Passione Gourmet Trivet - Passione Gourmet

Trivet

Ristorante
36 Snowsfields, Londra
Chef Johnny Lake
Recensito da Davide Scapin Giordani

Valutazione

16/20 Cucina prevalentemente classica

Pregi

  • Ampia scelta di cocktail e carta dei vini che permette di divertirsi senza spendere un capitale.
  • Atmosfera informale che mette subito chiunque a proprio agio.

Difetti

  • Contorni poco correlati con i piatti.
  • Tre fette di un solo panificato, peraltro molto buono, a 5,5 £ sono una caduta di stile.
Visitato il 08-2023

The Fat Duck? Neanche per sogno

Quando si pensa a The Fat Duck la prima parola che viene in mente è molecolare. Tanto che lo Chef che officia da quelle parti, Heston Blumenthal, sarebbe di certo passato alla storia come l’esponente più importante di quella corrente se non avesse incontrato sulla sua strada un tale di nome Ferran Adrià. Premessa necessaria per capire chi sono e cosa fanno i due soci di Trivet: Isa Bal e Johnny Lake. Prima di intraprendere questa nuova avventura professionale a due passi dal Londron Bridge, i due erano rispettivamente head Sommelier ed Executive Chef a The Fat Duck: in pratica quel tempio della gastronomia, fino al 2018, girava attorno a loro. Scontate le aspettative all’apertura del nuovo ristorante, l’anno successivo: tutti a caccia di trasformazioni estreme, giochi, alchimie, trabocchetti. E invece Johnny ha preso da subito la direzione opposta, proponendo una cucina essenziale, senza fronzoli, che sottende e a tratti nasconde un bagaglio tecnico di primo piano e punta sull’intensità dei sapori, sulla concretezza e la leggibilità dei piatti.

Un viaggio che parte da Londra e tocca Francia, Italia e Giappone

La parola d’ordine è “accessibile”: lo sono l’atmosfera e il servizio, tarati sul bistrot più che sul fine dining; lo è il prezzo, se parametrato al mercato londinese; lo è la carta dei vini che, pur provvista di grandi etichette, ha come elemento di originalità l’esplorazione di territori vinicoli meno inflazionati e spesso trascurati come la Turchia, la Georgia, la Grecia. Lo è, prima di tutto, la cucina. Volendo comunicare che la selezione dei prodotti è almeno importante quanto le trasformazioni messe in atto dallo Chef, la prima pagina del menù è dedicata a salumi e formaggi. Poi, però, si fa sul serio.

Tra gli “starters” sono Italia, Francia e Giappone a dividersi il palcoscenico: da un lato l’Animella croccante con erbe selvatiche e insalata di alga kombu confit, in cui la panatura leggermente grossolana esalta la cedevolezza dell’animella e gli elementi vegetali danno un tocco sapido e fresco. Dall’altro il piatto della giornata: “Drunk Lobster, Trivet noodles”, una contaminazione-capolavoro fra Italia e Giappone: astice cotto nel sake, spaghetti all’uovo simili alla nostra “chitarra”, cotti al dente nello stesso sake che ha visto passare l’astice in precedenza; il tutto servito con aggiunta al tavolo di una salsa simile a una bisque composta dai liquidi di cottura arricchiti da shiro miso (miso bianco). Uno di quei piatti che si vorrebbe non finissero mai. Tra le portate pricipali spicca “Not a crispy duck” (non un’anatra croccante): qui, a una certa prudenza della combinazione dei sapori, fatto salvo il classico abbinamento con l’arancia sostituito dal melone, corrisponde una cristallina perfezione esecutiva. Lascia perplessi, invece, l’impostazione dei contorni, che vengono serviti al centro del tavolo per essere condivisi, senza un preciso legame con i piatti che dovrebbero affiancare.

Comunque, se non lo avesse preceduto l’”astice ubriaco” il miglior piatto sarebbe stato un dessert, “Hokkaido Potato”, ovvero una millefoglie composta da sfoglia di baked potato incredibilmente friabile e croccante quanto se non più di una sfoglia classica, inframezzata da una mousse leggera di cioccolato bianco e sake e accompagnata da un gelato di burro e sake.

IL PIATTO MIGLIORE: Drunk Lobster, Trivet noodles.

La Galleria Fotografica:

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