Passione Gourmet Zia Restaurant & Cavallino - Passione Gourmet

Zia Restaurant & Cavallino

di Leila Salimbeni

Riccardo Forapani e Antonio Ziantoni

Non ho mai amato le cene a 4 mani. Non ne ho mai colto il senso, forse a causa del fatto che sono tendenziamente una monomaniaca. Le cose mi piacciono una alla volta; e se qualcosa mi piace, ancora di più. Eppure. Eppure il richiamo di questa cena mi è parso sin da subito irresistibile. D’accordo che si trattava di tornare al Cavallino, d’accordo che vado matta per quell’esatto punto di rosso e per quel punto di giallo appena scaldato dall’ocra, d’accordo che volevo rivedere quel pavimento impossibile e rivivere quell’atmosfera alto-borghese anni ’70 specchiarsi nella cucina laccata e precisa di Riccardo Forapani, d’accordo, ma a cucinare con lui, stavolta, c’era Antonio Ziantoni e, considerato il tipo, arroccarsi dietro a stolide posizioni sarebbe stato da stupidi.

Dell’uno e dell’altro, del resto, s’é già detto.

Meno s’è fatto, invece, in termini di indagine del piatto, e di quanto ciascun piatto parli, proprio come un testo, anzi più di un testo, dell’indole di ciascuno, con tutto il precipuo bagaglio di esperienze e di casualità che riguarda la vita di ciascuno di noi.

Curioso, e lo apprendo a mia volta, come in una cena a 4 mani l’individualità dei due attori coinvolti finisca per diventare evidente per contrapposizione, come a rivendicare l’esattezza del primo principio dello strutturalismo ma questa è, a ben vedere, un’altra storia. In questa storia, in particolare, si evince come Ziantoni abbia un debole per gli incipit verde-mare, che spesso demanda all’elemento dell’Ostrica, con la sua funzione contenitiva ed evocativa; Forapani invece, dal canto suo, preferisce intrattenersi con l’elemento stagionale, l’autunno, disegnando un foliage fatto di Lumache, noci e rognoni.

E benché ciascuno di questi due piatti sia, di per sé, già parlante, la vera speculazione inizia coi primi piatti. Per Ziantoni, con quello che già al tavolo abbiamo definito una “violenza domestica”: uno schiaffo là dove ci si sarebbe aspettati una carezza, e forse anche di più. È quello che accade con Risotto, bufala, limone e genziana, una combinazione che dopo l’iniziale conforto del riso al latte, di fatto un’illusione, assesta il dritto e il rovescio di un limone sapientemente irrancidito ancorché simile a quella versione che del limone faceva una caramella dell’infanzia, la Zigulì, cui va aggiunto il trauma dell’amaro, amarissimo della genziana, solo per il gusto di spezzare la dimensione del comfort; per violentarla e costringere, come minino, a una riflessione. Né più né meno, a guardarci bene, che un piatto psicanalitico nella regressione che consente a chi saprà abbracciarla, s’intende, senza gridare allo scandalo. Forapani, dal canto suo, fa perno sulla dimensione paesaggistica autunnale con gli Anolini di zucca, gruè di cacao e burro acido, avvitandovisi profondamente nelle note boschive e invernali grazie all’espediente tostato, quasi torrefatto, del gruè di cacao, come a rivendicare il profondo legame della sua cucina col mondo della pasticceria che già avevamo avuto modo di registrare, e di lodare, in passato.

Una specificità individuale che andrà ulteriormente affiorando nei secondi, che se per il nostro ospite coincidono con l’esecuzione ludica, e mimetica, di “Che razza di pollo è?“, ovvero uno studio sulla consistenza della polpa di una razza sfilacciata all’uopo sotto a una chips di pelle di pollo, creando del pollo a tutti gli effetti l’illusione e finanche la vertigine, per l’ospitato affondano invece e ulteriormente nell’inconscio istituendo una curiosa alleanza tra Diaframma e nocciola, tutto all’insegna di una succulenza ematica molto fondente. Un piatto solo apparentemente semplice ma in realtà risolutamente viscerale, profondamente carnale, irresistibilmente istintuale.

Il gran finale è affidato a uno dei dolci più rappresentativi di Zia, il Tourbillon di Christian Marasca, ovvero una ragionatissima stratificazione tra frolla alle mandorle, frangipane e suprema alla vaniglia, la cui vertigine formale allude alle basi di qualunque velleità di tipo culinario: la tecnica della scuola classica francese.

I vini della serata:

3 Commenti.

  • Rosario26 Novembre 2022

    "come a rivendicare l’esattezza del primo principio dello strutturalismo ma questa è, a ben vedere, un’altra storia" "Né più né meno, a guardarci bene, che un piatto psicanalitico nella regressione che consente a chi saprà abbracciarla, s’intende, senza gridare allo scandalo" "razza sfilacciata all’uopo sotto a una chips di pelle di pollo, creando del pollo a tutti gli effetti l’illusione e finanche la vertigine, per l’ospitato affondano invece e ulteriormente nell’inconscio istituendo una curiosa alleanza" "Un piatto solo apparentemente semplice ma in realtà risolutamente viscerale, profondamente carnale, irresistibilmente istintuale." "a cui vertigine formale allude alle basi di qualunque velleità di tipo culinario" Lungi da me denigrare l'arduo compito di descrivere le sensazioni personali che ciascuno di noi prova quando ha la fortuna di essere ospite presso cucine importanti, lungi da me. D'altronde e per fortuna, ognuno di noi è diverso e come tale personale è la sua interpretazione del momento. MA, rileggendo queste frasi che ho preso dall'articolo (e dovendo rileggere più volte financo alcune non comprenderle tutt'ora), mi chiedo se non stiamo forse un pelino esagerando con l'arrichire questi racconti di vocaboli complessi e usati indiscriminatamente? Ricordiamoci sempre che parliamo di cucina, di professionisti che cucinano, cucinano. Non stiamo descrivendo un simposio sui "busillis" della lingua italiana. Si rischia e credetemi, è evidente, che pochissimi forse nessuno comprendano ciò che è scritto, rimandando alle foto la parziale comprensione del testo e dunque così sminuendo il lavoro Dantesco di ricerca del vocabolo. Una supercazzola ci salverà? Ad maiora, Rosario

  • Leila Salimbeni26 Novembre 2022

    Salve Rosario, mi aspettavo un commento come il suo. Riconosco che possa sembrare un testo a tratti astruso, concepito in primo luogo per intrattenere più la sottoscritta che il lettore di turno... Onanismo? Forse, del resto ho sempre considerato la scrittura un mezzo per indagare in primo luogo me stessa, accettando anche l'implicito rischio di perdere qualche lettore per strada. Magari, tra coloro che resistono, mi dico, ci sarà qualcuno che si prenderà la briga di andare a vedere cos'è stato lo strutturalismo, per dirne uno, e allora significherà che la presente supercazzola non è stata del tutto vana. Per tutti gli altri, internet pullula di testi che non richiedono alcuno sforzo intellettuale, né che abbiano la benché minima velleità di contribuire in alcun modo alla conoscenza di questa bizzarra specie cui apparteniamo. Quel che è certo è che, dal canto mio, non sentirò la loro mancanza. Ad meliora, L.

  • Rosario28 Novembre 2022

    Grazie per la risposta Leila, anche io mi aspettavo nella sua risposta il vittimismo e il "di tutta l'erba un fascio". Le viene sicuramente molto meglio scrivere, piuttosto che leggere per comprendere. Grazie comunque per lo sforzo, non abbandonerò sicuramente la lettura di Passione Gourmet né dei suoi articoli, serve altro. Ma la sua mission, di divulgare e far conoscere (al di là delle foto) è certamente da rivedere. Buona giornata, Rosario.

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