Passione Gourmet Verona Archivi - Pagina 2 di 10 - Passione Gourmet

Amistà

Ritorno alle origini

Lasciare la fredda SP1 per entrare a Villa Amistà fa catapultare l’ospite in un mondo sospeso nel tempo. Villa cinquecentesca con un viale di ingresso in salita ornato da un impeccabile giardino all’italiana e una fontana a cuore che comunicano rilassatezza e cura del dettaglio. Il salone centrale è un climax di emozioni con una vera e propria mostra permanente di opere d’arte: da De Chirico a Andy Wahrol passando per Arnaldo Pomodoro, Mimmo Rotella e tantissimi altri artisti. Queste premesse fanno da sfondo all’Art Hotel 5 stelle L e al ristorante Amistà che gode di una sala “aperta”, spazi ben gestiti e luci che pongono l’attenzione sul piatto.

Esperienze internazionali a servizio della tradizione

La cucina del giovane Chef Mattia Bianchi, dopo 8 anni di esperienze internazionali tra Inghilterra e Australia, vuole legarsi intimamente al territorio e alla tradizione della terra da cui lui stesso proviene (la Valpolicella) ma con qualche digressione esterofila. Lo testimoniano i tre menù a disposizione in cui in “Valpolicella & Friends” si ritrova l’estrema tradizione come ad esempio i Tortelli di Corte Veronese, un inno al tempo dei principati e delle corti in cui non si buttava via niente, passando per “The Best Of” in cui inizia a subentrare un tocco personale nelle cotture e accostamenti fatti di equilibrio e rispetto delle materie prime come ad esempio Baccalà 2030, visione futurista di un elemento tradizionale. Il terzo menu è “Amistà3in cui lo Chef si diverte a sperimentare consapevolmente e a legare, in alcuni casi, il concetto di Arte alla Cucina come in Cubismo, dolce omaggio a Pablo Picasso e alla sua opera Arlequin et femme au collier, 1917, Parigi.

Menzione speciale anche alla sala, magistralmente gestita dal Direttore Giuseppe Grasso che, dopo importanti esperienze lavorative, mette a disposizione un team attento e una cura del cliente elegante e discreta.

La Galleria Fotografica:

A pochi passi dall’Arena, la cucina neo-classica e verticale di Matteo Rizzo

Il Desco, con Matteo Rizzo al timone dopo il passaggio di consegne del padre Elia, è ormai una realtà consolidata nel panorama veronese. E non era facile prevederlo visto che la grandezza dei padri è, per i figli, spesso più fardello che leva di lancio. Complice lo stile culinario, di stampo neo-classico, Matteo riesce nell’impresa di dare vita a una cucina più strutturata, più verticale, più composta, attualizzata mediante un lavoro di lima di michelangiolesca memoria che non rinuncia, però, ad affondare nel gusto: la stessa urgenza che aveva il padre, oggi col prezioso contributo di esotismi, lambiti per mezzo delle spezie, e verticalità raggiunte mediante l’utilizzo, edotto quando non vertiginoso, delle acidità.

Così accade nel Salmone fondente con crema di capperi e polvere di caffè dove, a risultare interessante, è soprattutto per la texture del salmone e il gioco “torrefatto-salato” che ne deriva dall’abbinamento, di alajmesca memoria, di capperi-caffè. Colpisce poi un piatto di passaggio – Capesante scottate, gazpacho di anguria, pomodorini ed erbe aromatiche – talmente preciso da ambire a una collocazione più importante nella sintassi del menù pur nell’esattezza della sua ubicazione odierna, ovvero quella di preparare al piatto successivo: Scampi fritti con insalatina aromatica all’aceto di lamponi che, è pur vero, si tratta di una rivisitazione che stabilisce più di un legame, un dialogo, si direbbe, col super classico delle origini

Si prosegue col Risotto Torba, Cipolla e Pomodoro che del talento di Matteo rappresenta la acme, giacché si issa sullo straordinario connubio tra la torba, la dolcezza del pomodoro – che ha, a volte, risvolti tartufati – e la dolcezza della cipolla: un piatto semplice eppur superbo, tutto centrato su sottili, subliminali concordanze aromatiche. Più gustative, invece, le concordanze sulle dolcezze, in toni e sfumature diverse, del Baccalà mantecato e cipolla rossa caramellata alle erbette e liquirizia: anche qui siamo al cospetto della rivisitazione di un classico di cui riprende sia il concetto “tradizionale”/”tipico” del piatto sia l’esplicito omaggio al passato, insistendo ancora una volta sull’esatta collocazione all’interno della successione dei piatti giacché questo baccalà funge, precisamente anche se parrebbe contro-intuitivo, da pre-dessert.

Si tratta, insomma, di una cucina che, oltre che pratica, è anche mitica, nella costanza con cui rimanda all’archetipo, e che lavora sottovoce, persuadendo profondamente.

La Galleria Fotografica:

La conferma della tradizione, nella realtà targata Alberto Mori

Alberto Mori è chef di lungo corso e dalla formazione importante: dopo un fondamentale apprendistato presso I Tigli di Simone Padoan, Mori ha fatto seguire, assieme alla moglie Ivana Firulesko, l’apertura de Al Callianino a Montecchia di Crosara.

Il locale è il sunto del pensiero di Mori: dall’approccio minimal ma curato nell’arredo, Al Callianino propone una cucina connaturata da praticità e immediatezza, con particolare attenzione alla qualità della materia prima. La scelta è programmatica, filosofia di pensiero che si pone nella condizione non semplice di confermare il noto, rilanciando verso qualche azzardo non troppo estraneo ai palati degli avventori. Si guarda al cliente, ai suoi bisogni di confortevolezza e riconoscibilità, dando la possibilità sia di assaporare una degustazione che, volendo, spazia tra terra e mare, sia di farsi abbracciare da un appagante bollito domenicale con pearà, portata tipica del veronese.

In questa dicotomia i piatti di Mori si presentano come ideale sunto dell’approccio cui il patron de Al Callianino ha votato la sua causa. La nostra esperienza ne è stata direttamente influenzata, con piacevoli sorprese, tutt’altro che scontate. Dumpling di Gallina Grisa, olio piccante, anacardi e coriandolo si è palesato come miglior piatto del servizio: la sfoglia dalla notevole consistenza del raviolo è stata accompagnata da una riduzione in cui è spiccata una portentosa lunghezza figlia della sapidità della salsa di soia e della piccantezza dell’olio. A creare un buon contrasto hanno contribuito l’anacardo, per ciò che riguardava la consistenza, e il coriandolo, in termini di pulizia finale. Un primo piatto pensato con intelligenza ed eseguito con cura.

Stessa sicurezza operativa anche nel piccione, porro e burro d’arachidi: opulento, godurioso, calibrato tra le note ematiche del volatile e la dolcezza dell’arachide in accompagnamento, con crostino di fegatini e petto marinato a chiudere un cerchio dalle realizzazioni assai appaganti. Un gioiello di tecnica e precisione, da assaporare più e più volte.

Sul versante dolci siamo rimasti particolarmente colpiti da Cioccolato, marroni e cachi: dessert dalla fattura ben bilanciata a livello di consistenze tra croccantezza della base e morbidezza della farcitura, ha rappresentato una coccola finale rotonda e copiosa, a ben suggellare la degustazione.

Tuttavia, al netto di quanto sopra, abbiamo trovato leggermente irrisolti gli spaghetti Benedetto Cavalieri, aglio, olio e peperoncino, a tratti insipidi e poco incisivi in termini di piccantezza, sebbene precisi nella cottura. Una piccola sfumatura, questa, che non inficia la buona resa complessiva, a cui ha contribuito l’intelligenza della mescita curata da Ivana Firulesko. Siamo sicuri che questa tavola saprà confermare le qualità mostrate nella nostra visita, magari azzardando qualche slancio in più, nel rispetto della tradizione che le è propria.

La Galleria Fotografica:

Un sodalizio ambizioso

Chi non conosce queste zone a cavallo tra le province di Verona e Rovigo potrebbe pensare che si tratti di una nuova apertura, o quasi. Al contrario, parliamo di un’istituzione. Le 4 ciacole è una locanda vera, con le camere, di quelle che si trovano solo in aperta campagna, di solito nella piazza principale di un paesino di poche case, di fianco alla chiesa.

Decenni di lavoro di una coppia di osti vecchia maniera, Tiziano e Gabriella Scandogliero, l’hanno resa un punto di riferimento per la zona, continuando ad accrescere con costanza la qualità della propria offerta pur mantenendo inalterata la formula del locale. Poi la svolta. Al loro fianco entra in gioco il figlio Marco: carriera rapidissima nel settore enologico, che lo vede miglior Sommelier del Veneto nel 2016, redattore della Guida ai Vini di Verona in collaborazione con il quotidiano l’Arena e anchor-man nelle televisioni locali.

Il progetto diventa ambizioso e il locale si divide in due: da un lato La Dispensa con un’offerta decisamente raffinata di norcineria e formaggi, dall’altro il ristorante. È in quest’ultimo che si concentrano gli investimenti, con un remake completo della cucina, a partire dall’imponente spiedo che campeggia di fronte al pass e con l’ingaggio del cuoco più in vista della zona, Francesco Baldissarutti: un altro che di storia ne può raccontare parecchia, a partire dal lungo periodo trascorso a fianco di Giancarlo Perbellini nel ruolo di sous-chef, per continuare con l’anno di lavoro al Celler de Can Roca e per finire con il percorso di affrancamento in veste di chef del Ristorante Perbellini, iniziato nel 2014 dopo la partenza di Giancarlo per il centro di Verona. Una partita non semplice, vinta senza ombre.

Le 4 Ciacole: giochi e sapori

Ambiente rustico e accogliente, cucina a vista scintillante, cantina di ricerca e servizio informale fanno da contorno a una cucina solida, intensa, centrata nei sapori, raffinata nelle tecniche ma mai leziosa.

Se il kebab di sedano rapa allo spiedo con latte di kefir e gelatina di acqua di rapa rossa centra l’equilibrio passando attraverso il contrasto tra acidità e note lattiche, i due primi piatti giocano le loro carte sul comfort e sull’immediatezza. Il risotto “Ho mantecato una pizza alla marinara” è un classico dello chef: esecuzione da manuale, linearità nella costruzione del piatto (mantecatura al pomodoro, acciughe del Cantabrico leggermente affumicate, spuma di aglio nero fermentato, origano secco e fresco, polvere di pane croccante), sapori centrati e gioco pienamente riuscito, almeno quanto il successivo pollo arrosto con le patate che non ti aspetti: tortelli ripieni di cremoso di patate arrosto, immersi in un brodo concentrato di pollo allo spiedo e accompagnati da erbe acide.

Scioglievole, sapida, golosa la costina di Mora Romagnola, preparata come una porchetta, con salsa alla radice di liquirizia e insalatina di cerfoglio, levitino, nipitella e finocchietto. Peccato per l’impiattamento perfezionabile non solo sotto il profilo estetico (per come è versata la salsa) ma anche nella sostanza per la temperatura a cui viene esposta la parte vegetale del piatto. Magistrale, invece, la chiusura, affidata a una versione evoluta dell’After Eight: menta, cioccolato, peperoncino e arachidi salate. Godibilissima, soprattutto per chi nei dessert cerca un tono zuccherino medio basso e presenza di sapidità e piccantezza.

Un sodalizio promettente, quello tra Marco e Francesco, che ha visto la luce nel momento più buio nella storia della ristorazione moderna, e che solo ora inizia a dare i risultati sperati.

La Galleria Fotografica:

A pochi passi dall’Arena, la salda cucina di Elia e Matteo Rizzo a Il Desco

Il Desco, con Elia prima e Matteo Rizzo dopo alla direzione della cucina, è una realtà consolidata nel panorama veronese.

Lo è, però, in una forma molto pratica, che non cerca l’appariscenza e il fuoco d’artificio, ma lavora sottovoce, con costanza e dedizione quotidiane al fine di consolidare quel fil rouge sinonimo del passaggio di consegne tra padre e figlio, avuto nel corso degli anni nella famiglia Rizzo.

Aperto nel 1981, il locale si fregia infatti di una stella Michelin guadagnata nel 1985, mantenuta fino a oggi (erano due fino al 2014). Il dato è conferma della qualità che Il Desco offre al commensale.

Nella nostra visita ne abbiamo avuto una prova tangibile dai tratti appaganti, sebbene non del tutto esaustivi. Perché, al netto di un encomiabile lavoro tecnico, soprattutto a livello di cotture delle carni ittiche, precisissime, non tutte le cariche gustative hanno fornito una varietà palatale capace di discostarsi da una reiterata ricerca della rotondità.

Il che, va precisato, non è di per sé un difetto: è una scelta personale, una filosofia che affonda le proprie radici nella tradizione di cui Il Desco è esponente da decenni, con risvolti assai positivi nell’eleganza complessiva e nella definizione dei sapori, ma che, soprattutto nelle portate principali, ha frenato la vivacità e l’alternanza di pensiero che si erano palesate in precedenza.

Abbiamo provato un menù dall’andatura discendente, in cui a farla da padrone è stato l’omaggio alla componente ittica, cucinata, ci preme ripeterlo, con grande abilità.

Capesante e beurre blanc al prezzemolo si è rivelato un esordio da applausi: mollusco dalle carni di squisita morbidezza, bilanciato dalla croccantezza della misticanza on top, con elegante gioco di dolcezza in chiusura tra il burro al prezzemolo e la maionese di corallo. Piatto diretto, puntuale e irresistibile.

Stesso livello è stato fornito da Scampi fritti con insalatina aromatica all’aceto di lamponi, signature dish del locale, in carta dal 1982, e mai modificato nella preparazione. La pastella croccante, preparata con un semplice mix di farina e acqua, ha controbilanciato la morbidezza dello scampo, con una generosa salatura finale a suggellare il connubio. In accompagnamento, la componente vegetale ha fornito una freschezza dai lievi tratti amaricanti, capace di ricalibrare il palato dalla frittura per prepararlo al boccone successivo.

Ma è con Risotto, limone, pepe rosa e uova di aringa affumicate che si è raggiunto l’apice dell’esperienza. Piatto migliore del servizio, ha manifestato la volontà di osare su terreni un poco più audaci, proponendo un gioco di lunghezze tutt’altro che banale, quasi spavaldo, tra l’affumicatura delle uova ittiche e la profonda nota speziata del pepe, con nel finale il limone a conferire acidità e pulizia. Il tutto sulla più classica base di un risotto mantecato con burro e formaggio.

La seconda parte del menù ha osato un poco meno, puntando sull’impostazione più classica della cucina.

Spigola e piselli ne è stato un esempio emblematico: carne ottimamente cotta, servita su “tartare” di piselli, fagiolini e cipollotto, con emulsione a base di piselli e latte aromatizzato al branzino. Piatto dalle spiccate note dolci grazie alle salse di accompagnamento, ben eseguite, ma che hanno dettato legge in un’accoppiata che poteva suggerire maggiori stimoli e contrasti.

Risultati non dissimili anche per Vitello, Parmigiano ed erbette, in cui il fondo di cottura della spalla di vitello e l’emulsione al Parmigiano si sono accordati tra dolcezza e sapidità, smorzando sia l’amaricante dell’asparago scottato sia le note ematiche delle carni bovine.

Un’ottima cucina classica, quindi, che coccola il commensale confermandone con precisione e sicurezza le aspettative, ma che può raggiungere traguardi altrettanto notevoli abbracciando un pizzico di audacia in più, di cui abbiamo avuto sentore e che ci ha regalato piacevoli sorprese.

La Galleria Fotografica: