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Dama Dama

Cucina maremmana d’autore

Dama Dama” è il nome scientifico del daino, l’imponente artiodattilo della famiglia dei Cervidi che popola questo tratto di costa dal Parco dell’Uccellina, poco più a nord, fino ai boschi dell’Argentario che circondano, appunto, l’Argentario Golf Resort & Spa a Porto Ercole.

Ma, oltre a tutto questo, Dama Dama è anche il nome del ristorante fine dining della struttura che, è il caso di dirlo, vanta un meraviglioso campo da golf 18 buche, sede della PGA Italiana. In ordine cronologico, anzi, è proprio dal campo da golf che questa storia prende inizio il cui resort fu concepito come naturale estensione, aperto anche agli ospiti esterni, avulsi dalla pratica dello sport in questione. Con una ulteriore evoluzione, perché se fino a due anni fa il Dama Dama era l’unico ristorante, condizione che lo piegava al soddisfacimento di molti coperti e, soprattutto, di molti compromessi, oggi, fortunatamente, non è più così. Per ovviare al problema, infatti, è stata aperta la Golf Club House che funge contemporaneamente da base tecnica per il campo da golf che come strategico punto di ristoro sia per i giocatori – è intelligentemente ubicata dopo la buca 9, in modo da poterla sfruttare per il pranzo, a metà giornata – che per gli ospiti dell’hotel.

Qui la proposta è semplice e, giustamente, solida e golosa: all-day-long è sempre disponibile un menù coi classici internazionali, dal club sandwich al cheeseburger, passando per qualche insalata, mentre piatti della tradizione maremmana si alternano a interessanti proposte del giorno; a cena, invece, è disponibile una carta un pizzico più articolata, in cui spicca qualche proposta di carne.

Un merito che non si esaurisce, tuttavia, nella proposta interna, perché è solo grazie al Golf Club House che il Dama Dama ha potuto alzare il proprio livello e trovare, così, la propria identità, più gourmet e dunque più a suo agio coi piccoli numeri. E difatti la cucina può finalmente spingere sull’acceleratore e offrire un’alternativa divertente e stimolante – sia intellettualmente che gustativamente – tanto per l’ospite resident che per quello esterno.

Leggerezza e attualità

Un’alternativa, insomma, estremamente brillante, studiata nei dettagli da uno chef solido e con le idee molto chiare, all’anagrafe, Emiliano Lombardelli. Uno chef estremamente preparato, accademico nel senso più puro e più nobile del termine: artefice di un classicismo sobrio e acuto che ricorda il modo d’intendere la tradizione che già fu di Gustav Mahler per il quale la “tradizione non è culto delle ceneri, ma custodia del fuoco“. Ed è così che al Dama Dama va in scena una cucina tradizionale maremmana leggerissima e sempre attuale, in grado di plasmarsi con agilità a seconda del momento della giornata: qui abbiamo cenato al venerdì con un menù a quattro mani, abbiamo fatto colazione al sabato, pranzato lo stesso giorno, preso l’aperitivo e, la stessa sera, il menù degustazione (oggetto della presente scheda), nonché la colazione del giorno successivo, il tutto senza mai accusare pesantezze né il minimo fastidio.

La proposta, ripartita tra mare e terra, è leggermente sbilanciata a favore del primo e non è un caso dal momento che il mare è l’elemento che lambisce l’Argentario da più parti, sebbene in un contesto, quello maremmano, in cui è la terra a farla da padrone. Dato dunque il peculiare contesto, s’è deciso di provarli entrambi.

Rimarchevoli si sono rivelati i bottoni di Caldaro dell’Argentario, a ragione considerati un signature dish dello Chef, estremamente territoriali e golosissimi ma, al contempo, eleganti ed equilibrati. Davvero notevoli, poi, i calamari in due consistenze, tiella di porcini e pak-choi, piatto dalle decise nuance autunnali ma estremamente fine e cesellato.

Capitolo a parte per i dessert, campo del giovanissimo pasticcere Marco Selis, memorabili sia nella loro versione tradizionale, pensiamo alla Mont-Blanc, che in quella più creativa come l’omaggio al cioccolato Amedei, con 7 varietà diverse di cioccolato rimontate e servite “a forma di Toscana”.

Oltre al ristorante, alcune note di merito: in primo luogo al servizio, elegante ma non formale, sempre cordiale e rilassato e, pertanto, rilassante. All’estetica complessiva della struttura, sensibile agli stilemi del design ma per nulla compassata o di maniera: anzi, in qualche modo gli architetti sono riusciti a creare uno stile molto personale e in perfetta continuità stilistica tra tutti gli ambienti.

Un luogo ricco di personalità e coerenza, insomma, che merita il viaggio e il pernottamento anche se non si è propriamente interessati al mondo del Golf.

La Galleria Fotografica:

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In un Paese sempre in cerca di personaggi dal granitico appeal mediatico e di enfant prodige da esibire come trofei in un salone, un personaggio schivo come Antonio Guida non è di facile collocazione. Non siamo soliti elogiare gli chef per qualità che non siano strettamente legate alla loro cucina, anche perché nella quasi totalità dei casi non li conosciamo al di fuori dall’ambiente che per loro è lavorativo e per noi luogo di perdizione calorica; possiamo però tranquillamente affermare come sia difficile non rimanere colpiti dal basso profilo, contrastante con la notevole statura, dall’umiltà e dalla calma dello chef salentino del Pellicano. La serenità che sembra accompagnare Guida, che per inciso fa pendant con uno dei luoghi più rilassanti dove si possa venire a passare qualche ora o per i più fortunati qualche giorno, si riflette in uno stile di cucina rotondo, tecnicamente perfetto e molto, molto ghiotto, cui si può imputare solo un’attenzione migliorabile all’estetica dei piatti. (altro…)


Questa è la storia di un cuoco molto speciale.
Il suo nome è Antonio.
Antonio si affaccia agli “anta” col sorriso sornione di chi la sa lunga e di fornelli ne ha visti dai suoi inizi in terra pugliese.
Il primo mentore, da buon italiano: la mamma. E non potrebbe essere altrimenti.
L’approccio al mondo della pasticceria con Raffaele Bello, e questo già spiega molto del suo stile di cucina oggi (non c’è niente da fare, l’arte pasticciera è più efficace dell’anno di naja per raddrizzare le schiene: obbliga alla precisione e dispone alla perfezione).
Poi qualche posticino così, en passant, Enoteca Pinchiorri, Don Alfonso, ma soprattutto due anni in cabina di regia al fianco di Pierre Gagnaire: un lungo viaggio nell’eccellenza e un colpo di fulmine per la grande cucina classica francese.
Dategli una scaloppa di foie e lui “si trasforma in un razzo missile, con circuiti di mille valvole … tra le stelle sprinta e va”.
Boom! Pare che una lièvre à la royale Pellicano-remix se la sognino anche i beneamati galletti.
Il 2004 e lo sbarco a Porto Ercole, località Sbarcatello per l’appunto, in quello che è uno tra gli alberghi più fascinosi ed esclusivi del globo.
Molto difficile in un ristorante stagionale formare una squadra rodata: troppo turn over per riuscire a costruire una sana amalgama.
Ma Antonio oggi ha tre angeli custodi: Costantino, Federico e Nicola. Sembrano una bella famiglia, perché in tutti e tre si avverte la serenità dei grandi. E una passione smisurata per il proprio lavoro.
Antonio, tutto di blu dipinto, è uno dei migliori cuochi in circolazione, e forse è arrivato il momento di gridarlo un poco più forte perché in pochi se ne sono accorti. In verità qualcuno la mano l’ha alzata, però non si capisce perché, quando si parla di grandi cuochi italici, questo omone non viene mai in mente. Poco mediatico?. Forse. O forse è solo questione di tempo.
Dicevamo che Antonio, o Antoine per gli amici francofili, ama la cucina classica d’oltralpe: salse tirate a regola d’arte su cui costruire mirabolanti invenzioni. La ama, ma come la può amare un pugliese: travestendola di verde, bianco e rosso in un connubio veramente unico.
Non è facile approcciarsi al Pellicano-World, perché devi sapere accontentare tante clientele diverse. Ma la magia del blu permette anche questo: leggibilità a più livelli, felicità democratica. Gourmet, gourmand, clienti occasionali: possono trovare tutti la loro chiave di lettura per stare bene a tavola.
La clientela, tutta, apprezza. Noi di più.
Qualcuno si chiederà il perché di questo voto.
Guida riesce a fare una cucina classica di alta tecnica in un contesto che non ha affatto questa cucina nel DNA, sapendo inserire in questa cornice ingredienti e abbinamenti totalmente contemporanei.
E’, in sostanza, molto più originale e unico di quanto possa sembrare a una prima lettura superficiale.
Ragioniamo per ipotesi: è come se trovassimo a Parigi uno chef francese che fosse un nuovo Pierangelini e che riuscisse a fare una cucina totalmente italiana, folgorante nella sua semplicità e non copiata, senza trascurare tocchi originali legati al posto in cui è e al momento in cui vive.
Una specie di animale mitologico insomma…
Lo diciamo: Antonio ha rapito il nostro cuore.
La sua è cucina di rassicurante solidità, quel lungo viaggio a velocità di crociera di cui non ci si stanca mai, coccolati da morbide spigolosità. Potremmo mangiare qui 30 giorni di fila senza problemi, e poi ancora e ancora.
Un classico moderno: basi di costruzione del piatto ben definite e poi contaminazioni a pioggia, dalle erbe, passando per le spezie, alla ricerca comunque e sempre di una leggerezza indispensabile in una grande cucina degli anni duemila.
E’ indubbiamente una foto a colori digitale ma non sapresti datarla con precisione.
E quando credi che niente possa alzare ulteriormente l’asticella, arriva una pasticceria da fuoriclasse. La migliore pasticceria classica godibile in un ristorante italico. Senza se e senza ma.
Alcuni amici di PG ci parlano di qualche affanno tra servizio e cucina in altissima stagione, quando sala e albergo lavorano a pieno regime.
Ma noi ci sentiamo di premiare questo chef che abbiamo visto crescere negli ultimi anni in maniera costante.
Allora rinunciamo a fare conti, a cercare inutilmente macchie dove splende l’eccellenza.
Rassegnati all’unica conclusione possibile.
Nuntio vobis guaudium magnum. Antonio Guida (executive chef), Federico Dell’Omarino (sous chef), Nicola Di Lena (pasticcere), Costantino Russo (restaurant manager): il Pellicano è in vetta.

Collo di pollo farcito di fegato, garusoli e alghe nori

Verdure del tempo nuovo con tartufi di mare, cipolla marinata al karkadè; brodo di lumachine di mare


Astice blu arrosto con salsa al marsala, crespino, patate affumicate e tè verde matcha

Risotto al nero di seppia e salvia con calamaretti spillo e crema di riso alla curcuma

Strigoli al grano arso con gamberi, crema di peperoni ai cetrioli e vodka

Nasello con brandade di baccalà, cappuccino allo shiso e cannolicchio con vongole e lumache di mare

Filetto di manzo servito rosa con crema di erbe alla malva e lumache

Piccione affogato con fegato grasso, crema di mais e brioche, ananas al lime

Ricci di mare, latte di cocco, gelato allo zenzero, tapioca e piselli al wasabi

Fragole al lime con pain perdu e gelato all bran

Tortino al pistacchio e fior di sale con gelato al latte

Questa recensione aggiorna la precedente  valutazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Si chiamasse Antoine Guide, probabilmente ne parleremmo di più. Riflettendo sull’esterofilia di cui siamo spesso accusati, l’unico caso in cui mi sento davvero di fare un mea culpa è quello di Antonio Guida. Uno chef che, per caratteristiche personali e per la scelta di lavorare in uno splendido hotel a picco sul mare del quale il ristorante è solo uno dei pregi, non è mai citato quando si parla dei grandi cuochi italiani di oggi.
La sua riservatezza e lo stile della sua raffinata cucina, di chiarissima impronta transalpina, non ne fanno certamente il modello ideale per incarnare lo chef mediatico dei nostri tempi.
Va detto però chiaro e forte che oggi al Pellicano si può provare una straordinaria cucina d’impronta classica, con punte di qualità e precisione che collocano Antonio Guida tra i migliori di casa nostra.

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Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

La classe e la gentilezza non sono acqua.
Il Pellicano, splendido ristorante dell’omonimo Relais e Chateaux in quel di Porto Ercole, è chiuso a pranzo.
Lo apprendiamo al momento della prenotazione.
Rispetto all’anno scorso, neanche a maggio mantengono il servizio di mezzogiorno.
A quell’ora è aperto solo il bistrot con i piatti più semplici per gli ospiti dell’albergo e non solo.
Poffarre. Per noi è un problema venire di sera per poi rientrare a Roma.
Lo facciamo presente. Nel giro di un’ora, previa consultazione con lo chef, veniamo accontentati con nostro grande giubilo.
Mangeremo alle 13 in terrazza col menù del ristorante gourmet.

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