Passione Gourmet Pierre Gagnaire, Parigi di Norbert - Passione Gourmet

Pierre Gagnaire, Parigi di Norbert

Ristorante
Recensito da Presidente

Valutazione

18/20 Cucina prevalentemente classica

Pregi

Difetti

Visitato il 04-2024

Recensione ristorante.

Chi ha detto che l’estro e la capacità di offrire una cucina stimolante e davvero interessante siano esclusivo appannaggio dei giovani?
Nessuno, certo, ma le aspettative di fronte ad un ispirato trentenne rispetto ad un esperto 50-60enne sono senz’altro diverse. Devo dire allora che questo ragazzo di sessantun’anni non ha nulla da invidiare a disinvolti colleghi molto più giovani quanto a capacità di sorprendere.
La sua è una cucina ricca, non, però, di opulenza fine a se stessa, bensì di riusciti stimoli che rendono compiuto il nostro incessante peregrinare in cerca di quelle emozioni che solo le eccellenti tavole sanno regalare.
L’iter di Gagnaire comincia negli anni 70 in modo abbastanza classico: dopo aver girovagato, con passaggi in grandi cucine come quella di Bocuse e del Lucas Carton, oltre che sulle navi in giro per il mondo, entra nel ristorante di famiglia, situato a Saint Priest, un sobborgo di Saint Etienne, dove lo attende il più esemplare dei conflitti generazionali: quello con il padre.
Pierre lo considerava un impiegato dei fornelli che non amava più di tanto il suo lavoro e che, ovviamente, non era la persona più adatta a comprendere la ventata di novità che il talentuoso figlio intendeva apportare.
Da qui il desiderio di autonomia e l’apertura, nell’81, nel cuore di Saint Etienne, del ristorante eponimo dapprima a rue George Teyssier e dopo nel sontuoso edificio ex hotel particulier a Rue de la Richelandière dove, nel 1993, ottiene le tre stelle.
I debiti accumulati per ristrutturare l’hotel e la stagnazione culturale ed economica della cittadina ne hanno determinato il fallimento nel ’96 cui è seguito nello stesso anno il trasferimento dell’impresa con armi e bagagli, novella araba fenice, all’interno dell’hotel Balzac alle spalle degli Champs Elysèes.
L’interno del ristorante, molto sobrio e dall’eleganza austera e impersonale, non potrebbe essere palcoscenico più contrario, per stile, alla vulcanica poliedricità di questo grande chef.
Normalmente si va di menù degustazione, specialmente alla prima visita, ma di questo ristorante mi aveva sempre colpito, durante la consultazione virtuale del menù, la semplicità dell’enunciazione dei singoli piatti e il fatto che questi erano costruiti in modo tale da rappresentare, per ogni elemento, un vero e proprio micro menù degustazione dedicato.
Ogni protagonista è, infatti, presentato in variazioni che per assonanza, più che per dissonanza, rappresentano un percorso attraverso combinazioni di sapori che alla fine danno la sensazione di trovarsi in un unicum compositivo.
Non fa niente, allora, se in questa partitura c’è qualche elemento apparentemente disconnesso, perché, in fin dei conti, tutto lascia spazio a grande soddisfazione e piacevolezza.
Gli accostamenti procedono per lo più per giustapposizioni, non ci sono contrasti radicali, ma accompagnamenti tesi a un grande equilibrio di fondo. L’intento è quello di appagare e viene perseguito con estro ed una sensibilità imputabili ad un grandissimo magistero.
Dopo il “pericoloso” pane di altissima qualità e l’altrettanto “dannoso” pane alle nocciole che viene portato insieme al burro salato e a quello chiarificato al limone, scegliamo da una sontuosa, in tutti i sensi, carta l’assolutamente adeguato Hermitage Blanc 2002 di Chave, poi rabboccato, al momento “opportuno” sul finire del pasto, da uno Chateauneuf di livello.
L’inizio prevede una serie di piccoli stuzzichini di altissimo profilo, delle vere e proprie accurate sollecitazioni che, senza strafare, titillano il palato con leggerezza risvegliando l’appetito. E cosi, tra gli altri, una tuile che accompagna un saporito pinzimonio, una meringa con more e sentore d’acciuga, una sablè alla barbabietola con mandorle e zenzero sono solo il preludio ad una costellazione di amuse bouche che aprono il pasto in modo scoppiettante.
