Passione Gourmet Ristorante DaGorini Emilia Recensione - Passione Gourmet

Ristorante DaGorini

Ristorante
Via Giuseppe Verdi 5, San Piero in Bagno (FC)
Chef Gianluca Gorini
Recensito da Andrea Solari

Valutazione

17/20 Cucina prevalentemente di avanguardia

Pregi

  • Materia prima eccelsa, valorizzata con originalità senza eccessi.
  • Ottimo rapporto qualità/prezzo.
  • Ambiente piacevole.

Difetti

  • Un po' fuori mano.
  • Carta dei vini in crescita, ma ancora relativamente limitata.
Visitato il 05-2018

La materia prima innanzitutto, sull’Appennino romagnolo, a San Piero in Bagno

La libertà di essere esattamente dove si vorrebbe essere, di fare esattamente quello che si vorrebbe fare come lo si vorrebbe fare, senza nessuna costrizione o un semplice condizionamento: tutto questo spesso è ciò che serve affinché uno chef compia il fatidico passo definitivo verso l’affermazione. È senz’altro stato così per Gianluca Gorini. L’abbandono de Le Giare – dove comunque già aveva saputo impressionarci – le riflessioni sul futuro e infine l’approdo a San Piero in Bagno, nei locali rinnovati di quella che fu una delle più note locande dello stivale, finalmente in una struttura tutta sua. Una località un po’ lontana da qualsivoglia centro urbano, ma perfetta per la concretizzazione di un’idea ben precisa, fatta di strettissimo legame con il territorio e i suoi abitanti. Un microclima ideale per la fauna, ancora relativamente vicino al mare, moderatamente in altitudine, ricchissimo di verde, e poi il contatto diretto e costante con piccoli produttori, allevatori, cacciatori in grado di mettere a disposizione una materia prima di vertiginosa qualità. E ancora il controllo diretto sulla filiera, sulle quantità e sulle tempistiche. Tutto contribuisce a gettare delle basi già di per sé solidissime.

E poi c’è la cucina, altrettanto solida, una di quelle che una tale materia la sa valorizzare: l’esperienza loprioriana si fa sentire nella perizia della costruzione gustativa e della valorizzazione della materia protagonista dei piatti, con esiti indubbiamente meno estremi rispetto all’esperienza senese, ma certamente non meno originali. Ma forse ancor più evidente, pur nell’affermazione di una personalità propria ben distinta, è l’affinità con certi esiti pariniani (i due sono amici e sono stati tra l’altro protagonisti, a metà maggio, di una spettacolare cena a quattro mani), indubbiamente nella territorialità della materia prima, nelle cotture sempre rispettosissime del prodotto, nell’energico slancio improvvisativo, ma soprattutto nella poliedrica e millimetrica gestione della componente vegetale, sia essa data dall’utilizzo di spezie, erbe, verdure o frutta, e in qualsivoglia forma, preparazione o procedimento di conservazione. Un esercizio mai fine a se stesso, ma decisivo alla costruzione del piatto: consistenze, sviluppo verticale e orizzontale, persistenze, suggestioni dolci, acidule, erbacee, amaricanti, non sembrano esserci limiti alle possibilità offerte. E laddove un cuoco riesce a dominare una materia tanto variegata e complessa con una simile limpidezza e naturalezza, non possiamo che applaudire.  E se il punteggio complessivo rispecchia ancora, a titolo prudenziale, malgrado l’evidente ulteriore crescita riscontrata, la precedente valutazione, ve lo diciamo senza se e senza ma: alcuni dei piatti assaggiati durante le nostre ultime due visite distanziate di circa un mese, presi singolarmente, se la giocano già con disinvoltura al livello superiore, e non mancheremo di seguire con costanza ed estrema curiosità gli ulteriori sviluppi di questa interessantissima cucina.

Gli assoli nel piatto

Sala gestita con un perfetto equilibrio tra empatia e professionalità, tempi di servizio puntuali, rapporto qualità/prezzo encomiabile e carta dei vini corretta e ben prezzata, seppure ancora meritevole di crescita soprattutto in ambito “naturale”.

Passando alla carrellata dei piatti assaggiati, dopo il benvenuto della cucina, che costituisce già una dichiarazione di intenti, l’apertura con una superba Battuta di daino è già segnale inequivocabile che qui con la materia prima si vola altissimi. Di consistenza fondente, quasi burrosa e di sapore delicatissimo, intelligentemente accompagnata con limpida discrezione dalla cucina.

Il successivo Carciofo arrosto con salsa di carciofi, capperi salati e polvere di tè matcha ha tutti i crismi per costituire un piatto che ben difficilmente potrà essere tolto dalla carta: diversificazione texturale (esterno croccante, interno quasi fondente), vivacità gustativa (sapidità del cappero, tannicità vegetale delle foglie esterne) e sviluppo orizzontale (polvere ad apportare ulteriori note amaricanti e lunghezza al palato). Merita una menzione il Mandorlato di baccalà con resina di rosmarino (estrapolato da una seconda visita), che ci ha entusiasmato per la stimolante soluzione texturale e per la sua poliedricità gustativa (iodicità, balsamicità, dolcezza, persistenza molto prolungata), che ne permetterebbe il posizionamento in più punti di un ideale percorso.

Pasta e risotto all’insegna di una golosità più marcata, sempre tuttavia ravvivata da soluzioni vivacizzanti e direzionate a uno stimolante nitore gustativo. L’anguilla cotta alla brace, radicchio marinato all’aceto di pinot nero, riduzione di vino rosso e salsa allo scalogno svolge perfettamente, con le sue note amarognole e acetiche, il suo ruolo di reimpostazione palatale prima dei secondi di carne, all’insegna di un Agnello arrostito profumato alla camomilla con fave, lattuga, pinoli tostati e zenzero, dallo sviluppo orizzontale discreto, ma apparentemente infinito, e da uno spettacolare Piccione allo spiedo, estratto di alloro e cipolla fondente, le cui note leggermente amarognole derivanti dal breve passaggio su griglia romagnola, ulteriormente amplificate da un estratto di alloro fantastico, trovano l’ideale contrappunto nelle suggestioni dolci/acide di una cipolla in parte fritta, in parte presentata sotto forma di spuma con una riduzione di aceto e vino bianco).

Menzione d’onore per la Lepre, mandarino, estratto di ginepro e timo cedrino (estrapolata da una seconda visita), variazione di quel piatto che già ci aveva entusiasmato in altra preparazione in occasione della visita di poco seguita all’apertura del locale: di nuovo all’insegna di una materia prima quasi indescrivibile (la scioglievolezza di questa carne va toccata con mano per essere creduta) e di una perizia nella gestione di equilibri gustativi (ematicità, balsamicità, acidità) e strutturali da vero fuoriclasse.

A conclusione della parte salata, uno spaghetto mantecato al burro di genziana, caciotta, scorzetta di bergamotto candito, la cui potente nota amaricante stemperata e nel contempo veicolata dall’amido, cui la freschezza del bergamotto funge da legante, ben reimposta e predispone alle chiusure dolci le quali, pur muovendosi su campi più canonici, si fanno apprezzare per freschezza e quasi totale assenza di stucchevolezza.

La galleria fotografica:

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