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Iyo

Paradigma di ristorante fusion italo-giapponese

Occorre riconoscere un grande merito a Milano. O più propriamente al popolo dei gourmet milanesi (stanziali o di passaggio poco importa). Sono loro che, più di vent’anni fa, hanno compreso per primi in Italia il valore gastronomico delle cucine etniche, riconoscendo che potessero rappresentare molto di più di una soluzione cheap come avveniva nel resto dello Stivale, dove imperava il diabolico all-you-can-eat, e che anzi potessero offrire un’esperienza gastronomica di alta qualità, con conto conseguente. Claudio Liu, che del ristorante Iyo di Milano è il creatore e il proprietario, di questo movimento non è stato l’apripista, ma colui che, progressivamente, ha saputo più di ogni altro spostare in alto il limite fino a oltrepassare i confini nazionali e a competere in una sorta di Champions League in cui giocano tutti i primatisti di questa disciplina, seppure con diverse inclinazioni: Umu a Londra, Koy Shunka a Barcellona, Sushi B a Parigi, Yamazato ad Amsterdam, Kabuki a Madrid, Yoshi a Montecarlo.

Ci perdoneranno i cultori del genere se ne dimentichiamo qualcuno. Il modello perseguito è stato fin dall’inizio quello del fine dining contemporaneo da grande città, incernierato su quattro cardini: atmosfera sofisticata, carta dei vini (in questo caso anche dei sake e dei tè) imponente ed equipaggiata di etichette esclusive, brigata di sala numerosa, preparata e con la giusta dose di formalità, cucina che abbini solidità, creatività e massima attenzione per l’aspetto estetico. Se per quanto riguarda gli ambienti, qualche centimetro in più tra un tavolo e l’altro non guasterebbe, servizio e cantina hanno raggiunto standard decisamente elevati grazie alla guida esperta di Danilo Tacconi, direttore di sala e sommelier che al savoire faire da grande maison unisce una competenza enologica fuori dal comune.

Solo estetica? No, anche molta sostanza

Per quanto riguarda la cucina, la squadra è diretta da una terna di professionisti: lo chef de cuisine Giampiero Brotzu, il sushi chef Katsumi Soga e il pastry chef Luca de Santi. Quando si affronta il menu bisogna armarsi di pazienza: le pagine dedicate alle vivande sono 15 e scegliere non è semplice. Andiamo con ordine: i vari sushi, sashimi e chirashi possono vantare una precisione esecutiva di prim’ordine tanto nella preparazione del riso quanto nei tagli del pesce. Si spazia dai nigiri classici e “speciali” ai gunkan e agli uramaki come, ad esempio, lo “yume”: tempura di gamberi e shiso, carpaccio di tonno marinato in salsa di soia con crema wasabi.

Riconoscibile, per i palati più scafati, l’impiego di materie prime impeccabili (anche in questo caso, essere a Milano aiuta non poco), fattore che appare ancora più evidente pescando nella sezione creativa del menu. L’accuratezza estetica che appare nelle presentazioni trova solidi contrafforti nella grazia delle texture e in una girandola di sapori netti, riconoscibili e bilanciati con precisione millimetrica. Ne citiamo tre: hotate usuzukuri (carpaccio di capesante, vinaigrette allo yuzu, umeboshi, caviale Royal Oscietra e polvere di shiso rosso disidratato), ika somen (crudo di calamaro sfrangiato, caviale Royal Oscietra, verdure croccanti, uovo di quaglia e salsa soba dashi) e la tartare di wagyu, cracker di amaranto, estrazione di mandorla d’Avola, zucchina trombetta e katsuobushi di mela.

L’altra faccia della medaglia è la cucina cucinata, che ai classici tempura, gyoza, zuppa di miso affianca una proposta creativa, ancora una volta centrata sulla contaminazione. Complesso, elaborato ma decisamente goloso il piccione in tre cotture: il petto in padella con il suo fondo e senape e accostato a insalata belga marinata in osmosi in salsa di soia e miele con granella di arachide; la coscia in crosta di riso soffiato; tsukune (polpetta) di stracotto di ala, patata e shiso. Il “Monte Fuji“, rivisitazione del classico Montblanc composta da mousse leggera di panna con il tocco fusion del cuore di sudachi, cremoso al marron glacé, frolla di castagne, cioccolato fondente è la dimostrazione che la pasticceria è in perfetta assonanza con la cucina tanto nelle idee quanto nella qualità esecutiva.

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Takeshi Iwai e Giuseppe Iannotti condividono AAlto, per una visione comune di “cucina libera”

Cucina libera”. Intesa come la “volontà di rendere omaggio ad una scelta coraggiosa, nella concezione prima ancora che nei piatti”. Identificare i connotati di una cucina “libera” fa principalmente pensare alla facoltà di agire con proprio arbitrio e senza limitazioni. È questo il cardine alla base dell’iniziativa di Claudio Liu, patron del gruppo IYO e Takeshi Iwai, punta di diamante della scuderia di cucina del gruppo, che hanno aperto le porte dell’elegante AAlto a Giuseppe Iannotti, fresco di seconda stella Michelin cucita sulla giacca e grande conoscitore della cultura gastronomica giapponese la cui influenza è presente in maniera predominante nei piatti del suo Kresios a Telese Terme.