La presentazione in questo caso vede al centro un assaggio principale di granchio accompagnato da porro e melograno, riuscito abbraccio dolce, grasso ed acido, mentre il gel di topinambour con mandorle, il filetto di haddock con cavolfiore ed uova di salmone, i fagioli in brodo di cozze con cavolo rosso e la toma fresca con sedano e curcuma su fondo di ortica (in senso orario) cercano l’esaltazione del sapore attraverso modulazioni gentili, quasi un tappeto rosso su una scalinata ascendente verso il gusto (o discendente dall’acidità). Tutto molto semplice, molto seducente, molto riuscito.
Come detto i nomi dei piatti e le piccole variazioni sul tema mi intrigavano molto e così ecco dalla carta il Saint-Jaques/Oursin dove la preparazione centrale prevede una squisita noce di capasanta avvolta da un velo di seppia e adagiata in una delicata salsa di levistico con funghi enoki, un battuto tiepido del mollusco sostenuto da una deliziosa salsa a base di Beaufort, zenzero e tofu, un eccellente infuso di pesce emulsionato con clorofilla accompagna delle baby capesante che circondano un battuto di inchiostro e rape, o, ancora, un gelato all’olio che accompagna dei ricci di mare al mango e una eccellente bisque dei ricci che funge da substrato per dei broccoli appena saltati con gelatina di cetriolo. Tutto a dir poco rimarchevole e, a parte, forse, la naiveté dell’olio con ricci, mi sono sembrate tutte idee e pietanze degne di poter essere sviluppate in singoli piatti unici.
Analogamente il turbot è una golosissima, seppur appena più “spartana”, variazione sul pesce amatissimo da Gagnaire. Qui il trancio è cotto divinamente e accompagnato da una salsa alla curcuma e da foglie di radicchio. La spezia dosata magistralmente con l’aiuto dell’amaro vegetale contribuisce ad asciugare la grassezza della salsa ed esaltare il sapore e la consistenza del rombo. Mamma mia che goduria. Non da meno i filetti serviti in una zuppa alle erbe con delle nuance di cocco e una singolare e voluttuosa brioche di plancton su patè di soia.
Non poteva mancare in tanta varietà di stimoli la lièvre en trois services modello Gagnaire.
Qui si entra in un percorso minato. Pochi piatti infatti danno misura della rilevanza della cucina francese come questo, vero distillato di evoluta golosità.
Unanimemente, e non ho motivo di dubitarne, il fondo scala di questa pietanza sembra essere quella del professor Cerutti a Montecarlo. Provvederò quanto prima a sanare questa grave “lacuna” e a stilare una doverosa graduatoria :-), nel frattempo mi limito a riscontrare l’ottima versione di rue de Balzac.
La sella al sangue marinata nel marc de Bourgogne, cavolo, mandorle e marmellata d’arancia, la coscia con foie, prugnole selvatiche con purè di pastinaca al cioccolato e la torta farcita bagnata dall’eccellente sugo e accompagnata da sorbetto all’ananas, heliantis e cordifolia non possono, infatti, decisamente lasciare indifferenti.
Dopo il predessert con crema alla vaniglia, fragole al pepe, cioccolato ai frutti di bosco e piccole meringhe arriva il gran dessert, otto diverse preparazioni ispirate alla classica pasticceria francese il cui degno saggio è rappresentato dalla coppa con granatina, crema con pera, cardamomo, grappa e gelato all’aloe, dalla variazione di cioccolato e gianduia su meringa e crema al vino, dalla tuile sablè con coulis di lamponi gelato di cachi ed avocado, dalle mandorle, pere e gelato al caramello e dagli opportunamente rinfrescanti sorbetto di pompelmo e zenzero e la variazione di lime e limone.
Le sollecitazioni potrebbero sembrare eccessive ma scegliendo, magari, una portata in meno si avrebbe l’approccio ideale a questa cucina. La voglia di tornare per assaggiare altre creazioni dalla carta, appena terminato il pasto, è stata molto forte, e, senza tanti giri di parole, questo desiderio segna per me il confine tra le grandi tavole e quelle che lo sono meno.


