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Maison Decoret

Parlare della Maison Decoret ci porta necessariamente a concentrarci sulla comunicazione enogastronomica, non solo italiana, di questi tempi e a intristirci un po’.
Chi sia lo chef, su queste pagine lo abbiamo raccontato più volte: Meilleur Ouvrier de France vent’anni fa, allievo dei più grandi della generazione precedente (Passard, Troisgros, Marcon), era considerato quindici anni fa una delle stelle nascenti più luminose.
Cosa è successo da allora?
E’ successo che, mentre Decoret apriva prima un piccolo locale e poi questa bellissima casa (affiliata alla catena Relais & Chateaux) in una delle piazze più belle di Vichy, creando un’impresa di successo e dispensando una cucina originalissima, di grande tecnica, di rara precisione, spariva dai radar della critica, più interessata a nuove frontiere gastronomiche, a cuochi-personaggi che facciano parlare di sé al di là del piatto.
Nulla di “tecnico” può spiegare perché una tappa qui non sia al centro dei progetti di viaggio dei gourmet europei: Vichy è facilmente raggiungibile, oltre alle bellissime stanze della Maison ci sono affascinanti alberghi non cari in città e, soprattutto, Jacques Decoret cucina da dio.
Eppure di altri, nemmeno lontanamente paragonabili al suo talento, si parla infinitamente più di lui su giornali e classifiche.

Messe da parte le considerazioni malinconiche, resta la felicità dell’esperienza culinaria, che siamo tornati a godere dopo qualche anno per vedere confermato il nostro grande apprezzamento per il cuoco e per l’offerta del ristorante in generale.
Il menu “confiance”, che lascia mano libera per una cifra davvero ragionevole, fa vivere tre ore di alta cucina contemporanea, in cui la grande tecnica classica si apre al mondo in maniera personalissima, fondendo memoria, fantasie esotiche, straordinaria materia prima principalmente territoriale.
Dagli originalissimi amuse bouche, ad entrée sofisticate che spaziano dalla ipercomplessità di piatti con moltissimi ingredienti (es: la trota con gamberi di fiume, consommé di pomodoro, uova di salmone, rapa, senape) a portate in sottrazione (gamberone appena caramellato con crumble di nocciola e cavolfiore), per arrivare ai main dish di straordinaria fattura.
Ne citiamo uno, la splendida pancetta “snacké” con yogurt e cipolla, che è un ricordo d’infanzia “rustico” ma delizioso (e torna in mente un altro “orso” della cucina contemporanea, quel Matt Dhalgren che al Matsalen osa come Decoret piatti ruvidi in menù elegantissimi, così come il maestro Passard, forse esempio ben più conosciuto).
Ai dessert meno originalità delle attese, ma che precisione, che millimetrico equilibrio nei sapori, finanche negli apparentemente semplicissimi petit-fours, strepitosi.

Servizio giovane molto capace e cordiale coordinato dalla signora Decoret, carta dei vini in piena sintonia con lo spirito della maison: grandi nomi insieme a chicche territoriali e non solo, a prezzi in alcuni casi davvero eccezionali. Per noi lo splendido Brézé di Guibertau, prezzato da bistrot.
Un consiglio per provare una davvero grande cucina contemporanea? Non partite per terre lontane, fate un salto a Vichy!

“Qualche guscio tiepido e poi grigliato”, divertente puntata marinara.
Maison Decoret, Chef Jacques Decoret, Vichy, France

Chips di patata ai diversi sapori.
chips, Maison Decoret, Chef Jacques Decoret, Vichy, France

Piede di porco soffiato con mousse di cipolle dorate.
piede di porco, Maison Decoret, Chef Jacques Decoret, Vichy, France

Latte di baccelli di piselli.
latte di baccelli, Maison Decoret, Chef Jacques Decoret, Vichy, France

Trota fario del Moulin Piat appena cotta con gelatina di pomodori e gamberi di fiume.
Trota, Maison Decoret, Chef Jacques Decoret, Vichy, France