E non poteva esserci luogo migliore per questa interessantissima iniziativa con la quale si cerca di portare in tavola un paniere di idee e tecniche che, messe a fattor comune, si prefiggono l’obiettivo di regalare al commensale un viaggio – inaspettato – nei sapori del mondo, spaziando, appunto, senza schemi e confini, in “un foglio bianco che prenderà forma attraverso le linee e i colori inediti tracciati dagli chef”.

Il primo appuntamento è stato suggellato da una serata perfetta in cui i due cuochi, appunto, si sono scambiati idee condividendo le rispettive visioni di cucina. Ne abbiamo colto quale comune denominatore la grande passione ed il rispetto che lo chef campano e lo chef giapponese nutrono reciprocamente per le rispettive culture d’origine, tratteggiate da due stili molto personali identificabili per tutto il percorso, già solo dopo i primi sorprendenti assaggi.

Sussulti dall’altissimo gradimento arrivano con la tartelletta con battuta di manzo e alga nori (e polpo), le seppie, midollo e caviale e l’interattivo risotto a mano con gelato ai ricci di mare e olio alla vaniglia di  Takeshi Iwai, strepitosi per l’intensità gustativa, così come il cracker di semi, burro e muschio di Irlanda, il libidinoso uovo al tartufo bianco d’Alba e la zuppa di funghi di Giuseppe lannotti.

Piatti, questi, che danno saggio delle capacità di due cuochi tra i più interessanti nel panorama nazionale.

Una cena riuscita, non banale e di alta qualità – cui ne faranno seguito altre – andata sold out in meno di un’ora. Una commistione tra Italia e Giappone interrotta soltanto dal goloso intermezzo della pastina al formaggio, piatto signature del Kresios, e accompagnati da una centrata mescita che parte dalla Francia e arriva, ovviamente, fino al Giappone, passando per il confine friulano e per le Langhe, per approdare nuovamente in Francia.

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Takeshi Iwai da AAlto: una (nuova) stella a Milano

Claudio Liu colpisce ancora. Dopo la crescita esponenziale in pochi anni del suo Iyo e il delivery di alta qualità di Aji, ha bissato, anzi triplicato, in grande stile con un nuovo, bellissimo, locale in piazza Alvar Aalto, affidato alle cure di Takeshi Iwai.

L’omonimo ristorante che offre due esperienze completamente diverse tra loro ma uniche nel rispettivo genere a Milano: Iyo Omakase, che propone, soltanto con 8 posti al bancone, la possibilità di fare una degustazione quanto più prossima a un autentico omakase giapponese, e AAlto, il ristorante gastronomico affidato al talentuoso Takeshi Iwai, vecchia conoscenza del panorama cittadino all’affascinante Ada e Augusto, a Gaggiano, alle porte di Milano.

Iwai, formatosi, tra gli altri, da Pino Cuttaia e Anthony Genovese, è stato insignito della stella Michelin nonostante avesse avuto pochissimo tempo a disposizione per esprimersi a causa del Covid. Evidentemente è bastato un assaggio agli ispettori per appurare il grande talento del cuoco giapponese.

La cucina brillante di Takeshi Iwai

E noi siamo assolutamente d’accordo con il giudizio della rossa, perché da qui da AAlto il livello tecnico e concettuale dei piatti proposti è uno dei più interessanti del panorama cittadino, e non solo. Una fusion che sa molto di Giappone quanto di Italia, di stampo assolutamente gourmet, probabilmente frutto di una lunga messa a punto durante il fermo forzato, in grado di regalare assaggi che esaltano, senza esitazione, mente e palato evitando scorciatoie ruffiane.

Un esempio, su tutti, è il risotto aspro con gelato di alga kombu e ostriche, fiori di Sakura, aringa affumicata e olio al levistico, piatto da triplo salto carpiato che svetta dopo una serie di assaggi tecnicamente millimetrici, e seguito da uno splendido piatto principale (manzo, bacche di mirtillo e melanzane cotta in stile sukiyaki, meravigliosa).

Ma è già dalle portate precedenti che si nota la notevole mano di Iwai il quale gioca con culture gastronomiche diverse tracciando uno stile personale che rende omaggio, in egual distribuzione, alla cucine orientale e occidentale, lasciandosi andare con una dichiarazione d’amore per il Bel Paese (lo spaghetto cacio e pepe alla tsukemen con brodo di anguilla in saor viene servito con le bacchette ma l’anima che prevale è quella della tradizione italiana).

Da AAlto il menu degustazione lungo – che consigliamo – è concepito davvero come un crescendo che, anche sui dessert, non lascia indifferenti tanto che vi consigliamo di assaggiarne qualcuno in più, perché sono davvero notevoli, sotto tutti i punti di vista.

Claudo Liu, lo ribadiamo, ha fatto e sta facendo le cose in grande, anche mettendo in piedi un servizio di sala di altissimo livello e una cantina di spessore, costruita in maniera ragionata che pecca solo di qualche ricarico di troppo.

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Giovani forchette alla riscossa. In questo spazio di PG, raccogliamo dunque testimonianze, racconti, itinerari e segnalazioni di giovani penne dall’attitudine ‘buongustaia’, che autonomamente hanno trovato affinità con il nostro approccio. Non sarà consentito loro, per ora, di esprimere un voto, ma solo commenti e descrizioni della loro esperienza. Il canale ‘Young Forks’: ai giovani parole e forchette, a voi la lettura.

Perfetta semplicità

Da anni punto di riferimento per i milanesi che cercano una cucina giapponese di livello, il menù degustazione “I classici” del ristorante Iyo tiene fede alle promesse con una proposta che eleva i piatti più conosciuti dagli amanti dei sapori orientali ad un gradino superiore grazie a una tecnica perfetta e alla elevata qualità del pescato.

Equamente divisa fra portate calde e fredde, la proposta vede come assoluta protagonista la materia prima, in tutta la sua semplicità. Si parte quindi con un’alice temaki sfizioso e rotondo, in cui la ricotta di bufala e l’alice si fondono alla perfezione. Si continua con il sashimi di berice, salmone e ricciola, con la puntuale spruzzata di sakè nella salsa di soia per esaltare ancora di più il sapore del pescato e con i nighiri, il cui riso ancora tiepido non è più solo un sottofondo ma un piacere a se stante.

Degni di nota anche gli ebi gyoza, nei quali l’aggiunta del sedano lega il piatto ai profumi accoglienti dei nostri brodi invernali ma, menzione di merito, sicuramente, va ai gunkan in cui il pesce si scioglie in bocca esprimendo tutto il suo potenziale, ancora più che nel sashimi.

Il servizio è accogliente e cortese e il sommelier si muove sapientemente nella vastissima selezione di vini e di sakè, riuscendo a soddisfare i gusti di ogni commensale.

Unica nota stonata, i dessert, occidentali: ci saremmo aspettati dei dolci giapponesi, ma quelli proposti sono comunque ben eseguiti. L’ambiente è ampio ed elegante, molto curato ma, forse, un po’ rumoroso.

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Iyo: il ristorante fusion perfetto

Uno dei ristoranti di maggiore successo in città, da ormai tanti anni, è un giapponese, anzi, forse l’appellativo più appropriato è fusion, di stampo giapponese, ma con un accento italiano.

Iyo, gestito dalla famiglia Liu, tra i ristoratori più lungimiranti della città (imperdibili anche Ba e Gong, anch’esse fusion ma di base cinese), è un gioiellino, sotto diversi punti di vista. L’offerta gastronomica in primis, costante come poche, accompagnata da una imponente carta dei vini, con la sezione dedicata a Champagne e sakè che ha una vastissima scelta di etichette, una location perfetta per questa esperienza, con luci soffuse e, dulcis in fundo, un servizio di sala dinamico, sopra le righe.

Ecco il segreto del successo di Iyo che, non a caso, fa parte della ristretta cerchia di ristoranti “asiatici” in Europa a fregiarsi dell’ambita stella Michelin.

E la cucina? Molto buona, per sensibilità di lavorazione del prodotto, rotondità del gusto ed opulenza di ingredienti (pensiamo alla scelta del caviale, ricaduta sulla varietà Kaluga Amur, il più pregiato in commercio, o al wagyu). Non è una cucina che fa sobbalzare dalla sedia con colpi d’ala particolari, ma è tecnicamente inappuntabile, delicata e livellata verso l’alto. Il menu ha il solo difetto (per molti comunque è un pregio) di avere una scelta troppo vasta, essendo suddiviso in sezioni di preparazioni (nigiri, roll, entrate, paste, etc.) la cui consultazione rischia di risultare dispersiva.

Ciò detto, non venite qui per il sushi, anche se è ottimo, ma per assaggiare le originali creazioni di Michele Biassoni, giovane chef già alla corte di Cracco, che predilige intelligentemente la commistione di ingredienti italiani e internazionale con basi e tecniche giapponesi. È il caso degli Spaghetti di grano saraceno, crema di tuorlo d’uova, fagiolini, tartare di gamberi e zenzero in tempura, che vuole richiamare una carbonara orientaleggiante, o l’ottima insalata di erbe, garusoli, cetriolo e salsa ai 3 oli al peperoncino che ricalca le basi di una insalata mediterranea. C’è anche qualcosa di avulso dal contesto, come il petto e la coscia di quaglia francese che, nonostante la salsa a base di miso rossa, si avvicina più alla cultura transalpina risultando, in ogni caso, uno dei migliori piatti della serata.

Come avrete inteso, consigliamo quindi un’esperienza a tutto tondo come quella del degustazione “Faccio Iyo”. La valutazione, arrotondata per eccesso, ci sembra corretta per segnalare il punto di riferimento della cucina fusion in Italia.

Ci auguriamo quindi che, nonostante la sua proverbiale costanza, Iyo continui la sua ascesa verso la ricerca e la novità, come ha fatto nel corse degli anni, alimentando la luce del suo faro interiore, oggi già molto abbagliante.

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