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040

Nella città di Neruda, un viaggio kaiseki tutto sudamericano

Siamo a pochi centinaia di metri dalla Chascona, l’eclettica casa di uno delle più grandi figure della letteratura internazionale, e autentico mito della tradizione culturale cilena, Pablo Neruda. Poeta, letterato, scrittore ma anche gastronomo e amante dei piaceri della tavola, di cui narra in molti dei suoi migliori scritti.

A pochi metri da qui, lo spirito di creatività dove tecnica e biodiversità degli ingredienti – considerando la magnitudo cilena – si incontrano in un ben nascosto, è il caso di ammetterlo, autentico gioiello della scena gastronomica di Santiago del Cile, lo 040 dello chef Sergio Barroso. Il ristorante sorge nel barrio Bellavista, il quartiere bohémien della città e probabilmente di tutto il Cile, ritrovo degli artisti situato tra il fiume Mapocho e la spettacolare collina di San Cristobal.

Barroso distilla la sua cucina in un percorso che traccia le sue coordinate principali su quelle di un kaiseki, dal sapore tutto latino, in una sequenza di oltre 12 gustosi bocconi che parlano del territorio circostante ma che non fanno fatica a svelare l’esperienze che questo chef ha accumulato nel Vecchio Continente, prima fra tutte quelle con il Dalì della cucina contemporanea: Ferran Adrià, a El Bulli, fucina di idee e talenti. La timbrica che questo maestro riesce a trasmettere ad allievi come Barroso nel caso del suo 040, si riconosce tutta nell’intrigante incalzare di una tapa dopo l’altra.Tra i signature che ci hanno colpito di più troviamo i ravioli di nero seppia, con yuzu, zenzero e latte di cocco, a racchiudere la carica esotica ed elettrizzante della frutta coniugata alla dolcezza iodata del mollusco. Oppure l’air baguette di elbulliana memoria qui in veste di cuscino, fa da etereo supporto a foie gras e petto d’oca affumicato, a coronamento in una ricca salsa al frutti rossi e pepe cileno. L’esperienza si arricchisce ulteriormente di un piacevole food pairing declinato tra proposte enoiche cilene e miscelazioni d’avanguardia da parte del bartender Augustin Garcia, che opera allo speakeasy, all’ultimo piano dell’edificio che ospita lo 040.

Difficile da dimenticare come esperienza, come difficile da trovare nel variopinto barrio che lo ospita. Non demordete. Unico indizio: 040 è il civico, ma una volta trovato ne verrete ricompensati.

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La propria strada tra i giganti

Non sarà certo azzardato definire Federico Zanasi il legittimo erede, benché in salsa italiana, di Ferran Adrià. Di certo, oggi, sarebbe finanche riduttivo: perché lo chef di questa avventura che, lo ricordiamo, è firmata  da Adrià per Lavazza, è riuscito in poco tempo a smarcarsi dal maestro  trovando una propria strada espressiva, naturale estensione di un’identità solida e forte che già brillava sul pass di Moreno Cedroni.

Un’identità di cui, a guardarci bene, anche gli arredi – in stile cinematografico, tra graffiti pop, orologi e ingranaggi – rappresentano l’estensione, merito delle scenografie multiformi di Dante Ferretti e della sua capacità di interpretare luoghi e personalità, di cui peraltro anche il menù stesso appare affollato.

Cominciamo dunque con l’ormai celeberrima, nonché iconografica, oliva sferica, omaggio dichiarato al genio di Cala Montjoi e col gelato al Parmigiano, omaggio, questo, che Ferran Adrià stesso fece invece all’indimenticato Bob Noto. A seguire, una sequenza assai arrembante rappresentata dal ceviche di frutta e verdura, dove il pesce è rappresentato solo dal condimento efficacissimo, peraltro, nel parlare del Perù più profondo. Poi, impossibile non citare la golosissima patata soufflé con carne di vicciola (razza bovina piemontese allevata a nocciole) e salsa tonnata quasi a fare da prologo al blinis modenese con midollo e caviale con cui si torna, idealmente, a ElBulli.

L’ottovolante gusto-olfattiva continua e raggiunge il primo vertice col katsu sando piemontese, ovvero il panino giapponese dalla consistenza aerea farcito con una cotoletta e con l’ostrica col burro acido al rafano e pepe nero. Molto definiti, si direbbe quasi scolpiti nelle rispettive salienze il granchio e ovuli, così come l’astice “Combal”, omaggio a Davide Scabin, dove il regale crostaceo e il gorgonzola si sposano alla perfezione. Ma c’è spazio anche per la memoria, nonché un certo inaspettato passatismo, nell’animella al “Vecchio Samperi” il cui sapore ricorda le italianissime scaloppine al Marsala della cucina domestica italiana.

In questo quadro, già di per sé animatissimo, molto abbiamo apprezzato la migrazione in veranda per il dessert, ambientazione di un’indimenticabile carosello dove proprio il movimento è al centro della rappresentazione con la scenografica Cheese cake del Tickets e la meringa ghiacciata.

Menzione speciale, anzi d’onore, alla peculiare carta dei vini “sensoriale” dove le bottiglie sono ordinate, appunto, per sensazioni.

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Una grande pasticcere e la sua boutique

Luca Lacalamita, classe 1985, ha alle spalle esperienze importanti: Ferran Adrià, Massimo Bottura, l’Enoteca Pinchiorri. Un grandissimo pasticcere, di grande talento e profondità, che decide di aprire nella sua città, Trani, una panetteria contemporanea.

Il pane la fa da padrone, certo, ma il talento smisurato di questo giovane pugliese non poteva limitarsi a questo. Ecco quindi sfornare deliziose prelibatezze, sia dolci che salate, in una boutique del gusto che vale il viaggio, non solo la deviazione. Due vetrine che affacciano su uno dei corsi più importanti della città, e altrettanti metri quadri – oltre a quelli del locale aperto al pubblico – nascosti per la lavorazione di pane, pasticceria e cioccolato.

Solo 35kg di pane al giorno, che volano via in poche ore, se non prenotati, in cui si stagliano il meraviglioso pane cicoria e fave, accompagnato per la nostra degustazione da carote di Polignano e gel d’olio; un sublime pane integrale con pomodorini e fave fresche e una focaccia con patate cotte a bassa temperatura e pomodorini da urlo.

Poi pralineria, piccoli capolavori di pasticceria in monoporzione, plumcake da paura e panettoni tutto l’anno. Il chou all’olio di oliva, arance, nocciole e cioccolato è un capolavoro, quanto la citazione di pinchiorriana memoria della crostata di frutta e di verdura.

Unico invito? Non tardate troppo e precipitatevi a Trani: qui troverete un talento puro, nitido, di grande scuola pasticciera.

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La mano di Ferran Adrià per il parco gastronomico di Lavazza

La Nuvola di Lavazza è un complesso imponente e di modernissimo design che svetta nella normalità del quartiere Aurora di Torino. Oltre al quartiere generale del colosso del caffè, c’è un museo che omaggia la lungimiranza dell’azienda, un negozio, un bistrot e un ristorante dall’entrata anonima, al cui interno è racchiuso un microcosmo di puro divertimento gastronomico.

È Condividere, luogo partorito da più menti artistiche che vede tra le suoi griffe più prestigiose la scenografia degli interni curata dal premio Oscar Dante Ferretti e la consulenza culinaria di un mito vivente come Ferran Adrià.
Attenzione però, una grande fetta concettuale della cucina è stata studiata a quattro mani dallo chef catalano e da un grande cuoco venuto alla ribalta solo grazie a questo progetto: Federico Zanasi che, già al servizio di Moreno Cedroni, ha saputo innestare un concetto italianissimo al format delle tapas, da condividere, appunto, fra i commensali.

L’esperienza di Condividere può valere il viaggio se non conoscete quello che vi aspetta ne “elBarri” , il quartiere dei ristoranti di Albert Adrià a Barcellona. Qui a Torino, del resto, è possibile trovare paste ripiene e riso – peccato per la carenza di pasta secca – che prendono spunto, e basi tecniche, dal genio catalano del Bulli.

Un luogo coinvolgente, a partire dagli arredi, con un grande servizio di sala e un’intrigante lista vini

Condividere è un luogo affascinante, a cominciare dagli scenografici interni in stile set cinematografico, tra graffiti di pop art, orologi e meccanismi.

La cucina affaccia sull’intera sala con una “barra” (bancone), stile Tickets, dalla quale ci si può scorgere l’operato indaffarato dei cuochi.

I bocconi coinvolgenti sono stati numerosi, a cominciare dalla selezione del prodotto la cui scelta è correttamente guidata dalla stagione e, in parte, dal territorio, elementi che si integrano con ingredienti pregiati provenienti dal resto del mondo (le carni Joselito, la vacca galiziana, il king crab e tanto altro).
Ma, tra i momenti più divertenti, ricordiamo una bagna cauda in cui intingere ortaggi di stagione trattati magistralmente, una meravigliosa ventresca di tonno stagionata con bergamotto salato e finocchietto di mare, un commovente omaggio al Bar Mulassano con la rivisitazione del tramezzino, granchio e maionese piccante. L’assaggio migliore, a nostro avviso, è stata la patata soffiata con tartare di vicciola (una razza bovina piemontese allevata a nocciole) e salsa tonnata, da mangiarne una teglia intera. Dolci di grande livello tecnico oltre che goduriosi, e chiusura, ovviamente, con una selezione di caffè Lavazza.

La carta dei vini è innovativa per quanto concerne la catalogazione delle bottiglie, ordinate per sensazioni; i sommelier che la orchestrano, del resto, sono molto preparati.

Considerate queste premesse, non possiamo che concludere che il futuro di Condividere, insomma, appare già più che roseo.

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A Parma una straordinaria evoluzione della cucina contemporanea ad opera di un allievo di Adrià

Terry Giacomello ha una speciale venerazione per colui il quale ritiene essere il suo Maestro. Ferran Adrià ha significato davvero molto per lui e per la sua formazione di cuoco. Ma come tutti i veri virtuosi – e migliori allievi – Terry Giacomello ha fatto propri i più grandi insegnamenti che sta ora applicando in una strada tutta sua, personale e autentica. I tre maghi di Disfrutar continuano nel solco tracciato dal grande maestro, portando avanti la filosofia integra del Bulli, certo, ma Terry con l’Inkiostro sta perpetuando uno scarto costante. Complice il percorso, invero piuttosto articolato, che da Marc Veyrat e Michel Bras a Roses, dove ha trascorso oltre quattro anni, lo ha portato presso alcune tra le cucine più importanti del pianeta passando da Andoni Luis Aduriz ad Alex Atala prima e da René Redzepi ed Helena Rizzo dopo, Giacomello ha inanellato esperienze che restituisce appieno nei suoi piatti forti di una tecnica che dissimula con agilità e grazia: molta, moltissima grazia che è poi la musa ispiratrice di tutta la stilistica culinaria di questo chef friulano adottivo parmigiano.

Eppure, è stato solo distanziandosi da tutto, mediante un paniere di materie prime in arrivo da tutto il mondo, che Giacomello ha imboccato la sua strada personale issata su riferimenti e principi solidi e precisi ancorché sfumati e indefinibili dai quali scaturisce un unicum intrigante e, appunto, unico nel panorama dell’alta cucina contemporanea. Tante ed elaborate le tecniche e le tecnologie messe in campo, ma impercettibili: l’istanza narrante e i meccanismi narrativi sono sempre completamente celati, dissimulati poiché al servizio dell’efficacia narrativa.

Va da sé che possa piacere o meno, ma certo non si può dire che, a Parma, non sia in atto e non sia vivacissimo il laboratorio di cucina di avanguardia de l’Inkiostro: ne fu un esempio l’uovo che, scaturito dalla collaborazione con Davide Cassi, docente di Fisica della Materia all’Università di Parma, pur sottendendo studio e pure il gusto per uno scientismo di tipo tecno-emozionale, come spesso accade all’Inkiostro, in bocca si risolve in una suggestione potentissima, di eleganza pura. Ed è proprio questo continuo articolarsi di studi e ricerche ed esprimenti che fanno di Inkiostro il laboratorio di cui si parlava dianzi. Anzi, di più: poiché le combinazioni elaborate sulle consistenze, sulle geometrie, sulle proporzioni sono le medesime del laboratorio di cala Montjoi, finanche qualche lieve concessione più alla tecnica che al gusto, sempre al servizio di un concetto che crediamo essere fondamentale per comprendere la stilistica di Giacomello: il tempo, sempre attuale, di elementi colti nell’hic et nunc della loro più precisa stagionalità e il luogo estemporaneo, perché si tratta pur sempre di elementi provenienti da tutto il mondo, ma ricostruito nella bocca che, attraverso l’unicum del piatto, esperisce sensazioni che sono come suggestioni o, meglio, come ricordi.

E poi quanta intensità, quanta vibrante armonia nei contrasti, quanta tecnica al servizio del gusto. Una cucina che fa riflettere, pensare, che può dividere a tratti, ma pur sempre una grande e alta cucina. Alcuni colpi di alta scuola? Il Cuore di manzo, il Fiore di loto (paradisiaco e unico), i Ricci e cartilagine, la mela omaggio al Mugaritz e potremmo continuare così di seguito. Alcuni piatti semplicemente buoni, altri virtuosismi tecnici ancora da sistemare (il calamaro e la patata) ma geniali nella loro unicità.

Contiamo molto sul futuro di Terry Giacomello, un grande cuoco contemporaneo.

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