Valutazione
Pregi
- D'estate si può cenare nel bell'agrumeto.
Difetti
- Cantina ancora da sistemare e con alcuni ricarichi monstre.
Abbiamo sempre sostenuto che potenzialmente la Puglia sia uno dei serbatoi culinari più importanti del nostro Paese, con i suoi prodotti importanti, con l’amore per il cibo che caratterizza i locali. Ultimamente poi, in barba ai molti che sostengono, legittimamente ci mancherebbe, che in questa terra i turisti vadano alla ricerca di una cucina di tipo estremamente tradizionale, assistiamo al felice matrimonio fra i caratteri propri del territorio pugliese ed un approccio esecutivo più in linea con l’evoluzione che la cucina ha avuto in questi ultimi due decenni. Questo fermo restando che ciò che amiamo è la felice compresenza in un territorio di tavole di tradizione e ristoranti non necessariamente di ricerca esasperata ma di matrice moderna come questo Cielo, locale fresco di maccarone gommato collocato all’interno del Relais La Sommità ad Ostuni, la città bianca a cui Tolkien si dev’essere ispirato per pensare la bianca Minas Tirith del Signore degli Anelli.
Da poco più di un anno il ruolo di chef è ricoperto da Sebastiano Lombardi, che dopo esperienze importanti accanto ad Antonio Guida e a Nino Di Costanzo (di cui è stato per lungo tempo il secondo), è tornato nella sua regione per prendere in prima persona le redini di questo locale. La sua cucina è molto precisa, non una cottura fuori posto, nessuna bizzarria non finalizzata al risultato gustativo, e tale puntigliosità si riflette positivamente sui dolci, che si sono rivelati superiori al livello medio del nostro pranzo (e che fanno pendere la valutazione, che non è piena ma che arrotondare per difetto sarebbe davvero penalizzante). Da Di Costanzo senz’altro Lombardi ha acquisito un senso estetico notevole, anche se in un paio di presentazioni la sensazione di ”hommage à” è sopraffatta da quella di incompleto affrancamento da un modello estetico di riferimento. Dal punto di vista puramente gustativo invece, i piatti ci hanno convinto sempre per concezione, anche se in un paio di circostanze lo chef ci è sembrato un po’ frenato, come timido, quasi avesse paura di parlare ad alta voce. Accade così che la rivisitazione della tiella barese (in copertina), enunciata con un complesso risotto al limone e zucchine con cozze fritte al nero, tartufi crudi, dadini di patate e salsa di canestrato, si riveli in realtà buona, tecnicamente ben eseguita ma priva del mordente dell’originale, travisandone in tal modo lo spirito.
Il menù degustazione si apre con un baccalà con olive dolci, giuncata, broccoli e peperone imbottito, in cui i vari elementi si coordinano bene con un elemento principale che, preso singolarmente, risulterebbe viceversa su un punto di sale leggermente alto. Si prosegue con un antipasto di carne (gli antipasti sembrano dei piccoli secondi, questo fatto mi ha incuriosito), un convincente maialino cotto a bassa temperatura con cotogne, raviolino di bieta, salsa al mirtillo (ottima anche se non proprio stagionale) e cavolo cappuccio.
I concentrati fagottelli all’uovo ripieni di cime di rapa con pomodoro candito, alici marinate e burrata sono un classico abbinamento, forse un po’ modaiolo altrove, ma qui più che mai pienamente giustificato dalla reperibilità e dalla stagione degli ingredienti. Addirittura l’alice soffre la forza di una straripante cima di rapa.
Ottimo e raffinato in ogni elemento il branzino cotto sulla pelle con carciofo all’anice stellato (quest’ultimo da applausi), finocchi allo zafferano e patate ratte. Complesso e multisfaccettato il piatto dedicato all’agnello della Valle d’Itria. La coscia, cotta a bassa temperatura con polline di finocchietto e panure di taralli, è abbinata ad una crema di patate. Abbinamento gustativamente appagante cui manca tuttavia un contrasto di consistenze. Inappuntabili invece il lombo, accostato ad una salsa di peperoni e limone, e lo “gnummarieddo” abbinato ad una notevolissima purea di capperi.
Il reparto dolce ci ha molto favorevolmente colpito, e infatti fiduciosi dopo il predessert abbiamo optato per un norbertiano inzertino di un paio di extra glicemici. L’onnipresente abbinamento cachi-castagne ha preceduto un’ottima interpretazione di alcuni classici pugliesi (fra cui spicca un bocconotto martinese da urlo) ed un bel gioco di rimandi fra zucca, mandorle (in gelato) e olive (in una focaccina all’olio), e ciascun dolce da solo non avrebbe stonato in tavole più blasonate. Ci attendiamo un’evoluzione in termini di carattere e personalità da parte di questa cucina, su cui tuttavia ci sentiamo di scommettere per il futuro sperando che gli immediati successi non ne frenino lo sviluppo in tempi brevi.
Amuse bouche 1: allievi, carciofo, mandarino.
Amuse bouche 2: polpetta di agnello al pomodoro
Amuse bouche 3: cime di rapa, alici, burrata e pane
Baccalà colto dolcemente con olive dolci, bocconi croccanti di giuncata, broccoli e peperoni arrostiti alla vecchia maniera. (certe pompose definizioni che nulla definiscono ameremmo non trovarle più nelle carte del 2012…)
Coscia di maialino cotta a 68°C con la sua cotenna, mele cotogne arrostite con pepe lungo, insalata cappuccio, salsa leggera al mirtillo e raviolino di bietoline.
I fagottelli all’uovo ripieni di cime di rapa con pomodoro candito, alici marinate, crema di burrata e pane alle acciughe.
Branzino d’amo cotto sulla pelle, carciofo all’anice stellato, patate ratte, finocchi allo zafferano e salsa liquirizia.
L’agnello della Valle d’Itria. La coscia cotta con polline di finocchietto selvatico e panure di taralli, il lombetto arrostito, gli “gnummareddi”, peperone al limone, capperi e patata soffice.
Le castagne con marroni e kaki.
Biscotto all’olio ed olive, zuppetta di zucca, sorbetto alla mandorla.
Allora, visto che eravamo assieme a provare questo posto, è anche giusto che dica la mia. In gran parte condivido quanto scrive Carlo ma accentuo la sensazione di aver trovato troppi piatti con poco mordente, quasi rarefatti. Secondo me non è assolutamente un problema di incapacità, ci mancherebbe, ma è un problema di volontà e di una certa identità interpretativa cercata ed ottenuta. Tutto legittimo, però una cucina poco coinvolgente non mi convince. Infatti i piatti che mi sono piaciuti maggiormente, anzi eran proprio buoni, erano l'agnello ed il maialino, dove la forza della materia prima forzatamente si ergeva. Capitolo a parte i buonissimi dolci, nuovamente e fortunatamente "aggressivi". Anche io scommetto su un'ulteriore crescita di questo ristorante, a patto che lo Chef decida per una cucina più personale, più sentita, più passionale. Complessivamente siamo stati bene, serviti con calma, in un ambiente elegante, con una bella vista sulla splendida campagna circostante. . Ciao