Passione Gourmet Bros' - Passione Gourmet

Bros’

Ristorante
Via Degli Acaya 2, Lecce,
Chef Floriano Pellegrino, Isabella Potì
Recensito da Roberto Bellomo

Valutazione

18/20 Cucina prevalentemente di avanguardia

Pregi

  • Menù pieno di stimoli e idee.
  • Gusto e profondità rari.
  • Piatti esteticamente splendidi.

Difetti

  • Visto il food cost, e nell’ottica di avvicinare più persone possibile all’alta cucina, si potrebbe pensare di ridurre un po’ i prezzi.
Visitato il 08-2020

L’universalità del dialetto

Molto spesso l’esercizio della critica, in qualsiasi campo, si riduce a una forma di equilibrismo, con la necessità di esprimere un giudizio in maniera per quanto possibile oggettiva, prudente, che consideri in maniera puntuale il suo oggetto di interesse in rapporto ai suoi “simili”, per garantire l’affidabilità della stessa specialmente se sintetizzata in un voto.

Rare volte, però, capita di trovarsi davanti a esemplari davvero unici, di difficile confronto, che generano sorpresa, persino entusiasmo, anche in chi è difficilmente impressionabile. Una visita da Bros’ nell’estate del 2020 rientra in queste occasioni perché qui davvero niente è come altrove; certo, Floriano Pellegrino e Isabella Potì sono estremamente informati su cosa si muove nel mondo della cucina contemporanea, hanno fatto la giusta formazione, sono totalmente inseriti tra le giovani star della gastronomia, non solo italiana. Ma il loro progetto è totalmente originale ed è già oggi pienamente maturo nonostante la giovane età degli chef.

Bros’ è un ristorante di alta cucina profondamente salentino eppure totalmente internazionale, che ha fatto in questo 2020 la scelta di proporre un menù interamente vegetariano nel quale il gusto del territorio trova una sublimazione assoluta, che esprime un amore profondo per le proprie radici e una capacità unica di raccontarle con un linguaggio universale e modernissimo. I due menu proposti si distinguono solo per la lunghezza, sono descritti in leccese o in inglese e sono un succedersi di momenti molto pensati, in cui ogni proposta ha dietro un’idea chiarissima del gusto che si vuole proporre ed è realizzata utilizzando ogni tecnica possibile, da quelle della tradizione a quelle sviluppatesi nei tempi più recenti.

Il menù delle radici

Gli amuse-bouche qui sono effettivamente un’indicazione di quello che troveremo dopo e sono tutto tranne la successione di bocconcini anodini e sempre uguali, pur esteticamente curati, che connotano gran parte dell’alta cucina contemporanea. La sequenza dei piatti parte con note più lievi per poi arrivare a gusti sempre più complessi, dando la sensazione di una successione molto pensata e pienamente appagante, in cui nulla è casuale. La “‘nsalata ‘vanzata” gioca con la memoria degli avanzi più poveri per dare grande prova di tecnica e spingersi su acidità estreme ma padroneggiate con sapienza; lo “spunzale ‘rrustutu, tartufu” è una delizia golosa che sposa il povero e il ricco; la “ricotta scante, finocchietto”, ennesima variazione su un ingrediente essenziale di questo territorio, è una sferzata (unico appunto: ne basterebbe una porzione anche più ridotta, vista l’intensità).

Sulle paste, la combinazione dell’ormai classico “pasta, aju, grassu rancidutu, piparassu maru”, con la “candila, piparussu ‘rrustutu, muddhica” è davvero riuscita, oltre a proporre due dei piatti di pasta più belli a vedersi del panorama nazionale. Dopo altri momenti che vanno dallo straordinario “aju, vaniglia, alghe” al meno riuscito “ciciru lacciu” (mousse di ceci, sedano e riduzione di ceci, l’episodio meno convincente del menu) si arriva a un piatto principale realmente da fondo scala: “carota rossa allu fuecu, noce, fiche”, una straordinaria rapa rossa cotta nella cenere, con salsa alle noci e fico glassato. Degno del miglior Passard, si stampa nella memoria come uno straordinaria combinazione di gusti veicolata in un’immagine di bellezza rara.

Dolci di eccellente livello, come sempre da queste parti, se possibile ancora più riusciti del solito: il “milune di acqua sotto sale, spumone allu casu di capra” è la traduzione di un ricordo (l’anguria lasciata raffreddare nell’acqua di mare che, tagliata, manteneva la nota salata delle goccioline rimaste) e una combinazione totalmente originale di ingredienti (anguria, formaggio di capra, aceto) inusuali in un dessert a qualsiasi livello di ristorazione. Per capire quanto poco di casuale ci sia in un piatto così, vi invitiamo a vedere il video in cui la chef racconta la genesi del piatto e l’impatto gustativo ricercato e ottenuto.

Per evitare fraintendimenti: non stiamo più parlando di un ristorante di grandissima prospettiva, ma di una realtà tra le più importanti dell’intero territorio nazionale, di un pranzo che si colloca tra i migliori dell’anno in termini assoluti e di un’esperienza di divertimento puro, da suggerire con vigore a tutti gli appassionati.

La Galleria Fotografica:

1 Commento.

  • Stefano3 Settembre 2020

    Gentilissimi, grazie per la recensione. Una sola domanda, andando a ritroso tra le recensioni di questo ristorante gestito da due ragazzi under 30: è giustificato un passaggio di prezzo del menu degustazione dai 60 euro del 2016 agli attuali 210€ di oggi? non per farne una mera questione di prezzo. è solo per capire se, l'incredibile ricerca e la presentazione di un menù al di fuori di ogni schema giustifichi 210€, per lo più vegetariano (scelta che apprezzo).

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