Passione Gourmet Recensione Archivi - Pagina 7 di 220 - Passione Gourmet

Pashà

Una tavola che ha saputo rinunciare alle certezze guadagnate per progredire ancora

Non fermarsi mai. È questo lo spirito della famiglia Magistà e del loro Pashà. Ottenuta la stella Michelin nel 2014, Maria Cicorella e il figlio Antonello hanno scelto di non limitarsi a osservare – dalle torri del Castello di Conversano – una scena ristorativa pugliese sempre più in crescita. Al contrario, hanno alzato ulteriormente l’asticella, investendo sulla location e dando il via a un nuovo corso ai fornelli. Il primo grande passo è stato mosso nel 2016, con il trasloco che ha visto il ristorante abbandonare la piazza principale per la pace di un vicino Seminario Vescovile – in parte ancora adibito alle funzioni religiose – già utilizzato come sede di eventi e ricevimenti. Qualcosa si è perso a livello di vista ma, nella nuova veste, il Pashà può oggi contare su ambienti di più ampio respiro, con spazi maggiormente fruibili rispetto a quelli che la precedente location, splendida ma articolata in infinite e un poco claustrofobiche salette, poteva garantire. La vera sorpresa, però, è stata la scelta di ingaggiare l’abruzzese Antonio Zaccardi. Quarantenne, oltre un decennio di lavoro come braccio destro di Enrico Crippa alla voce esperienze lavorative, Zaccardi è volato da Alba a Conversano insieme alla compagna e pasticcera Angelica Giannuzzi. L’obiettivo dichiarato è quello di affiancare Antonio alla autodidatta Cicorella, non di sostituirla. In effetti, durante la nostra cena, abbiamo avuto modo di apprezzare gli apporti di entrambi a questa bizzarra diarchia golosa.

La cucina del Pashà fra presente, passato e futuro

I piatti da noi degustati sono fra i primi concepiti per il nuovo corso: alcuni hanno subito solo lievi modifiche rispetto a un impianto preesistente, altri sono stati creati ex novo. I punti di forza della cucina di Mamma Maria – così è citata in carta – non si sono certo persi per strada. Ritroviamo così eccellenti materie prime – carni e vegetali in particolare – minuziosamente selezionate fra i molti tesori che questo lembo di Meridione ha da offrire e una cucina che racconta l’orizzonte gustativo del territorio senza perdersi in speculazioni filologiche.

L’apporto di Zaccardi, perlomeno in questa prima fase, ci pare aver aggiunto dettaglio e finezza a una cucina gustativamente già ben centrata. Un tocco giocoso si avverte nel Risotto come una pizza, con l’aglio strofinato sul fondo del piatto, le acciughe nel riso al pomodoro e pane di Matera abbrustolito e sbriciolato a ricostruire con successo l’idea di una Marinara. Non possiamo non ammirare malizie come la morbida legatura degli intingoli di cottura, esibiti non nella lucentezza caravaggesca dei fondi classici, ma lasciati leggermente lunghi – non slavati! – e perfettamente calibrati per non attaccarsi né navigare nel piatto o il lavoro sulla croccantezza dell’agnello, con la pelle che “canta” sotto il coltello, anticipando il piacere del morso.

Elogio di una grande figura di sala

La ricca offerta in accompagnamento all’aperitivo, gli ottimi pani e una pasticceria anch’essa in netta crescita, completano il quadro della nuova veste del Pashà. Nel trasloco non si è persa, ovviamente, neppure la maestria di Antonello Magistà, caloroso e competente padrone di casa, nonché custode di una cantina in continua evoluzione, ma già molto completa, e instancabile ricercatore di dettagli di pregio, tra cui la lampada che all’aperto ci ha permesso di fotografare – non senza difficoltà e con risultati per i quali ci scusiamo con i lettori – quanto degustato.

La galleria fotografica:

Il ristorante è un racconto scritto col cuore da quattro fratelli in uno dei posti più belli di Puglia

Trani è una delle città più incantevoli della Puglia: il porto, la cattedrale di San Nicola Pellegrino, simbolo del romanico pugliese, il castello Svevo e un’apertura unica sul mare sono parte di un borgo antico, ricco di storia e cultura, dove convivono in armonia sinagoghe e antichi palazzi nobiliari.

