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Inkiostro

Chi vuol esser Terry Giacomello 

La più eccezionale, genuina e profonda assenza di piaggeria caratterizza, da tutte le angolazioni la si guardi, la cucina dell’allievo di Ferran Adrià Terry Giacomello. Lui che, mai come in questo momento storico, sembra star interpretando Terry Giacomello in “Terry Giacomello”, un film di Terry Giacomello sulla vita di Terry Giacomello… un quadro espressivo di grande coerenza, quello in cui opera e in cui si esprime, di cui solo il set costituisce, a un occhio attento, l’elemento difforme.

Un’individualità espressiva tale, la sua, da farlo diventare meta di pellegrinaggio dei più importanti chef della nazione attirati forse da una cucina che, unanimemente, s’è guadagnata il titolo di avanguardia e come l’avanguardia è libera dall’imperativo di piacere e, men che meno, dal tacito assunto che vorrebbe la cucina dover essere sempre buona o, comunque, almeno appetitosa, se non al palato di certo alla vista. Nossignori, lui se ne infischia e, quando non si fa applaudire, riesce a far sospendere il giudizio nei suoi confronti portando l’ospite a pensare che solo un ottuso potrebbe criticarlo perché una persona assennata e, soprattutto, una persona sensibile non apprezzando uno dei suoi piatti concluderebbe semmai di doverci riflettere sopra… 

Il nuovo menu 19 Vibrazioni colpisce per la quasi totale assenza di colore, spesso utilizzato, da altri, in maniera iperbolica, strumentale o, peggio, ruffiana. La sua tavolozza è quasi sempre neutra come se lui, del colore, non ne avesse alcun bisogno. E ciò è propedeutico a un’altra grande assenza, forse la più grande, l’assenza più presente di tutte: quella delle stagioni, ovvero del tempo, e del territorio, ovvero lo spazio. È una cucina che toglie tutti i riferimenti e che, nella successione di 21 portate – abitate peraltro da ingredienti e combinazioni più che fantastiche, fantascientifiche – pur articolando un livello di complessità altissimo è percepita dall’organismo come leggerissima. Ci si alza dal tavolo affatto appesantiti e né confusi, ma vivaci, tanto nel corpo quanto nello spirito.

Una sintassi senza gerarchia

Ciò detto, lo chef dimostra di sottostare almeno a una regola: benché nella pressoché totale assenza di piatti canonicamente inquadrabili nella categoria di antipasto, primo e secondo (quelli che vedete in galleria – risotto e torta di mele, per dirne due – non erano parte del menu degustazione ma sono stati aggiunti dalla carta), c’è una gerarchia, una sintassi tra le portate che, appunto, ne disegna la cornice interpretativa tratteggiando il significato dell’esperienza con un’efficacia infallibile. 

L’incipit è sulle corde del croccantisismo con l’esofago e le zampette di gallina; del soffice e del deflagrante – in una nuvola di voluttà, per essere precisi – col krapfen di patata soffiata, la sua spuma affumicata e il cotone di faraona. Interlocutorio il Kombu-Parma che, secondo noi, pure troppo concede alle tentazioni del rancido, soprattutto se associato a un supporto gelatinoso come quello del grasso culatello, mentre ritorna sulla traccia dell’irresistibile col Canapè di coniglio, cervelletto fritto e paté di fegatini. Intermezzo vegetale con l’Insalata Folle, un crescendo di amaro, acquoso, balsamico e tonico giustapposti cui seguono degli eccellenti – ed eruditissimi – Ravioli di bottarga, miele di olmo, crema di topinambur, olio di levistico e lulo. 

Medesime tentazioni del Kombu-Parma in altre due portate ma molto più definite e più fragranti: la Patata millenaria, una patata cotta a 70°C per 12 ore che occhieggia all’idea stessa della putrefazione, esasperata nell’eccezionale Limone dimenticato, ammuffito con l’ausilio del penicillium roqueforti e farcito di una meringa all’italiana con infusione di scorza di limone bruciato. Esilarante, infine, il Terryedibile, un momento di sincera ironia, e auto-ironia, come ci si aspetta dalla migliore avanguardia artistica. 

