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Cracco

Ritorno al futuro

Da un ascensore ad un altro. Il primo si addentrava in uno scantinato, l’altro, quello attuale, ascende a una cornice meravigliosa, nel cuore della Galleria Vittorio Emanuele II, dove ha trovato odierna collocazione il ristorante di Carlo Cracco. Il cuoco vicentino si divide tra format televisivi divertenti e la cucina del suo ristorante che continua sorprendentemente, nonostante l’inversione motoria dell’ascensore, ad essere uno dei più innovativi e audaci del panorama italiano. Del resto dietro ai fornelli c’è Luca Sacchi, executive chef di indiscutibile caratura tecnica, diventato con gli anni – prima sotto Baronetto e oggi direttamente con Cracco – la trasposizione attuale del suo mentore. Tutto quello che si faceva da Cracco vent’anni fa – e che pochissimi in Italia erano capaci di replicare – si fa oggi in Galleria.

Una cucina di innegabile maturità espressiva, consapevole dei propri mezzi e del proprio passato. Idee chiare e scelte mirate anche in ottica di sostenibilità che vanno incontro ai tempi duri che corrono. Nel panta rei della ristorazione, l’eccellenza e l’attualità di questa tavola rischiano quasi di passare inosservati tra diversivi mediatici, attacchi gratuiti e una miriade di nuove aperture; bastano però biglietti da visita come l’Insalata russa caramellata o il famoso Tuorlo d’uovo marinato – oggi servito come un irresistibile burro – a far riaffiorare rosei ricordi di una cucina che, tanti anni fa, era uno dei fiori all’occhiello dell’avvenire gastronomico italiano e che ancora oggi è in grande spolvero e sembra essere tornata ai fasti del passato.

Un ristorante in forma smagliante

In verità, escluso l’inevitabile periodo del complesso rodaggio, il livello di creatività di questa tavola è sempre stato costante. Lo dimostrano piatti come l’ormai classico – ma già migliorato – Salmerino in crosta, di elegante voluttuosità, o la nuova Sogliola “alla cacciatora” in crepinette con una straordinaria quenelle di ketchup ai funghi porcini a latere, capaci, insieme alle spiccate note acetiche e quelle abbrustolite del peperone, di regalare sprazzi di alta cucina mista a sapori della grande trattoria, che rappresentano creazioni complesse ma con tanta profondità gustativa e dimostrano come i dogmi della cucina classica possano essere rispettati anche sostituendo gli ingredienti insostituibili nell’immaginario collettivo. Lo Spaghettino ai ricci di mare, dragoncello e cocco è un altro piatto dal virtuoso equilibrio di sapori, dove l’echino, ingrediente feticcio di Cracco, funge da collettore iodato di note lattico-vegetali ed erbacee aromatiche. Imperioso anche il doppio servizio del coniglio, con la Sella con salsa di frutta secca e cacao che esteticamente ricorda una “royale” ma in verità presenta un gusto italianissimo e la Coscia fondente in cappuccino di lumachine di mare, polenta bianca e midollo, per un finale quasi dolciastro. A chiudere il pasto un’altra creazione iconica ma attualissima nell’articolato registro di sapori: Crocchetta di gianduja, crema di chinotti al maraschino e caviale, un dessert-non-dessert che non vede nè vincitori nè vinti nell’affascinante confine tra dolce e salato.

Il servizio di sala, guidato dal bravo Gianluca Sanso, con una predominante quota rosa, trasuda apprezzabile entusiasmo. Finanche la monumentale carta dei vini che è notoriamente enciclopedica e profonda, oltre che proibitiva, può riservare sorprese inaspettate, così come inaspettatamente piacevoli si sono rivelati alcuni abbinamenti tra il cibo e bevande, non solo alcoliche.

Bisogna tornarci oggi da Cracco, per riprendere il filo di un discorso interessantissimo sulla cucina moderna e d’autore, perso con il passare del tempo e la troppa luce mediatica che si è abbattuta su uno dei più grandi cuochi italiani del nostro tempo. Come vent’anni fa, ancora oggi, vi potrete sorprendere ed emozionare. 

IL PIATTO MIGLIORE: Sogliola alla cacciatora.

La Galleria Fotografica:

Carlo Cracco e Luca Sacchi: l’indissolubile legame tra passato e presente

Nel 2007, Bob Noto e Alessandra Meldolesi davano alle stampe un meraviglioso libro dal titolo “Autoritratto della cucina italiana d’avanguardia” – introvabile, qualcuno si prenda la briga di dedicargli una ristampa (!) -, un movimento in cui venivano ricomprese le figure di sei cuochi: Lopriore e Crippa – allora indicati come giovani promesse – nonché  Bottura, Cedroni, Scabin e Cracco, già riconosciuti a livello internazionale (affascinante pensare alla diversità dei successivi percorsi). Il cuciniere di Creazzo era stato peraltro il primo italiano a venire invitato a Madrid Fusión – il capostipite dei congressi gastronomici internazionali – nella seconda edizione, quella del 2004 (insieme a talenti rampanti come Blumenthal e Aduriz oltreché mostri sacri quali Marchesi, Senderens e Arzak).

Questa premessa – che non vuole essere una agiografia – è indispensabile per comprendere il Cracco di oggi ed anche per rammentare il ruolo focale che lo stesso ha svolto nella cucina italiana degli ultimi vent’anni, percezione spesso compromessa e falsata dalla memoria a breve termine. L’abbandono della storica sede di via Victor Hugo in favore della galleria Vittorio Emanuele aveva fatto presagire – anche a chi scrive – una transizione verso una cucina meno autoriale, più incline a soddisfare una clientela internazionale, magari autoreferenziale (i piatti iconici a disposizione sarebbero stati sufficienti per poter vivere di rendita). Il pranzo qui descritto ha invece dimostrato il contrario e messo in mostra un cuoco che ha uno stile consolidato (ancora, l’avanguardia che si trasforma in stile) – rinvigorito dall’apporto di un giovane talentuoso come Luca Sacchi, a cui viene lasciato ampio spazio per brillare – e un’offerta gastronomica che si risolve in una celebrazione sobria e sottile dell’italianità, scevra da scorciatoie, una cucina dotta che richiama alla mente le radici marchesiane e le affinità elettive con colleghi che hanno condiviso la stessa scuola (Riccardo Camanini e il Lido 84, su tutti). Sacchi esprime un’italianità declinata a tutto tondo, dalla calda accoglienza – capace di consentire un approccio disinvolto e privo di soggezione ad un luogo di rara bellezza e importanza -, alla densa ricorrenza di ingredienti del territorio (valorizzati in concreto anziché trasformati in appigli per facili narrazioni) e di riferimenti alle nostre radici gastronomiche.

L’abbattimento dei confini del gusto in corsi e ricorsi storici

Il filo conduttore del menù, di Cracco e Sacchi, che abbiamo degustato può essere rintracciato in un originale ed affascinante utilizzo delle note dolci, distribuite su tutto il percorso, una cucina androgina in cui il confine tra le diverse aree del gusto si dissolve. Una voce nuova, il naturale compimento di un percorso in cui i migliori cuochi nostrani avevano posto la loro attenzione sulle acidità, prima, e, più di recente, sui diversi gradienti dell’amaro. In questo senso, è esemplare Mari e montigambero d’acqua dolce (qualità sublime), bisque e fungo cardoncello -, in cui la dolcezza del crostaceo si combina con una trama sapido-agrumata e le note di terra del fungo, per culminare in un sussurro amaro, elegantissimo. In Sogliola al gratin, cavolo nero, ceci e vongole veraci, il pesce – quasi neutro – fa da supporto (anche in termini di morso) alla sapidità iodata delle vongole ed ai sentori, anche qui di terra, del cavolo nero e dei ceci, mentre la nota di dolcezza è conferita dal soffritto (la carota).

Un passaggio di infinita classe è, poi, Coniglio al mascarpone, spinacino e mele, perfettamente descritto da Leila Salimbeni (che l’aveva indicato quale piatto dell’anno) come “manifesto dell’italianità più colta e più elegante a tavola, anche quando si serve degli ingredienti più agresti e frugali, serviti in una maniera quasi monastica”. Ad un tratto ci viene però ricordato che la centralità del gusto nella sua interezza, senza “frazionamenti”, appartiene alla nostra cultura, rievocata dal Timballo – uno scrigno di pasta ripieno di rognone, maccheroncini, prosciutto affumicato, uovo di quaglia, crema pasticcera allo zafferano e cannella -, piatto che simboleggia altresì le innumerevoli influenze che hanno inciso sulla nostra memoria gustativa. La parte finale è coerente con il resto del percorso, come dimostra Gorgonzola dolce, pera e mostarda, un omaggio alle tradizioni lombarde e, nel contempo, un piatto difficilmente collocabile nei rigidi schemi in cui il gusto viene spesso imbrigliato. Una volta terminato il pranzo, viene naturale porre l’attenzione sull’esordio, l’iconica Insalata russa caramellata e ci si rende conto di come sia meravigliosamente coerente l’intero menù, quasi a dimostrarci come l’oggi non sia altro che l’ultima manifestazione di intuizioni risalenti a più di quindici anni fa.

IL PIATTO MIGLIORE: Mari e monti – gambero d’acqua dolce, bisque e fungo cardoncello.

La Galleria Fotografica:

Carlo Cracco, Dinner Club e la Galleria

Carlo Cracco, si sa, è cuoco poliedrico e mediatico ma il suo ultimo contributo televisivo, Dinner Club, distribuito e prodotto da Amazon Prime, ci ha sorpreso molto. Un format vincente, che affronta i giacimenti gastronomici del nostro paese con un piglio internazionale adeguato, senza scadere nella macchietta italica. Con una buona dose di ironia, divertimento e con partner davvero perfetti, ogni puntata veicola la nostra cultura e la nostra storia attraverso la scoperta del cibo e delle risorse di cui l’Italia è così ricca. Carlo, da padrone di casa, lo fa con piglio inedito e molto meno impostato di ciò che è avvenuto nelle sue partecipazioni televisive sino ad ora, tanto che la maturità e l’efficacia raggiunta va di pari passo con ciò che avviene, oggi, in Galleria Vittorio Emanuele.

Avanguardia italiana in Galleria

Che Carlo Cracco fosse un cuoco di razza, che esprimesse una cucina molto personale e unica, che fosse stato uno dei protagonisti di spicco dell’avanguardia culinaria italiana, era evidente sin dalla nostra ultima visita. Al suo fianco oggi c’è Luca Sacchi, cresciuto al suo fianco, vero e proprio partner in crime del cuoco vicentino: è questa sinergia ad aver proiettato la cucina del ristorante Cracco verso una dimensione che ci ha davvero entusiasmato. Maturità, precisione, personalità sono le cifre stilistiche espresse con una decisione e determinazione tali che si affiancano a freschezza e vivacità, tipiche dell’ardore giovanile. Questo, a nostro avviso, è il risultato di una maggiore serenità di approccio al progetto di alta cucina che i due hanno intrapreso qualche tempo fa, ma che a causa della partenza difficile, prodigata da un cambio di sede e di struttura non da poco, e dal periodo pandemico, ha subito degli innegabili rallentamenti.

Ma oggi il ristorante Cracco marcia decisamente ad una velocità altissima, coniugando lo stile e la sapienza del maestro vicentino con l’estro di Luca Sacchi, pasticcere prestato alla cucina, che trasporta tecniche, impiattamenti e visioni dell’arte della pasticceria nel mondo salato, con una padronanza ed efficacia davvero uniche. Ne sono un nitido esempio il bombolone alle alghe e ricci di mare e il think green: tecnicamente e concettualmente due dessert, proiettati nel mondo salato. L’uso sapiente, peraltro, del sale, tenue, e la veicolazione di ingredienti in forma naturale, traccia la rotta verso l’esplorazione dell’insapore, del neutro, come combinazione in perfetto equilibrio di acido-dolce-sapido e amaro.

Una vera avanguardia, questa, che trova il suo paradigma nei due piatti citati ma anche nello spaghettone zenzero e pomodoro, in cui l’equilibrio tra le componenti è tutto, e tale da trasformare il piatto da fantastico quale è a tragicamente inespressivo. Ma non è così. Qui, in Galleria Vittorio Emanuele, si assiste alla rinascita di un grande interprete sia in termini di cucina e che di stile personale.

I piatti alla carta, poi, sono molto più confortevoli e in buona parte indirizzati a un mercato, e dei clienti, che cercano meno stimoli e più rassicurazioni, ma se venite in galleria vi consigliamo il menù degustazione, oggetto della nostra visita.

Evviva Cracco, evviva Luca Sacchi, evviva il gruppo di giovani ragazzi, con particolare menzione per il sommelier Gianluca Sanso, che vi faranno vivere intense emozioni, palatali e non solo.

La Galleria Fotografica:

Cracco: lo stile tutto italiano, in galleria

Di boiserie e carta da parati di pregio è già stato scritto e altri ancora ne scriveranno: ebbene, siamo tornati da Cracco per vedere, a un anno dall’apertura in Galleria, a Milano, come questa realtà sia entrata in così poco tempo nel tessuto gastronomico della città meneghina. Il servizio, curato da Alessandro Troccoli, prosegue nella sua puntuale e discreta precisione dove l’atmosfera, quasi onirica e deliziosamente ancién degli ambienti, mostra un servizio di alto livello. Di pari passo anche la cantina, che nella mastodontica, enciclopedica carta dei vini regala una prospettiva fortemente d’Oltralpe con autentiche rarità sia nel prezzo (nella maggioranza dei casi, estremo), sia nella ricercatezza di bottiglie pressoché introvabili. D’altronde, vista l’ubicazione del ristorante, è facilmente intuibile come ciò avvenga e sia possibile.

Nel caso del menù autunnale, notevole la tentazione dell’appendice del tartufo bianco con cui impreziosire,  all’uopo, una ricca selezione di piatti. Quanto a noi, però, ci siamo lasciati condurre, nelle dodici portate, da un ensemble di cracchiana matrice: dal grande classico, intramontabile per golosità, l’insalata russa, che troneggia all’inizio della nostra degustazione come monito e, allo stesso tempo, come monolite della capacità tecnica che questo cuoco ha acquisito e dimostrato negli anni.

Due identità in un unico, solenne contesto

Di fatto, il menù racconta le due facce dell’anima che quest’insegna ha assunto: la prima, sicuramente quella che maggiormente apprezziamo, è la voglia di non accontentarsi. Ciò che ha fatto di Carlo Cracco uno dei pilastri della cucina italiana contemporanea d’autore è stato infatti quel suo modo di provocare con elementi apparentemente semplici, dischiudendone esiti inaspettati: tra questi, i must declinati in nuove versioni come il gambero viola di Santa Margherita, crema di semi di girasole e consommé di Culatello oppure il mais arrosto, polenta abbrustolita e baccalà all’olio d’aringa. Nel primo, la sintesi di un’immaginaria linea gustativa che collega mare e Pianura Padana tra due eccellenze; nel secondo, le origini vicentine del cuoco naturalizzato milanese riemergono con forte vigore regional-patriottico, elaborando un grande piatto con due ingredienti tipici della tradizione contadina veneta: il mais e il baccalà.

L’altra linea su cui la cucina di Cracco oggi sembra orientarsi, anche in virtù della clientela internazionale che bazzica questi deschi, è dettata da un forte classicismo: ne è un esempio il riso mantecato, lumache al vino bianco e aglio nero oppure il germano con mele e ginepro e passando per tutto il capitolo della pasticceria, dove la tortjonata (versione lodigiana della sbrisolona) accompagnata con zabaione al rhum è quasi monastica nella sua apparente semplicità, comunque essendo terribilmente buona.

Cracco in Galleria è, dunque, l’esempio di quanto il genio creativo gastronomico italiano abbia ancora da offrire anche quando si trova in uno degli scorci più affascinanti, e più solenni, della nazione. E proprio all’interno della scuderia della ristorazione gastronomica italiana (e non solo) Cracco ne rappresenta una tale, sapiente manifestazione che sembra naturale, allora, aspettarsi ancora più spinta da un grande talento come il suo. Un plauso, va detto, a Luca Sacchi, instancabile braccio destro e anima condivisa di questa grande cucina italiana contemporanea.

La Galleria Fotografica:

Carlo Cracco nel salotto di Milano

Carlo Cracco è prima di tutto un temerario. Solo un pazzo, un visionario con una buona dose di coraggio, lascerebbe, nel momento di maggior splendore e remunerazione, una carriera televisiva che ormai l’ha proiettato nello star system dello stivale, e forse oltre, per investire pesantemente in un luogo tanto bello quanto difficile.

Ma il mondo è pieno di visionari e pazzi che hanno avuto ragione. E noi siamo i primi sostenitori di Carlo Cracco e del suo progetto. Perché predisporre un luogo così ricco di fascino, così importante, così autorevole significa scommettere sul proprio futuro tutto quanto. Un giro di roulette, in cui solo la grande e instancabile vena creativa di uno tra i migliori cuochi dello stivale può far gridare al moderato rischio, invece che alla pazzia più folle ed estrema.

Solo alcuni scatti, che non rendono giustizia alcuna al luogo, perché vederlo dal vivo è tutta un’altra storia:

Uno dei ristoranti, dicevamo, tra i più belli d’Italia, e forse d’Europa. Un progetto complicato, con una stupenda sala eventi all’ultimo piano, il ristorante gastronomico al secondo piano, il bistrot e la caffetteria al piano terra. finemente ed elegantemente ristrutturato, tutto pensato nonché studiato nei minimi dettagli. Un investimento importante e impegnativo per dare lustro a Milano, con il progetto di alta ristorazione più importante, a nostra memoria, che sia mai stato concepito.

La cucina? La grande impronta di Cracco è evidente, l’avanguardia è ancora qui…

Fiumi di parole sono già corsi. E c’era da aspettarselo. Anche Cracco se l’aspettava, l’ha messo in conto. Lo chef interpreta la sua personale versione di una pizza? Bum! Parte lo sparo alzo zero. La cotoletta al Bistrot, dopo due giorni dall’apertura, era meno che perfetta? Ri-bum!

Noi, che non siamo mai passati per buonisti, siamo certi che il rodaggio, appena iniziato, di una macchina così complessa e complicata non può che essere ancora all’inizio. Inciampi, qualche svista, piccole cadute sono possibili quando c’è da far girare un locale così ricco di offerta e pieno di potenzialità.

Ecco perché ripartiamo dalla valutazione del Cracco di via Hugo, non perché non si meriti di più. Già oggi il nostro pranzo è stato ben al di sopra di questa valutazione. Ma preferiamo essere parchi, morigerati, preferiamo dare la possibilità a Carlo Cracco e al suo instancabile braccio destro Luca Sacchi, ormai in simbiosi totale con il suo maestro, di potersi fregiare di ulteriori traguardi in un prossimo futuro non troppo lontano. Saremo lì, presenti, costantemente. Anche perché il posto, e la cucina che esprime, sono degni di tante, tantissime visite.

Siamo convinti che Carlo Cracco e Luca Sacchi siano solo all’inizio di una trance agonistica positiva, che proietterà la loro cucina ben oltre le alte vette raggiunte già nel nostro pranzo con la crema cotta ai ricci di mare, moscato e rose cristallizate o il crudo di dentice, capesante, lime e caffè, con il lieve ma centrato tocco di burro di cacao grattugiato o la battuta di cervo, caviale, tartufo nero e lenticchie tostate e infine l’uovo, ingrediente feticcio di Cracco, sublimato in un irriverente sbeffeggio francofono al tartufo nero.

Completano il progetto una equipe di sala giovanissima, ancora in rodaggio, ma che, giustamente, ha dalla loro la freschezza e la voglia di emergere.

Non mancate una visita, vi divertirete e potrete vedere una maestosa macchina da guerra in costante e continua crescita, ne siamo certi.

La galleria fotografica: