Passione Gourmet Michelin Archivi - Pagina 2 di 18 - Passione Gourmet

Imágo

Continua la crescita di Andrea Antonini

Una crescita continua e a nostro avviso inarrestabile. Andrea Antonini, ne siamo convinti, non ha ancora mostrato interamente tutto il suo valore. Sta ancora prendendo le misure, sta passo dopo passo facendo crescere la sua idea di cucina all’interno di un luogo che ha giustamente tanti vincoli e deve tener conto del contesto. Ma la continua e progressiva evoluzione che sta compiendo la sua cucina la indica con il numero del menù, ad oggi l’ottavo da quando ha varcato per la prima volta la soglia di questo straordinario albergo.

Non dimentichiamoci l’età, 31 anni, e il curriculum di tutto rispetto che ha alle spalle, che bene abbiamo già raccontato qui. Queste sono condizioni necessarie ma non sufficienti per fare di un cuoco un potenziale grande cuoco. Servono anche idee, passione, tecnica… in poche parole, talento. E di talento dalle parti di Trinità dei Monti ne abbiamo trovato davvero molto.

La partenza, gli amuse bouche, così ricchi e articolati – qui si nota l’influenza del percorso spagnolo e crippiano – sono a dir poco paradigmatici di ciò che vi aspetta nel prosieguo. Una rilettura dell’italianità in cucina costruita su basi tecniche e inventive notevoli. Fine ed elegante il tagliere iniziale, apparentemente una selezione di prodotti, sì, ma che prodotti! Proporzioni e gusti concatenati perfettamente. E poi l’infilata di snack, tutti con un senso compiuto gustativamente parlando. Senza dimenticare il gioco, una componente cara al cuoco romano, che pare ancora più evidente nelle portate successive. Prugne e parmigiano nella crocchetta ? Al gusto, ad occhi chiusi, un erborinato… Qui inizia il gioco, senza terminare mai.

Nel Misto di mare un tripudio di piatti e porzioni che ironizzano sul gran misto pesce ma che al contempo fissano l’asticella del gusto e delle preparazioni molto in alto, con Alici e puntarelle, piatto caleidoscopico e delizioso nei sapori espressi. Il gioco continua con il fake risotto e la fake pasta, così soprannominati da noi perché trattasi di un risotto alla milanese eseguito al 100% con un calamaro e una splendida pasta di patate (non con patate) con zabaione salato al tartufo. Un tripudio anche la Faraona alla diavola, senza dimenticare il piatto che più ci ha colpito e intrigato: quel Carciofo e animelle che ci ha fatto intravedere le vere e reali potenzialità del cuoco. Un occhiolino strizzato appena all’umami, all’amaro, alle note tostate.

Cucina di palazzo? Cucina accomodante e confortevole? Solo all’apparenza. Il movimento sul fake, sulla trasposizione, sulla non-identificazione prosegue e proseguirà in questa direzione, crediamo con piccoli passi verso una identità ancora maggiore di gusto e intensità. Perchè i piccoli passaggi continui e costanti modificano senza apparire, rivoluzionano senza ostentare. E crediamo che nelle corde dello Chef ci sia molto di più e ancora tanto da vedere. Anche la dispersione dell’estetica di impiattamento crediamo sarà più indirizzata verso concentrazione e semplificazione, seppur apparente. Ci auguriamo che la strada verso la crescita di intensità e identità sia ancora lunga e piena di incrementi e che porti ad un cambio di colore, oggi oro ma in futuro certamente rosso, che non solo auspichiamo ma anche caldeggiamo.

Un plauso finale anche alla parte dolce, precisa come in pochi altri luoghi, e che ci ha divertito non poco.

Ad affiancare questo grande talento Marco Amato, storico padrone di casa e Alessio Bricoli, sommelier, entrambi talentuosi uomini di sala che sanno stare al passo di un cuoco di sicuro avvenire.

La galleria fotografica:

L’autenticità in tavola

Ci troviamo nel Chianti Rufina, una terra d’incanto che è un tripudio di ulivi e vigneti, un angolo di Toscana incontaminato e bellissimo. L’agriturismo Podere Belvedere Tuscany è abitato da numerose specie di animali da cortile che, dopo aver goduto appieno di una vita appagante e al naturale, riforniscono la cucina di Edoardo Tilli assieme alle numerose botaniche provenienti dai campi e dall’orto. Larga parte degli ingredienti, qui, è autoprodotta, frutto di questa terra ricca e generosa. Materie prime genuine, che riflettono nel sapore la loro autenticità e che permettono allo Chef, per dirla con Annie Marquier, di “scoprire il fuoco sacro, il fuoco della sua anima. E di fare in modo che la vita intera sia l’espressione di questa anima. La cosa più bella che possa capitare a un essere umano.

Quando tutto questo accade, infatti, l’autenticità traspare in qualunque atto si realizzi. Può trovarsi nel mungere una mucca, nell’accarezzare una spiga di grano, nello stagionare un cervo o una vacca vecchia e infine cucinarla. Con il fuoco, vivo e sincero. In questa serie di atti, tanto atavici quanto contemporanei, si nasconde il talento e la verità di Edoardo Tilli. Un talento che dire poliedrico è forse riduttivo. Un talento che va dal cuocere una carne alla perfezione, dopo averla selezionata e stagionata, al creare un piatto come Coscio di daino frollato, ostrica alla griglia e vellutata di erbe amare. O come Rognone alla griglia, albicocca fermentata, acetosella, scampo laccato con strutto di vacca, bottarga di interiora di agnello. Sovrastrutture? Sovrapposizioni? No. Verità, tanta verità nel piatto. E si sente. 

Per dare la possibilità ai nuovi clienti di sperimentare i piatti più conosciuti di Belvedere, il menù “Invicta” si è di recente evoluto nel menù “Vixit“, dal latino vissuto, ossia un percorso costruito lungo le tappe fondamentali del percorso di crescita dello Chef. Accanto a questo, due nuove proposte: il menù degustazione “Fieri“, avvenire, e il menù “Omnia“, tutto, che della filosofia di questo luogo ogni cosa racchiude. Questi ultimi sono due menù che non danno risposte facili e rotonde, ma indicazioni interessanti sull’articolata, complessa e studiata opera della cucina. Una cucina che dispensa schiaffi come carezze.

Una cucina libera e priva di confini

Il benvenuto della cucina si concretizza in un Brodo di gallo nero Ayam Cemani frollato 60 giorni e cotto nel coccio sulla brace, salato con garum di pollo arrosto; una pozione benefica che favorisce la digestione delle portate che seguiranno. Nella tazza da tè, prima di versarci il brodo con la teiera, viene presentato un uovo di quaglia marinato e cotto in stile giapponese, con dei fiori di calendula essicati raccolti attorno al Podere.

Seguono le intramontabili Olive finte; un rimando all’ubicazione di Belvedere, circondato dall’oliveta. Per realizzarle si utilizza lo stampo di un’oliva Santa Caterina toscana colmato di yogurt di kefir, marmellata di fichi e olio di alloro; tutti ingredienti rigorosamente autoprodotti. Si prosegue con il Tartufo finto, un boccone formato da un tuorlo d’uovo svuotato della sua parte liquida e ricolmato con una fonduta di Parmigiano Reggiano 60 mesi al tartufo, impanato con carbone vegetale e farina di riso e finalmente fritto. E ancora le Polpettine di recupero, per le quali ci si serve del lampredotto rifatto e della testina di cervo. La cialda a farfalla di senape, miele e pomodoro giallo con semi di senape marinati nel tosazu e polvere di frutti, pomodoro e limone. Interessante il Koji arrostito con shoyu di cannellini, che sviluppa sentori simili a quelli della carne. Infine la vellutata di rapa rossa con miele di castagno, acetosella e uova di trota marinate in un garum di lievito e il Bao.

La prima portata consiste in un Boccone di anguilla alla griglia laccato al tavolo – così che la laccatura non diventi eccessivamente coprente – con una teriyaki fatta con garum di anguilla di recupero e wasabi grattugiato al tavolo da radice di 3 anni. Un boccone semplice e molto piacevole, ma di elevatissima qualità e artigianato.

La Tartare viene servita nella sua essenzialità. Il piatto vuole presentare la carne nella sua estrema essenza che, tuttavia è assai preziosa. La carne viene infatti frollata per quasi tre mesi prima di essere reidratata con un fermentato di selvaggina e un goccio di olio di oliva. Il risultato è un sapore intenso e complesso. La frollatura fatta in alta umidità rende elegante la carne e fa sorgere e percepire dei sentori vegetali variegati. La Crêpe di sangue di maiale con pesto di finocchietto selvatico, diverse varietà di senapi con i propri fiori, rifinita con una salsa di koji lattofermentato, è un’accentuazione e riproduzione di quel sentore vegetale che si scopre nella tartare.

L’incontro tra terra e mare si presenta sotto forma di un boccone di Coscio di daino frollato in alta umidità, così da tirare fuori sentori salmastri, con ostrica alla griglia, ricoperto con una vellutata di erbe amare. Un infinito di ostrica. Un altro piatto di incontro gustativo e olfattivo tra terra e mare è il Rognone alla griglia, con albicocca acida (fermentata), acetoselle, scampo laccato con dello strutto di vacca e zucchero di canna, lievemente arrostito. Al tavolo viene aggiunta della bottarga di interiora di agnello, che all’odore ricorda la vera bottarga, mentre in bocca esprime l’intensità della carne.

Si prosegue con il Carpaccio di colombaccio alla griglia con mix di spezie e sugo d’interiora; Cosce con marmellata di fichi e olio all’alloro; Filetto marinato nel suo garum e cotto appena da un lato; spiedino di petto laccato con salsa di miso e aceto di riso tosazu; due fette di salamino di colombo maturo e, infine, il brodo ghiacciato con erbe fresche aromatiche, ad accompagnare la coscia affumicata e impanata nella polvere di fiori di sambuco con fiori freschi di erba aglina. Quindi il Musetto di maiale cotto nel latte in pressione e i suoi succhi di rilascio fatti a crema con mandorle tostate, brodo di limoni, burro bruciato, scalogno e senape.

Si procede con il turno della griglia, un trittico inaugurato dalla Bistecca alla griglia, che in realtà presenta pezzi di diverse età, di diversi muscoli e di diverse frollature. Dalla Frisona di 10 anni con 300 giorni di frollatura, alla Jersey di 5 anni con 110 giorni. Segue una fetta di Cecina di bue stagionata per due anni e mezzo, servita con peperone corno sottaceto.

La Faraona alla griglia con miso di ceci, crema di sesamo tostato e zucchero filato è succosa come non ci si aspetterebbe da una carne di questo tipo alla griglia. Essa viene cotta, coperta, ad una distanza di 40 cm sopra la griglia, lentamente, così da mantenere il calore e il fumo. Lo zuccherò rende molto appetibile il boccone, lo bilancia, lo contiene. Il Capriolo alla griglia scuoiato al tavolo, frollato 60 giorni, presentato con il suo fondo, nocciole leggermente annerite e pancetta di Mangalica, si scioglie in bocca esprimendo eleganza e delicatezza, tutto ciò che non ci si aspetterebbe dalla selvaggina.

Infine il Sottobosco, un risotto acido con mela sciroppata, polvere di cipresso, funghi e lamponi gelati e la Tagliatella al ragù di cervo vecchio, con garum di cervo e miele di cipresso. Un grande lavoro di arrostitura e rifinitura, con il garum a rendere il piatto imponente nel sapore, ma mai esagerato in termini di pesantezza.

A conclusione del percorso vengono serviti una Panna cotta con burro di capra, lemongrass e Caviale Calvisius Siberian italiano; un Lime muffato, dove il lime viene sbollentato, svuotato, inoculato con spore di aspergillo e completato con mousse, crumble e marmellata di fichi; una Girella di sfoglia, timo e sale Maldon con crema inglese al rhum e fava tonka.

La Galleria Fotografica:

Continua la crescita verso qualità, competenza e gusto

Andrea Bartolini ha preso in mano le redini del gruppo di famiglia da quando il padre Stefano ha lasciato la sua creatura e subito ha impresso un ritmo giovane, fresco e moderno, effettuando tanti piccoli ritocchi. Andrea ha impresso il suo stile e la sua idea di imprenditoria nel mondo della ristorazione in tutti i locali del gruppo e anche qui, a La Buca, fiore all’occhiello dell’azienda. Ha rinominato l’Osteria del Gran Fritto in Osteria Bartolini, ha ampliato organico e struttura, in tutti i locali.

Lo storico cuoco, Gregorio Gippo, ha oggi il ruolo di executive Chef del gruppo, sovraintende e guida questa grande struttura e ha lasciato le redini della cucina al suo giovane pupillo Matteo Tonin, a La Buca da molto tempo. In sala due talenti come Mirian Kukaj e Mauro Donatiello completano il cerchio della professionalità giovane e dinamica. Un trio fresco, effervescente, che ha portato innovazione sia in sala che in cucina.

Gli abbinamenti estrosi e talentuosi di Mauro Donatiello si affiancano a una cucina frizzante, più effervescente e moderna, seppur nel solco della tradizione del luogo. Ode quindi al Gran pescato romagnolo con una punta di estro e originalità. Splendida la partenza con il Pescato del giorno, rispettato nella sua freschezza e purezza, seppur accompagnato da contrappunti interessanti. Ottimo il Risotto e le capesante, più convenzionali i Mezzi rigatoni e goloso e incisivo il Rombo con il fegato della rana pescatrice a impreziosire la preparazione. Uso di erbe e intingoli nonché verdure sempre corrette, tutto decisamente curato e preciso. Il salto ulteriore, che ci attendiamo, è una spinta verso una cucina, almeno nel menù degustazione, più preziosa, ancora più moderna, accattivante e ricca di contrappunti, che riteniamo plausibile e nelle corde del giovane cuoco. Il capitolo dessert è decisamente in linea con il percorso salato, seppur anche qui qualche colpo in più, sin da subito, potrebbe essere assestato.

Il lavoro della sala e dei due giovani e bravi Maître e Sommelier completa il quadro e rende questo ristorante degno di una visita, finanche di una deviazione.

La Galleria Fotografica:

Tecnica a palazzo

Appena fuori dalle rotte tradizionali ma così intimi in quella Venezia che sa così tanto stupire. L’avanzata gastronomica di questa città continua nella sua splendida, ambiziosa sfida. Va riconosciuto che uno degli apripista di questo new deal, in veste di lieutenant bartoliniano, è quel geniaccio da cucina di Donato Ascani. Arte, orto e laguna. Prosegue instancabile il minuzioso lavoro che il cuoco ha intrapreso nella cesellatura millimetrica del gusto e che gli ha fatto conquistare, in breve tempo, i due prestigiosi macaron della Rossa. Che la tecnica fosse di casa o, meglio di Palazzo (Venart!), questa è cosa nota. Ancora una volta la proposta triangolare tra cultura, mondo vegetale e Serenissima trova riaffermazione per lo stato di grazia di cui gode questa realtà.

Intenzione ed estinzione

Due termini simili in desinenza, ma così eterogenei nel loro significato. La prima, a sintetizzare lo stile ma anche l’impulso che Donato Ascani ha saputo combinare indagando questo territorio. Se l’Isola di Sant’Erasmo evoca ai più gli antologici carciofi – castraure – l’intento di Ascani è di riscoprire come micro-produzioni di ortaggi ed erbe spesso dimenticate acquisiscano una vis sorprendente grazie all’unicità del luogo in cui sono coltivate. Estinzione, nella sua accezione antica di “togliere o liberare da”. I piatti esposti nella loro sequenza si liberano di qualsiasi forma manieristica dove l’ingrediente potrebbe essere offuscato da virtuosismi modaioli. Emerge sicuro il fil rouge che lega Ascani a Bartolini in quella facilità di comprensione e di lettura in una città con una clientela turistica anche complessa. Estinguere, dunque, il dubbio. Metaforicamente parlando, infatti, la cucina di Ascani è come murrina che, nella sua complessa e affascinante struttura, si mostra nitida nel vetro trasparente in cui è incastonata. Il tutto è sinfonicamente orchestrato da una pregevole sala tra cui spiccano per stile il sommelier Ottavio Venditto e per l’empatica professionalità, che già avevamo trovato in un’altra realtà bartoliniana, a La Trattoria de L’Andana, con Irene Dorai.

Terra e acqua

Se delle Acquadelle in salse molto è stato scritto, ora riusciamo a stupirci per la sintesi tra estetica, gustativa e gestuale, tanti e diversi sono stati i colpi messi a segno da Ascani in questo nuovo “Arte, Orto e Laguna“. La Melanzana bruciata di Sant’Erasmo, pecorino, peperone di Senise e pesto parte dall’osmotizzazione con il pomodoro sulla melanzana rinvigorendo la carnosità che quest’ultima perderebbe nelle lunghe cotture consuete. L’erbaceo a crudo di basilico e origano dona freschezza. Infine, l’apposito pane, realizzato con il grano arso, è funzionale al piatto cui restituisce l’affumicato tipico dell’arrostitura nella golosa crosticina della originaria gratinatura. Una sublimazione di parmigiana. La Zucchina e fiori è un piatto innestato sul varietale dello stesso ingrediente (zucchina stellata, gialla e verde) agganciato all’evoluzione aromatica diversificata grazie alla disposizione dei singoli fiori/foglie presenti nel piatto. Trait d’union, la sobria acidità della bernese a impreziosire la spinta sapida del caviale. Un piatto di fisica progressione per ogni cucchiaiata. Poi, ancora una volta, uno dei piatti firma di Donato Ascani con la nuova versione della Seppia alla brace. La prima salsa fatta con le uova del cefalopode è il fondale su cui la seppia prima arrostita e passata velocemente sulla brace trova il consueto nero. La bieta, appena sbollentata quasi a riprendere un atavico zimino, incontra, leggermente acetata, la carnosità del cardoncello riprendendone la parte terragna. Piatto emblematico per alternanza di consistenze proteiche declinate anche sul versante vegetale. Emblematiche come quelle barene in laguna dove l’alta marea, nel suo divenire, scopre e poi sovrasta elementi, odori, scenari inaspettati.

Terra e acqua: una ciclicità deliziosamente raccontata dello scenario veneziano, che trova nel Glam di Donato Ascani una interpretazione d’autore.

La Galleria Fotografica:

Classico e contemporaneo

Renzo Dal Farra è una istituzione da queste parti e non solo. Ha creato, nel tempo, un tempio, un concentrato di gusto, piacevolezza, accoglienza, con una cantina che ha pochi rivali nello Stivale intero, sia per estensione che per qualità e prezzo della proposta. La sua cucina è sempre stata concreta, golosa, intensa ma mai a discapito dell’eleganza. Ora è arrivata la nuova generazione, il figlio Damiano che, dopo importanti esperienze in Italia e all’estero, muove a piccoli passi la cucina di Locanda San Lorenzo verso traguardi ancora più sottili e, se vogliamo, ancor più eleganti e leggeri di un tempo.

Toccare i capisaldi storici non è facile affatto : la Variazione di agnello dell’Alpago oltre che essere richiestissima è un piatto che ancor oggi vale il viaggio, ma l’opera lenta e duratura che Damiano già in parte opera e opererà sarà una ulteriore conferma dei piatti eterni, fuori dal tempo, che qui si propongono.

Goloso e pieno il Sandwich di anatra e fegato grasso con cipolla candita e maionese al lampone e ginepro, così come intrigante e moderno il Risotto ostriche e porcini, anguria marinata con salsa di finocchio e lemongrass. Splendide e intoccabili le Lumache croccanti con crema ai due agli.

Un percorso che stimola la scelta alla carta, per poi poter abbinare qualche intrigante e deliziosa perla enologica da una cantina che veramente lascia imbarazzati alla scelta, tanto è interessante e profonda. Un servizio attento, famigliare ma molto presente completa l’opera di un luogo davvero unico e indimenticabile. Se volete, e ve lo consigliamo, potente anche pernottare in una delle camere della locanda e risvegliarvi al mattino con una colazione casalinga ma ottimamente eseguita e servita.

La galleria fotografica: