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Bosio Franciacorta

“Cantinando” in Franciacorta 

Andando per cantine, possono essere tanti i criteri di scelta all’interno di una determinata zona vitivinicola. Uno di questi è l’individuazione del fulcro territoriale di appartenenza.

Viaggeremo dunque con questo criterio fra i produttori di vino e iniziamo spumeggianti, entrando in Franciacorta. Prima dell’era del Metodo Classico (dagli anni ’60), questo territorio era già coltivato a vite, ma si producevano solo vini fermi. La DOCG è arrivata nel 1995 e oggi si estende per 2.900 ettari a Chardonnay, Pinot nero e, in minima parte, a Pinot bianco ed Erbamat.

Il territorio è nella parte meridionale del Lago d’Iseo, suddiviso fra 19 comuni della provincia di Brescia, con un suolo di origine morenica che regala mineralità all’uva. Già nel 1570 il medico bresciano Girolamo Conforti descriveva la tecnica dei vini a fermentazione naturale in bottiglia, briosi con le loro bollicine, nel suo testo “Libellus de vino mordaci”. E nel cuore di Corte Franca, a est di Timoline, sotto la Riserva Naturale Torbiere del Sebino, si trova la Società Agricola Bosio, fondata dal nonno Girolamo, anch’esso.

Un nome, un destino, in fatto di bollicine

Dal 1998 l’azienda è condotta dalla terza generazione, Laura e Cesare Bosio, agronomo, la figura di riferimento in vigna e in cantina. Con loro inizia un processo di trasformazione e incremento delle superfici vitate, fino agli attuali 20 ettari. Una crescita graduale, costante, con al centro dell’attenzione il controllo della qualità, per arrivare alle attuali 120.000 bottiglie annue. Laura invece si dedica alla parte commerciale e trasmette la filosofia aziendale fino al cliente finale. Le etichette sono 11, di cui 8 spumanti, i Curtefranca DOC Bianco e Rosso, infine il Zenighe, un taglio bordolese che prende il nome dalla sua zona di origine.  

Quanto ai Metodo Classico, alla base della produzione non millesimata c’è il Brut etichetta oro, 90% Chardonnay e 10% Pinot nero, e il Satèn, tipologia nata espressamente in Franciacorta. 100% Chardonnay, e caratterizzata da una pressione al di sotto delle 5 atmosfere il cui nome, azzeccatissimo, si deve all’impossibilità di utilizzare il termine Crémant, destinato solo a Francia e Lussemburgo.

Bosio Franciacorta Satèn

È l’etichetta argento di Bosio, un riuscitissimo entry level volutamente non millesimato con dosaggio di 5 gr/l, 12,5% Vol. dove entrano tutte le zone vitate a Chardonnay della cantina e quella denominata “Boschetto” pari a un 1/5 della cuvée. Il vino fa un passaggio in legno dalla vendemmia all’assemblaggio, per circa 6 mesi, in barrique di seconda, terza e più rotazioni. L’elegante, tipica cremosità delle bollicine concede ampio spazio all’olfatto, con l’evidente nota di fiori bianchi e un delicato sentore di vaniglia, senza mai eccedere nell’utilizzo di lieviti per non coprire la sua caratteristica freschezza.

Bosio Franciacorta Nature Millesimato 2016

È l’etichetta verde. Composto da 70% Chardonnay e 30% Pinot nero, senza fermentazione malolattica e 42 mesi sui lieviti (sboccatura novembre 2020); il 2016 è stata un’annata fresca e ricca e il dosaggio, effettivamente a zero, non esplicita note acide eccessivamente vibranti, segno che l’attenta selezione in vigna e la perfetta maturazione delle uve, in questa zona centrale della Franciacorta, non abbisogna di effetti speciali al palato. Oltre alla caratteristica mineralità di questi spumanti, si apprezza la gentile rotondità data dalle note di miele d’acacia con lieviti sempre in equilibrio, seppure la sosta prolungata ora ci riconduca a un palato più complesso e una persistenza finale lievemente sapida.

Arrivati a questo punto occorre precisare che nello stile di Bosio, tutti gli spumanti vengono sboccati con aggiunta del solo vino dalla stessa annata, dunque niente liqueur d’expedition. 

Bosio Franciacorta Rosé Millesimato 2016 e Rosé Pas Dosé Riserva Girolamo Bosio 2011

Etichette rosa e rosa antico, sono rispettivamente per il Rosé 2016 e per Rosé Pas Dosé Riserva Girolamo Bosio 2011. 100% Pinot nero dai 6 ettari di famiglia, si distinguono fra loro da subito, nel bicchiere. Il primo è un rosa tenue (buccia di cipolla) ottenuto dalla macerazione a freddo, fino a 48 ore, che all’olfatto libera immediate note di ciliegia selvatica, una deliziosa amarena mai con la sensazione del sotto spirito. Rimane sempre fresco, grazie anche a solo 2 gr/l di zuccheri.

Quanto alla Riserva – di cui vengono imbottigliate solo 2000 e 200 magnum – si presenta di colore più acceso e ambrato, eccellente risultato di tre giorni di macerazione dopo aver lasciato l’uva più a lungo sulle piante e, poi, 7 anni sui lieviti (sboccatura gennaio 2019) e una cuvée per 2/3 vinificata in bianco. Qui il Pinot nero prende le tipiche note di sottobosco, con sentori di ribes e sfumature agrumate. Un vino di grande complessità, con persistenza significativa e una ricercata delicatissima nota di ossidazione che si concede anche ad abbinamenti certamente particolari.

Bosio Franciacorta Extra Brut Millesimato Boschedòr 2015

L’etichetta nera esalta più di tutti il contrasto della cornice dorata, per il più equilibrato dei tagli, un classico 50% Chardonnay e Pinot nero con sosta minima di 30 mesi sui lieviti (sboccatura novembre 2019). Si presenta di colore giallo intenso, dorato e con il dosaggio di 2 gr/l lo si può assimilare a un Pas Dosé, tanto da lasciare sempre un palato finemente sapido, arricchito nella lunga persistenza dalle tonalità di frutta secca e delicato biscotto dei lieviti selezionati. Questa stessa cuvée è la base della prestigiosa Riserva B.C. 2007 di casa Bosio.

Bosio Franciacorta Pas Dosé Riserva Girolamo Bosio 2012

È l’etichetta oro antico, la prima delle Riserva, in questo caso dedicata al nonno fondatore. L’annata ritenuta perfetta non ha richiesto passaggi in legno, solitamente predisposti per questa selezione con 70% Chardonnay e 30% Pinot Nero, con oltre 6 anni sui lieviti (sboccatura gennaio 2019). Come tutti i Metodo Classico di Cesare Bosio, questa riserva esalta al massimo il perlage finissimo, ricco e longevo nel calice. Il territorio regala mineralità e i lieviti lasciano un palato arricchito da sentori di mandorla e nocciola che arrotondano elegantemente la piacevole acidità.

Bosio Franciacorta Dosaggio Zero Riserva B.C. 2007

Il top di gamma, etichetta bianco perla, supera il prestigioso traguardo dei 10 anni di sosta sui lieviti (sboccatura marzo 2018). Dunque 50% di Chardonnay e Pinot Nero partendo dalla cuvée del Boschedòr. Ne sono state imbottigliate solo 1500; è davvero la perla della cantina, proprio come la sua etichetta. Le bollicine divengono finissime, consistenti come una crema; all’olfatto è complesso, persino ampio, mentre al palato è intenso e molto persistente, decisamente evoluto alla perfezione. La lunga nota finale tostata, di mandorle fino alla noce moscata, con quella delicata e sottile punta amarognola, lascia presagire piacevoli serate di meditazione.

Franciacorta, sinonimo di bollicine – con Orazio Vagnozzi e Cristina Ziliani

In seno a questo particolare momento storico nasce il nostro primo podcast ufficiale: Gourmaniac, l’enogastronomia della contemporaneità raccontata dall’interno, dietro le quinte di Passione Gourmet.

Una collana di podcast nei quali sveliamo il magico universo dell’alta ristorazione, del cibo, dei grandi vini, degli spirits e, perché no, del bien vivre in generale.

Le voci? Le nostre: quelle di Andrea Grignaffini – recentemente apparso su LA7, con Benedetta Parodi, nel nuovo format TV “Senti chi Mangia” – Alberto Cauzzi, Orazio VagnozziDavide BertelliniAlessandro Pellegri & Luca Turner.

 

Ad aprire le danze Orazio Vagnozzi e Cristina Ziliani, che ci racconteranno tutto della Franciacorta.

La Franciacorta

Sinonimo di bollicine prodotte con metodo classico ormai da sessant’anni, questo vocato areale oggi comprende circa 3000 ettari vitati e 120 produttori, per un quantitativo di bottiglie che sfiora i 20 milioni ogni anno.

Terre che racchiudono un’eterogeneità di terroir che, con la complicità del particolare microclima, garantiscono uve sane e mature e vini di ampia varietà sensoriale. Un rigido disciplinare volto a preservare la qualità bandisce l’uso di macchine per la vendemmia e sistemi di irrigazione, fissando inoltre una sosta sui lieviti non inferiore ai 18 mesi. Per ottenere la presa di spuma il metodo è solo uno, quello classico con la tradizionale rifermentazione in bottiglia, che qui, però, viene anche utilizzato per ottenere una pressione di 5 atmosfere e dare vita all’effervescenza più delicata e cremosa del Satèn. La vera scoperta di questo areale si ha soltanto nel 1961 e si deve a Franco Ziliani: è la figlia Cristina, che assieme al fratello Arturo conduce oggi l’azienda Berlucchi, a parlarne ai nostri microfoni assieme ad Orazio Vagnozzi.

Orazio Vagnozzi

Ex partner di una società di consulenza internazionale, ha trasformato in una sana passione la sua ossessione per la buona cucina e i grandi vini. A lui sarà dunque affidata la collana sui ​Vini che hanno fatto la Storia ​d’Italia che incomincerà in Toscana e, precisamente, con la storia del Brunello di Montalcino. A lui sarà affidato anche il compito di raccontare le ​tecnologie ​in ​cucina con la collana omonima,​ ​dedicata ai “trucchi” – più o meno noti – dei grandi chef.

Dove? Su GourmaniacSpotifyApple PodcastYouTube e Google Podcast e, a breve, anche su Amazon Music e Audible!

Agriturismo 3.0

Immaginatevi un agriturismo che abbia la possibilità di produrre tutte le materie prime, sia vegetali che animali, tipiche del territorio nel quale si trova. Un agriturismo che produca carne, latte, formaggi di capra, frutta, verdura, vino e legna, grazie a diverse tenute con vigneti, boschi, pascoli e frutteti. Un agriturismo che abbia un interior design decisamente curato e moderno, che scelga di lavorare con uno chef che, come un bambino, si possa divertire con materie prime di grandissima qualità e freschezza, tutte prodotte in casa. Che possa usare tutti gli spazi che vuole per cuocere con la cenere sotto terra, alla brace, con un braciere enorme. Che possa lavorare con carni nei molteplici tagli che si possono ottenere da animali interi sezionati e non con mini porzioni già preparate. Uno chef che decida cosa piantare nelle grandi serre a disposizione e di non avere verdure o frutta acquistate in busta.

Un agriturismo dove si possono trovare piatti confortevoli come lo stracotto o la tagliata d’asino ma anche un capriolo con kombucha di uva e radice di prezzemolo o spaghetti con garum di capra e fegato di capra essiccato grattugiato sopra. Questo posto esiste e se alla domenica, a pranzo, è gremito di famiglie con bambini, durante la settimana starete sicuramente più tranquilli.

Questo posto è Il Colmetto, è in Franciacorta e lo chef è  Riccardo Scalvinoni che, arrivato a gennaio, porta avanti la sua filosofia di cucina, decisamente rock and roll.

L’agri-Fine-Dining

Si può scegliere di mangiare alla carta,  un menù degustazione classico e, poi, due menù da 5 e 8 portate, a discrezione dello chef. La partenza è con dei lievitati davvero ben fatti – del resto lo chef è partito da questo mondo – serviti con un fantastico burro di capra e poi dei piacevoli piattini introduttivi al menù vero e proprio.

Una cucina concreta, materica (e non potrebbe essere diversamente) e gustosa, proposta da una mano che si vede che si diverte e vuole far divertire, ad esempio con le cotiche all’amatriciana. I ravioli con ripieno di capra con brodo di fiori d’arancio e foglie di limone ricordano Piergiorgio Parini, col quale Scalvinoni ha lavorato al Povero Diavolo: un bel piatto per equilibri fra sapidità e acidità per una bella sensazione di freschezza finale al palato.

Le linguine al garum di fegato di capra e fegato di capra essiccato e grattugiato sono un piccolo capolavoro di umami. L’agnello, proposto sia come asado, con salsa di camomilla, che come spigolo, con diavola di rapa fermentata, è davvero notevole per gusto e per tenerezza: viene cotto appeso alla brace, nel suo grasso, per ore. Il capriolo, anche quello cacciato in zona, è perfetto nella cottura e vira sul dolce per la kombucha di uva, compensato dalla radice di prezzemolo.

La parte dei dessert è, al momento, quella meno interessante rispetto al resto, e quella su cui si può lavorare, soprattutto nella logica del menù degustazione.

In conclusione un esempio davvero riuscito di una proposta di ristorazione innovativa, che vuole uscire dalla logica dell’agriturismo da tagliere di salumi e piatti abbondanti, colpendo un target davvero allargato che partendo dal gourmand e passando per il gourmet, non disdegna nemmeno di farsi apprezzare da intere famiglie con bambini.

Un concetto di “Agri-Fine-Dining” a 360°, davvero coraggioso ed encomiabile. Bene così!

La Galleria Fotografica:

 

Stupefacente dinamismo del tempo

Facciamo un applauso. E tutti voi vi chiederete, a cosa dobbiamo applaudire? La risposta arriverà nelle prossime righe. Ma la domanda ve la poniamo subito: come si comporta il Franciacorta con lo scorrere del tempo? Beh il quesito di fondo sembra semplice, fatto sta che la risposta è incerta.

Tutti noi, infatti, sappiamo che questi vini definiti “speciali” – in quanto rifermentati in bottiglia attraverso quel procedimento chiamato Metodo Classico – evolvono in maniera molto lenta fintanto che rimangono a contatto con i propri lieviti, come avviene per un bambino nella pancia della madre, alla quale egli è collegato attraverso il cordone ombelicale. Ciò che cambia repentinamente è l’evolvere della situazione – nel caso del vino a livello microbiologico e di conseguenza aromatico – nel momento in cui esso viene privato di questo cordone, ovvero dei propri lieviti, nella fase denominata degorgement. Da questo momento in poi il vino neonato è più scoperto – dal punto di vista ossidativo – perché il lievito presente nella fase di autolisi funge da antiossidante in concomitanza alla tappatura delle bottiglie con tappo a corona, quindi con una permeabilità rasente allo zero. Il dinamismo del cambiamento diventa nettamente più veloce dal momento in cui il vino spumante viene degorgiato e sigillato con tappo in sughero, che favorisce una permeabilità tra l’interno e l’esterno molto maggiore e, quindi, permette al vino di respirare, vivere ed evolvere più in fretta, come i primi mesi della nascita di un neonato che cresce a vista d’occhio.

Ma quanto può durare uno spumante proveniente da questa zona denominata Franciacorta nelle nostre cantine private o nelle enoteche prima di essere consumato? Noi abbiamo avuto la fortuna di assaggiare questo Metodo Classico dell’azienda Guido Berlucchi con sboccatura 2005. Ad oggi che siamo nel 2020, abbiamo la bellezza di 15 anni di evoluzione post autolisi da assaporare, per vedere come si è comportato.

La storia di questa azienda nasce a metà degli anni ’50, quando Guido Berlucchi – uomo di campagna e proprietario di alcuni vigneti nel territorio di Borgonato dove produceva esclusivamente vini fermi – incontrò Franco Ziliani, giovane enologo pieno di idee. Tra esse, spiccava quella strampalata di produrre il suo vino preferito – lo Champagne – in zona Franciacortina. Dopo varie annate e tentativi falliti, nacque il primo Metodo Classico dell’azienda, nel 1961. Il successo fu strabiliante, tanto che la produzione di 3000 bottiglie venne subito esaurita e negli anni a seguire aumentò a dismisura arrivando alla produzione odierna di 5 milioni nella totalità delle varie tipologie. La Cuvée Imperiale Brut con base vendemmia 2002 ha sostato sui lieviti 18 mesi, è stata degorgiata nella primavera 2005 ed infine addizionata di un 10% di vini di riserva. È composta da 85% Chardonnay, 10% Pinot Nero e 5% Pinot Bianco.

Alla stappatura la pressione è notevolmente diminuita e il classico “botto” è sostituito da un fievole soffio. Versando il liquido nel calice si nota il colore oro con riflessi ramati – segno di un’ossidazione protratta nel tempo – e le bollicine che si dirigono verso l’alto con lentezza e leggiadria. I profumi sono quelli dell’evoluzione avanzata laddove risultano scomparsi gli aromi freschi e giovani per far spazio ai sentori terziari di distillato di pera e ananas grigliata, con un accenno di liquore all’anice nel finale. Il palato è consistente e ci regala sapori maturi di mela al forno, crema di pinoli e finale cremoso di zabaione. La persistenza è chilometrica e porta la fantasia culinaria ad un abbinamento con un altro prodotto gastronomico della cucina italiana che ben si armonizza nella lunghezza del sapore: il Parmigiano Reggiano stagionato 36 mesi. Un vino da meditazione, dunque, che risponde alla nostra domanda iniziale; l’applauso va fatto alle potenzialità che questa cuvée può sprigionare grazie al suo riposo nelle nostre cantine, a patto di aver la pazienza necessaria per riuscire ad attenderla cosi a lungo. Salute.

Quando il Metodo Classico di Franciacorta diventa scommessa

Tutto inizia dall’accorgersi che c’è bisogno di qualcosa di diverso. C’è bisogno di un cambiamento, per essere felici, e c’è bisogno di un passo nuovo, per poter mettere in essere il proprio desiderio di felicità.

La storia di Corteaura, giovane azienda franciacortina, è iniziata così: con il soffio potente di un desiderio e con il supporto essenziale di tanto, tantissimo coraggio. Federico Fossati aveva una strada tracciata nell’ambito finanziario e la madre Federica Massagrande era ben affermata nel settore immobiliare. Ma quando il sangue ribolle in un fremito di vita tesa verso la realizzazione di sé, l’imprevedibilità si trova esattamente dietro l’angolo. Chiede solo una gran dose di coraggio, cosa di cui Federica e Federico non sono affatto sprovvisti. L’incontro con Pierangelo Bonomi – precedentemente enologo presso importanti realtà del territorio sia franciacortino che toscano – ha fatto il resto.

La prima fase del progetto fu quella dedicata all’osservazione. Federica e Federico giravano per cantine in tutta Italia, con l’umiltà e l’apertura di imparare tutto ciò che si poteva. Poi ci fu la scelta del brand e dell’etichetta. Nulla venne lasciato al caso e ciò che campeggia oggi sulle bottiglie di Corteaura è un simbolo e un buon auspicio, per sé e per gli altri. Il nome Corteaura vuole essere un omaggio alla Franciacorta – nel nome Corte – ed un riferimento all’Aura di positività che i greci affermavano essere presente in ognuno di noi e che era compito nostro lasciare emergere nella quotidianità. L’etichetta ricalca il profilo di una tartaruga, simbolo di longevità e di lentezza. Una lentezza consapevole e necessaria, come fosse condizione naturalmente intrinseca nell’anima del Metodo Classico di Franciacorta. Ed è proprio in virtù di questo che l’azienda Corteaura ha deciso di fare leva sul tempo. Attendono i loro vini nel lento sviluppo sui lieviti, che, nonostante il disciplinare preveda per alcune tipologie dei tempi di affinamento minimi inferiori, ha una durata di almeno 36/40 mesi. Federica racconta della tenacia che ha richiesto questa scommessa, con la forza di dire no agli incitamenti dei distributori che volevano il vino il prima possibile preoccupandosi del tempo impaziente del mercato e non curandosi, invece, del tempo del vino. La scelta era chiara e si giocava proprio su questo punto. Non c’era un commerciale, non c’erano sicurezze matematiche. C’era la voglia di fare le cose bene, c’era la lungimiranza di investire su qualcosa di reale e c’era, soprattutto, il rispetto profondo per il vino e per tutto il potenziale di esso.

Le etichette di Corteaura hanno fatto la prima comparsa sul mercato soltanto nel 2013, dopo una lunga attesa ragionata. Sono vini che, oggi, sanno raccontare la complessità pur nella loro piacevolezza espressiva. Sono vini equilibrati, fini e completi. Possono essere vini giovani, ma mai acerbi. Spaziano dal Brut al Demi-Sec – rarità in Franciacorta – passando per il Rosè, i Millesimi ed i Pas Dosè, di cui l’ “Insè” Millesimo 2012 è bella e delicata espressione.

E proprio quest’ultimo si afferma nel calice con la complessità del tempo, che ha cesellato il profilo olfattivo di menta, erbe aromatiche e miele di castagno, specchio della piacevolezza di bocca che risulta cremosa e fresca. Sfuma sulla traccia finemente amaricante del suo gusto secco, perpetuando l’impronta affascinante dell’equilibrio.