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Votavota

La Sicilia che corre veloce

La crescita turistica della Sicilia, in particolare di quella lunga striscia di terra che va da Noto a Punta Secca, per allungarsi verso le grandi città d’arte iblee, è sotto gli occhi di tutti. L’isola sta diventando una meta turistica importante e di grande richiamo e la voglia di fare impresa dei siciliani sta rispondendo in maniera convinta. Tanta qualità in questa zona, sia ristorativa che ricettiva, era una situazione impensabile fino a qualche tempo fa.

Sulla scia dei grandi nomi (Ciccio Sultano e Corrado Assenza su tutti) sono emerse delle realtà importanti di cui in parte vi abbiamo già parlato su Passione Gourmet: pensiamo a Vicari a Noto, Accursio a Modica, a Scjabica a Punta Secca, ma la lista potrebbe essere molto lunga.

L’impresa di Giuseppe Causarano e Antonio Colombo merita di stare tra questi nomi.
Dopo l’apertura del temporary restaurant a Sampieri, all’interno dello stabilimento balneare Pappafico, tutt’ora attivo nella stagione estiva, hanno deciso di puntare con decisione sul lungomare Andrea Doria con l’apertura del loro ristorante a Marina di Ragusa. E al Votavota (questo il nome scelto) gli assoluti protagonisti sono appunto il mare e la cucina.

Più di una cucina a vista

La cucina intesa come gesto, come manualità del cuoco, diventa spettacolo ed esperienza all’interno dell’esperienza. Non è solo a vista, ma parte integrante della sala e della terrazza sul mare, grazie alle grandi vetrate. Mentre, cenando ai tavoli più vicini alla cucina, si rivive una sensazione simile a Casa Perbellini: quella di essere alla table du chef. Una scelta certamente azzeccata nella ristrutturazione di questi locali.

Per Causarano e Colombo, dopo varie esperienze in Italia e all’estero, galeotto è stata l’incontro lavorativo alla Locanda Gulfi. Chiuso quel capitolo, hanno deciso di fare impresa insieme. Il primo come cuoco, il secondo come pasticciere moderno, cioè un professionista che si sa muovere con uguale abilità tra dolce e salato. Nel corso della nostra visita è stato infatti Colombo a seguire la cucina.

Il risultato, a un anno dall’apertura, è già di ottimo livello. La qualità degli ingredienti è altissima, grazie evidentemente a un’attenta selezione di fornitori. Le cotture sono da grande ristorante: ricorderemo a lungo la perfezione di quella Aguglia imperiale cotta (davanti ai nostri occhi) in foglie di limone. Così come ricorderemo quello che è stato il piatto del giorno: una classica Minestra di pasta e crostacei, migliorata (evviva!) dal tocco di creatività di una spuma al passion fruit; acidità e freschezza a supporto di un piatto di forte matrice classica. Per alzare l’asticella noi punteremmo di più su piatti come questo, eliminando alcune sovrapposizioni gustative non sempre necessarie. Senza snaturare l’identità della cucina – evidentemente non volta all’essenzialità – ma valorizzando maggiormente l’ingrediente principale e dribblando così il rischio di scivolare in piatti confusi. Come appunto nell’accompagnamento alla splendida aguglia o all’altrettanto buono Pesce spatola, non valorizzato a dovere dagli altri ingredienti.

Al netto di un servizio lento, altalenante e spesso approssimativo (come abbiamo potuto constatare in un’ulteriore e più affollata visita serale), con piccole revisioni nella “pulizia” dei piatti e nella concentrazione gustativa degli ingredienti di “contorno”, crediamo che questa cucina farebbe un balzo in avanti notevole. Una maggiore essenzialità, quindi, senza perdere l’animo barocco, è certamente una impresa non facile, ma alla portata di un locale come questo. Intanto qui si gode parecchio perché ci si affida a persone che sanno cucinare davvero. E non è poco.

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Il mare del commissario Montalbano, in Sicilia, ci regala una trattoria sincera e schietta, a Scoglitti

Siamo nel territorio dell’antica Ibleide, quel lembo di terra siciliana situata a sud-est che è identificabile con le provincie di Ragusa e Siracusa e patria, oltre che di ottimi vini e oli, anche del Montalbano cinematografico.

Punta secca, la sede della casa del commissario, è poco distante da qui. E a Scoglitti, piccolo borgo di pescatori del ragusano, ha sede un ristorante che ha fatto la storia di questa città, il Sakkalleo. Pasquale Ferrara purtroppo ci ha lasciato, ma nel solco della sua memoria la moglie Pinuccia ma sopratutto la figlia Giada portano avanti intatta e ininterrotta la tradizione di un luogo che ha costruito il suo mito grazie all’incredibile freschezza e genuinità della materia ittica, qui proposta con semplicità e con ricette pressoché immutate nel tempo.

Ecco quindi partire il trionfo di crudi, tutti freschissimi e incredibilmente intensi, che fanno da apripista ad una compilation di antipasti cotti di tradizione siculo-marinara, che vi faranno atterrare, se la vostra cilindrata gastrica ve lo consente, ad ottimi primi, come i nostri spaghetti bottarga-mollica e vongole, o altrettanto straordinari fritti misti e grigliate di pesce misto come secondo.

Dolci semplici ed elementari, una cantina interessante e quasi esclusivamente centrata sulla Sicilia a bacca bianca, un servizio celere e discretamente curato fanno sì che il Sakkalleo sia diventato un punto di riferimento per la cucina di pesce della zona. E non solo, considerando che molti sono i clienti che non esitano a percorrere diversi chilometri per venire qui, a Scoglitti, a degustare il mare più puro ed intenso.

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Nella città natale del grande artista Guttuso, a Bagheria, un ristorante che propone una cucina siciliana intrigante e innovativa

Bagheria è famosa in tutto il mondo probabilmente per il film di Giuseppe Tornatore e per aver dato i natali al grande artista Renato Guttuso. Pochi sanno che Bagheria è anche una interessante meta gourmet. Da qualche anno in questo borgo a pochi chilometri da Palermo, ha aperto il suo ristorante Tony lo Coco, chef sostanzialmente autodidatta che ha iniziato il suo percorso alla famosa pasticceria Don Gino di Bagheria, di proprietà del padre della moglie Laura: altra pedina fondamentale per la carriera di chef Tony, oggi sua compagna sia di vita che nell’avventura dei Pupi.

La sua storia è fondamentalmente connessa alla cucina delle nonne e mamme della sua terra, poi approdata a una serie di esperienze anche in sale banchetti della zona, che lo hanno forgiato al duro lavoro e ai grandi numeri. Senza però fargli perdere il desiderio di studiare, apprendere, sperimentare.

Tony ha provato tutto, dalle texturas di Adrià alla cucina di ispirazione nordica, prendendo spunto senza mai violentare il suo sapere di uomo e cuoco siciliano.

Ai pupi oggi si degusta una cucina intensa e profonda, fatta di tanto gusto, di buona tecnica, inventiva e una discreta dose di originalità. Un piatto folgorante sono i tortelli di triglia, erbe spontanee in brodo affumicato e pinoli, un concentrato di tecnica, sapori non consueti, tonalità amare ma gradevoli e ben bilanciate. Ottima e persistente anche  la Zuppa di spaghetti pizzicati erbe aromatiche e frutta secca e la triglia con patate e granita di canarino (al limone, ovviamente).

Pezzi da novanta, con l’espressione di una cucina concreta, del sud, ben radicata nel territorio ma con qualche spunto interessante e moderatamente originale. La valutazione, non ancora piena e compiuta, ci siamo sentiti di estenderla, attendendo progressi verso una maggiore tecnica, pulizia e centralità gustativa che è certamente possibile e nelle potenzialità di questo luogo.

Molto ci ha impressionato la gentilezza, cortesia e affabilità del maitre-sommelier, per nulla scontata, e veramente all’altezza di un luogo di piacere nelle vicinanze di Palermo. Bravo davvero, che ci ha seguito da inizio alla fine con la sua estrema cortesia e una serie di proposte enologiche per nulla scontate e banali.

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La storia della cucina siciliana racchiusa tra le mura di Ragusa d’Ibla

La ricerca della perfezione è un viaggio estenuante: è fatica, è esasperazione, è maniacalità. Sono notti insonni pensando a un minuscolo dettaglio, sono bocconi amari da mandare giù, sono acidità di stomaco da sedare a colpi di pane e maalox.
Perché più si alza l’asticella, più tutto diventa complicato: bisogna concentrarsi sulle sfumature, sui miglioramenti minimi e, per questo, meno visibili ai più.
Alla soglia dei 50 anni, Ciccio Sultano ha deciso di cambiare marcia, di non accontentarsi più del “tanto” che aveva. ALL IN. In che modo? Lavorando, appunto, sui dettagli.

Il nuovo Duomo di Ciccio Sultano

Non parliamo solo del grande progetto strutturale in cantiere che vedrà, da febbraio, un raddoppio degli spazi del Duomo e che permetterà una gestione molto più agevole del lavoro sia in cucina che in sala: spazi vitali per chi vive il Duomo da cliente e anche per chi lo vive quotidianamente da componente dell’ingranaggio.
Parliamo anche del presente, del lavoro attuato sul “piatto”.
Rispetto alle precedenti esperienze trascorse al Duomo, il lavoro di crescita sulla pulizia, sulla definizione, sull’eleganza, è visibile sin da una prima occhiata alle foto dei piatti.
Ma, cosa più importante, questa non è una “svolta” solo estetica, di facciata, è tutta la cucina di Sultano ad essersi evoluta, mantenendo quella impronta identitaria che lo rende da tempo uno dei cuochi più importanti italiani, ma aggiungendo una finezza che porta la sua proposta a un livello superiore.
Questa cucina è da sempre un libro aperto sulla storia siciliana: c’è cultura e storia, ogni piatto è un viaggio nelle tradizioni isolane riviste dall’esplosiva creatività di questo grande interprete.
Creatività incontenibile e prolifica: la quasi totalità dei piatti provati in questa occasione sono novità.

Nel nuovo menu, ogni portata si scompone in tre o quattro piatti, un Gagnaire in salsa sicula che cerca e trova complessità intriganti.
Sbalordisce la capacità di unire numerosi ingredienti apparentemente inconciliabili, salvo poi trovare sempre e comunque la quadra gustativa. Come nel caso dello gnocco di patate al ragusano con polpettine di seppia e maiale, sugo di vongole e cozze in salsa alla carbonara: la lunghezza che regala la cozza è stupefacente, così come l’equilibrio trovato in una preparazione in cui si contano almeno sette ingredienti principali. Un piatto che parte da una tipicità (la salsiccia di seppia e maiale della città natale di Sultano, Gela) per evolversi in un viaggio onirico tra la Sicilia, Roma per poi assumere una nuova dimensione.
O come nell’ostrica a beccafico, geniale rivisitazione della classica ricetta, in cui è l’ostrica a farsi contenitore e a sostenere un nuovo gusto meraviglioso.
Così come ci ha stupito il piccione con la salsa al marsala e carote caramellate: un piatto dove viene fuori quella finezza di cui parlavamo prima, con una salsa che urla “Sicilia” ma che allo stesso tempo accarezza il palato con la grazia di un foulard di seta.

Quella di Sultano è una cucina moderna, che trova spunto dalle storiche ricette siciliane, ma solo per evolversi in una nuova verità, in un nuovo gusto che non ha più una collocazione precisa se non il viaggio (mai finito) verso la perfezione.

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Un valido indirizzo nel cuore di Porta Romana: Pastamadre, trattoria siciliana dal buon rapporto qualità/prezzo

Quella di Porta Romana è diventata, con un’accelerata particolarmente decisa negli ultimi anni, una delle zone di Milano a più alta densità di ristoranti, anche se spesso, purtroppo, più dotati di fumo che non di arrosto.
Destreggiandosi però con un po’ di attenzione tra le innumerevoli insegne, è possibile pescare più di un indirizzo interessante o comunque particolarmente gradevole. E’ sicuramente questo il caso di Pastamadre, piccolo ristorante in via Corio, localizzato praticamente di fronte al capofila delle “trattorie” non solo di Porta Romana, ma della città tutta: il pluricelebrato Trippa.

Due vetrine affacciate sul marciapiede mostrano al passaggio un locale intimo e circoscritto, che ricorda nei toni e nelle dimensioni un izakaya giapponese. Una decina di tavoli stretti e vicini, con sedie di dimensioni davvero lillipuziane, inserite in una sala dall’arredamento essenziale e dai toni chiari. Appena entrati e dato uno sguardo in giro, la prima impressione fa pensare ad una proposta dall’ispirazione giapponese, o comunque di taglio orientale.
E invece, il motore della cucina di questo locale è il sud Italia, più precisamente la Sicilia, e tutte le preparazioni che compaiono in carta ruotano intorno ai classici isolani. In carta abbiamo trovato, nell’ordine: macco di fave novelle, insalata di polpo come alle Eolie, arancino al ragù, tenerume saltato con aglio, pasta con le sarde, biancomangiare alla mandorle… in pratica, Milano-Sicilia solo andata.

Un punto di forza sono le paste fatte in casa, molteplici e, per quanto riguarda quelle da noi assaggiate, degne di nota. Non tutto è allo stesso ottimo livello (dall’arancino ci aspettavamo molto di più, così come dalla Stigghiola, meno decisa nel sapore di quanto è lecito aspettarsi) ma la media del pasto resta comodamente sopra la sufficienza.

Completano l’offerta un servizio fin troppo rapido e determinato ma sempre cortese, e una buona carta dei vini -parametrata ovviamente al tipo di locale- che, nonostante le numerose assenze segnalate tra le varie pagine, permette di godere di qualche bottiglia interessante ottimamente prezzata.

Un valido indirizzo per tutte le volte in cui gradite una buona cucina, semplice e materica, anche visti e considerati i prezzi, assolutamente onesti.

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