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Hoja Santa

La cucina messicana d’avanguardia secondo Albert Adrià & Co.

La cucina messicana, con le sue radici pre-ispaniche, si basa su tecniche ancestrali e una varietà di prodotti a dir poco straordinari. Ha subito influenze di altri Paesi ma, allo stesso tempo, è riuscita ad influenzare, a sua volta, altre culture.

Il cibo da strada messicano gode di un ruolo importante nel mondo e, come tutta la gastronomia di rilievo, Albert Adrià e i suoi straordinari collaboratori non si sono fatti scappare l’occasione di reinterpretare, brillantemente, dopo la cucina nippo-peruviana anche la comida mexicana, patrimonio immateriale dell’umanità per l’Unesco, ritagliando sulla stessa un vestito d’alta cucina.

Paco Mendez, chef di Hoja Santa (ossia una foglia, originaria di Oaxaca, utilizzata per cucinare), è uno dei più stimati cuochi e interpreti di questa cucina nonché uno dei collaboratori più stimati del gruppo dei fratelli Adrià. Guardando al suo rigore tecnico e all’estro creativo sembra semplice riassumere in poche parole questa tavola: i sapori e le tradizioni del Messico sono facilmente rintracciabili in tutti gli assaggi nei quali le tecniche tradizionali si confondono con quelle innovative, ottenendo un peculiare risultato atto a reinterpretare con grande stile le ricette messicane strizzando l’occhio alla Spagna e ai suoi ingredienti, nonché agli irrinunciabili rimandi a El Bulli che fanno di Hoja Santa una tavola ancora unica nel panorama mondiale.

Non solo tacos…

È possibile ordinare à la carte, anche se la soluzione migliore, caldamente e reiteratamente consigliata anche dal servizio di sala, è quella di lasciarsi guidare in un’esperienza più immersiva, lasciandosi cullare dalle abili mani dello chef che propone una sequenza di una ventina di assaggi divisi in antojitos (snacks), botanas (appetizers), frutti di mare e crudi di pesce, tacos, mole e stufati, oltre al piatto principale.

Non aspettatevi quindi una selezione sterminata di tortillas farciti o da farcire, perché il meglio di questa tavola arriva con preparazioni tipiche come i mole, qui preparati in più declinazioni, o con i piccoli assaggi di frutti di mare reinterpretati con sensibilità tecnica, in perfetto stile Tickets. Tra gli assaggi migliori rammentiamo un toast di tonno, alghe e ricci di mare che invita al bis, il mole di aglio nero con avocado con eterea panatura al pistacchio, un guacamole con una marcia in più (in cui il coriandolo viene spodestato da altri aromi tra cui spicca l’elegante dragoncello), una commovente animella con salsa di arachidi e cocco o l’imperdibile cochinillo asado, cotto per un giorno a bassa temperatura di cui viene servito, sul finale, un magnifico cosciotto da gustare con tortillas appena sfornate.

Anche i cocktails – in verità diverse varianti del Margarita ma con effetti speciali – sono imperdibili e perfetti per accompagnare il pasto. Ma siate pronti anche a Mexcal o Tequila pairing a tutto pasto, oltre che ad un’interessante lista vini per i più conservativi!

La sala è molto bella e ricca di dettagli originali che conferiscono al locale un’autentica atmosfera messicana, con una grande cucina a vista a fare da diversivo. Qualche tempo fa, di fianco alla sala principale c’era Nino Viejo, formula più easy in cui gustare cocktail e tacos, oggi inglobato nell’esperienza di Hoja Santa come sala adibita ai dessert, anch’essi divertentissimi.

Nota (dolente) finale per il servizio di sala. Questa volta apparso un po’ invasivo e sbrigativo, forse complice la tensione di dover, per forza di cose, indirizzare il cliente verso una percorso che facilitasse la cucina. Nel nostro caso, tuttavia, si è optato per una scelta alla carta, ma le tempistiche e la qualità del cibo non ne hanno risentito.

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La mano di Ferran Adrià per il parco gastronomico di Lavazza

La Nuvola di Lavazza è un complesso imponente e di modernissimo design che svetta nella normalità del quartiere Aurora di Torino. Oltre al quartiere generale del colosso del caffè, c’è un museo che omaggia la lungimiranza dell’azienda, un negozio, un bistrot e un ristorante dall’entrata anonima, al cui interno è racchiuso un microcosmo di puro divertimento gastronomico.

È Condividere, luogo partorito da più menti artistiche che vede tra le suoi griffe più prestigiose la scenografia degli interni curata dal premio Oscar Dante Ferretti e la consulenza culinaria di un mito vivente come Ferran Adrià.
Attenzione però, una grande fetta concettuale della cucina è stata studiata a quattro mani dallo chef catalano e da un grande cuoco venuto alla ribalta solo grazie a questo progetto: Federico Zanasi che, già al servizio di Moreno Cedroni, ha saputo innestare un concetto italianissimo al format delle tapas, da condividere, appunto, fra i commensali.

L’esperienza di Condividere può valere il viaggio se non conoscete quello che vi aspetta ne “elBarri” , il quartiere dei ristoranti di Albert Adrià a Barcellona. Qui a Torino, del resto, è possibile trovare paste ripiene e riso – peccato per la carenza di pasta secca – che prendono spunto, e basi tecniche, dal genio catalano del Bulli.

Un luogo coinvolgente, a partire dagli arredi, con un grande servizio di sala e un’intrigante lista vini

Condividere è un luogo affascinante, a cominciare dagli scenografici interni in stile set cinematografico, tra graffiti di pop art, orologi e meccanismi.

La cucina affaccia sull’intera sala con una “barra” (bancone), stile Tickets, dalla quale ci si può scorgere l’operato indaffarato dei cuochi.

I bocconi coinvolgenti sono stati numerosi, a cominciare dalla selezione del prodotto la cui scelta è correttamente guidata dalla stagione e, in parte, dal territorio, elementi che si integrano con ingredienti pregiati provenienti dal resto del mondo (le carni Joselito, la vacca galiziana, il king crab e tanto altro).
Ma, tra i momenti più divertenti, ricordiamo una bagna cauda in cui intingere ortaggi di stagione trattati magistralmente, una meravigliosa ventresca di tonno stagionata con bergamotto salato e finocchietto di mare, un commovente omaggio al Bar Mulassano con la rivisitazione del tramezzino, granchio e maionese piccante. L’assaggio migliore, a nostro avviso, è stata la patata soffiata con tartare di vicciola (una razza bovina piemontese allevata a nocciole) e salsa tonnata, da mangiarne una teglia intera. Dolci di grande livello tecnico oltre che goduriosi, e chiusura, ovviamente, con una selezione di caffè Lavazza.

La carta dei vini è innovativa per quanto concerne la catalogazione delle bottiglie, ordinate per sensazioni; i sommelier che la orchestrano, del resto, sono molto preparati.

Considerate queste premesse, non possiamo che concludere che il futuro di Condividere, insomma, appare già più che roseo.

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A Barcellona, un’esperienza gastronomica ancora inedita

Che cos’è l’avanguardia? Sicuramente qualcosa di difficile comprensione perché, per definizione, nuovo e inesplorato. Così, dopo aver stupito spaziando in lungo e in largo attraverso le frontiere della cucina contemporanea, Albert Adrià e il suo entourage alzano vertiginosamente l’asticella facendo tabula rasa di ogni sofisticazione e focalizzandosi sulla purezza dell’ingrediente isolandone sapori, combinazioni e consistenze enfatizzate attraverso lo spazio e il tempo della degustazione.

Nel piatto, si materializza una nuova concezione gastronomica che esaspera l’essenza naturale degli ingredienti attraverso salagioni e stagionature talvolta estreme che investono i pregiatissimi angulas e i percebes, conditi con salse iodatissime estratte da alghe o da viscere di pesci, mentre combina il fegato grasso con l’acciuga e del piccione fa una tartare irrorata di jus di selvaggina. E ancora, c’è l’aragosta stagionata in cera di grasso, le anemoni di mare, le uova di kalix, le banane ossidate e chi più ne ha più ne metta.

Ecco, un dato importante da sapere è che nessuna delle portate viene spiegata al momento del servizio, per cui la codifica del codice del piatto avviene, da parte del commensale, del tutto istintivamente. Come già accaduto al 41 grados, il cibo viene poi accompagnato da una bevanda, quasi sempre propedeutica alla comprensione del piatto, che è un testo la cui componente estetica viaggia in parallelo con quella gastronomica. È questo il metalinguaggio dell’avanguardia edificata da Albert Adrià.

Lo spazio è propedeutico alla fruizione e alla comprensione del piatto

Gli spazi interni sono enormi, tanto che sembra di trovarsi in una sorta di labirinto a metà strada tra una caverna di ghiaccio e un luogo senza tempo, con soffitti che ricreano una nebulosa, pareti di pietra sinterizzata – un materiale di ultima generazione – e cristallo, mentre una rete di metallo è adagiata sul soffitto in modo che tutto sembri studiato con l’intento di disorientare l’ospite e sconnetterlo col mondo esterno.

È difficilissimo raccontare l’esperienza  senza spoilerarla, ma ci proviamo: già all’atto della prenotazione si riceve una email con due codici che andranno digitati per accedere agli spazi interni del ristorante. Nessun’accoglienza all’ingresso e, nel corridoio che porta alla sala d’attesa, il benvenuto viene servito in piedi: si tratta di un succo caldo a base di semi di zucca e limone, corroborante, sapido e agrumato. È il ryokan: un concetto giapponese pensato per far rilassare l’ospite cui seguirà un altro spazio dedicato alla scelta del beverage e in cui vengono serviti eterei snacks e un cocktail di benvenuto: la cava. Ci si accomoda quindi ne la barra, spazio di approccio alla purezza degli elementi ittici pregiati, serviti nella loro essenza prima di passare, attraverso l’avveniristica cucina, alla sala principale dove, in un contesto di resina poliestere, si avvicendano alcuni piatti cucinati e, quindi, il teppanyaki – la famosa plancia giapponese – nello spazio della planxa, appunto. Le stoviglie, di finissima porcellana, sono disegnate appositamente da un artista belga.

Il menu come itinerario

In questo contesto itinerante e stordente, Enigma appare la consacrazione definitiva del genio di Albert Adrià e dei mille stimoli che attraverso la sua creatività giungono al palato e alla mente del commensale. Anche solo fermandosi all’approccio estetico delle cose, ci si accorge dell’evoluzione inarrestabile anche in termini di stile, ormai in gran parte ben distinto da quello del Bulli. Per questo Enigma costituisce un’esperienza totale e totalizzante, che merita sicuramente una visita, da dovunque voi vi troviate.

Tanto saprà portarvi, comunque, altrove.

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La cucina Nikkei secondo Albert Adrià

Una delle cose che si apprezzano di Albert Adrià è che non senta alcun bisogno di mascherarsi. È un frontman e va fiero di esserlo. Punta dritto all’essenza delle sue idee disegnandone contorni definiti e pitturandone con tocchi decisi le atmosfere. Per questo si espone a rischi, che si traducono in una sequenza infinita di dettagli, che se non curati adeguatamente potrebbero far risultare l’opera incompleta.

A Pakta, avamposto Nikkei nel centro di Barcellona, tutto è organizzato secondo quell’architettura creativa che Adrià pare abbia trovato il modo di standardizzare e replicare. Il meccanismo che porta al successo sembra essere ben oliato con la firma dell’artista che si esplica fin dall’accoglienza, calorosa e professionale, passando per una tempistica del servizio ineccepibile, senza sottovalutare l’importanza di alcuni aspetti spesso trascurati, come la comodità delle sedute e la qualità dell’illuminazione. Eppure, al contrario delle nostre precedenti visite, questa volta ci siamo imbattuti in una serata non entusiasmante. Abbiamo comprato il biglietto per una partita in cui il fuoriclasse si è dimostrato sì più bravo degli altri, senza però emozionare.

Quando il dettaglio fa la differenza

L’analisi di questa serata lascia spazio a una duplice considerazione. Qualcosa, va detto, può essere attribuito e ridimensionato all’interno di un ciclo che inizia e finisce nella serata presa in esame. Ci riferiamo alle temperature di servizio, che durante la nostra cena hanno mostrato un tasso di approssimazione che non ci saremmo aspettati. I campanelli d’allarme, però, arrivano da alcune fasi della degustazione che non rappresentano errori di natura tecnica ma che affondano l’origine dei propri difetti sulla reiterazione di alcuni ingredienti all’interno del menù che, causa anche la stagione invernale non propriamente generosa, ha dato vita a una sequenza di passaggi troppo rassomiglianti gli uni agli altri causando un assopimento emozionale del palato discretamente rapido. Alla luce di questo ci interroghiamo sulla scelta di proporre due menù, entrambi composti da 22 portate, anziché proporne uno più breve, in cui concentrare intensità e sapori. Inoltre, non possiamo esimerci dall’aprire una parentesi sulla materia prima, che, in una cucina essenzialmente di prodotto, non può che essere eccezionale e che invece si è fatta trovare spesso non più che buona.
Qualche passaggio decisamente memorabile c’è ovviamente stato, e più di uno: parliamo di piatti come l’anguilla alla brace con salsa teriyaki o i piselli di Maresme, fave ravanello, foglie di oxalis, kimchi e okra.

Per concludere, sottolineiamo come da Pakta si respiri il profumo di un grande ristorante, che in qualche occasione è anche lecito che possa non esprimersi come tale. Dispiace, e dispiace doppiamente dover ammettere che anche gli eroi abbiano dei punti deboli. Si tratta di dettagli, che per un genio come Albert Adrià non sarà difficile aggiustare, così da riportare la sua idea di cucina Nikkei a splendere a Barcellona.

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Ecco la “taperia”dei sogni partorita dal genio di Albert Adrià

Che spettacolo la Bodega 1900! Una delle tavole più divertenti del gruppo El Barri a Barcellona, conosciuto anche come il quartiere dei ristoranti di Albert Adrià, cuoco dalla creatività e immaginazione inesauribili. Ha l’aspetto e l’atmosfera di una “taberna”, con un preminente odore di legno e vino, foto alle pareti e stretti tavolini di marmo. La Bodega è un luogo speciale, dove il sifone e la sferificazione arrivano a tavola in punta di piedi tra preparazioni della storia gastronomica catalana, sofisticate rivisitazioni di tapas, braci, marinature, salagioni e conserve. Un luogo cercato e concepito con l’intento di ricreare i locali di una volta, dove si tornava sempre perché assurgevano a posti familiari, luoghi del cuore.

Una vermoutheria con tapas eccezionali da condividere in un luogo che ricorda le taverne di inizi novecento

Il vermouth, uno dei segni della cultura catalana e spagnola, è il protagonista insieme a ricette tradizionali, trattate con guizzo avanguardista capace di salvaguardarne l’essenza. La materia prima, trattata con massimo rispetto, è semplicemente la migliore che si possa trovare in commercio. Indimenticabile il sapore della Cheesecake – dall’intenso e predominante sapore di queso (formaggio), con una crosta soffice ed un apporto di zuccheri esiguo – e della straordinaria Vacca galiziana con un profondo retrogusto di latte; fantastici, per lunghezza gustativa e qualità del prodotto, i Boquerones (acciughe) marinate e la Esqueixada de bacalao (Insalata di baccalà), per non parlare dell’Anguilla affumicata con patate all’aceto e della disarmante bontà delle Polpette al sugo.

Qui non c’è neanche il problema di accompagnare il pasto con grandi vini (basterebbe comunque un ottimo cava o una birra); per chi avesse la possibilità, un’intera sezione della carta vini è dedicata a Dom Perignon con annate importanti e vasta scelta (a prezzi obiettivamente corretti).

Ce ne fossero di posti così, poliedrici, con un servizio di sala mirabile, una capacità tecnica con pochi eguali in cucina e tutta la bontà, intatta ed apparentemente incontaminata, delle tapas.

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