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Torre

Le 4F di Fascino

Siamo all’interno dell’affascinante Fondazione Prada, dove svetta l’affascinante ristorante Torre con un’affascinante vista sullo skyline di Milano. Qui lo Chef Lorenzo Lunghi affascina con la sua cucina, quindi 4F: fascino della location, dell’interior design, dello skyline e della cucina. Torre è sì il ristorante di fine dining all’interno di Fondazione Prada, ma vive e dovrebbe vivere ancora di più di propria luce: fa specie che sul sito non ci sia ad esempio il menù e quindi non si possa comprendere l’offerta gastronomica; fa specie anche che non ci sia un profilo dedicato sui social più importanti, così come il fatto che non esista ufficialmente un menù degustazione ma solo una carta, pure abbastanza stringata, anche se poi a richiesta lo Chef si diverte a improvvisare e a creare piatti che riescono a sorprendere.

Abbiamo già raccontato qui di Lorenzo Lunghi, giovane ma non giovanissimo, toscano, e del suo passato con Fulvio Pierangelini e poi allo Chateaubriand e Saturne. Quello che colpisce di lui è la cifra stilistica assolutamente distintiva e la vis creativa che rende piatti che, leggendoli sulla carta o, quando presentati, sembrerebbero “normali”, ma che in realtà hanno sempre quel qualcosa, uno sprazzo di luce che li trasforma. Piatti belli, intensi e gustosi con le componenti di  freschezza, sapidità, dolcezza, acidità e profumi che giocano insieme e divertono il palato. Salse squisite e perfettamente dosate, uso intelligente e intrigante di erbe e della componente vegetale a valorizzare la proteina sia pesce sia carne. 

Tecnica, creatività e palato

L’iniziale Tartare di dentice con noci fresche, olio alla cipolla e consommé affumicato è bella da vedere e porta una grande freschezza al palato, per iniziare bene il percorso degustazione; interessante il piatto “vegetale” con Asparagi bianchi, lardo, crema di scamorza e salsa olandese, gustoso e sapientemente equilibrato nelle varie componenti. Originali gli Spaghettoni con pomodoro verde, mela, bottarga, ricotta affumicata e crisantemo con un bel gioco su sapidità, acidità e dolcezza. Iodio, grassezza e dolcezza si amalgano perfettamente nel piatto con i pregiati Rossetti, calamaretti spillo, cipolle arrosto e le due salse, al nero di seppia e alle mandorle. Super gustosa la Guancia di dentice alla brace, ricoperta di fiori d’acacia e accompagnata dai piselli, così come l’Agnello, crema di pistacchi, fave e bruscandoli, squisito. Sulla parte dolce, interessante il pre-dessert con la componente vegetale che rinfresca e pulisce il palato nel Brodo di rabarbaro con mirtilli, mousse di sambuco, gelato e olio alla verbena, mentre non spicca per creatività il dolce vero e proprio.

Come detto, auspichiamo soprattutto che si vada sulla strada di valorizzazione sempre più identitaria del locale, dando spazio e ufficializzando un percorso degustazione e, di conseguenza, mettendo giustamente sempre più in luce il talento di Lunghi. Da lui ci aspettiamo uno sviluppo più creativo proprio sulla parte dei dolci che lo porterà, tranquillamente, a migliorare il punteggio.

IL PIATTO MIGLIORE: Agnello, crema di pistacchi, fave e bruscandoli.

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Autentico izakaya

La Gastronomia Yamamoto, connotata da quell’accattivante estetica “minimal” insita nello stile nipponico, risiede da più di un lustro al civico 5 di via Amedei, nel cuore di Milano; qui viene condotta con mano felice la più concreta cucina della tradizione del Sol Levante che tralascia – alleluia! – gli abusati sushi e sashimi tipici dei sedicenti ristoranti giapponesi che largheggiano oramai in ogni dove. Il locale, che incarna l’autentico izakaya, consta di un ingresso con qualche tavolino con un soffice divanetto ove accomodarsi magari per una sosta più veloce e di una saletta un po’ meno caratterizzata con cucina a vista e allestita da tavolini più prossimi e numerosi. Tra svariate proposte, optiamo per un breve menù degustazione articolato in quattro portate (secondo l’estro di Nonna Yamamoto) sorseggiando altrettante tipologie di Sakè suggerite dal garbo del direttore Andrea Giacometti, la cui competenza merita un plauso.

“Ci pensa Nonna Yamamoto”

La prima portata che funge da antipasto, di matrice vegetale, consiste in piccoli assaggi di Topinambur, carote, salsa di soia e di sesamo, poi arriva un’Insalata di patate alla giapponese consistente in una purée del tubero con carote ed edamame e, per terminare, Punte di asparagi al vapore spolverizzate da fiocchi di bonito essiccato, fruito sorbendo dell’Olive East no 315 dal tocco morbido, dolce e dal retrogusto rinfrescante. Giunge poi un Calamaro tiepido con salsa di soia, mirin e zucchero accompagnato dalle tonde radici di Taro (bulbi piuttosto evocativi delle nostre patate ma dalla texture più viscosa) associato ad un tocco di Ouijiman 50 che, al palato, restituisce un gradevole sapore di ananas. Proseguiamo con una portata di ottimo Ka-ree giapponese, al cui centro campeggia una candida cupola di riso bianco cotto al vapore contornato da un intingolo speziato e piccante che cela appena delle golose fettine di pancetta di maiale e degustato assaporando del Mitsui no Kotobuki Junmai Ginjo dal tocco rinfrescante e detergente. Concludiamo il percorso delle pietanze sapide con del Pollo marinato in salsa Nanban (tipica marinatura agrodolce giapponese) e fritto le cui cosce risultavano irrorate e ammorbidite dalla salsa Teriyaki e accostate a della appetitosa salsa tartara, godute centellinando del Maibijin Muroka Genshu Yamahai, dal color giallo paglierino e riecheggiante il limone sotto sale.

Terminiamo questo giocoso e garbato intervallo con un trancio di eterea Chiffon cake al tè matcha accompagnandola ad un assaggio di liquore alle prugne «Gozenshu Umeshu», uno ai chicchi di riso integrale «Oki Homare Muromachi» e, last but not least, al favoloso «Gozenshu Yuzu», il mirabile e profumato agrume giapponese.

IL PIATTO MIGLIORE: Ka-ree.

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La confortevole avanguardia di Andrea Berton

Da anni Andrea Berton, pur non essendo milanese di origine, rappresenta uno dei volti più rappresentativi della grande ristorazione milanese. È lui – che ha fatto parte della scuola marchesiana nell’epoca migliore, quella di Bonvesin della Riva – lo Chef della Milano più moderna, europea, quella che fa tendenza, punto di riferimento della moda e del design nel mondo. “Ogni giorno passavo davanti al cantiere di Porta Nuova Varesine e pensavo: il mio ristorante nascerà lì” e non si sbagliava lo Chef friulano – che più milanese non si può – e il suo ristorante ha sede proprio nel luogo simbolo della Milano più trendy e moderna.

Il ristorante è elegantemente moderno, di design, così come moderna, buona ed elegante è la cucina di Berton. Cucina “Alta” nell’accezione più nobile del termine. Dai contenuti tecnici importanti, dietro alla quale ci sono grande studio e applicazione e intuizioni brillanti come l’elaborazione del menù “Tutto Brodo”, oggi diventato “Non solo Brodo”, in cui la componente liquida si beve a volte prima, a volte dopo o, ancora, è legata alla preparazione. Un menù, questo, che pur rinnovandosi non perde mai la forza dell’idea iniziale, di complemento del piatto o addirittura esaltazione, come accade nel Brodo di prosciutto crudo, scarpette, pane e piselli che racchiude perfettamente l’incontro tra terra e mare, e porta a scoprire tutti i sapori, boccone dopo boccone, in un’esplorazione continua.

Una cucina tecnicamente indiscutibile e perfettamente integrata nell’anima della metropoli lombarda

La cucina di Andrea Berton è da sempre dotata di una naturale eleganza ben rappresentata, nella nostra ultima esperienza, dalla preparazione di una Lasagna di piccione che accarezza il palato per l’impalpabilità della sfoglia, l’armonia del ragù, la scioglievolezza della carne. Dal nuovo menù “Non solo Brodo” merita una citazione anche Asparagi di terra e di mare, bernese all’olio extra vergine d’oliva e camomilla, piatto servito con, in accompagnamento, un intensissimo brodo di asparagi. Qui il processo creativo parte da un ingrediente che viene esaltato in tutte le sue potenzialità e il risultato gustativo viene perfettamente completato dal brodo servito in accompagnamento. Il resto dell’esperienza denota, come detto, tanta tecnica che – va detto – in qualche passaggio rischia di essere un po’ fine a se stessa finendo per far prevalere la forma sulla sostanza (leggi concentrazione gustativa). Il servizio, molto preciso e dinamico e la carta dei vini, molto ampia che permette, volendo, di divertirsi senza badare a spese completano la proposta di un ristorante che si conferma punto di riferimento assoluto in città.

IL PIATTO MIGLIORE: Asparagi di terra e di mare, bernese all’olio extra vergine d’oliva e camomilla; in accompagnamento brodo di asparagi.

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Un chiosco al centro di Milano, il secondo amore di Matias Perdomo

A Milano, tra le viuzze che si dipanano alle spalle di piazza Missori, Exit Gastronomia Urbana si trova al centro di piazza Erculea, in una sorta di veranda che ricorda i chioschi di fiori. I posti all’esterno col bel tempo regalano una atmosfera abbastanza defilata rispetto al baccano del traffico, all’interno due sale separate, essenziali e abbastanza chiassose. Si tratta del bistrot di Matias Perdomo, Chef dello Stellato Contraste, e la lettura del menù lascia presagire che si godrà di piatti dai sapori decisi. L’atmosfera è accogliente e calda nonostante la sala sia molto semplice; il servizio cordiale e alla mano ma, allo stesso tempo, attento, rende l’esperienza ancor più godibile.

Una cucina golosa, a tratti opulenta, dalla ottima materia prima trattata con rispetto

Il menù parte dagli snack, per un aperitivo o per aprire le danze, oltre una ventina di proposte tra cui l’immancabile Uovo Exit, inanellando piatti di carattere, classici e adatti a un pubblico ampio, oltre che una piccola selezione di dolci per concludere in bellezza. Non casuale ma voluta la scelta di non avere in carta primi piatti, una particolarità che vuole differenziare l’offerta e dare vita a una proposta inclusiva, dai sapori decisi e dalle salse calibrate, che di tanto in tanto spinge molto sull’acceleratore dei sapori come col Piccione, zucca e semi di zucca: petto e coscia, zucca lavorata in tre modi, marinata, in purea e gelato con semi di zucca, caffè sia nel fondo che in polvere.

Interessante anche l’Anguilla – doppia cottura, cbt e padella – mosto cotto d’uva, alloro in olio e polvere, cavolfiore marinato e bruciato in purea. La Zuppa di cipolla è un piatto molto corposo dove sfilano ben tre tipi di cipolla, bianca dorata e rossa, roux alla francese farina, burro e Comté 16 mesi. La Crépinette di agnello, poi, vanta sapori forti: in particolare la coscia marinata ripiena delle sue interiora macinate chiusa da rete di maiale, trova perfetta chiosa nella Purea di carciofo e sedano rapa che alleggerisce la sapidità potente del piatto.

Buona chiusura il Brownie e arancia al quale il whisky da una marcia in più. La cantina dei vini è di alto livello, la scelta, soprattutto di Champagne, è vasta e accontenta ogni voglia. Il prezzo, tenuto conto della cantina e della zona, è in linea con le aspettative milanesi ma un poco stride con la location, molto essenziale.

IL PIATTO MIGLIORE: Crépinette di agnello, sedano rapa, carciofo.

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A casa di Felix

Felice (Felix) Lo Basso ha coraggiosamente portato avanti la sua idea originale di Home Restaurant, con lui come anfitrione, a intrattenere con la sua personalità e cucina istrionica 12 persone attorno a un bancone, come se si fosse in una, bella, cucina di casa a vista. Sin dall’inizio la proposta è stata quella di un Omakase, ovviamente assolutamente italianizzato, in cui il commensale si affida a lui; si era partiti, e ne avevamo raccontato qui, con un unico degustazione da 12 portate.

Ora, invece, ci si è spostati su una “rappresentazione” a cinque atti (Il Viaggio, Il Mare, La Campagna, La Montagna e Casa Dolce Casa) che contiene, all’interno di ogni atto, più micro-mini-piatti-bocconi per un totale di 28 portate. Si attinge alla memoria dello Chef, sia di infanzia in quel di Puglia, sia delle esperienze internazionali, sia di quelle dell’alta montagna, per un menù che gioca sulla varietà con una alta focalizzazione sul gusto, alla ricerca di rendere ogni assaggio incisivo. Grande cura dei dettagli, attenzione all’estetica e alla miniaturizzazione degli elementi che affascinano, considerando che lo Chef si identifica con amore con un gorilla, quindi un animale dall’aspetto imponente e dalle zampe gigantesche. Felix vuole uscire dagli schemi, ad esempio togliendo il pane dal percorso, quasi un’eresia per un pugliese, e dalle omologazioni, in un approccio alla ristorazione decisamente originale.

Il percorso

Il viaggio inizia con una selezione di amuse bouche, ognuno dei quali rappresenta un Paese in cui è stato: c’è l’Italia, in particolare la Puglia, con un delizioso Cremino di cime di rapa, poi la Francia con una ciliegia ricreata, con un ripieno di foie gras, poi la Spagna con il Chorizo, la Russia con il King Crab, la Norvegia con il Baccalà e l’Australia con il Wagyu. Il percorso procede a un ritmo intelligentemente intenso per ingaggiare il cliente e incuriosirlo continuamente; tecniche di cottura, ricette reinterpretate con una bella mano e grande interazione con il commensale. Ci sono episodi super centrati sul gusto come le Braciole baresi in un tortello; l’Oca, tartufo, spuma di patate e polvere di funghi. Ci sono esperimenti molto ben riusciti di equilibri su vari registri come il Cannolo di cavolo nero con ripieno di ricotta e sesamo e intermezzi più tranquilli come il Canederlo di gambero e il risotto con prezzemolo, radicchio e cavolfiore.

Siamo ancora agli inizi di questa nuova strada intrapresa e il suggerimento è quello di giocare, proprio perché la numerica di portate è elevata e lo permette, su più registri, includendo anche le note di acidità e di amaro, di spinta ulteriore sul piccante, per rendere l’esperienza ancora più intrigante e ogni boccone memorabile. Non si può comunque che apprezzare questa vis creativa che porta lo Chef a rimettersi in gioco, complicandosi, fra l’altro, decisamente la vita, per le numerose preparazioni. Ma lui vuole continuare a creare, per divertirsi e per divertire i suoi ospiti che trascorrono, qui, davvero una bella serata.

IL PIATTO MIGLIORE: Oca, tartufo, spuma di patate.

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