Mise en place


Pre amuse bouche


Pre amuse bouche 2


Amuse bouche!!


Saint-Jaques/Oursin


Turbot


Ràble de lièvre


Gras de cuisse


Purèe de panais légèrement chocolatée


Tourte feuilletée traditionnelle


Sorbet, hèliantis et cordifole


Pre dessert


Coppa


Cioccolato e gianduia


Lamponi, cachi ed avocado


Mandorle, pere e caramello


Pompelmo e zenzero


Lime e limone


Petit fours


Chave!


Pane


Pane alle nocciole


Paris…..

il pregio : l’eclettica vulcanicità di un grandissimo chef.

il difetto : la necessità, considerata la quantità di assaggi, di calibrare accuratamente le scelte.

Restaurant Pierre Gagnaire
Rue Balzac 6, Paris
Tel +33(0)158361250.
Menù degustazione 275 euro, alla carta 300 circa.
Chiuso sabato e la domenica a pranzo.

www.pierre-gagnaire.com

Visitato a novembre 2011

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Norbert

5 Commenti.

  • Piermario30 Gennaio 2012

    Se solo tra tanti assaggi non si finisse talora col perdere centralità gustativa, G. rischierebbe seriamente di essere il primo fra i tristellati parigini. Conservo ancora un ricordo 'poetico' della cena del 2003. Più avanti ho scoperto che questo cuoco ha una mano straordinariamente felice anche con la chasse (straordinaria pernice grigia assaggiata un paio di anni fa).

  • Tito30 Gennaio 2012

    Vive la France!

  • Emanuele Barbaresi30 Gennaio 2012

    Una cucina con cui non è sempre facile entrare in sintonia, perché a volte appare un po' dispersiva, ma indubbiamente di straordinaria originalità. Una cena da Gagnaire offre innumerevoli spunti, accanto magari a qualche inutile ridondanza, a qualche passaggio gratuito che non aggiunge nulla all'esperienza complessiva (se non un inutile apporto calorico). Anche per questo qui è molto meglio - come ha fatto Norbert - affidarsi alla carta, dove ci s'imbatte in un più alto tasso di essenzialità, oltre che nella vera espressione della cucina gagnairiana (fatta di una preparazione principale attorniata da satelliti oppure declinata esclusivamente in tanti piccoli assaggi), che per forza di cose nel menu degustazione risulta attenuata, attutita. Comunque, al di là dei giudizi sul valore assoluto di questa cucina, un fatto è certo: stimola sempre una grande curiosità, invoglia al ritorno più di quanto accada con gli altri tristellati parigini. Quella lepre, per esempio, mi piacerebbe proprio assaggiarla...

  • Raffo30 Gennaio 2012

    Una sola parola: grazie.

  • Davide30 Gennaio 2012

    Quella di Pierre Gagnaire è una cucina che assomiglia soltanto a se stessa. Se è vero che a volte è ridondante, forse in certi passaggi eccessiva, è anche vero che questa esuberanza, nella maggiorparte dei casi, porta a risultati stupefacenti. Pierre Gagnaire non ha un piatto signature, non esiste il concetto di ripetizione, è in continua evoluzione; fatta eccezione per le tecniche e la riproduzione di alcune singole preparazioni, le composizioni dei piatti alla carta, come nel menu degustazione, sono creazioni a sé stanti, Per non parlare del fatto che la carta e il menu degustazione sono due concetti decisamente distinti. Qui non sono molto d'accordo con il commento di Emanuele. Mangiare alla carta è un'esperienza molto più netta, precisa, per quanto il numero delle preparazioni possa disorientare, ogni singolo piatto è compiuto, finito, non stuzzica tanto il cervello, quanto meraviglia il palato per profondità di sapori, precisione delle cotture. Mi piace molto mangiare alla carta da Gagnaire, perché quello che provo è semplicemente euforia data dal fatto che nel complesso, quello che ho sul piatto è semplicemente buonissimo. Godurioso. Generoso. Ma non credo che sia la vera, o almeno non la sola, espressione della sua cucina. Mi spiego. Per quello che riguarda la degustazione, la prima cosa interessante è che non è un semplice "best of" della carta. E' proprio un altro concetto, molto più criptico. A volte riesce, a volte meno. Ma anche quando sbaglia (mi viene in mente un foie gras poêlé con radicchio rosso e saucisse di Morteau che era semplicemente cannato, ma che ho capito in seguito, nella sua evoluzione qualche mese dopo, ostinazione della ricerca!), anche quando sbaglia, in generale, il fatto di essere sempre il bilico tra il trionfo e la catasfrofe, di prendere dei rischi che pochi altri chefs prendono, lo porta, come già detto, a realizzare piatti a volte sconvolgenti. Ogni singolo piatto della degustazione, a volte, sta in piedi per miracolo, quasi non ci si crede, per la quantità di ingredienti, per la natura degli stessi che uno chef, per cosi' dire, normale, non penserebbe mai di associare. Prendete per esempio questo piatto di cui ho un ricordo gustativo travolgente (ho anche il menu sotto mano, bisogna dirlo): Guazzetto emulsionato di nasellino al coriandolo fresco. "Pacchetto" di granciporro, pressé di coniglio al combawa. Asparagi bianchi, fave, piccoli dadi di speak e rapa rossa. Fiori di salvia e ananas....Ecco quando lo leggi, ti viene un colpo, e ancor più pensando che tutta questa roba sta in un solo piatto. Poteva essere un disastro, poteva addirittura risultare ridicolo. Il risultato invece fu geniale. Uno dei piatti più golosi che abbia mai mangiato, ogni elemento perfettamente riconoscibile al palato si appoggiava perfettamente sull'altro, in favore del gusto generale, che non era riconducibile a nulla, se non a se stesso. Insomma, tutta questa storia, per dirvi che, a mio parere, la sua vera creatività, Pierre Gagnaire la esprime piuttosto nella degustazione, dove con la tecnica, l'ingegno, spesso genialmente, con la sua sensibilità, è capace di portare l'avventore in luoghi veramente lontani. Il problema è che poi bisogna tornare a casa da soli. E' una cucina di ascolto. A volte ( è ridicolo, lo so), mi viene da ascoltarlo, il piatto, come se avessi le orecchie in bocca. Per farla breve, anche se ormai è tardi, credo che sia parli di una cucina inclassificabile, è talmente personale, talmente in evoluzione che un voto è veramente stretto, qualsiasi voto, perché va considerata in tutta la sua evoluzione, in tutto il suo mutamento, in tutta la sua abbondanza, anche nei suoi difetti, che, tuttavia, la rendono unica. Sul piatto c'è lo chef, caotico, a volte maldestro, audace, di una generosità per quanto mi riguarda commovente. Si racconta ogni giorno, veramente ogni giorno. Si chiama condivisione, a prezzi stratosferici, ma è condivisione di se stessi, cosa rara, sia in cucina che nella vita. Non è meraviglioso? E il burro vale il viaggio.

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