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Dalla terra alla bottiglia: Tempranillo in Toscana

Tempranillo Toscana Igt “Vigna le Nicchie” 2015

Quale mezzo migliore c’è, se non una degustazione, per accontentare i curiosi appassionati delle tradizioni spagnole e toscane o semplicemente, del vino? La nostra fame di apprendimento ha trovato una buona risposta alla scoperta delle vinificazioni del Tempranillo, la bacca nera più celebre della Spagna, in Toscana.

È quanto successo lo scorso dicembre a Milano da Aimo e Nadia Bistrot dove un “vino d’innovazione”, Vigna le Nicchie, è stato il protagonista di una verticale messa a punto per svelare un antico segreto delle terre di San Miniato in cui opera l’azienda – certificata Bio – Beconcini.

Il Tempranillo, quell’uva fina e caratterizzata da una maturazione precoce è diventato singolare e d’appeal negli anni ’90 trovando radici, non solo nella Rioja o nella Ribera del Duero con punte d’eccellenza in etichette quali Pingus e Vega Sicilia, ma anche in Toscana. L’uva spagnola è stata infatti iscritta con decreto 2754 all’albo toscano nel 2009.

In questa azienda posta sulla via Francigena si inizia a coltivare un vitigno sconosciuto, nato dalle sementi disperse da un viandante: il vitigno X. Se ne piantano appena 213 ceppi, collocati fra gli autoctoni Sangiovese e Canaiolo. Subentrato negli anni ’90 al padre Pietro, Leonardo Beconcini ha promosso vasti studi per identificarne l’origine e, grazie alla collaborazione con l’Università di Firenze, ha scoperto che si trattava proprio di Tempranillo ormai perfettamente acclimatato in quel fazzoletto di Toscana.

Da qui, il desiderio di Leonardo divenne quello di dedicare un vino a questa varietà esaltandone peculiarità e potenzialità. “Il terroir di San Miniato determina una forte personalità nei vini, che non devono piacere a tutti” – spiega Leonardo. E in effetti questa verticale di Vigna le Nicchie – dove le nicchie sono le conchiglie fossili che arricchiscono i terreni su cui si eleva – rivela note decisamente caratteriali.

L’ultima versione nata, in bocca è quasi piccante, con un tannino preponderante alla beva che pervade il palato risolto nel finale grazie a una pulizia pressoché perfetta. Sapido e prevalentemente fruttato, non sprigiona ancora tutte quelle nuances date dall’affinamento in vetro – sensazioni ritrovate invece nei suoi fratelli maggiori. Il netto sentore speziato che si affaccia al palato ingentilisce il sorso, rendendolo innovativo ed espressivo delle sue vigne prefillosseriche di oltre cent’anni di età.

Piccola ma sontuosa tavola marinara tra i vicoli del barrio gotico di Barcellona

“Estimar” è una parola versatile. Può assumere il significato di apprezzare, preferire, voler bene, amare. Può anche significare “stimare” nel senso di imparare a valutare: in questo caso, la freschezza e la qualità del pescato locale, quello di primissima scelta, tale da poter fungere da benchmark per i palati dei commensali. E infatti, dopo un assaggio di crudo o un boccone di pesce alla brace in molti avranno una visione differente della materia prima, qui selezionata e trattata ai massimi livelli.

E benché grandissime tavole di pesce, a Barcellona, non manchino, sembra proprio che questo piccolo ristorante nascosto tra i vicoli di Born (o La Ribera), uno dei quartieri più artistici di Barcellona, abbia davvero qualcosa in più. Qualcosa di speciale che il palato sensibile potrà scovare in una semplice frittura di calamaretti o in un pesce alla brace ancora succoso e intenso di note iodate.

Una tavola informale e un piccolo gioiello, capace di regalare grandi emozioni

Lo chef, comproprietario con una storica famiglia di pescatori della vicina Roses, è l’andaluso Rafa Zafra che si divide tra questa e la cucina di Heart a Ibiza durante l’estate. La sua esperienza, maturata prima a elBulli poi come executive chef all’Hacienda Benazuza – progetto catalano di Ferran Adrià – e ancora da Arzak, gli consente di offrire al cliente, giornalmente, solo il meglio dal Mediterraneo favorendo cotture rigorosamente tradizionali – ma impeccabili! – o servendo crudi stratosferici.

Per orientarsi, consigliamo di farsi guidare dagli affabili camerieri in un percorso esaustivo assaggiando sia i piatti della carta che attingendo dall’assortimento di frutti di mare giornaliero esposto nel bancone centrale. C’è anche la possibilità di scegliere il metodo di cottura preferito: al vapore, alla brace o appena scottato e di accompagnare il tutto a un’intelligente carta dei vini, con ricarichi tutto sommato appropriati.

Fedele alle radici della tavola spagnola, con piatti pensati per essere condivisi

La selezione di antipasti è squisita – come il carpaccio di gamberi e cipolle caramellate, tributo ad un piatto del Bulli del 1995, o la sardina marinata; ma è proprio coi crudi – immenso il sapore di mare del Maremoto, un assortimento di crostacei del giorno o dell’indimenticabile gambero di Roses al ghiaccio – e con i pesci alla griglia che si provano le più grandi soddisfazioni. Nel nostro caso, un sontuoso pesce San Pietro con un salmoriglio all’aglio bruciato di rara raffinatezza accompagnato da patate fritte incredibilmente buone e peperoni del Padrón.

È d’obbligo lasciare un posticino nello stomaco per concludere il sontuoso pasto con la goduriosa tarta de queso con un composta di fragole di commovente bontà.

E abbiamo già voglia di tornare.

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A Barcellona, un’esperienza gastronomica ancora inedita

Che cos’è l’avanguardia? Sicuramente qualcosa di difficile comprensione perché, per definizione, nuovo e inesplorato. Così, dopo aver stupito spaziando in lungo e in largo attraverso le frontiere della cucina contemporanea, Albert Adrià e il suo entourage alzano vertiginosamente l’asticella facendo tabula rasa di ogni sofisticazione e focalizzandosi sulla purezza dell’ingrediente isolandone sapori, combinazioni e consistenze enfatizzate attraverso lo spazio e il tempo della degustazione.

Nel piatto, si materializza una nuova concezione gastronomica che esaspera l’essenza naturale degli ingredienti attraverso salagioni e stagionature talvolta estreme che investono i pregiatissimi angulas e i percebes, conditi con salse iodatissime estratte da alghe o da viscere di pesci, mentre combina il fegato grasso con l’acciuga e del piccione fa una tartare irrorata di jus di selvaggina. E ancora, c’è l’aragosta stagionata in cera di grasso, le anemoni di mare, le uova di kalix, le banane ossidate e chi più ne ha più ne metta.

Ecco, un dato importante da sapere è che nessuna delle portate viene spiegata al momento del servizio, per cui la codifica del codice del piatto avviene, da parte del commensale, del tutto istintivamente. Come già accaduto al 41 grados, il cibo viene poi accompagnato da una bevanda, quasi sempre propedeutica alla comprensione del piatto, che è un testo la cui componente estetica viaggia in parallelo con quella gastronomica. È questo il metalinguaggio dell’avanguardia edificata da Albert Adrià.

Lo spazio è propedeutico alla fruizione e alla comprensione del piatto

Gli spazi interni sono enormi, tanto che sembra di trovarsi in una sorta di labirinto a metà strada tra una caverna di ghiaccio e un luogo senza tempo, con soffitti che ricreano una nebulosa, pareti di pietra sinterizzata – un materiale di ultima generazione – e cristallo, mentre una rete di metallo è adagiata sul soffitto in modo che tutto sembri studiato con l’intento di disorientare l’ospite e sconnetterlo col mondo esterno.

È difficilissimo raccontare l’esperienza  senza spoilerarla, ma ci proviamo: già all’atto della prenotazione si riceve una email con due codici che andranno digitati per accedere agli spazi interni del ristorante. Nessun’accoglienza all’ingresso e, nel corridoio che porta alla sala d’attesa, il benvenuto viene servito in piedi: si tratta di un succo caldo a base di semi di zucca e limone, corroborante, sapido e agrumato. È il ryokan: un concetto giapponese pensato per far rilassare l’ospite cui seguirà un altro spazio dedicato alla scelta del beverage e in cui vengono serviti eterei snacks e un cocktail di benvenuto: la cava. Ci si accomoda quindi ne la barra, spazio di approccio alla purezza degli elementi ittici pregiati, serviti nella loro essenza prima di passare, attraverso l’avveniristica cucina, alla sala principale dove, in un contesto di resina poliestere, si avvicendano alcuni piatti cucinati e, quindi, il teppanyaki – la famosa plancia giapponese – nello spazio della planxa, appunto. Le stoviglie, di finissima porcellana, sono disegnate appositamente da un artista belga.

Il menu come itinerario

In questo contesto itinerante e stordente, Enigma appare la consacrazione definitiva del genio di Albert Adrià e dei mille stimoli che attraverso la sua creatività giungono al palato e alla mente del commensale. Anche solo fermandosi all’approccio estetico delle cose, ci si accorge dell’evoluzione inarrestabile anche in termini di stile, ormai in gran parte ben distinto da quello del Bulli. Per questo Enigma costituisce un’esperienza totale e totalizzante, che merita sicuramente una visita, da dovunque voi vi troviate.

Tanto saprà portarvi, comunque, altrove.

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L’infinito mondo delle tapas

Passeggiare per Barcellona può riservare piacevoli sorprese. Così, tra un tapas bar e l’altro, ci siamo imbattuti in Gresca Bar, locale che strizza l’occhio ai trend del momento e che propone una cucina di stampo classico, alleggerita e resa contemporanea.

Il locale si sviluppa lungo un corridoio, con una serie di tavolini quadrati e ravvicinati tra loro, al termine del quale l’occhio viene rubato dalla sala macchine. Come dal calderone dal quale nascono gli arcobaleni, l’atmosfera diviene fiabesca, già in grado di rubare l’anima in un istante.
In un attimo tutto è saturo. La velocità dei camerieri che si avvicendano avanti e indietro, camuffata dietro una cortesia davvero encomiabile, è l’epagoge che porta ogni cliente a sentirsi nel posto giusto al momento giusto. La lista dei vini che predilige piccoli produttori a vocazione naturale, introduce un menù che conta una quarantina di proposte: pesce crudo, panini, toast (qui chiamati bikini), hamburger, insalate ma anche piatti più articolati che sottolineano come qui abiti una cucina che non si improvvisa mai.

L’umiltà del saper fare

Non è difficile, a questo punto, comprendere che Gresca Bar rappresenti un ibrido nel mondo della ristorazione catalana. Punto di incontro tra neo bistrot parigino, gastro pub londinese e tapas bar barcellonese paga l’unico scotto, comune a chiunque possieda una personalità spuria, di mettere in scena una rappresentazione già vista altrove ma non per questo di banale fattura.
La tartare di vitello con acqua di pomodoro, olio, pepe e topinambur fritto è un complesso di golosità succulente, in cui la lubrificazione dettata dall’acidità del pomodoro e dalla viscosità della carne cruda viene puntualmente spezzata dalla croccantezza del topinambur. Degna di nota l’anatra arrosto che affianca a una cottura sfacciatamente classica, quasi casalinga, un fondo da manuale che ricolloca il passaggio nella sfera dell’alta cucina. Il cervello con patate cela dietro un’apparente semplicità i tratti del piatto d’autore, in cui l’acidità del beurre blanc accompagna con ritmo la masticazione che, altrimenti, a causa della consistenza sarebbe risultata eccessivamente affaticante.

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Dalle prime linee de elBulli un ristorante che persegue un unico obiettivo: far godere i propri clienti

Disfrutar, nomen omen, vuol dire “godere”.
In quattro anni questo ristorante si è imposto sulla scena gastronomica mondiale vantando uno dei pedigree più creativi. Una sorta di capitolo secondo dell’inimitabile era elBulli: non a caso, super operativi al pass come pochi altri a questi livelli, Oriol Castro ed Eduard Xatruch (con il terzo componente Mateu Casañas a supervisione del più informale Compatir a Cadeques) sono stati in prima linea, forse ancor più di Albert Adrià, a contribuire al processo creativo di Ferran Adrià fino al 2011. Non parliamo di semplici alumni ma di geniali menti innovatrici, che vedono ancora oggi lontano l’obiettivo da raggiungere con la loro arte creativa. Lo dimostra il fatto che, una volta ripartiti, dopo una breve pausa per resettare le idee, non si sono più fermati.

Disfrutar è un ristorante al contempo magico e informale, in cui tutti i commensali rimangono felicemente estasiati ad ogni assaggio, tra effetti speciali mai fini a se stessi, momenti divertenti ma anche didattici che generano l’equazione perfetta della felicità: tempo/divertimento, qui a vette altissime. Il tutto, avendo come basi sostanziali intensità e precisione maniacale per grandi classici della cucina (in verità ancora recentissimi) che lasciano sensazioni indelebili nella memoria.

Puro godimento e ritmo serrato per mente e palato

Come la sua interpretazione della pasta al pesto che, sorvolando sulla tecnica utilizzata, si arricchisce di ingredienti italici come il guanciale, dal sapore complementare a quello dell’anguilla, e del pistacchio. O ancora, una carbonara di “maccaroni” molecolari dalla consistenza tutt’altro che scontata che in stagione viene impreziosita da un profumatissimo tartufo d’Alba. Splendida la quenelle di ceviche che è la quintessenza stessa del Perù o la stratosferica rivisitazione della Gilda, il più famoso tra i pinchos baschi.

Chi pensa che si tratti di una cucina ruffiana commette un errore immenso: piuttosto, è una cucina trasversale che ha un grado di comprensione altissimo  e il cui punto di forza è la totale assenza di passi falsi, imprecisioni o inesattezze. Invero, si tratta di un percorso impegnativo e sostanzioso, certamente, ma gli stimoli che lo sostengono sono tanti e tali da concentrarne la potenza espressiva con grande senso della misura.

Coerente anche la location, che se non attrae per particolari dettagli di design come spesso accade nei grandi ristoranti spagnoli, ha comunque una sua morfologia evocativa. L’ingresso si ispira al ferro battuto del mercato rionale di Ninot e la ceramica richiama, cromaticamente, Joan Miró. Il corridoio centrale, realizzato in ceramica coi colori e le trame dell’argilla, attraversa la cucina completamente visibile e conduce alla luminosa sala da pranzo principale che rimanda ai piccoli villaggi di pescatori.

Il servizio di sala, dulcis in fundo, funziona come un orologio svizzero mostrandosi estremamente professionale, preparato ed empatico.

La carta dei vini? Anche quella è interessantissima, ma personalmente abbiamo preferito lasciare ampio spazio ai protagonisti assoluti di questa giostra: i piatti del trio delle meraviglie Castro-Xatruch-Casañas che hanno anche il pregio d’essere concepiti come mangia e bevi.

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