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Baest

Il regno del grande prodotto italiano, a Copenhagen

La Danimarca è ricca di fermenti, e non alludiamo – per lo meno non solo – alle tecniche di conservazione di verdure e, più in generale, dei prodotti edibili, qui molto utilizzate. Piuttosto, facciamo riferimento a paese decisamente all’avanguardia per le politiche socio-culturali, culla di un progetto interessante come Farm of ideas: una comunità di sviluppo agricolo sostenibile situata a una quarantina di km da Copenhagen. Qui Christian Puglisi, geniale cuoco e imprenditore, ha lanciato con alcuni compagni questo progetto sociale, una comune che produce ortaggi, frutti, alleva animali e distribuisce i propri prodotti, costruiti tutti attraverso percorsi sostenibili ed ecologici, all’interno dei progetti di ristorazione appartenenti al gruppo.

C’è il ristorante gourmet, il Relae; una panetteria con cucina di nome Mirabelle; il vermouth bar Rudo; il  bar à vin Manfred e, infine, c’è questo splendido Baest, difficile da definire, come del resto anche gli altri, nel suo status. Qui si producono idee avanguardiste non solo nei sistemi produttivi e aggregativi ma anche nei modelli ristorativi, ibridi e non definiti, come si stanno imponendo oggi. Trattoria, pizzeria, cocktail bar, vinoteca… Baest è un po’ di tutto questo, e nulla di tutto ciò.

Uno splendido locale in cui prendere un aperitivo, attingendo dalla ristretta ma interessante carta dei cocktail, degustando gli ottimi prodotti di norcineria e caseari prodotti in proprio. Abbiamo assaggiato una mozzarella, danese, che difficilmente dimenticheremo e la cui qualità risulterebbe tra le migliori, anche in Italia. Un culatello di 24 mesi splendido, un buon salame, una coppa da sballo.

Ma vogliamo parlare della pizza? Lievitazione, impasto, cottura… tutto semplicemente perfetto. Un tripudio di italianità realizzata a regola d’arte, davvero. Concludiamo il percorso di degustazione con una rapa cucinata da sogno e un filetto di manzo con verdure davvero eccellente. Pur essendo la carne di elevatissima qualità sono le verdure e la frutta in accompagnamento – mele e frutti rossi da antologia – ad essere protagoniste.

Insomma, se siete a Copenhagen non fatevi mancare un passaggio nella galassia Relae: non ve ne pentirete.

La Galleria Fotografica:

Il manifesto della cucina nordica e sostenibile di Christian Puglisi

“Relae works on focused and tasty food, no muss, no fuss. Everything is cut to the bone, no framse but the few hanging on the walls. Simplicity with quality come first, great details are just beneath. It’s our choice to be certified organic, buecause its worth it. Wine ? we pic ’em natural, you pour ’em”

Christian Puglisi, chef di origini italiane, è noto come ex sous chef del ristorante Noma. Ma dalla sua dipartita dalle cucine di Redzepi&Co, alcuni anni or sono, il suo focus e il suo progetto di vita, che ruota attorno alla comunità Farm of Ideas, ci hanno sempre intrigato. E così abbiamo seguito la sua evoluzione fino all’apertura del Relae, a cui poi sono seguiti alcuni satelliti minori, certo non meno importanti.

Il manifesto del locale di punta, il Relae appunto, è tanto significativo quanto coerente con ciò che troverete anche altrove ed è necessario dire che ci siamo davvero emozionati, a questa tavola, percependo un’energia positiva immensa, costruita sulle basi della sostenibilità non solo ambientale ma sul buono e sano – inno di Slow Food, da tempo immemore – che qui diventa inesorabilmente vera, viva, pulsante e intensa.

Sostenibilità ambientale, sociale, intellettuale

E così prende vita una cucina solo apparentemente semplice, che nasconde una grandissima tecnica e una profondità di pensiero che solo gli avventori più superficiali non colgono. Ecco quindi che le posate e le stoviglie le prendete voi dal cassetto disponibile sotto al posto di ogni commensale: a voi la scelta di non abusarne. Così come i prodotti impiegati, con uno straordinario sapore e intensità sono, come recita l’incipit, utilizzati sino all’osso. Nulla viene buttato, tutto è trattato e utilizzato al meglio, anche i prodotti considerati più poveri un tempo, ma preziosissimi oggi.

Tutto questo potrebbe apparire uno slogan, la modalità di utilizzo di strumenti di marketing tanto à la page di questi tempi, la sostenibilità. Invece l’anima di questo luogo e della cucina del Relae trasuda verità e difatti è incredibilmente buona, profonda e persistente. La tecnica seppia e quinoa, immensa nella sua persistenza. L’uso anche delle bucce tostate per il giro attorno alla zucca, impiegata peraltro anche nel pre-dessert. L’immenso bianco su bianco del luccioperca e sedano rapa, un piatto antologico che lavora sul sapore dell’incolore. La partenza stratosferica con mela e brodo di betulla con frutta fermentata e le verdure fermentate in accompagnamento al piatto principale, l’anatra, che diventa comprimario al loro cospetto e così via fino al dolce con orzo fermentato: un mono-elemento lavorato con grande tecnica e profondità gustativa.

Insomma, un percorso che abbiamo arrotondato per difetto, per  ora, nella valutazione attribuita ma che in realtà ha rappresentato uno dei pranzi più entusiasmanti dell’ultimo periodo del 2019, e non solo. Ci torneremo, ancora, presto. Senz’ombra di dubbio.

La galleria fotografica:

Manfred’s & Vin è un posto che, sinceramente, non conoscevamo. Eravamo a cena al Relæ quando il giovane sommelier italiano, chiedendoci con le cortesi domande di rito come stesse andando la nostra permanenza in terra danese, ci consigliò un indirizzo, a suo avviso, “molto particolare” in cui pranzare l’indomani.
Come in molte capitali europee, la domenica è il giorno di chiusura dei ristoranti gourmet. “Siete andati al Manfred’s vero? Se non siete ancora andati ci dovete andare! È uno dei ristoranti più alternativi della città“. “Chi è lo chef?” chiediamo noi. “Nessuno chef, solo una decina di pazzi che si cimentano in accostamenti strani e innovativi e sperimentano ingredienti nuovi. Il cliente è una sorta di cavia“, ribadisce il ragazzo. Solo un istante dopo, capiremo che il posto in questione, ubicato proprio di fronte a noi, è “l’altro” ristorante del gruppo di imprenditori che sta dietro al Relæ di Christian Puglisi. Un luogo dal concept simile a quello del suo gemello, ma in chiave decisamente più informale (si, ancora di più).
Considerato il primo natural wine bar in città, Manfred’s offre una cucina incentrata su preparazioni rustiche che acquistano valore grazie a tecniche di preparazione più evolute. Le radici del cibo nordico non vengono certo imbastardite, sebbene non manchi una contaminazione di stili più moderni che contribuiscono ad affinarle.
Fornelli a vista con bancone e qualche posto a sedere, due piccole salette arredate in uno stile finto vintage, un bancone di vini sfusi con tanto di sommelier a cimentarsi nella degustazione olfattiva e non di diverse miscele di vini biologici. Bastano pochi dettagli per fare di un locale piccolo e sobriamente arredato, uno dei posti più trendy della città.
Ci si fa un’idea, neanche eccessivamente approssimativa, sull’autentica cucina scandinava e su quelli che sono alcuni prodotti alimentari della zona: si dà spazio ad ortaggi biodinamici di Kiselgården, radici di Lammefjorden, maiali di Grambogaard, agnello di Havregaard e tante erbe delle foreste locali.
La cantina, rigorosamente anch’essa a vista, fa mostra di etichette di vini naturali (ça va sans dire) tra i quali riconosciamo qualche rinomato produttore di casa nostra.
Interessante la scelta di creare una società di importazione fai da te chiamata Hvirvelvin (i pallet se li vanno a prendere direttamente dal produttore), gestita dal sommelier Anders Frederik Steen, il cui manifesto elogia e supporta i vignaioli eroici che lottano con passione per ottenere vini naturali.
Il menù cambia giornalmente (davvero!) e prevede due piatti di verdura, un uovo e, a scelta, un piatto di carne o di pesce. Noi, ovviamente, abbiamo assaggiato tutto per farci un’idea d’insieme, constatando, ancora una volta, un’ottima qualità degli ingredienti, verdure in primis, una cottura perfetta del piatto principale (il maiale) e un uso accentuato di erbe aromatiche. Il tutto ad un prezzo decisamente ragionevole per la città.


Pane, sempre di un tipo, sempre ottimo da queste parti.

Carote marinate ai fiori di sambuco.

Cetriolo con bergamotto e noci. Unica concessione extraterritoriale con l’utilizzo dell’agrume, tipico delle nostre terre.

Tartare di merluzzo, crème fraiche, mostarda, limone, finocchietto e pane essiccato. Segnali evidenti di territorio.

Uovo in camicia con erbette aromatiche.

Cavolo cappuccio, crema di birra e burro, finocchietto fresco. Anche qui, perfetta espressione del territorio.

Asparagi bianchi, cipolle in agrodolce e funghi.

Maiale con mostarda e pelle di maiale fritta. Eccellente la cottura della carne.

Torta di carota, crema di latte di pecora, caramello chips di carote, assolutamente di alto livello.

Tavolo

Cantina

Ingresso

Christian Puglisi è un giovane chef che ha già grandi trascorsi alle spalle: stagista a El Bulli, significativa esperienza al Taillevent di Parigi e, soprattutto, sous chef di Rene Redzepi al Noma per qualche anno.
Danese d’adozione, Puglisi, oltre a essere un bravo cuoco, è anche e soprattutto un deciso e brillante imprenditore. Insieme al socio Kim Rossen (anch’egli ex Noma) ha aperto i battenti del Relæ circa tre anni fa a rischio di rimanere nell’ombra del suo mentore. E invece la scommessa è stata vinta alla grande.
L’esperienza precedentemente maturata insieme al concept particolarmente innovativo e trendy in una città vivace ma molto cara, non potevano che concretizzarsi in un grande successo.
Ci troviamo in un quartiere giovanile e modaiolo di Copenaghen chiamato Nørrebro, dove, come capita spesso da queste parti, sembra che ci siano più biciclette che persone.
Il locale è affollato, c’è una cucina a vista, un bancone stile sushi bar e una schiera di tavolini in cui siede una clientela molto eterogenea. C’è anche l’ispettore di una guida gastronomica (almeno così sembra) che si gusta la cena in solitaria. Il ristorante è sulla bocca di tutti in città. Cenando capiremo, effettivamente, che dietro questo progetto c’è davvero pochissimo fumo e tanto arrosto.
Quasi certi di trovare lo stile Redzepi, veniamo prontamente smentiti, sbattendo contro tutt’altra filosofia. Pochissimi ingredienti, non rigorosamente locali. Qui, a differenza del Noma, non c’è un interesse particolare per il chilometro zero. Troviamo ingredienti a noi più familiari come l’olio di oliva e i pistacchi, che Puglisi, consapevole dell’incredibile varietà e qualità delle materie prime del “suo” Bel Paese – aveva sette anni quando da Messina è emigrato con la famiglia nella fredda Danimarca – usa spessissimo così come pomodori, limoni e altri prodotti della nostra terra. L’impronta vegetale è certamente prevalente, ma è la sapiente modulazione dell’acidità a rendere ancor più interessante la cucina del Relæ, fatta di tre ingredienti a piatto, ognuno con un suo grado di importanza e caratteristiche ben definite e tutti cucinati in diverse consistenze.
Ci si diverte dall’inizio alla fine, sebbene si senta la mancanza di quell’emozione in più che consenta il grande salto di qualità. Si tratta comunque di un’esperienza che consigliamo di fare se ci si trova da queste parti.

Pochi fronzoli, a partire dalla mise en place: le posate si trovano già nel cassettino del tavolo e i tovaglioli sono di carta. Tutto è pensato per non rubare la scena a ciò che sta nel piatto.
Il servizio è giovanissimo e rispetta le giuste tempistiche. I piatti vengono spiegati dai cuochi di diverse nazionalità.
Mirata anche la scelta di etichette biologiche e biodinamiche da tutto il mondo, in perfetta sintonia con l’offerta gastronomica proposta, ma con qualche ricarico di troppo. Abbiamo trovato interessante e deciso l’abbinamento con il maiale del Préty 2010, uno chardonnay ruvido e minerale di Alexandre Jouveaux, novello produttore di vini della zona di Mâcon la cui microscopica produzione sta facendo il giro del mondo.

Il menù si trova nel cassettino del tavolo, insieme alle posate.

Olio – una grandissima trovata per questi luoghi =) – siciliano, come le origini dello chef in accompagnamento ad un eccellente pane a lievito madre.

Il primo piatto del menù fisso: Uova di lompo, daikon e mandorle. Gusto molto delicato ma con le tonalità dolci domate con grande maestria dall’amaro della mandorla. Le uova di lompo fungono da elemento salato. Un’apertura intelligente che lascia presagire i passaggi successivi del nostro percorso.

Cipolle al forno, crescione e pistacchio. Piatto tecnico, dall’intrigante impatto estetico e notevole nell’equilibrio tra elemento vegetale e contorni grassi.

Purea di patate, olive e latticello. Rustico e accattivante. Nessuna monotonia al palato grazie al lavoro svolto dalle olive. Puglisi è un vero maestro delle acidità naturali.

Carote, fiori di sambuco e sesamo. Fresco, aromatico e alle giuste temperature.

Il piatto principale è il Carré di maiale (provenienza locale, da Hindsholm, penisola danese) con carpaccio di topinambur. Grande qualità della carne e ottima concentrazione del fondo.

Dettaglio.

Ma il colpo d’ala arriva col dessert: Latte, alga kelp (anche conosciuta come kombu) e caramello. Minimalista nella presentazione; una giostra di sapori in bocca. Neutro, dolce, iodato, ancora dolce. Chapeau.

L’abbinamento: Préty ’10 – Alexandre Jouveaux, Uchizy, Mâconnaise.

Interni.


Ingresso.