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Monastero Santa Rosa

Il nostro peregrinare per il globo terracqueo alla ricerca dei migliori ristoranti spesso ci ha donato la possibilità di vedere luoghi da sogno, di godere delle meraviglie della natura, di assaporare attimi di infinito.
Eppure, in un’assolata mattina di fine giugno, abbiamo dovuto rivedere la nostra classifica dei panorami più incredibili e suggestivi: le fotografie non possono rendere giustizia ad un simile incanto.
La riqualificazione dell’antico monastero del 1600, là dove, narra la leggenda, è stata inventata la celebre sfogliatella santa rosa, è stata voluta e realizzata da una (molto) facoltosa signora americana, che ha impiegato una dozzina d’anni e oltre 50 milioni di euro per realizzare il suo sogno, regalando ai fortunati ospiti un hotel da mille e una notte dove trascorrere attimi di felicità.
I giardini terrazzati sono curatissimi e colorati, la piscina “infinity” consente di rimirare l’orizzonte con un buon drink tra le dita, le camere sono ampie e tutte con vista.
Il ristorante, perché bisogna pur mangiare in paradiso, è stato affidato alle mani di Christoph Bob, cuocone teutonico, evidentemente innamorato delle splendide locations, vista la sua recente esperienza al Relais Blu di Massalubrense.
E’ facile riscontrare che spesso, soprattutto in Italia, gli chef a capo delle cucine d’albergo di lusso sono imbrigliati in un protocollo non scritto che prevede la trasformazione di materie prime ricercate con ricette semplici, immediatamente comprensibili al cliente “tipo”, a tratti noiose. Si ha la netta sensazione che si svolga il compitino e le uniche emozioni siano relegate al conto finale.
Il “già visto” è un sentimento comune ai girovaghi gourmet che si siedono a queste tavole, ma Christoph Bob ci è parso più propositivo di molti suoi colleghi e qualche spunto degno di nota lo abbiamo rilevato nel corso delle due recenti visite.
Molto interessante, ad esempio, è la leggera affumicatura al legno di ciliegio, con cui è stata donata nuova linfa ad un astice (finalmente) carico di sapore, o la rugosità dei garganelli Senatore Cappelli, rigorosamente fatti in casa, conditi con asparagi, fave e carciofi, ed amalgamati con una piacevole, lieve, mantecatura.
La qualità degli ingredienti è elevata e banco di prova ne è la tavolozza di crudi, efficacemente abbinati a frutti estivi.
A dispetto delle sue origini, come accaduto al suo ben più noto connazionale residente in Roma, Bob ha ingentilito nel corso degli anni il suo tocco, abbracciando totalmente la cucina mediterranea.
Non sarà il pasto della vostra vita, sia chiaro, ma i 55 euro richiesti per il menù degustazione a pranzo (seppur ridotto rispetto a quello serale) sono un regalo che fate a voi stessi per assaporare l’Eden, anche se solo per un paio d’ore.

Tavola

Triglia in crosta di pane ed insalata dell’orto. Il fritto, purché leggero, ad inizio pasto ha sempre il suo perché.

Astice al fumo di ciliegio, spinaci, noci e mele. Portata decisamente estiva, fresca. Il fumo, ben dosato, dà una marcia in più.

I crudi. Gamberi ed ananas, spigola al lime e pesca, scampo in foglia di limone, polpo (cotto) sedano e patata. Materia prima impeccabile, abbinamenti non arditi ma indovinati.

Garganelli “Senatore Cappelli” home made, con fave, asparagi e carciofi. Primo riuscito, davvero interessante la consistenza e rugosità della pasta, mix di ingredienti collaudati e ben bilanciati tra loro. Da ordinarne ancora.

Risotto con burrata di Agerola, tartare di gamberi rossi ed olive nere. In equilibrio, quasi precario, tra l’elemento grasso, la dolcezza del crostaceo e la sapidità delle olive.

Merluzzo cotto prima al vapore, poi in padella con verdure dell’orto. Bello il trancio alla vista, meno al palato. Privo di mordente.

Mousse al cioccolato, gianduja e zenzero, sorbetto di fragole. Ben fatto.

Pralinato di nocciola e crema di caffè. Per gli amanti del genere “ridondante”, ton sur ton dalle differenti sfumature. Non propriamente stagionale.

Petits fours.

La terrazza.

I giardini.

Il Monastero riconvertito.

Panorama verso Salerno.

Terrazzo superiore. L’oasi e l’infinito.

Gli spettacolari giardini.

Infinity pool.

Rocco De Santis è caparbio.
Dopo essersi diplomato all’Istituto Alberghiero di Salerno, inizia il suo percorso formativo davvero degno di nota. Tanta gavetta, di quella importante, alle sue spalle: Torre del Saracino, Georges Blanc, Le Domaine De Chateauviux, Rossellinis, Il Comandante, Faro di Capo d’Orso, solo per citarne alcuni.
Poi la decisione più difficile in un momento storico-economico di grande criticità: mettersi in proprio. Rileva una vecchia officina a pochi passi dalla stazione di Nocera Inferiore e dopo due anni di lavori (ripagati dagli ottimi risultati architettonici) apre la “sua” Osteria.
Ambiente accogliente, ben arredato, con tante chicche, tre salette e la cucina a vista, oramai divenuta un “must have” in ogni ristorante che si rispetti.
La popolazione residente, purtroppo, è notoriamente restia ad accogliere novità, specie in ambito gastronomico.
Ma De Santis non molla, coadiuvato da Domenico Sarno in sala (lo ricordiamo ad officiare tra i tavoli di Casa del Nonno 13 a Mercato San Severino), e va avanti per la sua strada con i risultati che sembrano premiarlo.
La sua è una cucina chiaramente ispirata al territorio in cui opera, con utilizzo di prodotti quasi esclusivamente locali e puntate, neanche tanto sporadiche, sulla vicina costa.
Lo chef, evidentemente consapevole che la base primaria della buona cucina sono gli ingredienti di qualità, non lesina sulla ricerca del meglio che il mercato possa offrire, dalle verdure, ottime, alle carni, al baccalà rigorosamente “spugnato in casa”.
Ma la materia prima non è tutto per elevarsi dalla mediocre omologazione che pervade i ristoranti del circondario. Ci vuole anche tecnica.
De Santis ha dimostrato di averne in alcuni passaggi della nostra cena, anche se molto c’è ancora da fare.
Quasi tutte le preparazioni salate sono caratterizzate dalla presenza di una crema o di una fonduta che, spesso in quantità eccessiva, compromettono la godibilità del risultato finale.
Siamo fautori dell’equilibrio, sia gustativo (ancor meglio se raggiunto per contrappunti), sia quantitativo. Non demonizziamo le creme, ma che siano dosate.
L’uso un po’ libertino del limone (ad esempio nel pur buon baccalà con topinambur) e l’ingenua onnipresenza di fiori eduli ci perplimono.
Non temete, però, l’Osteria può anche dare soddisfazioni, quasi regalate a questi prezzi.
Buone le carni (stinchi di maiale e di agnello cotti alla perfezione) e curato il reparto dolce. Le paste, sia fatte in casa (interessanti i tortelli ripieni di cipolla ramata con pizzaiola e cacio ricotta), sia trafilate al bronzo (da segnalare le fettuccine al ragù di coniglio), si fanno apprezzare.
I margini di crescita ci sono, ne siamo convinti, l’agro nocerino ha bisogno di una punta di diamante.

P.S. Un ultimo appunto sulla mancanza di un menù scritto. Chi ha bisogno di tempo per selezionare attentamente le pietanze va in difficoltà nonostante il pur esaustivo elenco vocale del maitre. Non tutti sono novelli Pico della Mirandola.

Crocchetta di patate e lardo su crema di caciocavallo.

Crocchette di baccalà su crema di ceci e pennellata di papacelle. Ben fatte.

Rollata di maiale, ripieno di papacelle, su fonduta di parmigiano, salsa di pomodoro. Interessante la rollata e la vivacità conferita dalle papacelle, ma la contemporanea presenza di pomodoro e fonduta di parmigiano poteva essere calibrata meglio.

Fettuccine al ragù di coniglio. Nulla da dire.

Mezzo pacchero con provola e patate. Mancava di mordente. Questo grande classico della cucina campana ha da essere deciso.

Spaghettone con genovese di baccala, passata di ceci neri, tarallo napoletano sbriciolato. Tutto troppo cremoso, gioco di consistenza cercasi.

Ravioli ripieni di cipolla ramata, salsa alla pizzaiola, cacio ricotta. La sfoglia callosa ed il ripieno saporito danno una marcia in più.

Moscardini al pomodoro datterino, stracciatella di bufala su crema di scarola. Molto buoni, peccato affogassero nella crema di scarola.

Filettone di baccalà crema al limone e topinambur. Limone uber alles.

Polpo leggermente piccante su crema di patate e carciofi. Ancora una volta è la crema a dettare legge.

Stinco di agnello, fondo al vino rosso, patate cafone arrostite, broccoli saltati. Cottura perfetta.

Stinco di maiale, il suo fondo, patate cafone arrostite, broccoli saltati. Anche in questo caso grande cottura, ma diversificare l’accompagnamento non avrebbe guastato.

Madeleine con spuma di ricotta, scorza di limone, cioccolato fondente.

Tortina di mele, salsa al caramello, riccioli di cioccolato.

Sbrisolona, ricotta, cioccolato, crema alla vaniglia.

Cannoli di lingua di gatto, ripieni di formaggio di bufala, caramello, aria di aglianico. Il dolce migliore. Goloso ma non stucchevole.

Sala principale.

Cucina a vista.

Recensione Ristorante

Caggiano è un piccolo paesino della provincia di Salerno al confine con la Lucania. Arrivarci non è uno scherzo, ma ne vale la pena. Qui, assai lontano dalle classiche rotte turistiche della provincia, brilla la stella di Vitantonio Lombardo che, dopo aver maturato esperienze importanti (Vissani e Barbaglini solo per fare due nomi) è ritornato a casa decidendo di accettare la sfida propostagli da Franco e Milena Pucciarelli. Sono i proprietari dello splendido Palazzo Cafaro in cui ha sede la Locanda e il termine non è un vezzo dal momento che a disposizione degli ospiti ci sono nove accoglienti camere arredate con splendidi mobili d’epoca.
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Questa recensione aggiorna la precedente valutazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Bisogna ammettere che Viviana Varese, dall’apertura di Alice nel 2007, ne ha fatta di strada. Ha reso più elegante e raffinata la sua cucina, agli inizi troppo generosa nell’uso di materie grasse per la levatura e l’ambizione che si proponeva. Oggi, attraverso un’incessante applicazione, tanta volontà, una buona dose di rigore e tante esperienze nei ristoranti da cliente ma anche da cuoca, la sua cucina è diventata più moderna, attuale e soprattutto più leggera, tanto che diversamente da un tempo l’assunzione dell’intero menù degustazione non lascia alcun senso di pesantezza. Lodevolmente tutto ciò è stato ottenuto senza rinunciare ad una vocazione decisamente Sud-oriented che, non dimentichiamolo, è il marchio di fabbrica di questa tavola, ciò che la rende un unicum nel panorama milanese, perlomeno all’interno della più ristretta cerchia dell’alta ristorazione. Ciò che manca ancora, è un dettaglio ma è esiziale, è l’equilibrio delle sapidità. Non solo perché il locale, pur con la già citata impronta meridionale, sia collocato vicino al centro della città simbolo del Nord, ma perché al di là del palato di ognuno esiste un limite che, lo sappiamo bene, non riguarda solo l’ambito gustativo. (altro…)

Recensione ristorante.

Lo scenario è quello mozzafiato di Ravello, terrazza naturale sull’incantevole panorama della Costiera Amalfitana. In questo contesto, magico di per sè, Villa Cimbrone è, se possibile, ancora più speciale sita com’è in posizione ideale per godere di una vista di una bellezza addirittura struggente.
In un contesto del genere è facile, naturalmente, predisporsi al meglio. Nel caso di specie aiutati da un’accoglienza calda ma impeccabile che si trasformerà nell’arco di tutta la cena in un servizio di altissimo livello come da tempo non ci capitava di incontrare (soprattutto, ahinoi, nella nostra amata Campania).
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