottima tecnica.
Molto buono l’equilibrio generale dei piatti, particolarmente centrati alcuni accostamenti come quello del gambero alla fonduta di verdure aromatizzata al vermouth dry, un classico del ristorante, o dell’aragosta rosa con riduzione allo Champagne.
Qualche piccola sbavatura, un eccesso di sale sulle cozze ed una nota piccante al limite del coprente nelle linguine al basilico con crostacei, non compromette il risultato di un percorso sicuramente appagante, sapientemente giocato tra delicatezze, pungenze, consistenze e temperature.
A far da contraltare alle proposte dello chef, una carta dei vini decisamente importante per quantità, qualità e varietà con un unico limite già riscontrato nelle precedenti visite, ricarichi in alcuni casi davvero eccessivi.
Va detto, per dovere di cronaca, che nel menù trovano spazio anche un buon numero di proposte “di terra” – alcune molto interessanti – ma, a poco più di cento metri da una delle coste più apprezzate d’Italia, è davvero difficile resistere alle tentazioni del mare.
A meno ovviamente di non amare il pesce o di avere qualche forma di allergia, ma in questo caso si è probabilmente sbagliato locale.
Per tutti gli altri, per chi sa mangiare il Pesce (con la P maiuscola), il ristorante Lorenzo è uno di quei posti da segnare sulla mappa quando si passa in Versilia.
Per la qualità della proposta, certamente. Ma anche per la signorilità e lo charme di chi c’è dietro. Chapeau.
Crocchetta di gamberi con gamberetti di fondale
Il cestino dei pani…
Gambero rosso scottato in fonduta di verdura aromatizzato al vermouth dry: uno dei classici del ristorante
Involtino di porettine con mela annurca al curry
Seppioline di fondale gratinate in forno al profumo di aglio gentile di Voghiera: un grande piatto nella sua semplicità.
Le cozze nane: peccato per l’eccesso di sapidità…
Linguine al basilico con crostacei e pomodorini al profumo di ginger: ottima la pasta ed i crostacei, eccessiva la nota piccante.
Aragosta rosa in crosta di pane, riduzione allo champagne: altro ottimo passaggio.
La leggendaria maionese espressa di Lorenzo, preparata al tavolo.
Millefoglie di pescato, verdure di stagione su fonduta di topinambur profumato al crescione.
Dulcis in fundo: Pastiera 2014…
…cremino nocciola con gelato ai pistacchi di Bronte…
…e piccola pasticceria.