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Gran Caffè Quadri

Tra autorialità e omaggio alla tradizione lagunare

Preso in gestione nel 2018 dalla famiglia Alajmo ,il Grancaffè Quadri ha subito un restyling a cura dell’architetto francese Philippe Starck che tanto ne ha rinnovato gli interni quanto ne ha conservato l’eleganza secolare – ricordiamo che la fondazione risale al 1775.

A ciò si è unita una rivisitazione della proposta culinaria, fondata su un doppio binario: omaggiare cultura e tradizione della Serenissima e, al contempo, garantire una riconoscibilità propria degli Alajmo. In questo senso, il ristorante può essere ragionevolmente considerato come un importante tassello che contribuisce a creare il macrocosmo identitario della “J” più famosa della ristorazione mondiale.

Lo stile come veicolo di un’esperienza indimenticabile

Coadiuvata da Silvio Giavedoni e Sergio Preziosa in cucina, la proposta è una perfetta sintesi dell’Alajmo-pensiero, in cui il citazionismo non trascende mai nel manierismo ma si fa tratto distintivo e riconoscibile dell’autore che ne sta alla base.

Parliamo, per esempio, del Cappuccino di laguna e della Battuta di carne cruda con salsa di canoce e caviale. Superato il più immediato rimando ai classici de Le Calandre, abbiamo particolarmente apprezzato l’uso non certo casuale dell’alga spirulina propria del Cappuccino Murrina, atto a creare un fil rouge cromatico tra le portate. Un dettaglio apparentemente secondario, ma che in realtà si è rivelato eponimo del significato più profondo dell’intero menù: tessere un doppio filo tra Rubano e Venezia, conservando, in uno straordinario gioco di equilibri, una precisa interdipendenza tra i due universi.

Tanto l’emozione è stata palpabile per i piatti sopracitati, quanto è stata rilanciata dall’uso oltremodo ragionato della componente vegetale.

Pensiamo alla prima portata, il Maxpacho di pomodoro con sorbetto di olive nere e melanzane fritte: dolcezza del pomodoro rosso, acidità del pomodoro giallo, sapidità delle olive, rotondità delle melanzane, croccantezza delle bucce fritte, tutti gli elementi si sono completati in un solo e indimenticabile boccone. La questione pareva terminata qui (e sarebbe già stato molto!) ma era solo un’illusione: il piatto si è in realtà palesato come doppio omaggio tanto alle origini siciliane della famiglia Alajmo nell’uso della melanzana fritta, quanto a una più universale mediterraneità nella rivisitazione del gazpacho spagnolo. Ma con un pizzico d’attenzione si è presto notato che l’omaggio mediterraneo era disseminato lungo tutto il percorso, grazie all’utilizzo, per tacer d’altro, di origano, basilico e pomodoro di volta in volta a comporre o guarnire le portate.

E qui sta è la grandezza della cucina degli Alajmo: presentarsi in una veste immediata e accessibile a tutti i palati, dissimulando però una profondità di pensiero vertiginosa.

In tutto questo, impossibile non citare meritoriamente il servizio puntuale, professionale e spigliato garantito da Marco Cicchelli in sala e Ignazio Russo per la mescita. Ragazzi giovani e competenti che hanno contribuito non poco alla riuscita dell’esperienza – da appalusi l’accordo tra l’ottimo Chardonnay Damilano e la Battuta di carne.

Un ultimo appunto: alla luce delle note vicissitudini post-COVID-19 il menu è stato snellito, togliendo (per il momento) il servizio “Quattro Atti”, e lasciando la possibilità di scegliere tra il percorso “Classico” e “Quadri”, da 9 portate cadauno. Resta invariata la costruzione, all’occorrenza, di un mini-menù da due, tre o cinque portate a seconda dei gusti.

Non possiamo che dirci oltremodo soddisfatti dell’esperienza avuta, e siamo certi che essa rappresenti una delle molte tessere che continueranno a intarsiare lo splendido mosaico proprio della realtà Alajmo.

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Benvenuto nuovamente ad un amico di Passione Gourmet e uno storico gourmet di fama planetaria, Giancarlo Saran.

La nuova “fatica”, in Certosa, degli Alajmo Bros’

Se cercate un angolino per ritagliarvi qualche ora godendo dei piaceri terreni al motto de “il paradiso può attendere”, ecco qua il millesimato 2020, così fresco di debutto da diventare già un instant classic.

L’Hostaria in Certosa è l’ultima coccola golosa dell’Alajmo Orchestra che, a Venezia, sta mettendo radici sempre più profonde. Dopo il Quadri (con le sue varie declinazioni) e AMO, presso lo storico complesso del Fondaco dei Tedeschi, voilà la nuova mission: riportare la bellezza in un’isola abbandonata della laguna. Eppure la Certosa ne avrebbe di storie da raccontare. È stato uno dei primi luoghi abitati tra i molti di una Venezia tutta da costruire. All’inizio insediamenti monastici, sede di orti storici, il tutto fatto poi sloggiare dalle truppe napoleoniche. Poligono per le esercitazioni militari dei lagunari, cui è seguito un progressivo abbandono. Ma ora è ripartita, per viverla con la bellezza che merita. San Marco è a tiro di selfie, poche bracciate più in là. Il lido ad un tiro di tappo. Eppure si è lontani dalla pazza folla; di sottofondo lo sciacquio lento delle acque di una laguna tutta da scoprire. Di questo progetto di recupero se ne occupa la società Vento di Venezia, nella persona di Alberto Sonino. In poche settimane, dopo un lungo corteggiamento, con Raffeale Alajmo e il suo dream team hanno dato vita a questo piccolo angolo di bellezza golosa.

Ai fornelli Silvio Giavedoni, esperto di start-up culinarie per le truppe cuciniere di Massimiliano Alajmo. Ampio spazio all’aperto con i tavoli che fanno respirare un’aria di serena libertà. Personale cortese e attento, che vi fa sentire di casa da subito. La cucina vola leggera, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Il pescato è a lenza zero, gli orti saranno dietro le cucine, tornando a quella che era una delle caratteristiche di questo luogo. Sul resto pancia mia fatti capanna, testa bassa e pedalare.

Un piccolo consiglio. Andate pure di bis e tris come vi garba tra antipasti, primi e secondi, ma al dessert non c’è storia. Gelato alla vaniglia scodellato sulla focaccia della casa, un festival di speziature intriganti. Non ce n’è per nessuno.

Per chi non può staccarsi dal timone di comando del suo Riva biturbo o della caravella a tre alberi non c’è problema: basta prenotare e vi preparano il take away per tutta la ciurma.

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Comincia la “fase 2” e, con essa, continua il nostro viaggio alla ricerca delle migliori tavole d’Italia. Un viaggio diverso, stavolta, coerentemente con le modalità del presente momento storico. Per orientarci, abbiamo preso la città di Milano come punto di partenza ideale, ne abbiamo adottato il sistema – in particolare quello del nostro spin-off Passione Milano, dove “le visite” sono già incominciate – e abbiamo rivolto il nostro interesse culinario e, con esso, il nostro occhio critico e analitico,  verso quelle coraggiose realtà che hanno deciso di trasformarsi e offrirsi in questa nuova, inedita veste. 

Alajmo – Delivery: il tre stelle, in jeans a casa tua

Anche gli Alajmo si attrezzano per arginare l’ondata Covid-19. E lo fanno, come sempre d’altra parte, in maniera intelligente e organizzata. Merito della grande mente bifronte alla guida: Raffaele da una parte e Massimiliano d’altra. Abile manager e organizzatore il primo, grande cuoco il secondo. Ecco quindi consegne di cucina a domicilio entro il raggio di 15 km da Le Calandre, per allietare i palati dei locali. E lo shop per ingolosire, con prelibatezze dolci e salate, il resto del mondo, con il logo in.gredienti.

A noi e andato tutto alla grande, con una torta leone da paura e delle focacce dolci da inebriare anche i morti. Qualche piccola lentezza nel servizio, giunto a 10 giorni dall’ordine, e con qualche piccola mancanza – un errore nella consegna – prontamente risolta dopo la segnalazione.

Ma la focaccia mediterranea e la torta leone, due paradisi per veri intenditori pensate e realizzate da un palato assoluto, vi faranno dimenticare tutto.

Il favoloso mondo di Massimiliano Alajmo 

Entri in sala e c’è “profumo di memoria”. È un profumo di quelli che a poco a poco non senti più ma che appunto si fissa nella memoria, e che difatti si ritrova in ciascuno dei poli della costellazione Alajmo dove rappresenta non solo la declinazione olfattiva di quella che, in marketing, chiamano “immagine coordinata” ma anche l’inoculazione di un ricordo e non è un caso che, tutto, rimandi qui all’infanzia. 

Accomodandoci carpiamo i frammenti di una conversazione: seduta al tavolo accanto al nostro c’è una coppia che a Le Calandre ci viene tutte le settimane… Il locale, già gremito, è saturo di un’energia tangibile, collettiva, contagiosa.

Su ciascun tavolo, poi, c’è un gomitolo di lana: il nostro, di colore azzurro, viene prelevato dal maître Andrea Coppetta Calzavara e, dopo l’ordine, attaccato al muro. È il gioco il filo conduttore di questa storia nonché dell’identità più intima di Massimiliano Alajmo che, non a caso, permette a tutti di pizzicare tra i piatti dei tre menu generando quello che, a guardarci bene, è uno degli aspetti più divertenti, più intelligenti e finanche più misteriosi de Le Calandre: perché è un mistero come siffatta complessità (41 piatti, in tutto) venga amministrata tanto semplicemente e tanto più che non ci sono chef’s table, qui: il biglietto è uguale per tutti, ci sono tre menu che, come tre storie, possono intrecciarsi in qualunque momento facendo di ogni tavolo un potenziale chef’s table.

Un posto dove tornare bambini

E così, seduti al nostro, ci ritroviamo bambini al mare. Mar Mediterraneo e Cappuccino murrina sono due piatti coloratissimi: iridato e naïf il primo, quasi un test di Rorschach il secondo, a tratteggiare due tipi di mare completamente differenti, un fondale di coralli, colori, profumi e dolcezze, quasi una tropicalizzazione del Mar Mediterraneo il primo, lagunare, anche nel rimando alla murrina, il secondo, golosissimo nella componente amidacea della patata che tutto avviluppa, anche gli spigoli della spirulina e quelli, più dolci, del nero di seppia. 

Quindi, altri due giochi: la reminiscenza, nei giorni di festa, del brodo donde da bambino andavi a pescare, oltre al raviolo, la crosta del Parmigiano ormai gommosa con le dita delle mani e il deliquio del cannellone, invece, da inzuppare, sempre con le mani, in una salsa di pomodoro che è quasi un sugo, tanto è denso e coeso.

Le mani sono, a Le Calandre, un elemento ricorrente: sia la cucina che la sala di questo 3 stelle Michelin esortano all’uso delle mani sia nella fruizione che nella realizzazione del piatto. E ciò è lapalissiano nel risotto che,  difatti, arriva a tavola coi nostri nomi scritti sul piatto: è un risotto goloso ma anche delicatissimo, mantecato all’olio d’oliva e rinfrescato dal rush balsamico di un gelato di carciofo realizzato ad acqua, senza latte. 

Giochi d’acqua e reminiscenze

Ecco dunque l’altro elemento ricorrente di questa storia. Tutto si serve, e si risolve, rigorosamente e giocosamente nell’acqua. Perfino il rognone, che devi andare a cercartelo tra gli umori della senape e quelli dell’estragone, è nascosto in un anfratto boschivo, balsamico e clorofilliano al punto che tutto profuma, irrora e irretisce. Ma a ben vedere l’acqua è presente in ciascuna delle preparazioni di Massimiliano Alajmo: la componente lipidica, se c’è, proviene sempre dal mondo vegetale, olio extravergine d’oliva o olii essenziali estratti dai semi.

Come accade, oltretutto, anche nei dolci. È qui che alberga, crediamo, tutta la felicità espressiva dello chef e, soprattutto, nella mozzarella di mandorle, un piatto storico dove il guscio spezzato deflagra in un soffio, una nuvola, un sospiro di vapore di latte di mandola a contenere, a veicolare tutti i profumi più archetipici del Mediterraneo: basilico, origano, olio extravergine d’oliva e oliva nera.

Un sapore indimenticabile che fa sorridere, peraltro, come un ricordo ritrovato. 

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La spontaneità del Calandrino

All’ombra del gigante o, meglio, proprio all’angolo rispetto all’imponente maestosità gastronomica delle Calandre, là dove Massimiliano Alajmo fa brillare il suo estro creativo,  vive il Calandrino. Tra i  precursori della bistronomia di alto livello, il vezzeggiativo indica l’irriverente, sorniona proposta gastronomica, in piena coerenza con l’identità della famiglia dall’iconica “J”.

L’abbiamo detto più volte nel corso nostre visite, il concetto di replicabilità gustativa non sempre presuppone un’accezione negativa. La cucina del Calandrino, nella sua forma semplice e agile ha un’offerta che si dipana dalla colazione alla cena, passando per un ghiotto aperitivo a base di cicchetti che sono sì tradizionali ma anche da capogiro, tecnicamente parlando. La cantina, poi, è quella delle Calandre, ad un passo di corridoio!

La famiglia Alajmo e i suoi satelliti

Montecchia, Quadri, Stern, Amor, Amo, Calandrino… tanti sono i satelliti che gravitano nella galassia Alajmo ma, al contempo, è la cura dei dettagli e la definizione di ogni piatto, nella sua più alta accezione, a determinare in tutti gli indirizzi il leitmotiv della precisione. Dal tre stelle al bistrot come nel caso del Calandrino i gusti sono calibrati al millimetro e le tecniche magistralmente padroneggiate. Il risultato? Felicissimo sempre, in ogni sequenza o singolo piatto.

Al Calandrino, Laura Alajmo la terza figura dei tre fratelli, magari meno conosciuta rispetto al prodige – non più enfant ormai! Massimiliano e al vulcanico Raffaele, gestisce con accurata dolcezza questa insegna. I piatti ispirati a lei dal fratello Massimiliano nel menu che abbiamo potuto provare sembrano quasi essere diretta emanazione e sintesi tra il rapporto dei tre fratelli.  Il fiore di zucca perfetto nella sua croccantissima (all’inverosimile) panatura, con gelato di piselli e chorizo è un’alternanza tra dolcezza e affumicatura. Espressione di leggiadria e vigore in un solo piatto.

Gli ormai celebri tagliolini all’aneto con vongole, dentice e astice con salsa al pistacchio o il sandwich di triglia con colatura di pomodoro piccante e purè di fave vanno dal semplice al geniale sia come concetto che come sua concretizzazione.

Pennellate precise, che non lasciano margine d’incertezza mostrando, ancora una volta, come gli Alajmo siano dei veri e propri artisti dell’ospitalità e del gusto, nel segno anche dell’unità della loro famiglia.

Sarà mica questo il loro segreto?

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