Valutazione
Pregi
- La tecnica finissima che caratterizza ogni portata.
- I dessert, già a livelli stratosferici.
- Il rapporto qualità /prezzo.
Difetti
- Il balzello del coperto. Inconcepibile per questa tipologia di locale.
- La carta dei vini, in miglioramento, ma ancora indietro rispetto all’offerta gastronomica.
Un’apertura che si conta ancora in mesi, eppure nel momento di uscire ti porti dietro quella sensazione che questo posto, nel lampo di una cena, sia diventato una tappa nella geografia della cucina d’autore. Qualcosa che somiglia al rammarico che, evidentemente, è da intendersi come quella sorta di gelosia che accompagna i luoghi scoperti con meraviglia, amati dal primo momento e che vorresti sempre -e solo tu- continuare a riscoprire e raccontare. Perché Bros, il ristorante che si nasconde tra l’opulenza architettonica del centro di Lecce, sarebbe bello si svelasse magicamente ogni volta così, passandoci per caso, entrandoci dopo aver sbirciato dai vetri, e non perché se ne parla e molto.
Sorprendersi puntualmente per quel tono nordico della sala, quasi una quiete dopo i furori barocchi delle pietre che accompagnano fin qui, meravigliarsi del menù, quel foglio A4 in bianco e nero, piegato come a nascondere le proposte, azzardi di ingredienti con le sole virgole a separare, o ancora stupirsi di una brigata che definire giovane non basterà a rendere l’idea.
C’è un menù degustazione lungo e perfettamente ritmato che tra genio, sregolatezza e presunzione anticiperà molte risposte alle curiosità, alle scelte perseguite, a quelle che verranno. Alla fine della cena più che domande resteranno attese, come il capitolo a seguire di un libro che si sta divorando, quelle stesse di un sequel di un grande film finito troppo in fretta. Una bella sensazione che non capita così spesso.
Una tecnica impressionante, mai vista a queste latitudini, che sovrintende ogni piatto, ogni idea. Una aspirazione alla perfezione perseguita con caparbietà, studio, applicazione e soprattutto metodo, al punto che quando qualcosa non convince tutto sembrerà solamente una mera questione di tempo. In cucina, Floriano Pellegrino, suo fratello Giovanni e Isabella Potì, sono innanzitutto squadra, imparando questo e tanto altro in giro per il mondo in quella vertigine di incontri, scontri, sudore e sacrifici consumata nelle cucine più importanti del pianeta. Ora sono tornati ad impiantare i semi qui, nella capitale salentina a pochi chilometri dalla Scorrano dell’infanzia.
A loro piace vincere difficile.
Allora poche concessioni e piacionerie, scale di gusto complete talvolta giocate all’estremo, piatti estremamente dinamici dove non si rincorre la centralità del gusto ma -come sottolineato dalla presentazione in carta- i contrappunti di pochi ingredienti senza alcuna gerarchia o ridondanza. Pulizia e ritmo, dunque, che si leggono già nella batteria di entrèe, dove si alternano i fegatini di piccione con l’alloro e il lattughino spolverato di capperi, il raviolo di alga alle erbe e la foglia di basilico con i semi di pomodoro, idee che anticipano le proposte della degustazione estratte tutte rigorosamente dalla carta stagionale.
E anche qui, nonostante il rigo lasciato in bianco tra l’elenco dei piatti quale accenno alla classica partizione antipasti, primi e secondi, si legge la modernità di offrire una esperienza che trascenda le regole, e contemporaneamente contempli quattro piatti di pasta secca, per rimarcare l’identità italiana e del meridione in particolare.
Alla fine da ricordare, infatti, sarà essenzialmente il percorso, nel quale ognuno si troverà a scoprire il suo capolavoro, come quel piatto di fusilloni Gentile di Gragnano la cui precisione ricorda le estrazioni di gusto del miglior Romito, o l’anatra, allevata nel cortile di famiglia e poi sacrificata in una magistrale cottura di scuola francese con i toni locali dell’anguria e creoli del cocco. In mezzo c’è l’anima orientale nella sardina con le ciliegie fermentate, l’avanguardia meridionale con i pomodori nell’acqua di ricotta scante, la scuola nordica nella barbabietola col sambucoIl sambuco è un genere di piante tradizionalmente ascritto alla famiglia delle Caprifoliacee, che la moderna classificazione filogenetica colloca nella famiglia Adoxaceae. I fiori del sambuco trovano impiego in erboristeria per la loro azione diaforetica. Con i fiori è possibile fare uno sciroppo, da diluire poi con acqua, ottenendo una bevanda dissetante che è molto usata in Tirolo, in Carnia... Leggi acidata dal limone e frutti rossi.
Menzione speciale infine, al reparto dessert, fondamentale per la chiusura e ricordo di un pranzo, spesso trascurato da molti e che qui appare invece come il momento più avanzato e autorevole. Accademico, con il magico contrapporsi del dolce/acido della tarte al limone tra le migliori mai assaggiate, di avanguardia con il rabarbaro, l’ibisco, il malto ed il siero combinati in due tempi infine con l’arte cioccolattiera per ricostruire le castagne di mandorle e le praline col fieno ed il latte di mandorla fermentato.
L’ingresso con la cucina a vista. Non all’interno della sala, ma sulla strada.
Una delle due sale interne.
Il pane. In abbinamento con il burro d’olio.
Raviolo fritto di alga Nori con gambero. Sapidità e dolcezza vestite elegantemente in un bel gioco di consistenze.
Cracker con fegato di rana pescatrice.
Semi di pomodoro su foglia di basilico. Un utile passaggio defaticante.
Spaghettini di patata con fegatini di piccione ed alloro: molto bella l’idea della presentazione.
L’oliva. La tecnica applicata all’icona di queste terre.
Lattughino con polvere di capperi. Immediato, fresco, sapido. Altro intermezzo per resettare il palato.
Barbabietola, sambuco ed infusione di frutti rossi. Uniformità di colore e contrasto dolce-acidulo. La prima portata già suggerisce un percorso senza facili ammiccamenti.
Pomodori, fiori, acqua di ricotta forte. I pomodori disidratati vengono poi posati nel siero con pepe bianco e nero ed olio evo. Odori molto persistenti. Pomodori lavorati con grande perizia.
Cucummarazzu, gambero, rafano ed aneto. Qui l’azzardo non paga. Dispiace che il cetriolo salentino sia protagonista del piatto meno convincente.
Fusillone Gentile, scampo, sesamo nero e scalogno. Un piatto di pasta inserito perfettamente nel percorso. Pulitissimo, essenziale, di grande concentrazione di sapori.
Melanzana, cioccolato bianco e alloro. Un fondente aromatico, con il corpo suadente della melanzana che, leggermente grasso, forse necessiterebbe solo di una qualche leggerezza.
Sardina, fagiolini, ciliegie fermentate. Piatto di grande potenzialità ma con registri ancora da accordare. La fermentazione è probabilmente ancora troppo timida.
Anatra, anguria, cocco e salicorniaSalicornia è un genere di piante appartenente alla famiglia delle Chenopodiaceae. Una volta bruciata, le sue ceneri venivano utilizzate per produrre il carbonato di sodio alla base dell'antico processo di saponificazione. Le salicornie sono dotate di adattamenti peculiari che ne permettono l'insediamento su terreni salini o salmastri, e per questo sono dette piante alofite. Riescono a vivere su terreni ricchi... Leggi. Piatto di altissima tecnica e grande palato. Tutto perfetto: presentazione, cottura, equilibrio, persistenza. Con piatti così si va molto lontano.
Divertissement con la frutta in una infusione di zenzeroLo zenzero (Zingiber officinale Roscoe, 1807) è una pianta erbacea delle Zingiberaceae (la stessa famiglia del Cardamomo) originaria dell'Estremo Oriente. Coltivata in tutta la fascia tropicale e subtropicale, è provvista di rizoma carnoso e densamente ramificato dal quale si dipartono sia lunghi fusti sterili e cavi, formati da foglie lanceolate inguainanti, sia corti scapi fertili, portanti fiori giallo-verdastri con macchie... Leggi e cannella.
Rabarbaro, hibiscusHibiscus indica un genere di piante della famiglia delle Malvaceae che comprende circa 240 specie. Il nome deriva dal greco e probabilmente fu assegnato da Dioscoride, noto medico dell'antichità, vissuto nel I secolo d.C. fiori di Hibiscus sabdariffa si ottiene il karkadè (o carcadè), utilizzato per la produzione di tisane e confetture.... Leggi, siero, malto. Il latticello costruisce una sorta di gelèe dalla consistenza molto intrigante. Pausa. Secondo tempo (servito sull’altra metà del piatto a ricomporre) con un gelato al malto fermentato che risolve chiudendo in maniera impeccabile.
Tarte au citron. A fianco un gelato di meringa. Da averne a vassoi. Conferma l’impressione che con i dessert siamo già ad un livello davvero molto, molto alto.
Marshmallow.
Frutta. Elaborata o solo colta.
Cioccolatini al fieno e latte di mandorla fermentato. Castagne di mandorle e cioccolato bianco. Chiusura che non delude con piccoli capolavori.
DIFETTI 1. Il balzello del coperto. Inconcepibile per questa tipologia di locale. . mi risulta che si paghi anche da Bottura
Ovunque si paga il coperto in tutti i stellati