A un passo dalla cima

Per il livello di consapevolezza, la tecnica e la ricerca condotta sulla materia, Terry Giacomello si colloca  a un passo dal lambire la cima di una vetta che lui stesso ha creato. Come spesso accade in questi casi, però, il sabotaggio è dietro l’angolo, ed è quasi sempre autoinflitto: con la speranza che questo gigante della cucina italiana contemporanea trovi presto una sua pacificazione, interiore oltre che abitativa, il consiglio al lettore è quello di precipitarsi da Inkiostro e accogliere con fiducia l’eversività della sua inimitabile cucina.  

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La trattoria, tra immaginario collettivo e realtà

La prima immagine della trattoria italiana? Tavola, tovaglia a scacchi e atmosfera conviviale. Quella di un ristorante gastronomico? Un pregevole desco imbandito, dove degustare piatti e vini ricercati. Questo, certo, se non intendiamo scostarci dallo stereotipo.

Ora, condensiamo queste due immagini, sovrapponiamole fino a distillarne una, come una sorta di ibrido: eccoci arrivati alla Trattoria Ai Due Platani, di Giancarlo Tavani e Gianpietro Stancari, appena fuori Parma, a Coloreto dove, già all’ingresso, campeggia un’imponente pressa in argento, vessillo della lunga serie di riconoscimenti ottenuti nel tempo.

La tradizione, su una tovaglia a scacchi

Di fatto, trovare un tavolo libero qui, a detta di molti, sembra essere una delle sfide da grandi maison tristellate, eppure la fama acquisita da questa celebre insegna emiliana ha oramai raggiunto il livello nazionale facendo balzare anche a mesi la lista d’attesa per un tavolo. Parlavamo giustappunto di tradizione e fine dining, tovaglie a scacchi nazional-popolari che vanno a braccetto coi Grand e Premier cru di Borgogna. Tavani in sala e Stancari in cucina fanno strabuzzare gli occhi dei commensali col loro menù e una carta dei vini che, anche ai più edotti, offre la possibilità di divertirsi.

Quanto alla tradizione, i tortelli alle erbette e quelli alla zucca, grazie alla sfoglia sottilissima e tirata al momento, fanno da scrigno al ricco e setoso ripieno, in perfetta esecuzione ducale. Oppure il piccione, feticcio dell’haute cuisine: petto scaloppato con cottura saignant, mentre la coscetta fritta accompagnata da pane alle noci e spinaci saltati mostrano quanta padronanza di tecnica e gusto vi siano dietro a una solo apparentemente, semplice trattoria.

Infine, il monumentale gelato alla crema mantecato fresco a ogni servizio con una storica Carpigiani del ’64, al quale è possibile aggiungere, a proprio piacimento, divertissment come zabaione, cioccolato, o nocciole caramellate. 

Se la rinascita identitaria della cucina italiana passa anche dalla trattoria, siamo veramente fortunati poiché I Due Platani, di Coloreto, ne rappresenta una manifestazione esemplare. 

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Nomen omen per un locale che arricchisce la scena gastronomica parmigiana

Nella prima periferia di Parma non è facile trovare il coraggio di proporre una cucina che esuli completamente da ravioli, anolini e punta ripiena. La città ducale infatti, cuore della food valley, paga lo scotto di una cultura gastronomica recintata dalla quale sembra non poter evadere. Ma la storia insegna che la fantasia sboccia ogni volta che si manifesta un clima di occlusione creativa. È così che accanto al genio di Terry Giacomello, oggi Parma vanta un nuovo orgoglio: lo chef Vincenzo Dinatale, pugliese di nascita, con importanti esperienze alle spalle, tra cui il ruolo di sous chef al ristorante Pellicano e oggi titolare di La Maison du Gourmet.

In un cascinale modernamente ristrutturato va in scena una cucina nuova, spregiudicata e divertente

Alla Maison du Gourmet la sfrontatezza e l’originalità accompagnano l’onestissima sicurezza del cuciniere che propone un menu senza ricalcare le mode passeggere, senza somigliare alle cucine di colleghi più blasonati e, soprattutto, che ha il merito di essere pensato non solo per piacere ma anche per stupire. Consistenze, impiattamenti e accostamenti di sapori regalano una prospettiva nuova, in grado di emancipare lo spirito critico convenzionale di qualsiasi appassionato o addetto ai lavori. Dinatale riesce nell’intento di far passare in secondo piano l’aspetto gustativo strettamente inteso, facendo, invece, risaltare brillantemente la sua fase creativa, dotata di un’architettura complessa e solida che sfrutta le tecniche conosciute come fondamenta sulle quali ergere strutture palatali anticonformiste.

Già dai primi colpi sferrati la personalità dello chef pugliese si fa notare senza troppi convenevoli. Sfera di kiwi e vin cotto è un divertissement non fine a se stesso, un approccio al menu originale e sfacciato, in cui l’esplosione di acidità e dolcezza è accompagnata da un retrogusto leggermente piccante. Trottole in crema di rapa rossa e crudo di mare è un’idea in divenire, in cui va rivista la temperatura di servizio, ma che non lascia scampo per la qualità dell’intenzione. Le due zuppe Germogli e germinati e Chicchi di rombo, zuppa di ricci e baozi sono i punti più alti, per complessità e gradimento gustativo, di una cena che non si farà dimenticare nel breve periodo. A conferma di quanto appena scritto è 100% gambero unico passaggio veramente sottotono, causa la mancanza della consueta irriverenza da parte dello chef che preferisce strizzare l’occhio a espressioni più convenzionali e già viste in altri lidi.

Parma ha una nuova tavola su cui fare affidamento. Se Vincenzo Dinatale manterrà vivo il suo coraggio potrà raggiungere grandi traguardi.

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A Parma una straordinaria evoluzione della cucina contemporanea ad opera di un allievo di Adrià

Terry Giacomello ha una speciale venerazione per colui il quale ritiene essere il suo Maestro. Ferran Adrià ha significato davvero molto per lui e per la sua formazione di cuoco. Ma come tutti i veri virtuosi – e migliori allievi – Terry Giacomello ha fatto propri i più grandi insegnamenti che sta ora applicando in una strada tutta sua, personale e autentica. I tre maghi di Disfrutar continuano nel solco tracciato dal grande maestro, portando avanti la filosofia integra del Bulli, certo, ma Terry con l’Inkiostro sta perpetuando uno scarto costante. Complice il percorso, invero piuttosto articolato, che da Marc Veyrat e Michel Bras a Roses, dove ha trascorso oltre quattro anni, lo ha portato presso alcune tra le cucine più importanti del pianeta passando da Andoni Luis Aduriz ad Alex Atala prima e da René Redzepi ed Helena Rizzo dopo, Giacomello ha inanellato esperienze che restituisce appieno nei suoi piatti forti di una tecnica che dissimula con agilità e grazia: molta, moltissima grazia che è poi la musa ispiratrice di tutta la stilistica culinaria di questo chef friulano adottivo parmigiano.

Eppure, è stato solo distanziandosi da tutto, mediante un paniere di materie prime in arrivo da tutto il mondo, che Giacomello ha imboccato la sua strada personale issata su riferimenti e principi solidi e precisi ancorché sfumati e indefinibili dai quali scaturisce un unicum intrigante e, appunto, unico nel panorama dell’alta cucina contemporanea. Tante ed elaborate le tecniche e le tecnologie messe in campo, ma impercettibili: l’istanza narrante e i meccanismi narrativi sono sempre completamente celati, dissimulati poiché al servizio dell’efficacia narrativa.

Va da sé che possa piacere o meno, ma certo non si può dire che, a Parma, non sia in atto e non sia vivacissimo il laboratorio di cucina di avanguardia de l’Inkiostro: ne fu un esempio l’uovo che, scaturito dalla collaborazione con Davide Cassi, docente di Fisica della Materia all’Università di Parma, pur sottendendo studio e pure il gusto per uno scientismo di tipo tecno-emozionale, come spesso accade all’Inkiostro, in bocca si risolve in una suggestione potentissima, di eleganza pura. Ed è proprio questo continuo articolarsi di studi e ricerche ed esprimenti che fanno di Inkiostro il laboratorio di cui si parlava dianzi. Anzi, di più: poiché le combinazioni elaborate sulle consistenze, sulle geometrie, sulle proporzioni sono le medesime del laboratorio di cala Montjoi, finanche qualche lieve concessione più alla tecnica che al gusto, sempre al servizio di un concetto che crediamo essere fondamentale per comprendere la stilistica di Giacomello: il tempo, sempre attuale, di elementi colti nell’hic et nunc della loro più precisa stagionalità e il luogo estemporaneo, perché si tratta pur sempre di elementi provenienti da tutto il mondo, ma ricostruito nella bocca che, attraverso l’unicum del piatto, esperisce sensazioni che sono come suggestioni o, meglio, come ricordi.

E poi quanta intensità, quanta vibrante armonia nei contrasti, quanta tecnica al servizio del gusto. Una cucina che fa riflettere, pensare, che può dividere a tratti, ma pur sempre una grande e alta cucina. Alcuni colpi di alta scuola? Il Cuore di manzo, il Fiore di loto (paradisiaco e unico), i Ricci e cartilagine, la mela omaggio al Mugaritz e potremmo continuare così di seguito. Alcuni piatti semplicemente buoni, altri virtuosismi tecnici ancora da sistemare (il calamaro e la patata) ma geniali nella loro unicità.

Contiamo molto sul futuro di Terry Giacomello, un grande cuoco contemporaneo.

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Piccoli cuochi crescono, tra Piacenza e Parma

La scuola di ALMA di Colorno, tra i suoi tanti meriti, ha anche quello di aver diplomato una folta schiera di talenti che si distinguono per impegno, dedizione e umiltà. Il direttore di sala Andrea Forti e lo chef Jacopo Malpeli dell’Osteria della Peppina fanno parte di questo gruppo. In un casolare lungo la Via Emilia, giusto a metà strada tra Piacenza e Parma, tra le nebbie d’inverno e l’afosa cappa climatica del periodo estivo, prende vita un progetto decisamente importante, con piccoli passi ma da tenere in seria considerazione.

Entusiasti, innamorati del proprio lavoro, i ragazzi hanno costruito un percorso decisamente in crescita. Rispetto alla nostra visita precedente c’è stata una profonda e intensa evoluzione. Non solo nei piatti, ma anche in tutto il resto. La cantina è cresciuta, con referenze molto interessanti e ben pensate. La sala è gestita con miglior piglio, mestiere, sicurezza. Il locale pare quasi rivitalizzato e pervaso da una importante energia. E la cucina viaggia adesso sui binari della maggior sottrazione, concentrandosi sul gusto, seppur continuando ad esprimere tecnica e costruzione opulenta nelle pietanze. Caratteristica dello chef, che ora si sta trasformando in qualità distintiva. Ricerca sulle ricette italiane, trasformate e stravolte non nel principio, ma nei contenuti: una buona dose di creatività applicata anche sugli ingredienti e sui nomi dei piatti.

Nuovi piatti, più maturi ed eleganti, anche sul fronte ittico

C’è molto piaciuto il rognone tonnato, marinato e scottato magistralmente in latte di ginepro, e finito con una leggera salsa tonnata da manuale. Così come l’omaggio del Savarin di riso di ‘cantarelliana’ memoria che, proprio per non entrare in conflitto con il maestro, viene qui trasposto magistralmente in chiave ittica. Ed è proprio la componente di cucina ittica ad essere cresciuta a livelli quantici, decisamente meno pasticciata, più concreta, fine ed elegante.

Segno di maturità la ricerca della sottrazione e dell’eleganza non solo visiva ma anche gustativa. Valori che stanno decisamente trovando riscontro nel percorso intrapreso e che ci auguriamo continuino ancora. Unico appunto è relativo ai prezzi, davvero tanto cresciuti rispetto a tempo fa: in particolare per la degustazione abbinata al menu importante, di ben 10 piatti a 80 euro (veramente competitivo), che con gli altrettanti 80 di abbinamento porta il conto a 160 euro a testa. Davvero tanti, a meno di non degustare qualche calice di premier cru di Borgogna, ma non ci risulta essere questo il caso.

Al netto di ciò, questi ragazzi meritano davvero sostegno e li incoraggiamo ad andare avanti.

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