Gamberone caramellato su crumble di nocciole e cavolfiore.
Gamberone, Maison Decoret, Chef Jacques Decoret, Vichy, France

Foie gras d’anatra spadellato, consommé di bonito e ciliegie.
Foie gras, Maison Decoret, Chef Jacques Decoret, Vichy, France

Branzino di Noirmoutier con clorofilla di finocchio e scalogno.
Branzino, chips, Maison Decoret, Chef Jacques Decoret, Vichy, France

Lardo di maiale dell’Auvergne “snackato”, con cipolle e yogurt.
lardo di maiale, Maison Decoret, Chef Jacques Decoret, Vichy, France

Due prodotti del Bourbonnais: sella d’agnello arrostita dolcemente e gallinacci di montagna, con albicocca Bergeron e mandorle fresche.
sella d'agnello, Maison Decoret, Chef Jacques Decoret, Vichy, France

Fumaison con vellutata di spinaci.
fumaison, Maison Decoret, Chef Jacques Decoret, Vichy, France

Crema diplomatica con geranio.
crema diplomatica, Maison Decoret, Chef Jacques Decoret, Vichy, France

Sorpresa: sotto la crosta, fragole Mara des Bois con rabarbaro e yogurt di pecora ghiacciato.
sorpresa, Maison Decoret, Chef Jacques Decoret, Vichy, France

Petit-fours.
petit fours, Maison Decoret, Chef Jacques Decoret, Vichy, France

Recensione ristorante

Non mi capita spesso, anzi quasi mai, di rimanere piacevolmente sorpreso da un’esperienza gourmet imprevista e casuale.
Sono in viaggio verso la Francia, con la mente che si perde immaginando il sospirato tour enoico che ho programmato. Dopo dieci ore alla guida, una meritata sosta in un hotel trovato su booking, che appariva gradevole e conveniente.
Avevo notato di sfuggita (l’occhio gourmet non trascura mai nulla) che sul sito di Pudlowski è segnalato il ristorante dell’albergo che lenirà la mia stanchezza. Sperando di non pentirmi varco la soglia dello Château de Candie, ma la facilità con cui alla reception mi concedono un tavolo al ristorante L’Orangerie mi insospettisce e sono pronto al peggio.
E invece no, stavolta capita davvero il miracolo. Vivrò, quasi per caso, un’ottima serata ad una tavola sconosciuta che potrei essere tra i primi a segnalare.
La location è davvero bella, in questo accogliente castello del ‘300 rimodernato senza eccessi e circondato da un parco di sei ettari. Il dehors invita al relax, il clima savoiardo è di quelli che, anche l’estate, regalano sollievo.
La proposta oltre alla carta prevede tre menù, uno “del momento” e due di degustazione rispettivamente da 5 e 7 portate.
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Recensione Ristorante
Per capire appieno la cucina dell’Arpège sono dovuto andare da Barbot, allievo, per cinque anni, nella palestra di rue de Varenne.
Dopo la mia visita da Passard, infatti, suo maestro e ispiratore, non mi erano molto chiare alcune cose.
Adesso lo sono di più.
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Recensione ristorante.

Si è fin troppo facili profeti a prevedere un avvenire riccamente stellato a David Toutain. Il curriculum faceva già presagire ottime cose (già da Passard, secondo di Veyrat, passaggio da Aduriz e al Corton di New York), il bombardamento dei blog di settore quasi indispettiva, ma dopo una serata all’Agapé Substance non si può non dirlo: uno degli chef più avvincenti incontrati da tempo.
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390

Bistronomie. Non ne possiamo più del termine, ormai sentito in ogni circostanza, preferibilmente a sproposito. E’ però la realtà dei fatti che sempre più locali, specie a Parigi, scelgano di proporre una cucina “alta” restringendo la scelta ai soli percorsi guidati oppure evitando l’utilizzo delle materie prime più costose. Saturne, che fra le due possibilità si è orientato sulla prima, è nato grossomodo un anno fa, quando Sven Chartier, un passato chez Passard, e Ewen Lemoigne hanno lasciato Racines per iniziare quest’avventura, proseguendo in un contesto più curato il discorso fortemente incentrato sulla biodinamicità dei prodotti avviato nel precedente locale. Certo i vini degustati nell’occasione non sono stati propriamente il paradigma di quello che conosciamo (o che, perlomeno, conosco) dei vini francesi. Piccoli, talvolta minuscoli produttori ed un assortimento di puzze, puzzette e tanfi da far invidia ad un ostello di Copenhagen in piena estate. Ad ogni modo il tutto è stato estremamente didattico, come didascaliche sono le spiegazioni che (a richiesta) vengono fornite riguardo alle bizzarrie che vengono versate nei piccoli calici previsti (utilizzati, per quel che abbiamo visto, per tutte le tipologie di vino). La cucina di Chartier sicuramente tradisce le origini nordiche dello chef, ricordando alcuni degli eroi scandinavi tanto amati soprattutto dal nostro Orson per il maniacale rispetto della stagionalità e per una notevole schiettezza nella proposta dei sapori. Una cucina insomma che come tratto fondamentale ha l’onestà, intellettuale e spirituale, e che ritengo possa anche non piacere affatto proprio per la scarsa propensione al compromesso, alla piacioneria. Due i menù in carta, di quattro e sei portate, proposti rispettivamente a 39 e 59 euro. Nell’attesa, mentre sorseggiamo l’aperitivo, ci viene gentilmente offerta un’ottima terrina di verdure ed anatra, con il suo bravo fegato grasso d’ordinanza.
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Il menù più ampio si apre con le cappesante con ravanelli e cavolfiore, piatto (eccessivamente) arricchito da erbe e germogli vari che lo rendono fresco ed aromatico, ma in modo quasi violento. La cappasanta, come spesso accade, è ridotta a consistenza e un po’ sacrificata, ma si lascia apprezzare ugualmente per freschezza. Decisamente la portata che abbiamo gradito meno.
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Buono ma un po’ schematico, con la semplice materia prima in bella evidenza è lo sgombro con patate e olio d’oliva.
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Più intrigante, oltre che ottimo, il branzino (foto di copertina), servito con cavolo verza ed al contrappunto, più acido che grasso, dell’ottimo zabaione aromatizzato ai rami di vite.
Notevole materia prima e nessun compromesso per il piccione di Mesquer con sanguinaccio grigliato.
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Decisamente alto il livello dei dessert, decisamente orientati sulla linea dell’acidità e del dolce-non dolce. Avremo perciò una sorta di predessert-formaggio con carota, pompelmo e chèvre, con le temperature basse e la forza della capra ridotta per entrare nell’armonia notevole della composizione,
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e a seguire il fantastico Acetosa, pera e miele, un trattato sugli equilibri, senza che nessun ingrediente risulti minimamente sacrificato.
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Con il conto arriva anche l’appagamento degli istinti più primari, con un’ottima madeleine, solo appena penalizzata da una leggera bruciacchiatura,
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elemento ricorrente anche nella cottura dei pani (non in questo cestino dei 3 che abbiamo consumato), ottenuti da ottime farine e dalla lievitazione impeccabile.
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Locale pieno il lunedì sera, con rimpiazzi continui ai tavoli. Saturne sembra aver fatto centro. In cucina c’è ancora qualcosa da registrare sulla continuità, la squilibrata cappasanta e il branzino non sembrano essere usciti dalla stessa testa. Il livello è ad ogni modo sorprendente per uno chef di 25 anni, ed è già, si sarà capito, strepitoso sui dolci. Penso che fra qualche mese, se Chartier non si dovesse incartare, la valutazione potrebbe risultare persino stretta. Sicuramente comunque consiglio di passare.