Il duo Targhetta/Vespani, non sazio del meraviglioso rifugio Col Alt, ha intrapreso quest’anno una nuova avventura, L’Ostì, nel paese di Corvara, che rischia seriamente di diventare – se non il migliore – uno dei migliori ristoranti della ridente cittadina dell’Alta Val Badia.
Un arredo post-moderno di montagna ben integrato con il contesto e la cucina, un servizio attento, giovane, spigliato e sempre presente. Una proposta variegata che può accontentare un vasto e molto orizzontale raggio di clientela potenziale. Qui il russo assetato di grandi bottiglie e di una cucina semplice e gustosa, uscirà soddisfatto tanto quanto l’incallito gourmet. La cucina di Enrico, qui, è meno schiava delle limitazioni del rifugio e riesce a esprimere tutta la sua pragmatica tecnica al servizio di ingredienti in buona parte, giustamente, in comune con il suo fratello d’alta quota.
Il Foie gras, così come i benvenuti, con una strepitosa focaccia fatta in casa, poi la Quaglia con i funghi per giungere finanche alla paradisiaca Costina BBQ sono tutte preparazioni declinate in formato e struttura gourmet. I due piatti emblematici sono certamente l’ipertecnica Testina e il Risotto, forse nel nostro caso un filino troppo crudo e al dente, ma certamente l’esempio paradigmatico della tecnica e della finezza del cuoco. Tecnica e finezza che non inciampa mai in virtuosismi fini a se stessi, in cui il gusto è sempre ben protagonista e in evidenza. Ci è piaciuto tutto il percorso, ben fatto e ben articolato, accompagnato da una degustazione di vini originale, centrata, per nulla scontata e molto piacevole.
Questo luogo, L’Ostì, secondo noi potrà far parlare molto bene di sé, con una cucina concreta e golosa ma al contempo raffinata ed elegante. Qui Corvara, avamposto di un moderno e piacevole ristorante di qualità.
È possibile poter mangiare ad alta quota, in un rifugio a 2000 mt di altitudine, un’ottima cucina gourmet accompagnata da grandissimi vini e da un ottimo servizio di sala? Se il proprietario-gestore è Fabio Targhetta e se il cuoco è Enrico Vespani sì. Siamo al rifugio Col Alt, a pochi minuti di cabinovia, o a un’ora di lieve e piacevole passeggiata, da Corvara. Lungo il percorso del Sellaronda, in Alta Val Badia, troverete tra i tanti rifugi, tutti ottimi per qualità e cucina espressa, uno che si contraddistingue con una proposta davvero notevole e ben fatta.
Al piano superiore un bar-cucina con proposte semplici, seppur sempre curatissime. Al piano di sotto si apre uno scrigno di sapori intriganti e ben presentati dove il protagonista è il cibo di alta qualità, declinato certamente in maniera tutto sommato semplice e comprensibile, ma con spunti e tocchi di qualità e finezza da far invidia a molti ristoranti blasonati. Qui Fabio seleziona, assieme a Enrico, personalmente ogni materia prima. Ogni piccolo dettaglio è curatissimo. Fabio possiede una tenuta in Sicilia dove produce un ottimo olio che, ça va sans dire, è l’olio ufficiale usato dal ristorante. Una cantina di profondità e di referenze davvero unica, da far impallidire molte carte dei vini di ristoranti anche più quotati, accompagna una cucina che dicevamo semplice, ma curata e non priva di qualche raffinatezza.
Abbiamo incominciato con il quadro di antipasti che sono il biglietto da visita per i gourmet più incalliti: Tartare di finissima carne con Uovo di quaglia, limone candito e parmigiano 24 mesi, maionese al dragoncello. Salsa tartara con focaccia di patate e prosciutto d’Osvaldo 24 mesi, Caniflo – pasta fritta tipica locale – ripiena di spinaci, ricotta e speck, foie gras e amarene. Un tocco fine gli Asparagi bianchi, crema di piselli, ricotta affumicata di bufala e orzo soffiato, così come imperiosi e ottimi, gli Gnocchi con porcini in polvere e freschi e pomodori confit. Degno finale con l’ottima Faraona arrosto e il girotondo di fini ed eleganti nonché golosi dessert. Tutto accompagnato da qualche chicca enologica selezionata appositamente da Fabio per voi.
Benvenuti nel rifugio gourmet più intrigante d’Italia! A voi buon pranzo e buona passeggiata!
Cucina, location, pasticceria e servizio di sala. Queste sono le prerogative necessarie per definire una “Grande Casa”, come quella che il ristorante St. Hubertus è e vuole essere.
La vertigine delle montagne sporcate di neve accompagna in maniera sinuosa e penetrante i tornanti, che uno dopo l’altro indirizzano la vettura verso San Cassiano, piccolo paese in Alta Badia. Tutto fermo. Una volta arrivati in cima si respira un’aria nuova, un senso di liberazione dalla faticosa routine odierna cittadina. Camminando per la via principale del paese si percepisce una energia forte, di un locale che non ha bisogno di presentazioni, una pietra miliare nel panorama del bien vivre alpino.
Un bel peso per Norbert Niederkofler. Ambizioso chef altoatesino con la memoria e l’immaginazione che respirano l’aria bianca dei monti, senza però farsi soffocare, rimanendo libero di viaggiare con la fantasia sopra le vette, come un falco, potendo fare rifermento ad un paracadute chiamato cultura sempre ben saldo sulle spalle.
Il parquet scricchiolante è la cornice di una sala studiata e curata nei minimi dettagli, che grazie al suo lindore accarezza i sentimenti degli ospiti, facendoli accomodare in una realtà soffice ed ovattata, resa paradossalmente semplice dal prodigarsi altrui ricco di manierismi tanto artificiosi da sembrare naturali. Un gallo cedrone, dalla parete, scruta attento lo svolgimento di questa cerimonia composta e formale. Silenziosa, attenta ed efficace accompagna con ritmo cadenzato la declinazione territoriale offerta dalla cucina. Due menù degustazione dai quali poter attingere. Il primo dei grandi classici (Le Nostre Radici), mentre il secondo (Quo Vadis) in riferimento ad una cucina meno formale con istinti più vivaci. La possibilità di saltare da uno all’altro rende l’esperienza ancora più accattivante.
Delicata ed elegante. Millimetrica ed espressiva. Identificativa e contemporanea. Questa la cucina di Norbert Niederkofler. Non una sbavatura, non una indecisione o un bersaglio mancato. Il vorticoso gioco di mescolanze tra classico e moderno è un percorso all’insegna dell’armonia e della grazia, che trova il suo apice nell’essenzialità del salmerino della Val Passiria e cavoli, materico esempio di eleganza. La semplicità della cottura del pesce sottovuoto accompagna la versatilità dell’elemento verde che si presenta setoso sotto forma di purè, croccante per le sue foglie, morbido ed aromatico grazie alla sua acqua. Un piatto diretto e sincero, necessario per capire la finezza dello chef. Il resto del percorso è un inno alla leggerezza, con riferimenti regionali e cotture degne dell’alta cucina francese. Gamberi di fiume, lumache e piccione, ma anche piatti a base di elementi vegetali fanno parte e sono parte della caleidoscopica visione culinaria dello chef, in grado di esaltarsi grazie a saliscendi emozionali che fanno riferimento a porzioni temporali diverse. Un appunto? Forse l’eccessiva scimmiottatura a tecniche, cotture e forme di presentazione troppo à la page e forse poco in linea con l’anima, lo spirito e la classe dello chef. Tutto ciò, anche se sottilmente, si percepisce e lascia storditi in alcuni passaggi, seppur tecnicamente ineccepibili. Forse un ritorno ad una cucina molto più personale sarebbe auspicabile.
Ma, come dicevamo, per definire un ristorante come “Grande” la cucina non basta. Occorre anche l’apporto della pasticceria e della sala. Quest’ultima durante la nostra visita, dopo un inizio sfavillante, ha subito una decisa battuta d’arresto, incappando in errori poco consoni al calibro della sua brigata. Un piatto ordinato come extra mai pervenuto, una mescita del vino sbrigativa, a tratti selettiva, e qualche tentennamento di troppo durante il servizio, non possono addursi solo ad una serata storta, ma sono e devono essere un sonoro campanello di allarme volto al mantenimento degli standard ai quali il St. Hubertus ci ha abituati.
La pasticceria è un trionfo di classicità, concepita e presentata nella sua forma più pura, senza alcun alleggerimento né attualizzazione. Altra scelta che ci ha lasciato un po’ perplessi, soprattutto per la dicotomia inaspettata nei confronti della cucina. Curata nei dettagli e tecnicamente corretta, porta con sé un tono di pesantezza che poco si addice a quanto mangiato in precedenza, discostandosi completamente dalla coerenza che il menù proposto aveva marcatamente sottolineato.
Rimane il ricordo di una cena di alto livello, pensata e servita da uno dei più grandi cuochi del panorama nazionale. Resta però anche quel senso di rammarico che fa storcere il naso per la delusione di aver assistito ad uno spettacolo solamente bello e non grandioso. Il St.Hubertus è e vuole essere una “Grande Casa” e noi non vediamo l’ora di poterlo riconfermare.
Comincia una serie di amuse bouche. Topinambur croccante, tartare di cervo e liquirizia.
“Ferrero Rocher” di fegatini con mela e nocciola.
Storione marinato con consommé di prezzemolo.
Pastinaca croccante, crema di caprino e shot di pino mugo.
Pane e grissini con burro di malga. Notevoli il pane e i grissini, straordinario il burro… peccato sia stato servito troppo freddo per essere spalmato.
Spuma di castagna, coregone marinato e olio al levistico.
Si comincia. Verdure di terra: rapa rossa, rapa gialla, rapa di Chioggia, carote e castagne di terra. Grande inizio. Il gioco di consistenze delle verdure cotte con metodi differenti crea in bocca un alternarsi di sapori dal dolce all’amaro molto stimolante.
Gamberi di fiume, kohlrabi, panna agra. Piatto di straordinaria intensità in cui il classico incontra il moderno. Il gambero di fiume cotto in maniera superba e la sua bisque aromatizzata alle erbe di montagna donano un gusto dolce-aromatico di grande intensità e persistenza.
Si cambia tipologia di pane. Prima mostrato crudo…
…ed eccolo successivamente in versione cotta.
Lumache, radice della luce e nocciole. Sui grandi classici Niederkofler ha molto da insegnare.
Salmerino della Val Passiria e cavoli. Il piatto della serata.
Ravioli alle biete, sarde del lago d’Iseo e spuma di pancetta. Piatto più goloso ma non per questo meno apprezzabile. Ottimo.
Gnocchi di rapa rossa, terra di birra e crema di daikon. Tutto l’Alto Adige in un sol boccone.
Testina di maialino, cialda di amaranto, granita di finocchi e senape. Passaggio un po’ meno contestualizzato del resto del menù.
Piccione, carote antiche e mais alla brace. Grandissimo passaggio. Il fondo aromatizzato alla menta sgrassa il palato prepara a boccone successivo. Ma non è finita…
…ecco la seconda parte del servizio: coscia brasata, radice sedanina e olio al dragoncello. Un po’ forte come impatto visivo, ma molto delicato dal punto di vista gustativo.
Si passa alla pasticceria. Sorbetto al cassis.
Soufflé al Grand Marnier e sorbetto al mandarino.
Pere alla Bella Elena. Rivisitazione molto scolastica di un grande classico.
Patata dolce, burro salato, latte.
La piccola pasticceria, di ottima fattura. Peccato solo che gran parte dei pezzi fossero unici, nonostante i coperti al tavolo fossero due.
Ogni giorno il pasticcere propone una torta della tradizione per concludere il pasto. Questa è la Bienenstich, una torta tradizionale austriaca a base di pasta di mandorle, mandorle, crema alla vaniglia e miele. Molto buona ma decisamente troppo pesante come fine pasto.
I vini abbinati in degustazione:
Un dettaglio della sala.
La bella cantina.
La stufa.
Uno dei motivi per cui salire fin qua su vale la pena.
La famiglia Crazzolara è alla guida di un piccolo impero nel paesino di San Cassiano: hotel, residence, un Maso che sforna latticini di altissima qualità (Lüch da Pcëi), un noleggio sci, addirittura un traino cavalli nella stagione invernale. Imprenditori decisamente illuminati.
Da un paio di anni si è aggiunto al lungo elenco anche questo ristorante/pizzeria ricavato da una vecchia segheria di proprietà.
Locale modaiolo nella sua concezione, polifunzionale per usare un termine tanto in voga, con un bel bancone bar al piano terra e il ristorante al piano superiore che si compone di 4 stuben in legno, con qualche sprazzo di modernità qua e là.
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Recensione ristorante.
Il contesto può far perdere la bussola. La fiabilandia creata dalla famiglia Pizzinini è qualcosa di incredibile, sia dal punto di vista alberghiero, sia dal punto di vista ristorativo.
Tante possibilità, tutte nel segno della qualità, tutte proposte col sorriso ben stampato in faccia che costa niente, eppure, chissà perché, è così difficile da trovare in giro.
Sei poi sei in Alta Badia, dove gli chef stellati, rinominati i DoloMitici, sono anche amici e danno almeno l’idea di fare gruppo, beh, allora ti devi proprio dare un pizzicotto ogni tanto per essere sicuro di non stare sognando.
E’ tutto oro quel che luccica?