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Chez Guy

Gevrey Chambertin è un grazioso villaggio circondato dai vigneti, e non vigneti qualunque, ma alcuni fra i più amati e ammirati dell’intero patrimonio ampelografico mondiale. La Borgogna però non è soltanto vino, ma anche buon cibo. L’offerta pertanto è ampia, ma fra i molti locali, diversi per tipologia e fascia di prezzo, non sempre è facile districarsi.
Un ottimo approdo dopo una giornata passata in giro per vigne e cantine, che consente di non dissanguare ulteriormente il portafogli e permette di assaggiare i classici della zona interpretati in maniera intelligente, è sicuramente il ristorante “Chez Guy”, situato proprio al centro del paese in una casa in stile borgognone.
Il locale al suo interno è una strana commistione fra classico e moderno con soluzioni d’arredo abbastanza discutibili.
La cucina invece, affidata al giovane chef dall’importante curriculum Yves Rebsamen, si è rivelata interessante e sicura anche oltre le aspettative.
Yves è solito acquistare i suoi prodotti al mercato di Digione più volte a settimana per proporre prodotti sempre freschi e rispettosi della stagionalità e, dove possibile, bio.
La sua è una cucina focalizzata sul gusto, legata alle tradizioni locali, ma moderna nelle tecniche, nell’uso parco dei grassi ed estremamente rispettosa delle materie prime.
Tutti i piatti sono ben realizzati, come i classici “oeufs en meurette” e “jambon persillé”, entrambi ricchi e saporosi seguendo la tradizione ma straordinariamente leggeri e digeribili. Tra i piatti principali da segnalare il carré d’agnello, di ottima qualità, accompagnato da un buon puré di patate. Ottima anche la “Cocotte de joues de bœuf cuites 12 heures au vin rouge, pommes grenailles”, con la carne tenera e fondente e il succo al vino rosso gustoso e appagante.
Splendida la carta dei vini con tutti i grandi di Borgogna, ma anche produttori minori e una buona rappresentanza delle altre zone vitivinicole dell’esagono, il tutto proposto a prezzi competitivi.
Servizio informale, ma efficiente e preciso che completa una sosta di sicura soddisfazione.

Gazpacho, quenelle di salmone

Oeufs en meurette

Jambon persillé

Cocotte de joues de bœuf cuites 12 heures au vin rouge, pommes grenailles

Carré di agnello e puré

I formaggi

Soufflé au chocolat noir

Entremet au chocolat Guanaja et coeur de framboise, sorbet thé vert

Piccola pasticceria

L’ottimo Mazis-Chambertin di Armand Geoffroy

Notre métier, notre mission, consiste avant tout à donner du bonheur à nos clients. Jour après jour”.
Le parole di Dominique Loiseau esprimono alla perfezione la filosofia che qui impera.
Bernard Loiseau dal 1975 al 2003, anno della sua tragica e prematura scomparsa, ha portato questa maison alle stelle, anzi alla terza stella conquistata nel 1991 e mai più persa, coronando così il sogno che cullava fin dai tempi dell’apprendistato dai Troisgros: “un jour, j’aurai 3 étoiles !”.
Quante storie potrebbero raccontare questi muri.

