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Lefay Resort & SPA Lago di Garda

Uomo e natura

Un’oasi di benessere a tutto tondo, questo è il Lefay Resort & SPA Lago di Garda. A Gargnano, nell’incantevole Riviera dei Limoni, con i suoi 11 ettari tra colline e terrazze naturali di boschi e uliveti, spicca non solo per l’impagabile e iconica vista sul lago ma come destinazione unica. La natura, che circonda l’eco-resort del gruppo Lefay, e in cui è immerso, è il fil rouge che lega la SPA, otto volte miglior SPA d’Europa e due volte miglior SPA al mondo, la cucina – basata suII’etica e la stagionalità – fino allo stile delle camere e l’impegno alla ridotta emissione di CO2.

La SPA

Dopo l’apertura primaverile del 2022, dovuta al completamento del restyling della struttura e l’ampliamento con la nuova area Adults only, che offre una sauna panoramica finlandese affacciata direttamente sul Lago, un idromassaggio a sfioro con vista e la cascata di acqua temperata “Aquamoon”, il Lefay Resort & SPA Lago di Garda accoglie in un vero e proprio santuario del benessere. Sono i principi della medicina cinese uniti alla ricerca scientifica occidentale a fondare una proposta volta alla rigenerazione di mente e copro. Un vero e proprio tempio del benessere che, nei sui 4300 metri quadrati, si completa con nuovi programmi salute Lefay SPA Method, come le proposte dedicate alla longevità e all’aumento delle difese immunitarie.

Il cibo per l’anima

La filosofia di cucina Lefay Vital Gourmet, volta alla valorizzazione dei prodotti del territorio e delle loro peculiarità, offre una doppia proposta: il ristorante più informale La Limonaia e il gourmet Gramen. Se la dieta mediterranea e dunque le materie prime di stagione, l’olio extravergine d’oliva, gli agrumi del lago e le erbe aromatiche degli orti locali costituiscono i fondamenti di una cucina “vitale” e leggera al ristorante La Limonaia, al Gramen la stessa filosofia si declina privilegiando l’elemento vegetale e il pesce, evitando l’utilizzo di carne, latticini e derivati, ed esaltando i prodotti della terra, alcuni dei quali provenienti dal giardino energetico terapeutico che circonda il Resort.

Gli spazi e lo stile

Il primo cinque stelle lusso del Lago di Garda offre varie tipologie di suite in base ad ogni esigenza: le Prestige Junior Suite, le Deluxe Junior Suite (con balcone), le Family Suite, le Exclusive Suite – con Jacuzzi vista lago -, le Sky Suite con sauna privata e la Jacuzzi esterna situata in una terrazza panoramica, e le lussuose ed esclusive Royal Pool & Spa Suite. Lo stile che contraddistingue l’intero complesso e caratterizza ciascuna delle stanze, prediligendo tessuti naturali, pregiati materiali come marmi italiani, legno di ulivo e noce, è in totale simbiosi con la natura circostante. Dal lounge bar, che si affaccia su una splendida terrazza vista lago, fino alle aree dedicate ai meeting, e ancora l’impostazione carbon neutral e l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili, corredano un’offerta che al primo posto mette l’armonia e la pace.

La cucina “class-ica” di Roberto Stefani

A Sirmione, nella strada che porta al Castello Scaligero, direttamente in riva al Lago, col suo grazioso dehors, c’è il ristorante Tancredi. Il nome, in onore del cantante lirico Tancredi Pasero che possedeva una dimora proprio sulla penisola. La “musica”, qui, è diretta da Roberto Stefani, scuola di Gualtiero Marchesi e Antonio Guida, con un imprinting di quest’ultimo molto forte, avendo collaborato per anni, con lui, sia al Pellicano sia al Seta sia per l’apertura del Mandarin Oriental a Bodrum. Dopo un periodo trascorso Alla Lepre a Desenzano e alcune consulenze, è partito per questa apertura, nel periodo appena pre-Covid.

La sua è una cucina di impostazione classica, elegante, raffinata, nitida nei sapori, con cotture millimetriche e salse tirate alla perfezione. È “class-ica”: classica con classe, piacevolmente gustosa, molto equilibrata e a fuoco, prevalentemente ittica, anche se nel menù alla carta ci sono anche proposte di carne.

Sotto la terra e sotto l’acqua

È il nome del menù degustazione che parte con un piatto che racchiude entrambi gli elementi, oramai divenuto un signature dish: il king crab con purea di patate viola, aria di Champagne e caviale di aringa affumicata, un piatto perfetto per equilibri dei vari ingredienti con una gradevolissima nota acidula di fondo. Sorprende per intensità il risotto con limone candito, polvere di sarda del lago e salmerino, per la capacità di incuriosire piacevolmente il palato.

Tutti i piatti sono eseguiti in modo esemplare, con una elegante delicatezza di fondo: spicca, al riguardo, per le eco al lontano Oriente, il rombo al Vadouvan, ricoperto di amaranto al cavolo viola, accompagnato da una salsa all’ostrica.

La parte dessert ha la supervisione della creative pastry-chef Annalisa Borella, con un curriculum che vanta anche lei Gualtiero Marchesi e poi Stefano Baiocco e Mauro Colagreco; il suo curd di limoni, arancia amara, aria di capperi ed erbe aromatiche è davvero notevole per complessità e intensità, con i vari ingredienti che rimbalzano e arrivano in modo forte e deciso.

La carta dei vini vanta 500 etichette, con una bella selezione sulla Francia. Il servizio è affabile e preciso: nota di merito per l’attenzione rivolta agli amici quadrupedi, a cui vengono portati dei biscottini davvero graziosi oltre, ovviamente, alla ciotola d’acqua.

In conclusione, un’area potenziale di miglioramento, che ci sentiamo di suggerire, consiste nell’alzare l’asticella delle intensità: perché la tecnica, l’equilibrio, la precisione e le capacità ci sono tutte per farlo e accedere, così facendo, a un punteggio più elevato.

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Complessità, filologia e bellezza

La cucina che si assapora al Lido 84 di Riccardo Camanini è ricchissima di riferimenti che conferiscono alla stessa un enorme fascino. In occasione di ciascuna visita si colgono rimandi alla grande scuola francese, all’avanguardia basca e agli asadores nonché al periodo marchesiano – basti pensare all’iconico riso, aglio nero e frutti rossi, dedicato allo scultore Stefano Bombardieri – cui si aggiunge una ricerca filologica maniacale, che permette all’ospite di approcciarsi tanto alla cultura gastronomica romana – sì come tramandata da Marco Gavio Apicio – quanto alle tradizioni dei pastori bergamaschi. 

Eppure, pare che agli occhi del cuoco di Lovere questi diversi linguaggi siano connessi da un sottile filo invisibile che consente loro di comunicare e combinarsi, dando a vita a nuove creazioni e sincretismi che, in ultima analisi, si risolvono in una cucina autoriale profondamente originale, coerente, armonica e italiana. Invero, in quello che di primo acchito potrebbe sembrare un paradosso, l’utilizzo di tecniche e linguaggi distanti dalla nostra tradizione gastronomica finisce per esaltare, nobilitare e traghettare quest’ultima nel presente – a tal riguardo, Ciccio Sultano evidenzia spesso come il verbo tràdere in latino significasse tanto tramandare quanto tradire – in un’esperienza gastronomica che trasuda italianità: basti notare come, spesso, i buongustai giramondo indichino il ristorante Lido 84 di Gardone Riviera come un luogo capace di rappresentare al meglio il nostro Paese.

Nell’ultimo anno, il governo di tale complessità ha segnato un ulteriore progresso, sfociato in menù più organici, anche grazie all’introduzione di un nuovo percorso a nove portate. A ciò si aggiunga la perenne ricerca della bellezza in ogni ambito: dalla mise en place, alle opere dei grandi designer italiani, sino ai gesti della sala, sempre orientati a un’accoglienza autentica e calorosa, per la quale Giancarlo Camanini merita più di un plauso. 

Il menù “Oscillazioni”: tradizione e tradimento

Il menù “Oscillazioni” – da quest’inverno declinato in sette o nove portate – consente di degustare i piatti più recenti, in gran parte non presenti in carta. Con fusilli, crema di porro, bottarga e triglia fritta, Riccardo Camanini conferma ancora una volta di essere uno dei migliori interpreti nell’utilizzo della pasta, in un piatto che combina dolcezza, note iodate e salmastre, con un’aggiunta di croccantezza. In canocchia cruda in brodo di aglio nero, cardamomo, speck, marsala, funghi, burro tostato e limone le note di terra e l’umami del brodo sposano meravigliosamente la dolcezza del crostaceo, la cui texture si imprime indelebile nella memoria. 

Un’interpretazione eccezionale di un piatto di caccia è poi topinambur alla brace, grasso d’anatra, miele, salsa di cervo e cardamomo, in cui a sparigliare le carte è la cottura del tubero alla brace: in termini di consistenza – ovviando alla monotonia che spesso si ritrova nelle lunghe cotture delle carni – nonché con l’aggiunta di una piacevolissima nota di fumo e la concentrazione del sapore della radice. 

Poi, due piatti accomunati dalla ricerca filologica di cui si è detto in precedenza, ovverosia il rognone Apicius al torchio e la sbernia in salmì, polline, ruta e pera all’alchermes. Nel secondo, in particolare, la pecora viene immersa nel vino con aromi ed essiccata, come erano soliti fare nel passato i pastori bergamaschi. Tuttavia, alla lavorazione originaria se ne aggiunge una seconda, in cui l’ovino – la sbernia – viene cosparso di miele e racchiuso in un guscio di cera d’api e, infine, cucinato in salmì, trasformandolo in una sorta di marmellata straordinariamente complessa ed elegante. Un “tradimento della tradizione” indispensabile a smussare le asperità gustative e ad ammorbidire la carne, rendendola così “leggibile” anche per i palati contemporanei.

Un pranzo al Lido 84 di Riccardo Camanini è un viaggio tra storia, pensiero e linguaggi gastronomici che – nonostante i numerosi successi già raggiunti – fa presagire altre tappe ancor più entusiasmanti. 

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Un cigno sul Lago di Garda

Sempre più frequentemente ristorazione d’autore e hotellerie di lusso si fondono per consentire all’ospite di godere nell’ambito della medesima struttura ricettiva di servizi ricercati e di alto pregio. Così, da maggio 2021, la sponda nord-occidentale del Lago di Garda si arricchisce di un nuovo indirizzo per gli amanti del fine dining e dell’ospitalità di elevato rango dal nome EALA che, in celtico, significa cigno, animale che allegoricamente simboleggia bellezza, stile ed eleganza.

Mai nome fu più azzeccato! Con i suoi sette piani che si estendono in verticale direttamente sul Lago, il Resort domina imponente il Benaco abbracciando, in un sol sguardo, tutte le Regioni che esso bagna. Qui, tutta la ristorazione (composta da un Bistrot e da Senso, il ristorante di punta della struttura) è affidato ad Akio Fujita, già noto agli addetti ai lavori e agli appassionati per le sue importanti esperienze dolomitiche alle spalle e sotto l’egida di Alfio Ghezzi che, dopo aver lasciato le redini di Locanda Margon e aver aperto il suo ristorante al Mart di Rovereto, ha sposato il nuovo progetto Benacense divenendone l’executive chef. 

Partenza ad ali spiegate

Quando le aperture non sono improvvisate ma frutto di una ragionata progettualità e, naturalmente, di importanti investimenti economici e umani, la fase di rodaggio la si può tranquillamente superare. Infatti, dopo pochi mesi dall’apertura, sorprende il grado di perfezione che è stato raggiunto tanto nella gestione della sala quanto nella gestione dei menù che mutano periodicamente in base alla stagionalità. Certosino il lavoro sui vegetali (zucchine, fagiolini, funghi shiitake) e sui pesci di lago (spesso ridotti in brodo e zuppe dalle esaltanti concentrazioni di sapore) che rappresentano il leit motiv della rosa di piatti in menù; e diversamente non sarebbe potuto essere considerata la biodiversità della zona. Il piglio internazionale di Akio Fujita e l’attaccamento al territorio di Alfio Ghezzi creano un perfetto equilibrio tra le diverse specie vegetali e animali che riescono a convivere in numerose creazioni grazie a reciproche interazioni, sempre dosate e calibrate nell’intensità di sapori.

Punto di forza della cucina sicuramente i primi piatti, ben assortiti tanto nella loro selezione quanto nelle loro preparazioni, tra i quali spicca l’omaggio a Gualtiero Marchesi (maestro anche di Alfio Ghezzi) ossia un risotto allo zafferano di Tremosine cotto a puntino nel vino bianco per donare un po’ di acidità al boccone, presentato all’interno di un piatto d’oro.

Chiude una bellissima esperienza culinaria una assortita carta dei vini con giusti ricarichi gestita sapientemente dal giovane Manuele Menghini, già noto nel mondo della sala a livello nazionale per aver affiancato per diversi anni i fratelli Camanini al Lido84. Insomma, un “cigno” che si muove ad ali spiegate e che s’impone in modo prepotente e prorompente nell’alveo dell’alta ristorazione lacustre, destinato a divenire punto di riferimento di una clientela pretenziosa che vuole coniugare cucina d’autore a benessere di lusso.

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La vista suggestiva e la cucina di Fabrizio Molteni

La Perla del Garda, resa eterna dal poeta latino Catullo, ha in sé un altro gioiello che si affaccia sulle acque del lago. È una vista incantevole quella che si gode dal dehors e dalla sala, circondata da ampie vetrate, de La Speranzina. In estate, nel grazioso giardinetto, che introduce alla residenza con quattro suite di grandi dimensioni, prendono posto tredici tavoli apparecchiati con eleganza e impreziositi dal panorama a bordo del lago. Se piove? Speculare, rispetto alla sala principale a piano terra, il piano inferiore del ristorante, con pareti scandite da oblò strategici, che lasciano intravvedere il livello del lago, è in grado di dare un confortevole riparo, in caso di maltempo, a tutti gli ospiti che avrebbero voluto cenare all’aperto.  

Arredi e tovagliame bianchi si sposano a meraviglia con l’azzurro cangiante del lago e del cielo che le luminose vetrate fanno risaltare. L’ambiente è raffinato e romantico: fiori freschi sono su tutti i tavoli. L’accoglienza del proprietario Stefano Giordani e del personale di servizio è di grande gentilezza e professionalità. L’apparenza qui non inganna. In cucina c’è tutta la solidità e l’esperienza di Fabrizio Molteni, autentico “Marchesi boy”, che ha governato i fornelli de L’Albereta, in cui era entrato come commis tra il 1994 e il 1995, per sette anni (dal 2004 al 2011). Nel mezzo, varie incursioni nelle capitali d’Europa, nei locali aperti dal Maestro.

Tra edonismo e superbe cotture

Chi non sceglie alla carta può optare per uno dei tre percorsi disponibili, dalle porzioni sorprendentemente generose: “A mano libera…” (7 portate inedite a 110 euro), “La nostra storia…” (5 piatti a 90 euro) e “Vegetariano” (5 portate a 80 euro). Colpisce, di Molteni, la maniacalità nella scelta della materia prima: non si tratta di una posizione aprioristica, ma della conseguenza diretta dal suo approccio edonistico alla tavola e della sua ineccepibile capacità di riservare a ciascun ingrediente la cottura più idonea per evidenziarne le qualità intrinseche. La mano classica e l’ispirazione che attinge dal mondo si concretizzano in piatti dai sapori integri e bilanciatissimi che, tra l’altro, Stefano Graziani riesce a raccontare con sintetica e leggiadra efficacia al tavolo.

Così il morone del Mar Ligure in salamandra, frutti del mare, salsa di curry e cocco unisce all’esotismo del condimento una texture ineditamente compatta del pesce (noto per la polpa collagenosa), che Molteni riesce ad ottenere grazie a una cottura violenta. Nell’anguilla arrosto, salsa Shogayaki e cipollotti, l’umami è in primo piano ma vivacizzato da fresche note di zenzero e cipolla che si sprigionano dalla salsa nipponica che, con felice intuizione, qui è accostata al pesce e non al maiale come in genere è in uso in Giappone. Sontuoso il cannellone chiuso, coda di manzo brasata, salsa Soubise e tartufo nero.

Cucina e servizio di livello si specchiano in una cantina ricca di referenze prestigiose, ben gestite da Andrea Borini cui ci si può serenamente affidare, sia per un consiglio, sia per un eventuale percorso enoico che assecondi, con pertinenza e soddisfazione, le proposte della cucina.

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