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Disfrutar

Dieci anni su livelli assoluti di eccellenza

Dieci anni. Era il 2014 quando il ristorante Disfrutar aprì le porte del suo universo immaginifico al mondo. Sono bastati soltanto dieci anni per infondere infantile stupore a tutti i commensali che hanno varcato la soglia di questo laboratorio di sofisticazione gastronomica in una delle capitali europee più entusiasmanti sul tema. C’è poco da fare e da dire. La cucina del trio Eduard Xatruch, Oriol Castro e Mateu Casañas (quest’ultimo, in verità, più impegnato nel progetto Compatir, a Cadeques) ha un dono, quello di innescare gioia servendo cibo e facendolo con la necessaria empatia per rendere l’esperienza unica e indimenticabile. A tal fine è cruciale anche il lavoro svolto della sala che interagisce con familiare – e informale ma garbata – accoglienza e diventa propedeuticamente parte essenziale dell’esperienza. Un servizio superiore alle aspettative sotto tutti i punti di vista, capace di colpi di classe come l’audacia di rivolgersi verso i commensali per i quali sono state segnalate allergie o intolleranze alimentari.

Prima della tecnica, per Xatruch, Castro e Casañas, c’è l’idea

La critica gastronomica l’ha definita cucina “tecno-emozionale” o comunque hanno coniato nuove terminologie che a distanza di poco tempo sono state comunemente utilizzate per identificare altre cucine. Sgomberiamo il campo da dubbi: chi guida le cucine di Disfrutar è stato parte integrante di quel processo culinario sperimentale e avanguardista (guidato da Ferran Adrià) che ha fatto da spartiacque tra due ere gastronomiche, quella moderna e… l’altra. La loro cucina può essere descritta con un semplice algoritmo: divertimento, stupore e, soprattutto, gusto. Prima di cominciare il pasto, viene consegnato per qualche minuto un foglio con un elenco di parole sparse intitolato “Cosa si nasconde dietro il nostro cibo?” Si leggono, tra le altre, “Sopresa“, “Emozioni“, “Provocazione“, ma anche “Sapore“, “Sensi“, “Consistenze” e tanto altro. Leggerlo si rivelerà interessante in quanto tutto verrà matematicamente riscontrato al momento degli assaggi.

Un pasto da Disfrutar è un’esperienza epica in cui interazione, contemplazione e divertimento sono scanditi in una sequenza dal ritmo incalzante (di oltre quattro ore che volano in un batter di ciglio) e avvincente. La grandezza di questa tavola può essere riassunta in pochi passaggi che hanno sancito, a nostro avviso, il picco della cena. A partire dalla folgorante partenza all’insegna del minimalismo con i Germogli e la loro concentrazione di sapori, ossia una metafora sulla cucina: la tecnica conta ma non è tutto, anzi, soprattutto in un ristorante dove le peculiarità delle tecniche di preparazioni sembrano imprescindibili; ecco, quindi, che il concetto del piatto ha un valore assoluto quasi esclusivamente nella sua componente materica: il minimalismo di potentissimi germogli di erbe aromatiche coperte da un leggero gel di pomodoro. Ogni singolo assaggio – dal gusto concentrato e distinto – viene resettato da un gel di pomodoro a fungere da riequilibratore. Semplice, vero? Un po’ come la meravigliosa Foglia di fungo, ossia l’idea platonica dell’intensità che dovrebbe sprigionare un singolo ingrediente e, in questo caso, lo fa sotto forma di essiccazione di una zuppa di funghi di incredibile persistenza; ma è tutto un susseguirsi di vulcanica creatività tra piatti scenici, ludici e mirabolanti, però contrassegnati da una disarmante bontà, tutt’altro che scontata. Parliamo, in ordine sparso, di un uovo fritto il cui finto tuorlo racchiude, in realtà, un consommé speziato di gamberi sferificato, il Corallo di amaranto, riproduzione edibile di uno scoglio marino, servito dopo un divertente gioco di prestigio, e la straordinaria Seppia “thai” con sferificazione multipla di cocco dove, ancora una volta, c’è il trionfo dell’ingrediente meno “lavorato”, ossia i piccoli molluschi.

Gli abbinamenti alcolici e analcolici (impressionante, in termini di ricerca e innovazione, il lavoro svolto su quest’ultimo fronte) sono parte integrante dei percorsi degustazione. Occhio però, perché si pescano vini interessanti grazie a una politica di prezzi “conveniente” a questi livelli. La squadra che gestisce la sala – ogni singolo cameriere si verrà a presentare al tavolo con il proprio nome – come detto, è un paniere prezioso di fenomeni e incide con la medesima determinazione della cucina sull’esperienza complessiva. Può sembrare banale – anzi lo è – ma sarebbe al contempo poco credibile non definire Disfrutar e il suo trio fenomenale di cuochi come una delle più divertenti e coinvolgenti esperienze di ristorazione che si possano fare oggigiorno in giro per il mondo.

IL PIATTO MIGLIORE: Seppia “thai” con multi-sfera di cocco.

La Galleria Fotografica:

Il ritorno di Albert Adrià e la ricerca di un nuovo baricentro

Vi è stato un momento in cui abbiamo temuto che l’epidemia avesse messo la parola fine a un capitolo fondamentale della storia della gastronomia: la dissoluzione della galassia “El Barri” deve aver sicuramente toccato nel profondo Albert Adrià che, però, ha fortunatamente trovato lo stimolo per riaprire la punta di diamante della sua enclave, Enigma. Il nuovo corso non rappresenta tuttavia il tentativo di fingere che nulla sia accaduto, al contrario si percepisce nitidamente il desiderio di ripensare l’offerta gastronomica, un percorso che – al momento della nostra visita – non era ancora giunto a un esito definitivo. Il confronto con il “vecchio Enigma” evidenzia l’eliminazione delle “tappe” – compresa la parentesi iniziale nipponica – e un maggior numero di coperti in sala (leggermente chiassosa); dopo una prima fase alla carta si è invece tornati a un unico menù degustazione.

Dalla frammentazione alla sintesi

Il ripensamento di cui si è detto riguarda anche – soprattutto e necessariamente – la cucina in senso stretto, tant’è che il percorso attuale, se “visto dall’alto”, fa trasparire la volontà di fornire una ricostruzione unitaria del complessissimo pensiero di un cuoco che ha vissuto infinite fasi e dettato rivoluzioni. I ristoranti di cui era composto il gruppo di “El Barri” consentivano ad Albert Adrià di frantumare l’intreccio, l’Enigma di oggi invece è sintesi, con un unico filo conduttore rappresentato dall’ingrediente, il fulcro intorno al quale ruotano le diverse modalità di rappresentazione. In questa prospettiva, si parte dalla citazione de El Bulli – i Ravioli liquidi di earl grey tea – , passando per momenti più golosi e tondi (ma non per questo meno interessanti) – come Dadinho di tapioca e formaggio con riccio di mare e Zuppa di pollo e cocco all’orientale gelatinizzata e riccio di mare – per culminare in esercizi di genialità, ammiccamenti all’appassionato: Asparago, merluzzo e salsa pil-pil – l’asparago in due cotture (bollito e al forno: tecnica micidiale, non esibita) e il merluzzo sintetizzato nella testura gelatinosa della pelle e nella salsa (le due anime del prodotto secondo la tradizione spagnola) -, Piselli lacrima di Maresme con siero di mozzarella e aria di rosa – elogio alla sensibilità nei confronti dell’ingrediente – Spaghetti freddi di basilico con dashi e Iyomozarella –  due capisaldi di tradizioni gastronomiche fondamentali (spaghetto al pomodoro e soba) ricondotte ad unità con naturalezza e credibilità sbalorditive (ci sono la gestualità, l’umami del brodo così come del pomodoro, la parte olfattiva..) -, Midollo di tofu e brodo di carne – il sapore del midollo è nel brodo mentre la testura è nel tofu – e Kuzusuizen con salsa di inchiostro di calamaro – anche qui, il calamaro è solo nella salsa, la testura è data dal kuzu (salta alla mente il calamaro del Lab 2020, insuperato).

La parte finale – dolce – del percorso avrebbe forse potuto osare un po’ di più. A distanza di un mese e mezzo dalla cena, la gran parte dei piatti sono impressi nella memoria – non accade spesso, no? – a riprova di come Enigma sia a tutt’oggi uno dei centri nevralgici della cucina d’oggi, cui manca solo la definitiva messa a fuoco. Il ritorno è d’obbligo.

IL PIATTO MIGLIORE: Piselli lacrima di Maresme con siero di mozzarella e aria di rosa.

La Galleria Fotografica:

El Bulli ai giorni nostri, la storia continua

Una delle domande più frequenti tra gli appassionati di cucina è: “Come sarebbe stato El Bulli oggi, nel 2017?

La risposta è Disfrutar, il ristorante creato a Barcellona da Mateu Casañas, Oriol Castro e Eduard Xatruch, per anni al fianco dei fratelli Adrià ed oggi nel loro ristorante, appunto, aperto nel 2014. Una grandissima ed intensa esperienza vi attende, l’evoluzione, la continua crescita delle tecniche, dell’esperienza culinaria del Bulli di cala Montjoi, inderogabilmente fedele ai suoi principi e alle sue fondamenta. Vi sembrerà di rientrare in quelle sale, non solo per la cucina che i tre esprimono. I muri, l’aria, il senso dell’imediatezza, dell’istante rubato in molti piatti e preparazioni e, se volete, anche il profondo sentimento, parlano a tutti di quella rivoluzione che, negli anni ’90, portò frotte di Gourmet al pellegrinaggio nella punta più estrema della costa catalana.

E’ bello vedere, e a dire il vero rende un po tristi perché purtroppo da noi in Italia non è così, il ristorante completamente pieno al sabato pomeriggio, con tavoli occupati in larga misura dalla ricca borghesia barceloneta. Un’età media che ci ha stupito, ci saremmo aspettati più giovani un tantino estremi piuttosto che l’avvocato o il professionista di grido, alle soglie della pensione.

Ma è anche questa la forza dirompente di ciò che il movimento del Bulli ha creato e continua a generare. Un coinvolgimento in uno stile di cucina che ha indiscutibilmente segnato, e continua a marcare, la storia della cucina contemporanea.

La vibrante e frenetica attività in cucina, con un numero pressochè infinito di cuochi all’opera, è l’emblema di una proposta che ha mantenuto tutti i capisaldi, anche le piccole imperfezioni, della geniale macchina da guerra di Cala Montjoi.

Consistenze e texturas al limite, spesso bocconi che si rompono, temperature in equilibrio precario costante, un percorso snodato su molteplici e variegati assaggi di sapori, di abbinamenti stravaganti, di grande ed estrema personalità. Lo studio sull’istantanea immediatezza dei prodotti, questa volta operata su una variazione di mandorle che solo in una finestra di pochi giorni si possono gustare così: con quella consistenza e quella lavorazione, e quei sapori. Un lavoro sulla tradizione, stravolta e non semplicemente rivisitata nelle consistenze e nelle temperature, come purtroppo accade ai tanti maldestri copiatori seriali sparsi per il mondo intero.

Una rilettura del Laksa Malese seguita a stretto giro da una altrettanto intensa e pervasiva, nonché affine, proposizione della bouillabaisse a fare da contrappunto. Un piccione in stile marocchino che strizza l’occhio in un paio di passaggi prima ad una caprese profonda e golosa. Un lavoro per lo più nascosto su cappelonghe macerate e cotte al sale, tradizione atavica spogliata e destrutturata, non solo nel piatto ma anche nelle tecniche di cottura e lavorazione.

Una cucina che fa pensare, fa ragionare e che qualunque cuoco dovrebbe una volta nella vita esplorare. Il fascino che la ricerca e la profondità di analisi di ogni singolo dettaglio dell’opera si porta appresso non può affatto passare inosservato. Ma anche se non sarete così attenti, così tecnici, così curiosi del percorso, il risultato vi sembrerà ben riassunto in un paio di soli aggettivi: è tutto incredibilmente e tremendamente buono e gustoso.

I detrattori potrebbero portare ad istanza il fatto che si tratta di una cucina sostanzialmente di assemblaggio, che il 90/95% dei piatti è prodotto in catena di montaggio prima e poi costruito all’atto del servizio. Che di cucina “cucinata” nel senso tradizionale del termine c’è ben poco. In realtà, questa eventuale analisi si rivelerebbe una visione miope e riduttiva del capolavoro rivoluzionario e innovativo promosso dal team del Disfrutar.

La fantastica esperienza vissuta allontana ogni tipo di perplessità. I discepoli del Maestro sono in piena forma e continuano per la loro strada, crescendo ed evolvendo. E anche questo è un segno della grandezza di ciò che è avvenuto a Roses.

Le tapas non sono solo cibo, ma una filosofia di vita.
Partiva da questo concetto l’idea di Albert Adrià per quel posto che oggi è il Tickets. Un progetto creativo che andava ben oltre la concezione del miglior tapas bar al mondo. Perché, ancor prima di aprire i battenti, il Tickets era stato concepito come il luogo ideale per tutti.
È iniziato tutto in modo assai curioso. Era il febbraio del 2010 quando Albert festeggiava con amici di famiglia il terzo compleanno del figlio in uno dei suoi ristoranti del cuore. Prima della torta ricevette un regalo inaspettato dal suo amico Juan Carlos Iglesias, attualmente suo partner in affari. Si trattava di un mazzo di chiavi di un immobile le cui mura ospitavano una concessionaria di auto.
Albert si soffermava spesso davanti quella bottega, affascinato dalla spaziosità di quegli interni. Un luogo ideale in cui, un giorno, avrebbe potuto trasferire il suo Inopia Classic Bar. Ma non era soltanto una questione di spazi. Quello era solo un pretesto.
Da quel momento, infatti, i concetti di tapas classici e dell’Inopia si persero tra le mille idee partorite in innumerevoli brain storming, fatti tra le cucine di elBulli e il Taller di Barcellona da quelli che erano le colonne portanti della fucina d’avanguardia di Roses: Albert e Ferran, Oriol Castro, Eduard Xatruch, Andrés Conde e Miguel Estrada.
Nasceva quindi l’idea del Tickets, alla base della quale c’erano due simboli del Bulli: l’oliva sferica e l’air baguette. A seguire, il lavoro sulle ostriche e un altro paio di centinaia di ricette tra tradizione e pura sperimentazione, perseguendo un (ennesimo) nuovo linguaggio gastronomico.
L’obiettivo era diventato sempre più preciso, anzi, non era mai mutato: si continuava a perseguire la ricerca dell’intrattenimento guardando al futuro.

Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna

Il Tickets è la dimostrazione di come i parametri culinari degli Adrià siano in continua evoluzione.
Tra queste mura è racchiuso un mondo su di giri, una sorta di automobile con cui, allacciate le cinture, il passeggero fa un viaggio a due velocità. La guida è sicura ma non mancano i grandi virtuosismi. Il pilota conosce come pochi le tecniche di avanguardia e di molte ne è anche l’inventore.
Dai primi snacks, fino ai dessert, si ha sempre l’impressione di oltrepassare il muro del suono, ma pian piano ci si stabilizza, con sorpresa, in una più rassicurante andatura di crociera.
Si fanno i conti con tanta modernità, ma dietro l’angolo, ad attendere il palato, ci sarà spesso il baluardo della tradizione, con la rivisitazione delle tapas che incontra i ricordi di luoghi lontani. Sapori decisi, dall’impronta catalana marchiata a fuoco, si avvicendano alla strabiliante capacità di far viaggiare il commensale con la mente oltre i confini della Spagna. Sensazione che qualcuno aveva già provato a Roses, poi al 41° e che può ritrovare, in un contesto più limitato ma forse più meditato, anche all’eccellente Pakta.
Fa tutto parte di quella marcia in più che contraddistingue da sempre i fratelli Adrià, capaci di racchiudere una miriade di sapori in pochi assaggi.
Il Tickets, il primo dei ristoranti de “elBarri” (ovvero il “quartiere” degli Adrià, come è stato definito), è come un parco di divertimenti in cui l’avventore ha la possibilità di scegliere la giostra che vuole, quando vuole. Senza vedersi imposte sequenze di sorta o particolari restrizioni. Su qualsiasi cosa ricadrà la scelta, si avrà la certezza di mangiare qualcosa di immediata piacevolezza che appagherà repentinamente il palato.
Difficile assoggettare a critiche un luogo così, perché da due assaggi a trenta che siano, ci si trova sempre al cospetto di qualcosa che stupisce.
Ci si sforza anche nel trovare i difetti (!?): forse il fatto che manchi l’identità di un percorso degustazione? No, quello ve lo fanno se lo chiedete. Anzi ve ne fanno di diversi tipi visto la vastità della carta.
E allora è forse il livello di raffinatezza dei piatti che muta alla velocità della luce, passando da armoniose complessità gustative a più semplici bocconi di rassicurante goduriosità, che, molte volte, tendono a lasciarsi alle spalle la componente raffinata e più cerebrale? Si, forse è proprio questo il rischio: di avere troppe idee e di sfornarle tutte nello stesso momento. Si, probabilmente è forse questo l’unico limite del Tickets.
E se invece fosse la sua imprescindibile chiave del successo?

Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna

Chi ha cenato a elBulli avrà sicuramente un ricordo straordinario del servizio, replicato perfettamente, con le dovute proporzioni, anche al 41°.
Al Tickets invece non ci sono particolari formalismi e la macchina della sala è particolarmente amichevole, coerentemente con l’ambiente ed il concetto di locale.
Ciò detto, resta comunque un servizio di rara puntualità e cortesia, come quasi tutti i ristoranti visitati a queste latitudini, in cui è facile constatare un livello medio sempre altissimo.

Gli snacks.
L’albero del Tickets.
Snacks, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
Goliardica presentazione con tanto di forbicette per tagliare il picciolo ricostruito.
snacks, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
Geniali meringhe al mirtillo (c’è probabilmente del rafano nell’impasto che dona una lieve nota piccante)…
meringhe al mirtillo, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
…da inzuppare in una intrigante crema al rafano.
crema al rafano, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
Le abbiamo provate e riprovate. Un po’ ovunque…
olive, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
…ma vi assicuriamo che qui sono uniche.
Le (super) olive elBulli. E’ facile che ve ne rifilino di diversi tipi in diversi ristoranti e in altrettanti continenti, ma nessuno ha la concentrazione di queste. Un gusto lunghissimo, forse anche migliore di un’oliva di qualità assoluta. Quando la tecnica potenzia la qualità di un ingrediente.
Questa è la varietà Verdial…
olive, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
…ma abbiamo assaggiato e percepito le differenze con la varietà Gordial, più forti e aromatizzate all’anice stellato e cannella.
olive, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
Crostino di acciughe con semi di pomodoro e cristalli di olio.
crostino di acciughe, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
Dalla sezione “Pura Razza”, è il momento di Joselito. Pata negra Gran Reserva.

Accompagnato da pane al pomodoro.

Sezione “Finger Food”.
Tonno in tartare con mille-feuille di alga nori croccante. Boccone strepitoso.
finger food, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
Incredibili gamberi rossi crudi con panatura al “mojo” verde (tipica salsa delle Canarie, a base di coriandolo e prezzemolo). Spettacolo.
gamberi rossi, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
Le ostriche: sulla sinistra con kimchi di yuzu e sulla destra, con salsa ponzu e uova di salmone.
ostriche, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
“Rubia gallega” arrotolata nella leggendaria air baguette.

“Jowl & Panceta”

Una succulenta brioche al burro con testina di maiale, mozzarella, mostarda, paprika e “ras el hanout”.

Ed ecco i piatti principali del Tickets: le tapas, all’insegna della tradizione.
Insalata di pomodori Raff, straciatella di bufala e aria di basilico. Sotto la schiuma degnamente concentrata si nasconde una caprese, ma non solo. Prima i pistacchi, poi delle fragoline di bosco generano una divertente alternanza di sapori e tonalità di raro equilibrio. Geniale semplicità.
insalata di pomodori, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
Strepitosi cannolicchi con salsa al cocco, funghi e arachidi. Siamo in Thailandia o a Barcellona?


Carciofi, crema di sedano rapa e vinaigrette al tartufo. Notevole piatto di matrice francese.
Carciofi crema di sedano, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
Piselli di Maresme (una delle Comarche della Catalogna) con jus di finocchio e pancetta croccante. Piatto da trattoria o preparazione di alta scuola con tecnica sopraffina?
piselli di maresme, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
Un altro piatto cult: spalla di maiale con patate confit e salsa di ossa di costine di maiale. Piatto di estrema golosità il cui abuso rischia di saturare le papille gustative. Ne bastano un paio di bocconi.
spalla di maiale con patate confit, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
Il pollo in due sequenze. O meglio, il piatto del viaggio.
Una favolosa variazione del volatile che fonde al meglio lo spirito di questa cucina: tradizione e innovazione.
pollo in due sequenze, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
La schiuma di lime da’ profondità al saporito boccone e il cubo di pane imbevuto nella salsa del volatile creano dipendenza.
pollo, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
Ma il colpo di grazia arriva con il brodo di pollo. Un consommé degno del miglior tristellato francese. Talmente chiarificato da sembrare acqua. È il caso di dire, uno di quei piatti indimenticabili.
brodo di pollo, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
Variazione di Payoyo, tradizione e evoluzione.

I dolci. Dai quali, francamente, ci aspettavamo un coinvolgimento emotivo maggiore. Comunque iper tecnici e anch’essi golosi, ma da un grandissimo pasticcere come Albert Adrià ci aspettavamo molto di più.
Mini cheesecake, meringhe al limone e crema di formaggio con composta ai frutti rossi.
mini cheesecake, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
Pancake con yogurt, sciroppo d’acero e composta di more. Questa volta il tasso di stucchevolezza va oltre il nostro gradimento.
pancake con yogurt, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
Altro dessert, spuma di panna e cioccolato.
spuma di panna e cioccolato, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
Tickets’ “crazy coconut”, gelatin alla menta, crema al frutto della passione e stracciatella di cocco. Da mangiare con le mani.
crazy coconut, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna
Uno dei tavolini.

Gli interni.

Alcuni banconi.

bancone, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna

Merchandising.

Insegna.
insegna, Tickets, Chef Albert Adrià, Barcelona, Spagna

Se dopo aver visto quei due cucchiaini in copertina pensate di addentrarvi nella lettura di un post che abbia come protagonisti i fratelli Adrià o un loro locale, vi sbagliate.
O meglio, quella sfera verde –che è diventata un simbolo di El Bulli- è proprio l’oliva sferica, un involucro esplosivo contenente un concentratissimo sapore di oliva. Piatto creato nel 2005 da Ferran Adrià ma, crediamo, amatissimo da un suo allievo, uno dei pochi a riprodurne fedelmente ed orgogliosamente quel sapore: José Avillez.
Questi è un cuoco non ancora quarantenne, passato anche dalle cucine di Ducasse e del Bristol di Parigi, ma è ai fornelli di Roses nel 2007 che ha subito la sacra folgorazione.
Avillez è un cuoco superstar, autore di libri, personaggio radiofonico e televisivo e produttore di vini, una vera icona in Portogallo.
A Lisbona ha un piccolo impero gastronomico di successo (tanto di cappello per la dote imprenditoriale) comprendente il Belcanto, suo ristorante di punta e fresco di seconda stella Michelin, il Cantinho do Avillez – che vedrete presto su questi schermi – trattoria gourmet con succursale anche a Porto, una pizzeria, il Cafè Lisboa all’interno del teatro São Luiz, una società di catering ed il singolare tapas bar quivi recensito.
Dopo aver provato i succitati locali, tutti agglomerati nella splendida cornice di Chiado, uno dei quartieri più chic di Lisbona, abbiamo avuto conferma della sua grande riverenza verso la cucina  praticata a El Bulli.
Del resto, quando Adrià decise di catalogare tutte le ricette create nel suo Taller, mettendole a disposizione di chiunque, aveva anche contemplato il rischio che le stesse potessero essere perfettamente riprodotte da chiunque e ovunque.
Con il Mini Bar Avillez ha voluto rendere spudoratamente omaggio al grande amico Albert Adrià ed al suo Tickets: ambiente trendy, validissimo cocktail bar creativo, personale qualificato, menu suddiviso in atti e tapas che regalano un amarcord culinario per gli orfani della cucina di El Bulli.
Detto ciò, nonostante quanto sopra assuma per noi un certo peso ai fini della valutazione finale, ci sembra giusto riportare le note di merito e i punti di forza di questo tavola.
Iniziamo col dire che il Mini Bar è un locale davvero divertente e a buon mercato, nella nazione è unico nel suo genere e, cosa che ci interessa maggiormente, è possibile mangiare piatti cucinati impeccabilmente e con una materia prima di primissimo ordine.
Ci sono due menu: a 38 e 48 euro. Se si sceglie alla carta, invece, ci si può personalizzare un percorso ad hoc e i prezzi variano dai 2,5 euro per gli snacks, ai 25 euro per “gli atti unici”, preparazioni più consistenti, come hamburger (colpisce ancora!) e bistecche.
Gli ingredienti vengono sapientemente trattati e lavorati con tecniche da manuale ed il risultato è davvero ineccepibile. Soltanto due portate ci sono apparse monocordi (i nuggets di baccalà e il dessert al limone e panna) anche perché proposte in porzione leggermente più abbondante del resto. Assaggi come l’avocado in tempura, polvere di kimchi disidratato, coriandolo, lime e limone e lo sgombro affumicato con mela verde sono invece, a tutti gli effetti, preparazioni di grande livello che meritano una menzione particolare.
Nel complesso, complice anche l’ottima selezione di cocktail e qualche etichetta interessante, una serata al Mini Bar può trascorrere all’insegna del divertimento, senza troppi pensieri, e, soprattutto, avendo la garanzia di mangiar bene.
Se poi preferite diffidare dalle imitazioni, a Lisbona fanno un buon baccalà, magari da gustare in qualche ristorante col Fado. Però poi si rischia di tornare in albergo con la tristezza nel cuore.

Margarita: mela verde marinata nell’omonimo cocktail e polvere di chili.
margarita, Mini Bar Teatro, Chef José Avillez , Lisboa
L’orientalissimo chevice di gamberi dell’Algarve.
cheviche, Mini Bar Teatro, Chef José Avillez , Lisboa
Avocado in tempura, kimchi disidratato, coriandolo, lime e limone. Notevole.
Avocado, Mini Bar Teatro, Chef José Avillez , Lisboa
Crocchette di carne ed emulsione di mostarda.
Crocchette, Mini Bar Teatro, Chef José Avillez , Lisboa
Bruschetta con foie gras confit, parmigiano , aceto balsamico e fichi. Abbiamo saputo di una gita a Modena dello chef. Probabilmente questa è un’altra folgorazione, questa volta del “croccantino di foie gras” di Bottura.
bruschetta con foie gras, Mini Bar Teatro, Chef José Avillez , Lisboa
Il raffinato sgombro affumicato, insalata di mela, sedano e tartufo.
sgombro affumicato, Mini Bar Teatro, Chef José Avillez , Lisboa
I notevoli temaki: con tartare di carne ed emulsione di mostarda,
temaki, Mini Bar Teatro, Chef José Avillez , Lisboa
e tartare di tonno con soia piccante, da mangiarne a quintali.
tartare di tonno, Mini Bar Teatro, Chef José Avillez , Lisboa
Nuggets di baccalà in escabeche e lamponi.
nuggets di baccalà, Mini Bar Teatro, Chef José Avillez , Lisboa
Si chiude con il JA burger con carne DOP e patate con maionese calda all’aglio.
ja burger, Mini Bar Teatro, Chef José Avillez , Lisboa
Concentratissimo il primo dessert: nocciola al cubo. Il frutto viene proposto a spuma, a gelato e sotto forma di spugna.
il primo dessert, Mini Bar Teatro, Chef José Avillez , Lisboa
Cono al cioccolato con sale e pepe rosa. Anche qui c’è un gioco di consistenze e temperature.
cono al cioccolato, Mini Bar Teatro, Chef José Avillez , Lisboa
Tanto d’effetto quanto deludente è invece il globo al lime con panna al limone: davvero troppo stucchevole.
globo al lime, Mini Bar Teatro, Chef José Avillez , Lisboa
Interni.
Interni, Mini Bar Teatro, Chef José Avillez , Lisboa