Quella di un uomo che non ha sopportato il peso del mondo, il brusio della gente, fino a farsi divorare da quel buco nero che, grande o piccolo, alberga in ogni uomo.
O quella di un secondo, Patrick Bertron, che da un giorno all’altro si è trovato tre stelle puntate sul petto, lui, che dopo 10 anni di totale controllo sulla cucina, è ancora per tanti solo un onesto esecutore, niente di più, un eterno secondo. Un grande cuoco invece, con due spalle enormi per reggere un’eredità che avrebbe messo in difficoltà chiunque e che invece lui ha condotto con personalità negli anni duemila. Del resto era lo stesso Loiseau a dire: “Patrick cucina Loiseau meglio dello stesso Loiseau”.
E poi lei, Dominique, tanto carisma da poterlo percepire nell’aria: al suo ingresso in sala, siamo certi di aver contato almeno cinque secondi di totale silenzio, come se una regia nascosta avesse calato il buio e acceso un riflettore solo su di lei. Una sola parola: classe.
Eppure, entrando nel Relais Bernard Loiseau, non ci si sente schiacciati dalla storia né tantomeno aleggia una sensazione di malinconia o di stanchezza. La prima sensazione che si prova è quella di trovarsi in un posto bello, curato, vivo e al passo con i tempi. Non è certamente un tre stelle in formalina.
Nessun dettaglio è lasciato al caso: si prende l’aperitivo, si studia il menù e la monumentale carta dei vini comodamente seduti in salotto. Una sala di grande mestiere, precisa e puntuale: vedere sporzionare al gueridon la poularde è l’immagine migliore di quanto possa essere sublime l’arte del servizio.
La cucina è oggi il regno di Bertron, una cucina di territorio, ma non statica, molto attenta al prodotto, rigorosa e tecnicamente ineccepibile. Il motto del suo Maestro non è caduto nel vuoto: “le goût, le goût, toujours le goût!”
Lo chef porta in tavola i prodotti di stagione e del territorio cercando di esaltarli attraverso cotture delicate, salse leggere con il minimo indispensabile di grassi aggiunti, senza stravolgere la texture, ma puntando esclusivamente a concentrare ed esaltare al massimo il gusto nei piatti proposti.
E’ celebre il lavoro di alleggerimento delle salse svolto da Loiseau assieme al suo fido scudiero: le famose salse all’acqua, riprese ultimamente anche da un famoso chef italico che cerca nell’ingrediente la risposta a tutte le domande, proprio come faceva il duo Bernard-Patrick.
Ma non si può capire Bertron senza prima capire Loiseau. E niente può spiegare meglio la cucina di Loiseau-Bertron delle parole di Loiseau stesso. Ecco cosa diceva Bernard in una delle sue numerose interviste:
Bisognerebbe poter riconoscere quello che si sta mangiando, per cui io non faccio evaporare nella ricetta vini o altri alcolici, perché questo farebbe cambiare il gusto. Non faccio nemmeno raddensare le salse con la farina o l’albume. Nemmeno panna, né fond, né demi-glace, nessun fumet, niente grassi salvo per un pochino di burro quando faccio saltare le cose, che poi asciugo con un panno di carta. Non c’è ristorante in Francia che usi tanta carta quanta ne usiamo noi. Quando si tratta di fare una salsa, gli altri mettono mano ai vasetti di crème fraîche. Io uso l’acqua. L’acqua è la cosa migliore del mondo. E’ completamente neutra, per cui adotta esattamente il sapore dell’ingrediente. Si ottiene il vero sapore. I clienti non vogliono più mangiare la panna. Qui puoi pranzare e serbare ancora un po’ di appetito per la cena. Sto ribaltando tutto quanto. Fra dieci anni tutti vorranno mangiare in questo modo”.
Forse troppo avanti per la clientela dell’epoca: qualsiasi esercizio commerciale deve confrontarsi con l’impatto che hanno le idee sui gusti della gente. Bernard fu costretto a fare una leggera marcia indietro, lui che stava pericolosamente per essere identificato come il Crociato anti-salsa. Una posizione troppo forte per la Francia di venticinque anni fa, ma forse anche oggi.
Si racconta che un grande amico di Loiseau, il mitico Bocuse, amante alla follia di battute e scherzi , camminando con alcuni colleghi vicino a un fiume disse: “Bisogna dirlo a Bernard! Guardate quanta buona salsa sprecata!”. La frase fece il giro di Francia.
Chissà se fu questo a convincere Bernard, fatto sta che smise di parlare di salse all’acqua.
Ma non si mosse di un passo rispetto al suo vero credo, quella “cuisine des essences” a cui aveva dedicato una vita intera di lavoro.
Tornando al presente, in carta ci sono, come è logico, i classici della Maison e del Maestro, ma accanto ad essi troviamo anche preparazioni più legate a Bertron, che viaggiano su binari paralleli senza mai scontrarsi, ma integrandosi alla perfezione in questo ingranaggio ultra collaudato.
La nostra visita ha ampiamente superato le attese, abbiamo trovato la cucina in grande forma: cotture millimetriche, salse tirate alla perfezione.
Non tutto impeccabile: un appetizer discutibile, una entrée leggermente sapida.
Certo, dettagli di fronte alla cesellatura delle verdure o all’intensità di gusto di quel jus iodé aux accents de tourbe.

Un capitolo a parte merita la Poularde à la Vapeur Alexandre Dumaine: un piatto storico, ripreso e alleggerito da Loiseau che eliminò del tutto la panna. Non abbiamo dubbi a inserire questa Poularde nella lista dei capolavori gastronomici che qualunque appassionato di cucina dovrebbe provare almeno una volta nella vita. E’ necessaria un’ora e 45 minuti di preparazione per questa meraviglia (quindi ricordatevi di prenotarla in anticipo se non volete aspettare troppo al tavolo).
“…in una grossa casseruola di cotto sigillata con un panno, l’animale, ripieno di una julienne di verdure arricchita con fegatini di pollo, foie gras e tartufo, sta su un treppiede sopra un ricco bouillon composto di tre jus, di pollo, ali di pollo e vitello, e un contenitore separato pieno di cognac, porto ed essenza di tartufi. Ripieno all’interno e abbigliato a lutto all’esterno, cioè annerito da fettine di tartufo inserite sotto la pelle, il pollo viene cotto al forno dal vapore che sale dal bouillon e dai liquori al tartufo…”
(tratto dal libro “Il Perfezionista – Vita e morte di un grande chef”, Ed. Ponte alle Grazie, 2006).
La pasticceria non è da meno: Benoît Charvet si muove con disinvoltura sia nei classici, vedi la fantastica Saint Honorè (che ci ha fatto pensare al grande Philippe Conticini) che in preparazioni più personali come il Saveurs exotiques croustillant-fondant di mango e patata dolce al cocco di rara perfezione.
Carta dei vini importante e ricca, ma anche fruibile e corretta nei prezzi: esempio lampante il nostro Chambertin proposto ad un costo più che allettante.
Insomma, una grande sosta, che consigliamo vivamente di visitare almeno una volta nella vita, per conoscere la cucina di quell’autentico mito che è stato Bernard Loiseau, ma anche per comprendere come può ancora essere attuale e stimolante una grande Maison francese.

L’aperitivo: salatini al formaggio.

Da sinistra: bon bon di foie gras e gelatina al vino, bicchierino con pomodoro, aglio e origano e crocchetta fritta di pesce.


Burro, sale di Guerande e burro salato.

Il pane

Amuse-bouche: bouillon di melone, prosciutto croccante, spuma di latte, un inizio così così, troppo brodoso, poco incisivo, da rivedere.

Jambonnettes de grenouilles à la purée d’ail et au jus de persil: uno dei piatti simbolo di Loiseau, ancora attualissimo. Tenere, suadenti, succose, cotte alla perfezione le coscette, accompagnate in un matrimonio d’amore da un concentrato e persistente, ma non invasivo, puré d’aglio e da un delicato succo di prezzemolo. Un sicuro metro di paragone per chiunque voglia cimentarsi con un ingrediente complesso e delicato come le rane.

Pavé de bar côtier doré sur la peau, accompagnato da un involtino di asparagi verdi farciti di salicornia e “jus iodé aux accents de tourbe”: uno dei piatti della serata, uno splendido filetto di branzino di grande qualità cotto alla perfezione in modo da conservare tutti gli umori e la caratteristica consistenza, accompagnato da una salsa leggermente torbata in cui indulgere senza ritegno.

Langoustine Royale poêlé au beurre de citron accompagnati da cannelloni farciti con le parti meno nobili degli scampi, verdure di stagione e bouillon all’aglio orsino: ottima la qualità degli scampi, grossi e succosi, deliziose le verdure cesellate in maniera certosina, ma un pizzico di sale di troppo soprattutto nel cannellone ha parzialmente pregiudicato la piacevolezza del piatto.

L’incredibile lavoro di taglio e intarsio delle verdure.


E finalmente la poularde, in una sequenza che mostra il lavoro e la maestria del maître nel porzionare al gueridon: il profumo che inonda la sala all’apertura della pentola di coccio è indescrivibile. L’obiettivo è raggiunto: tutta la sala volge lo sguardo verso il certosino lavoro di sporzionamento, l’attenzione è catturata e certamente qualche cliente avrà già segnato nel suo taccuino di ordinare la poularde alla prossima visita.






Il piatto finito: il petto sapientemente tartufato sotto la pelle, gustoso e consistente come raramente capita di trovare al giorno d’oggi.
La coscia saporita e con la carne ben attaccata all’osso, la farcia di verdure, foie gras e fegatini di pollo, il riso basmati al tartufo, il bouillon di cottura di pollo e vitello completano un piatto che affascina e commuove, un pezzo di storia della gastronomia.



Il nostro fedele compagno di viaggio: lo Chambertin 2006 di Armand Rousseau, dal bel colore rosso rubino vivo. Al naso parte un po’ chiuso con note vanigliate dovute alla giovane età, ma con l’ossigenazione dovuta all’ampio bicchiere si apre donando note di ciliegia rossa, spezie, terra. In bocca è largo, strutturato, pieno, un gran vino già oggi, ma che sicuramente avrà una lunga vita davanti.


La Saint Honoré per due persone: Benoît Charvet dimostra di avere stoffa con questo classico dell’alta pasticceria, la sua versione è di gran classe: una base di sablè, poi pasta sfoglia leggerissima, panna di gran qualità, golosi profiterole, il tutto legato da una perfetta salsa chiboust.


Croustillant-fondant de mangue et de patate douce à la noix de coco. Un dolce di impostazione moderna, leggero e gustoso adatto a chiudere una cena importante.

La piccola pasticceria, di rara bellezza.



Il caffè.

Siamo certi di aver conosciuto un uomo quasi identificabile con la geniale arte che esprime il suo lavoro, un uomo che opera al massimo del proprio talento, assecondandolo, esaltandolo, unendo alla passione e all’amore anche una profonda dedizione. Solo così si arriva quanto più vicino possibile alla perfezione.
Assaggiando il divino babà nella sala della pasticceria di Jacques Genin lo abbiamo capito con chiarezza.
Altro non poteva essere che un gesto d’amore la realizzazione di un dolce che, a noi napoletani, ha rievocato dejavù infantili e commoventi: qui il Savarin è il Savarin, base per l’accesso all’appagamento terreno dei peccati di gola, bagnato da un intingolo in perfetto equilibrio tra base zuccherina e dose alcolica. Non ne abbiamo fatto incetta solo perché c’erano altre cose da provare in quest’antro di delizie, ma senza ragionevoli limitazioni ne avremmo agevolmente e lussuriosamente abusato.
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Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione Ristorante

Ci sono chef in grado di cambiare il corso della storia della cucina, per le sterzate che sanno imprimere e per gli influssi che più o meno inconsciamente sanno esercitare nei confronti dei propri contemporanei. Su questo campo, probabilmente il personaggio più influente degli ultimi 20 anni ha operato a Roses, con un discreto successo. 😉
Poi ci sono buoni cuochi ma straordinari ristoratori, in grado di rivoluzionare il modo di intendere la parola ristorante, capaci di vedere oltre e far saltare tutti i paletti prima fissati. Non sono meno importanti, senza di loro uscire a cena sarebbe più difficile, sicuramente più costoso e forse anche più noioso.
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Recensione ristorante.
Siamo ad Arbois perla del minuscolo territorio dello Jura sede di alcune delle cantine più interessanti di Francia. Oltre che territorio d’elezione per uno dei prodotti caseari più buoni : il France Comtè.
La passeggiata nel centro del paese, fortemente monopolizzato dagli esercizi che commerciano vino, è d’ordinanza come pure l’acquisto di qualche bottiglia da Tissot, una visita alla deliziosa frazione di Pupillin e, segnatamente, ad uno dei vignaioli più importanti come Pierre Overnoy. Dopo tanto “faticare” il premio può essere sedersi nella sala rustica di un’ ala del convento delle carmelitane che ospita il ristorante di Jean Paul Jeunet. (altro…)