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Piazza Duomo

Ad Alba una nuova rinascita, nel solco dello stile sempre personale

Il cuoco-Samurai, tra gli allievi prediletti del maestro Marchesi, ha compiuto un altro salto verso il cielo. Ha sviluppato nel menù Mo(vi)menti, con quella “vi” tra parentesi che apre a mille significati, una serie di colpi da K.O. tecnico rendendo protagonisti ingredienti quali riccio di mare, barbabietola, cetriolo, radicchio e merluzzo. Nomi brevi, asciutti e concisi in perfetto stile kaiseki, che identificano l’ingrediente principale su cui Enrico Crippa costruisce una sinfonia di variazioni di gagnairiana memoria. L’ispirazione del piatto principale accompagnato da satelliti è la medesima del cuoco transalpino, ma il contenuto è assai diverso. La differenza sta nel fatto che Pierre Gagnaire improvvisa, dematerializza il concetto di variazione a favore di un’interpretazione totalmente jazz dei comprimari, che a tratti, molto spesso, diventano protagonisti più della portata principale, a cui dovrebbero asservire ma che molte volte schiavizzano il protagonista, in una rincorsa egotica davvero interessante.

Esaltazione dei piatti satelliti, della materia prima vegetale e di quella dolce

Un concetto simile ed articolato anche in queste variazioni del cuoco albese d’adozione, in cui troviamo un grande piatto principale nel riccio, favoloso in abbinamento al pecorino, ma in cui i due satelliti Sorbetto di ricci di mare e lardo e Mandorla e ricci di mare (sorbetto alle mandorle e ricci di mare ghiacciati) sono decisamente sopra ogni aspettativa. Così come nel cetriolo in cui il riso soffiato e la salsa bernese verde sono un capolavoro assoluto. Il  merluzzo salato da noi e cotto a bassa temperatura ricoperto con sfoglia di patate, funghi e salsa di funghi – in cui il merluzzo in tutta la sua declinazione è decisamente stupendo – è seguito da Porcini a lamelle e polvere di anice, Cialda di riso allo zafferano e funghi al prezzemolo, Brodo di funghi da bere. Imperioso e imperiale. Difficile e a tratti discontinua la variazione-esaltazione della barbabietola, interessante e stimolante il radicchio. Molto vivace e intrigante la zucchina: servita in albume croccante, tuorlo morbido e spaghetti di zucchine in carpione, Bijoux al Parmigiano e Zucchina al brusco (zucchina al vapore e salsa bernese).

Un intreccio di classicità transalpina, finiture nipponico-orientali con un uso sapiente e continuo delle erbe. Uno stile ormai tutto personale, decisamente di impronta unica, che ci ha convinto molto, questa volta anche sul versante dolce con due capolavori come il Monviso, rivisitazione della nocciola e dintorni, e un assoluto Profiteroles, un’interpretazione post-moderna davvero fenomenale.

Molto buono anche il  Vacharin alle fragole: cilindro di meringa ripieno di sorbetto alle fragole e spuma di latte di mandorle, spolverato con polvere di yogurt. Il tutto coronato da un servizio – capitanato dall’immenso Vincenzo Donatiello – simpatico, giovane, dinamico, preciso come un orologio svizzero di grande classe e che non ha dato il minimo accenno di esitazione.

Un grande ristorante, un grande cuoco, un grande maître che si confermano ancora una volta.

La galleria fotografica:

“Il ciclismo è come la vita, non ci sono formule matematiche quando sei davanti ad un avversario. Si tratta di saper soffrire più di lui, i più grandi campioni hanno sempre fatto la differenza col cuore.”

“La bicicletta insegna cos’è la fatica, cosa significa salire e scendere – non solo dalle montagne, ma anche nelle fortune e nei dispiaceri – insegna a vivere. Il ciclismo è un lungo viaggio alla ricerca di se stessi.”

Enrico Crippa, 40 anni, ciclista. E poi Cuoco. La sua cucina è come lui, profonda, colta, introspettiva, che urla con i suoi silenzi, con i suoi sussurri. E’ una cucina compiuta e matura. Perché è modulata su elementi e segnali lievi, quasi evanescenti, che esplodono in un concentrato di potenza ed eleganza, persistente, intensa. Una cucina che è sottile ma potente come un grande Barolo. Rappresenta con grandiosa fedeltà la sua terra d’adozione, il Piemonte, che diventa contemporanea e futura allo stesso tempo. Con rimandi continui ma evoluzioni estreme, mai grevi e prorompenti, sempre sottili e lunghe, voluttuose, rutilanti.
Si sprecano gli aggettivi su questa cucina, così matura e perfetta come non mai, con colpi d’alta scuola che mi fanno dire serenamente che qui la valutazione è arrotondata per difetto. Siamo di fronte ad una dei più grandi interpreti mondiali dell’alta cucina contemporanea. E perdonatemi un leggera deriva polemica, perché qui la classifica della San Pellegrino World Best 50’s mostra tutti i suoi limiti, espone il fianco ad una surreale e rumorosa assenza. Un menù costruito attraverso un pensiero profondo, fatto di tanti piacevoli intermezzi all’ingresso. Giochi divertenti e golosamente stimolanti. Con quel fascino che l’oriente innesta sulle basi di un territorio langarolo con dovizia e personalità. Tanta, quest’ultima, priva di ogni punto di riferimento stilistico, molto personale. In questa carrellata iniziale colpiscono le finte olive agli scampi e alla carne cruda, dove la tecnica si fonde e si piega al gusto, al gioco, alla sorpresa. Un’oliva che sa di oliva ma anche di scampi, e poi di carne. E quella royale al miso, da applausi a scena aperta. E il peperone ripieno di tonno, sommo esempio di tecnica sopraffina ma di gusto della memoria. E poi un susseguirsi di emozioni, intense e vibranti. Con la tinca in carpione, un concentrato esplosivo, un francobollo intenso e persistente, salmastro ed elegantemente acetico. L’insalata calda, con verdure macerate in osmosi sottovuoto ad aromi vari, che è un tripudio di sapori avvolgenti, caldi, profondi. Ottenuti con pura materia vegetale. E quella carota ai frutti rossi con guanciale, un piatto antologico. Così come l’espressione più nobile ed evoluta della finanziera, ridotta ad un concentrato intenso (salsa) che condensa tutto il sapere del folletto di langa, in cui si fonde l’alta scuola di saucier francese con l’italianità, in questo caso langarola, più spinta. L’essenza di finanziera in un cucchiaio. E quel dolce-non dolce che esprime tutta l’eleganza di questo cuoco, con una scorzonera imbevuta e ricoperta di essenza di liquerizia, con meringhe al limone e violetta ed una voluttuosa crema pasticcera ai cereali. Il resto ? soltanto stupefacente, non terribilmente shoccante. Un inno al cocktail di gamberi, imperioso, goloso e connotante. Una triglia e pomodori da commozione. Un piccione cotto in civet, cavolo rosso cannella e lampone didascalico, personale e immenso. Insomma, un profetico, estetico e sommo percorso in cui non un passaggio è risultato cedevole, meno che ottimo. Un grande applauso anche al giovanissimo staff di sala, Manuel Miliccia, Danilo Bernardi e il bravissimo sommelier Mauro Mattei. Enrico Crippa : Ciclista, Cuoco, Uomo, il genio sottile.

L’infinita carrellata di assaggi iniziali…



La royale di miso

Le olive…

Le frittate…

Il peperone al tonno…

Le tagliatelle DI pomodoro

Il primo vino in abbinamento dopo le bollicine all’inizio …

La tinca in carpione

e il branco di rossetti in salsa agli agrumi e finocchietto


L’insalata calda

Altra proposta enologica non banale

Cocktail di Gamberi

Triglia, pomodoro e prezzemolo

Et voilà … le Timorassò 🙂


Merluzzo al cipollotto e fave

Carne cruda, ricci di mare, alga nori e crema di latte

Calamari e carciofi

Evvai!

Carote, succo di frutti rossi, guanciale

Spaghetti con le sarde

L’essenza di Finanziera

E come farne a meno… siam in langa

Civet de pigeon

Un branzino e le sue salse 🙂

L’acetosella

Un PX?

Troppo giovane però 🙂 meglio questo

In abbinamento da 20/20imi… radici e liquirizia

Perchè la fine?

Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Le Langhe in Autunno.
Che spettacolo meraviglioso.
La vendemmia è oramai terminata, spazio a funghi e tartufi. Empireo della gola. Il panorama che si gode dal belvedere di La Morra riconcilia con il mondo. Le antiche sale del Castello di Grinzane, gli eccezionali grissini acquistati a Barolo, lo splendido e austero Barbaresco bevuto in quel di Tre Stelle, il folklore degli sbandieratori ad Alba, l’odore pregnante del magnatum pico nella tensostruttura della fiera del tartufo, le torte di nocciole. Cartoline piemontesi.
Lo stato d’animo è predisposto al meglio per accogliere nella mente e sul palato gli odori, le forme ed i sapori di un cuoco straordinario. Enrico Crippa, piccolo grande uomo. Meno mediatico di altri ugualmente bravi, ma tanto, tanto talento.
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Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

In un luogo che non è un luogo.
In un tempo che non è un tempo.
Esco dal Piazza Duomo con una convinzione in più: non sempre ha senso collocare il lavoro di uno chef nello spazio e nel tempo.
La cucina del territorio non è l’unica risposta alla fame dell’anima.
Anzi, a volte la tradizione del territorio può ingabbiare, rendere prigionieri.
E’ quindi giusto che la rivoluzione silente parta proprio da Alba, monumento della tradizione gastronomica.
La grande cucina italiana è anche Enrico Crippa.

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