Qui, nel 2011, inizia la bellissima storia di Quintessenza, frutto dell’idea dello chef Stefano Di Gennaro e della grande passione e professionalità dei suoi tre fratelli. Di origini contadine, la famiglia Di Gennaro si trova stretta attorno a un grande progetto comune: emozionare i propri visitatori e far vivere l’esperienza della migliore ristorazione pugliese a 360 gradi, dalla cucina alla sala.

Stefano, affiancato da Alessandro, guida la brigata di cucina con l’entusiasmo e la tenacia di chi sa cosa vuol mettere nel piatto. Cura per la tradizione, attenzione alle preparazioni di base, cotture “semplici”, rispetto della materia prima, innovazione senza troppi fronzoli, misurate contaminazioni e, appunto, tanta tanta Puglia.

Sarà per questo che i piatti si presentano con una grande pulizia ed eleganza e il gusto è sempre rotondo, centrato, senza sbavature ed eccessi, degne caratteristiche della “classica” cucina italiana. Una cucina, insomma, moderna, ma con radici salde nel territorio e nella migliore tradizione pugliese.

Alessandro Di Gennaro, il pastry chef della famiglia, non poteva che essere da meno: bellissima mano, bilanciamento degli ingredienti, carico zuccherino apprezzabile e fantastiche note di acidità. I dessert hanno decisamente tanto carattere abbinato alla giusta dose di audacia.

Cosa sarebbe, tuttavia, una grande cucina senza una sala all’altezza? Design minimal, eleganza nordica, cuore pugliese. È quello di Domenico, il più grande dei fratelli con tante bellissime esperienze di sala in Italia e all’estero, e Saverio, sommelier e grande appassionato di vini. È stupefacente assistere al loro approccio con tutti i clienti: grande empatia, professionalità e, al tempo stesso, la giusta “leggerezza”. L’esperienza in sala si fa meno ingessata e più viva, intima. Nel racconto di ogni piatto traspare tutto il loro trasporto e si tocca con mano la loro passione, come fossero custodi rispettosi del lavoro che c’è dietro ogni portata e ogni singolo ingrediente.

Lasciatevi guidare da Domenico e Saverio: nessuno come loro sa condurvi lungo il percorso ideato dai fratelli Stefano e Alessandro

La cena inizia con la scelta di una grande bollicina pugliese, complessa e dai grandi aromi: Metodo Classico di D’Araprì Gran Cuvée XXI secolo. Si prosegue con due simpatici divertissement dalla cucina: una gustosa Pallina di melanzana e una elegante e colorata Chips di sesamo nero, cacao e gel di limone.

Le prime contaminazioni compaiono con i primi due piatti del menu degustazione: la Ceviche di cernia, agretti, pepquiño e maionese di yuzu riesce a far convivere l’America Latina e l’Estremo Oriente con la cernia pescata nel mare pugliese. Il Polpo con fagiolini, tamarillo, pomodoro datterino marinato, gazpacho, granita di pomodoro cuore di bue e cipolla è coloratissimo, fresco, con interessanti note di acidità.

Autenticamente pugliese e piatto signature di Stefano è il Tortello, ricotta podolica, gambero rosso e bisque con moscato di Trani. Pasta ruvida, quasi “croccante” e gusto intenso di una bisque che esalta il gambero crudo.

Un nobilissimo Risotto Acquerello con scampo, bergamotto, caviale, fingerlime e foglie di tagetes precede una Spigola con asparagi, capperi essiccati e pompelmo.

La Colazione del contadino chiude la cena: un “dessert” che affonda le radici nel passato, quando i contadini, all’alba, prima di prendere la strada della campagna, usavano fare un pasto abbondante, quasi un pranzo in modo da avere la giusta energia per affrontare la giornata. La colazione che propone Alessandro è un Crumble di grano arso con pan di spagna all’olio, gelato alla ricotta, crema inglese, coulis di pesca.

La storia dei fratelli Di Gennaro è davvero la quintessenza della Puglia. Aspettiamo le prossime pagine di un racconto gustoso, avvincente e di lungo corso.

La galleria fotografica:

A Lione uno chef giapponese studia e sviluppa l’estetica del gusto europeo

Lo spirito intellettuale di Takao Takano, chef dell’omonimo ristorante a Lione, si è formato e plasmato dal continuo confronto con il diverso, interpretato nell’accezione di nuovo. Quest’incontro, ha dato vita a una cucina che fa fede alla legge non scritta degli opposti che si attraggono, secondo la quale la verità sta nella differenza, che va cercata e sviluppata in ogni sua forma.

Lasciato il Giappone, senza avere alle spalle una formazione culinaria completa, Takano decide di intraprendere il suo percorso formativo con Nicolas Le Bec. La tecnica francese, applicata al rigore giapponese, dà spesso vita a una commistione vincente, alla quale Takano aggiunge una giusta dose di sensibilità che regala bocconi di cultura, esempio di integrazione e convivenza. Il menu degustazione è un manifesto che trae ispirazione da riflessioni, letture e dalla crescita umana relativa all’incontro con esperienze esterne. Senza tralasciare la propria identità, lo chef si approccia alla cucina con una psicologia di tipo associativo che affianca alla leggerezza e alla nettezza del DNA giapponese, la grassezza e l’assonanza tipicamente francese. Lo stile mostra la sua cifra attraverso gli impiattamenti, sempre circolari, che guidano la degustazione in profondità, con una salsa che abbraccia l’elemento principale legandolo con straordinaria armonia al resto del piatto. Le acidità calibrate sono il vocabolario grazie al quale gli ingredienti trovano il modo di dialogare, dettando il ritmo della loro entrata in scena e i limiti entro i quali possono spingere la propria esuberanza.

Studio continuo applicato alla cultura europea

Merluzzo, schie, percebes, salsa al cardamomo e fave regala l’immagine della mente di Takano completamente aperta e libera. La quiete e la tempesta in una fioritura primaverile, che vede la placidità delle schie incontrare la violenza delle maree oceaniche con i percebes e il merluzzo. Prodotti marini agli antipodi tra loro, studiati e fatti incontrare da un osservatore esterno, tanto sensibile da saperli rispettare, quanto puro da poterne osare l’incontro. Durelli, morchelle, fiori d’aglio e salsa al foie gras, trasporta tutti gli umori del cortile e della terra, facendo convivere l’alpeggio e l’allevamento con squisita naturalezza.

Il servizio di sala si mostra all’altezza della situazione, sottolineando intelligentemente come la professionalità non debba necessariamente essere schiava di un formalismo eccessivo. Un’equipe di questo livello meriterebbe forse un teatro più prestigioso dove esibirsi. Il locale infatti, per quanto curato e recentemente ristrutturato, non lascia particolare traccia di sé, con il rischio di ridimensionare il percorso creativo dello chef e la prestazione della brigata di sala.

La galleria fotografica:

All’ombra delle colline vicentine una bella sorpresa per i gourmet

La provincia di Vicenza, come del resto il Veneto in generale, sta vivendo un momento di fermento gastronomico come mai era successo prima. Accanto a insegne storiche come La Peca, Casa Perbellini e Le Calandre, sono nati negli ultimi anni diversi locali che in brevissimo tempo si sono fatti apprezzare, diventando un punto di riferimento per i clienti gourmet. La concorrenza, solitamente accolta con piacere a questi livelli, può diventare un’arma a doppio taglio, riducendo in un cono d’ombra anche chi meriterebbe le attenzioni che le luci dei riflettori portano con sé. È questo il caso del ristorante TreQuarti a Val Liona, che non si affaccia sulla scena gastronomica con la sicurezza che invece contraddistingue altri nuovi esponenti della cucina italiana come Lorenzo Cogo, Alessandro Dal Degan o Giuliano Baldessari per citarne alcuni. Un vero peccato perché lo chef Alberto Basso dimostra di sapere sferrare ottimi ganci quando necessario, irretendo i commensali con una perfetta alternanza di passaggi qui piacioni, là più sofisticati, senza perdere l’occasione di affondare qualche colpo da ko.

All’interno di una bella sala elegante, dai tratti gentili, arredata con opere di artisti locali, lo chef propone una cucina camaleontica, capace di incontrare desideri e gusti di ognuno. La proposta è modulabile, composta da sei menu degustazione che a loro volta compongono una sorta di carta, con piatti da poter scegliere singolarmente dalle diverse suggestioni. Passione e dedizione totale all’arte del mestiere tracciano le linee guida grazie alle quali il cliente si orienta anche di fronte a una proposta inizialmente spiazzante, ma assolutamente equilibrata al momento della degustazione. Con creatività Basso finge, in apertura di match, di voler lasciare le redini dell’incontro al cliente per poi, una volta attirato a sé, portarlo all’angolo e stordirlo completamente. E che piacevole stordimento!

Strategia al servizio del gusto

La dimostrazione pratica di quanto scritto si riscontra nel menu cicheti declinato in 10 passaggi, durante i quali il talento di Basso si confonde con il coraggio in una proposta che piace per la capacità di spingere sull’acceleratore, pur rischiando la sbandata di tanto in tanto. Zabaione, aceto e erba cipollina è un appetizer da ricordare, con la tiepidità e la grassezza di uno zabaione leggero, spezzato dall’acidità dell’aceto e corredato di un tono aromatico conturbante grazie alla cipollina. Interessante Piselli, ditalini fritti e Patanegra cotto, felice rivisitazione di un classico italiano, a cui si può ammonire solo la quantità troppo esigua di fritto, facendo così rimpiangere una masticazione più articolata, che avrebbe giovato al piatto. Il passaggio più interessante è Birramen, in cui brodo di luppolo, bruscandoli, pancia di maiale e gel di birra acida danno vita a un felice esercizio di cucina fusion con un omaggio alla scena brassicola contemporanea. Amaro, grasso, acido and repeat! Qualche colpo a vuoto c’è e sarebbe strano il contrario. Falso cacio e pepe, con le lenticchie rosse a sostituire la spezia, risulta troppo morbido al palato, lasciando da parte la tradizionale nota “ignorante” che ne rende celebre la versione originale, mentre Risotto mantecato alle zucchine, gambero rosso e origano entusiasma per la cottura millimetrica del riso, ma disorienta la rotta gustativa, una volta accompagnato allo shot di acqua di pomodoro in abbinamento.

Alberto Basso e il suo staff rappresentano un’altra perla da aggiungere alla collana della gastronomia veneta che, come tutti i gioielli, va indossata e apprezzata nella sua complessa interezza.

La galleria fotografica:

La famiglia Wieser con La Siriola è ancora una volta la culla di un ottimo talento

L’Albergo Ciasa Salares e La Siriola sono uno dei più limpidi esempi della grande tradizione dell’accoglienza in Alta Val Badia. La famiglia Wieser ha dato lustro a questa valle costruendo una bomboniera accogliente e invitante per i suoi ospiti. Stefan in particolare, gran gourmet e appassionato conoscitore gastronomico, ha lanciato tante iniziative che hanno fatto da apripista in molti altri luoghi dell’Alto Adige, e non solo. È anche stato mecenate di grandi talenti della cucina, dalla Siriola sono passati Corrado Fasolato, Claudio Melis e oggi Matteo Metullio, giovanissimo triestino di nascita ma altoatesino di adozione, che è oggi il più giovane bistellato in carica.

Matteo, che ha preso qualche anno or sono – un pò in corsa a dire il vero – le redini della Siriola, ha dimostrato quanto Stefan abbia l’occhio lungo e il palato ancora di più. In brevissimo tempo ha scalato le classifiche riportando stelle, cappelli e forchette in un luogo che, per costanza e per talento anche della proprietà, merita tutti i riconoscimenti che ha sino a ora raggiunto.

Cucina in punta di fioretto

La cucina di Matteo Metullio la potremmo definire neoclassica, trova spunti intriganti e guizzi di piacevolezza all’interno di una confortante e persistente rotondità d’insieme. Che non disdegna qualche punta di fioretto stilistico con incursioni estere, anche grazie alla curiosità e voglia di apprendere dello chef, come nelle splendide Lumache, coregone affumicato, prezzemolo cocco e curry, quest’ultimo decisivo nell’apporto aromatico. Ci è molto piaciuto anche il Risotto alla puttanesca, davvero ben eseguito, così come il cervo, che vibra in abbinamento all’anguilla e al caviale. Didascalici, didattici e ben eseguiti Carbonaro e piccione, moderni, accattivanti e per niente dolci e moto rinfrescanti i dessert. Una cucina fatta di ridondanze, di molti ingredienti, pertanto dai difficili equilibri che lo chef raggiunge con il dono dei corretti dosaggi, supportato da un palato molto affinato.

Un luogo d’incanto che ha anche nel servizio, capitanato dal patron Stefan, la sua indiscutibile forza. È stato ed è tuttora un grande selezionatore enologico, troverete pertanto una cantina strepitosa ad accogliervi con un buon rapporto di prezzo, considerando il luogo, e con una grande professionista in grado di consigliarvi al meglio.

Tutto ciò, ma è certamente giusto così, a prezzi che sono proporzionati alla grande qualità espressa, in sala così come in cucina. Bravo Matteo Metullio, bravo davvero, e bravo Stefan Wieser, uno dei patron che ci sta nel cuore. Evviva La Siriola, evviva il Ciasa Salares.

La galleria fotografica: