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Troisgros

La continua evoluzione di un mito

Tanto è già stato scritto su questo ristorante, il più longevo tre stelle del mondo nonché uno dei templi in cui è nata negli anni settanta del secolo scorso la nuovelle cuisine. Un ristorante di cui si parla sempre troppo poco ma che merita di essere annoverato tra i migliori del pianeta. La stirpe dei Troisgros, attraverso il succedersi di ben quattro generazioni, rappresenta forse più di ogni altra il sangue blu in cucina, un mito tramandato di padre in figlio che non sembra conoscere appannamento. Due recenti date sono di particolare importanza per il ristorante: la prima è il 2017 l’anno del trasferimento dal centro di Roanne nella nuova splendida sede situata ad Ouches in aperta campagna, quel Bois sans Feuilles con una suggestiva sala d’ispirazione naturale disegnata dall’architetto Patrick Bouchain; la seconda è l’inizio dell’anno in corso momento in cui è stato formalizzato il passaggio da Michel al figlio César che, affiancato anche dal fratello Leo, dirige oggi con mano già salda la cucina.

Il compito spettante a César Troisgros non è certo facile e il confronto con il padre appare inevitabile, nonostante l’avvicendamento non sia stato brusco e repentino ma frutto di un lungo apprendistato, prima in giro per il mondo e, poi, dal 2010 nel ristorante paterno. Continuità ed evoluzione sono i punti cardine del nuovo corso, espressi in una cucina classica e moderna al tempo stesso in cui ogni grassezza è bilanciata da un’acidità sferzante, che costituisce il vero fil rouge dell’intero menù.

Una cucina sospesa tra spezie ed acidità

Esemplificativa in tal senso l’eccellente Tartelletta al sangue di maiale, come si trattasse di un black pudding con ribes, mela e pepe bianco. A spiccare è, poi, un sapiente utilizzo delle spezie in grado di dare profondità e complessità al piatto come nel caso dei Gamberi erbe, fiori e spezie, vero e proprio caleidoscopio di sapori in cui il succedersi di note balsamiche, amare, acidule porta infine verso l’India con persistenti sentori speziati. Sentori che si ritrovano anche nel magistrale San Pietro con salsa al burro leggermente speziata, mandorle, tamarindo e shiso, il quale costituisce probabilmente l’apice dell’intero menù. La parte dolce, di apparente semplicità, è altrettanto coinvolgente con piatti di ottima fattura e con interessanti giochi di texture, come la Panna cotta, rabarbaro e fragole, sebbene gli stessi lasciano un segno meno marcato rispetto alla parte salata.

Quanto al servizio risulta impeccabile e senza eccessive ingessature e la carta vini permette di compiere scelte interessanti a prezzi ragionevoli. A Ouches il futuro sembra essere assicurato sotto la guida della nuova generazione di Cesar ed è lecito aspettarsi un’ulteriore crescita nei prossimi anni per un ristorante su cui pare non tramontare mai il sole.

IL PIATTO MIGLIORE: San Pietro, burro, mandorle, tamarindo, shiso e spezie.

La Galleria Fotografica:

Immergersi in pura bellezza

Sostanzialmente questo, ovvero bellezza, significa regalarsi un pasto alla Maison Troisgros. Una bellezza che viene da lontano, assai lontano, radicata in un tempo dalla dimensione quasi secolare, permeata da un amore profuso nel ristorante nel corso dei decenni sin dai tempi del fondatore Emile, nel 1930.

La storica e austera sede situata di fronte alla stazione di Roanne da tre anni si è trasferita nella bucolica oasi di Ouches dove, nella villa di campagna dei Troisgros, ha luogo l’incarnazione di una di quelle esperienze gastronomiche che a buon diritto si possono definire assolute. Seduti in una delle due splendide sale da pranzo, letteralmente immerse nel verde, dove impalpabili vetrate annullano la barriera tra interno e natura circostante, si ha la sensazione di essere su un ideale palcoscenico per l’autentico spettacolo che andrà in scena su tavoli molto opportunamente distanziati.

L’approdo finale di questo viaggio è un gusto di raffinatezza, eclettica eleganza e modernità del tutto uniche. I sapori sono cangianti in modo quasi impercettibile inseguendosi e cedendo l’un l’altro il passo vicendevolmente come in un balletto, in un girotondo di grazia e complessità gustativa esemplari. Il tutto suggellato da quella incomparabile leggerezza che lascerà impresse nella memoria le indelebili stimmate dell’esperienza definitiva.

Ogni singolo piatto è di fattura e compiutezza tali che lo si potrebbe eleggere tout court a paradigma dello stile di questa tavola: una storia culinaria sublimata da ingredienti che attraverso molteplici nuances firmano quel caleidoscopio di sensazioni integrate da salse, brodi e succhi che, a vario titolo e con varie sfumature, le definiscono chiudendo in un ideale cerchio qualsiasi preparazione.

La grandezza delle patate, lavorate come soltanto uno shokunin giapponese potrebbe fare, accompagnate da caviale, coquillage e nappate da un’eterea salsa di burro affumicato e dragoncello vale più di mille dichiarazioni d’intenti. Ancora le capesante e cavolo aggiungono nuovi capitoli alla storia delle texture in cui balenano le millemila tonalità del coriandolo e del peperoncino messicano che, sublimate dall’aglio nero, sigillano uno spettro di sapori magistralmente evocato. O, ancora, la divina salsa alle bacche che, terminando come meglio non si potrebbe la portata della rana pescatrice cotta al vapore e accompagnata da una squisita bisque torbata, testimonia una grandezza con pochi pari.

Come detto, ogni piatto potrebbe raccontare una storia il cui finale lascerebbe sempre piacevolmente sorpresi, dove persino la storica Escalope de saumon à l’oseille, pur nella sua datata concezione (1963), era già ambasciatrice di una eccellenza in essere e di un’altra, di là da venire, ancora più grande.

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Recensione Ristorante

Ci sono chef in grado di cambiare il corso della storia della cucina, per le sterzate che sanno imprimere e per gli influssi che più o meno inconsciamente sanno esercitare nei confronti dei propri contemporanei. Su questo campo, probabilmente il personaggio più influente degli ultimi 20 anni ha operato a Roses, con un discreto successo. 😉
Poi ci sono buoni cuochi ma straordinari ristoratori, in grado di rivoluzionare il modo di intendere la parola ristorante, capaci di vedere oltre e far saltare tutti i paletti prima fissati. Non sono meno importanti, senza di loro uscire a cena sarebbe più difficile, sicuramente più costoso e forse anche più noioso.
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Recensione Ristorante

Prima: sei felice e un po’ emozionato, una sensazione tra il primo appuntamento e la vigilia di una finale dei mondiali.
Dopo: sei euforico, per una volta sei tu a tempestare di messaggi amici e conoscenti, anche su facebook, anziché subirne l’inquinamento informativo quotidiano.
Meno male che quattro, cinque volte l’anno c’è un “durante” che giustifica tutto questo, cioè l’incontro con il lavoro di uno chef che ti colpisce nel profondo.

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Recensione ristorante.

“Quel treno per Roanne…”
Non è il titolo di un film e neppure di un romanzo, ma potrebbe benissimo esserlo, tante sarebbero le storie raccontabili iniziate o finite a la gare de Roanne, giusto in faccia alla Maison Troisgros.
E altrettanti sarebbero gli spunti storici da trarre dalla saga famigliare dei Troisgros e applicabili ad una sceneggiatura.
Una dinastia che ha saputo trasformare un hotel per passeggeri arrivati alla stazione, in uno dei più famosi Relais Chateaux del mondo.
Arrivare in treno, in inverno, con tanta neve su tutto il percorso, come un tappeto bianco da incidere con i pensieri . Una distesa pulita sui cui scrivere un altro capitolo.

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