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Relais Le Jardin

Ritorno al passato

Scorre inesorabile il tempo, trascina nell’oblio figure e ricette che pure hanno segnato l’orizzonte gastronomico moderno. Così, nel presente ormai incurante della memoria storica, sfugge ai più quello che a fine anni ottanta fu il primo indirizzo di Roma a essere premiato con due stelle Michelin: il Relais Le Jardin del Lord Byron Hotel. Oggi, il fine dining della “Bomboniera Bianca” è oggetto di una renovatio ambiziosa che punta a rivivere i fasti dell’haute cuisine di successo. Con quest’idea, l’ultima parentesi gestionale della famiglia Ottaviani ha rispolverato nome e progetto del vecchio Relais per affidarne le sorti al navigato cuoco ligure Massimo Viglietti, già noto in città quale unico (ex)interprete stellato dell’enoteca Achilli al Parlamento.

Il nuovo capitolo ha visto il salotto-bar di una volta diventare palcoscenico peculiare, quasi surreale, onirico: in un ambiente raccolto e ovattato, dal glamour stravagante in Art Déco, il “Pirata di Alassio” — epiteto assegnato allo Chef — sfoggia comanda dopo comanda la sua playlist di musica rock.

Prospettiva punk-dadaista

Il cuciniere del Savonese è uno spirito libero che non si lascia trascinare dalle correnti culinarie recenti, esprimendo una visione più che personale, sospesa nel tempo e priva di connotazioni spaziali circoscritte. Mette quindi a dura prova chiunque tenti di etichettarlo. Eppure, un asse di gastro-ispirazione cosmopolita emerge in superficie: Francia-Liguria-Giappone. Ne suggerisce il richiamo un piatto che racconta dei trascorsi di Viglietti (Marchesi, Bocuse e Vergé) e del suo omaggio alla “Cucina Bianca”(per il colore dei viveri che i pastori portavano in transumanza sulle Alpi Liguri e Marittime); si tratta del Cremoso di brie, oro, lievito croccante, lardo e pepe Asakura Sansho, che con la sua vulcanica opulenza offre un caleidoscopio di gusto che ben rispecchia lo Stile 1925 degli interni. A seguire, del menu “Viaggio” di sette portate, i primi sanno davvero toccare le corde giuste: le Conchigliette di pasta, francesi nella “forma” ma senza sovrastrutture nella sostanza, riescono a scovare il fanciullino nascosto di ognuno, sedotto da una burrosità avvolgente, sostenuta nel suo passo agrumato e temperata solo dalle spinte sapide e affumicate dello speck d’anatra; oppure, il Riso al brodo di legno che, tostato a secco e non mantecato, si rivela austero ma elegante, aggraziato nella sua essenza amaricante dalla dolcezza dell’agnello, sfoderando qui una cifra stilistica più contemporanea. Dunque, “essere e non apparire”. In tutte le sue manifestazioni. Senza se e senza ma. È questo il principio guida dell’alassino. Una pressoché sfrontata dimensione autoriale viene poi messa ulteriormente in luce sia dalla rivisitazione del McChicken (in tal caso petto e raviolini di faraona con popcorn al posto delle patatine) sia dallo “Snupuz”(un “sorbetto-non sorbetto” dato in realtà da un barattolo vuoto che dona un apporto aromatico-retrolfattivo di preparazione al dessert). Ecco irrompere quel profilo culinario controverso che richiede sensibilità ma anche di “stare al gioco”, il suo. Con verve dissacrante, mette allora in discussione i canoni classici e le logiche convenzionali (il pomodoro viene qui proposto come un dolce); respinge alcune categorie (“la piccola pasticceria è diventata puro orpello”), come rifugge dal feticismo dell’estetica e della tecnica. In una certa misura, la cucina contro la cucina stessa. Non è da escludere pertanto che in alcuni piatti al Relais Le Jardin l’idea fagociti l’esecuzione.

Poco importa”, direbbe l’artefice volendo parafrasare il titolo colorito di una canzone del C.S.I. a lui cara. D’altronde, the show must go on; nella sala borghese, si accendano i riflettori: la provocazione punk-dadaista è servita.

IL PIATTO MIGLIORE: Risotto al brodo di legno amaro e agnello.

La Galleria Fotografica:

Una cena da Massimo Viglietti è sempre un momento di stimolo e di riflessione, ma a volte è anche foriera di spiazzanti perplessità.
In un mondo gastronomico progressivamente omologato a stili meccanicamente riproposti, e che sfrutta fino all’osso format che spesso mostrano la corda, varcare la soglia dell’Enoteca al Parlamento rappresenta una salutare sferzata per chiunque voglia provare qualcosa di veramente diverso.

L’entrata del ristorante di per sé rappresenta già una particolarità: sembra di essere in una di quelle piccole cattedrali esclusivamente consacrate al culto del vino, un sancta sanctorum con bottiglie disposte in ogni dove, capaci persino di creare imbarazzo per potenzialità delle scelte possibili, varietà di annate nonché per l’accessibilità dei prezzi.
Nulla di sorprendente in realtà, trovandoci in effetti in una vera e propria enoteca costruitasi nel corso dei decenni, e depositaria di una certa notorietà già prima di entrare nella cerchia dei ristoranti di valore.
In fondo ecco poi la piccola saletta, dove quattro-cinque tavoli rappresentano il palcoscenico dove avviene il vero scarto, la vera e propria virata.

Qui, da poco più di due anni, in contrasto con l’austera solennità dell’ingresso, quasi che esso ne rappresenti l’ingegnoso trompe l’oeil, un inganno dissimulatore, la cucina di Viglietti, non più profeta in patria in quel di Alassio, va in scena a due passi dal Parlamento, per la fortuna degli avventori romani.
Per goderne appieno l’atteggiamento migliore sarebbe quello di liberarsi da tutti i lacci che possono tenere legati a trascorse memorie di rassicuranti traiettorie gustative. Ci si trova di fronte a una personalissima anarchia dettata da autentica ispirazione e permeata di profonda sensibilità e cultura gastronomica, la cui unica bussola è rappresentata dal proprio sentire, senza ostacoli di sorta che siano distinzioni dolce-salato o la progressione cronologica antipasto-dessert.
Considerato tale tumulto ragionato ci appare doveroso abbandonarsi per godere dell’estro creativo dello chef senza preclusioni di sorta verso il mai banale e mai scontato luna park vigliettiano.
In quest’ottica il menù degustazione è sempre apparso come il passepartout ideale per avere un’idea, la più compiuta possibile, del suo concetto di cucina.

I vari percorsi non annoverano fra i loro pregi però quello della costanza, presentando a volte notevoli differenze anche all’interno dello stesso menù, in cui la concezione di alcuni piatti sembra difettare di senso della misura, intesa non come limite, bensì come confine oltre il quale anche una grande idea perde l’attributo dell’eccellenza per qualificarsi piuttosto come occasione non adeguatamente sfruttata. Per questa ragione siamo dovuti tornare sui nostri passi, ponendo più coerentemente l’Enoteca al Parlamento ad un livello più consono allo stato attuale del risultato altalenante espresso da molti passaggi quest’anno.
Tanto per intenderci nella nostra ultima esperienza la dolcezza caratterizza sia l’entrée del gelato alle acciughe che soccombe di fronte a pinoli e peperoni sia l’insalata di spinaci con lingua di vitello e baccalà che sarebbe un piatto di grande livello se la componente ferrosa della verdura, quella grassa della carne e la sapidità del pesce non fossero dapprima accompagnate e poi, appunto, sovrastate dalla dolcezza della composta di lamponi.
Allo stesso modo la trota confit con salsa di nocciole, spinaci e ravanello vede l’equilibrio travalicato dalla nota eccessivamente dolciastra della salsa.
Altri piatti sono invece pura testimonianza della classe cristallina di un grande chef come Massimo Viglietti: il dentice marinato nello yuzu con tapenade di cioccolato bianco, olive e polvere di pesto in altre mani avrebbe potuto essere una bomba a orologeria, e invece resta un mirabile esempio di maestria gastronomica, goloso ma elegante, rustico e raffinato al contempo.
Idem il piatto con spugnole, ingrediente molto amato dallo chef, foie ed emulsione di albicocche.

Tecnica come sempre inappuntabile al servizio di un’autorialità a volte straripante e impulsiva ma sempre fedele alla propria visione di cucina.
A quanti chef verrebbe poi in mente di portare un barattolo vuoto con uno straordinario concentrato di menta piperita da annusare per resettare il naso prima del dolce?
Un dolce in cui le diverse e più svariate note balsamiche, che contemplano perfino una sigaretta elettronica, ne rappresentano coerentemente la chiave di lettura.

Noi che apprezziamo l’istintiva costruzione dei piatti di Massimo Viglietti non possiamo non tenere conto dell’altalenante riuscita degli stessi che catalogano comunque la sua tavola come una delle più interessanti a Roma, dove appassionati, e non, di alta cucina troveranno sempre mille opportunità di riflessione e divertimento.

Mise en place.

Mise en place, Enoteca al Parlamento,Chef Massimo Biglietti, Roma
Pane.
pane, Enoteca al Parlamento,Chef Massimo Biglietti, Roma
Gelato di acciughe, pinoli e peperoni confit.
Gelato, acciughe, Enoteca al Parlamento,Chef Massimo Biglietti, Roma
Insalata di spinaci, baccalà, lingua di vitello, lamponi.
insalata, baccalà, Enoteca al Parlamento,Chef Massimo Biglietti, Roma
Dentice marinato nello yuzu, tapenade di olive e cioccolato bianco, polvere di pesto, carota e frolla.
dentice, Enoteca al Parlamento,Chef Massimo Biglietti, Roma
Cremoso di rognone su vellutata di patate al gin, gambero scottato.
cremoso, rognone, Enoteca al Parlamento,Chef Massimo Biglietti, Roma
Trota confit salmonata, polvere di patate sbriciolate, salsa alla nocciola e rapanello, spinaci.
Trota, Enoteca al Parlamento,Chef Massimo Biglietti, Roma
Spugnole, foie ed emulsione di albicocche e limone (sapientemente acida), shiso.
spugnole, Enoteca al Parlamento,Chef Massimo Biglietti, Roma
Spuma di limone e bottarga e riduzione di Campari, sbriciolata di lamponi, semi di lino, girasole e zucca. Grande classico dello chef.
spuma di limone, Enoteca al Parlamento,Chef Massimo Biglietti, Roma
Un sorbetto per il naso: essenza di menta piperita per pulire il naso.
sorbetto, Enoteca al Parlamento,Chef Massimo Biglietti, Roma
Gelato alle Fisherman’s friends, frolla acidula di frutti rossi, infusione di diversi tipi di menta e pepe ed erbe balsamiche, caramella sukai alla liquirizia, sigaretta elettronica.
erbe balsamiche, gelato, Enoteca al Parlamento,Chef Massimo Biglietti, Roma
Petit fours.
petit fours, Enoteca al Parlamento,Chef Massimo Biglietti, Roma
Posate.
posate, Enoteca al Parlamento,Chef Massimo Biglietti, Roma
Con noi al tavolo…
champagne, Enoteca al Parlamento,Chef Massimo Biglietti, Roma
Particolare della sala.
sala, Enoteca al Parlamento,Chef Massimo Biglietti, Roma

Negli ultimi anni la scena gastronomica romana si è dimostrata molto vivace, concentrandosi su due tipologie principali di locali. Molti sono i ristoranti in cui si è data grande importanza alla parte architettonica, replicando in maniera più o meno riuscita modelli di successo nati altrove, abbinandola con un’offerta di cucina tutto sommato in secondo piano anche se imbellettata con formule stereotipate per essere “alla moda” (km0; “naturale”; locale multifunzionale; cucina di strada); più rari, quelli in cui si è riusciti a proporre, in salsa nostrana, la stessa filosofia dei neobistrot d’oltralpe, cioè materie prime povere ma cucina non banale e capace di superare o reinterpretare in maniera non scontata tradizioni e territorio.
Quello che è mancato, con l’eccezione di alcuni grandi hotel meritori, sono tavole dove, davvero, incontrare degli “autori”, dei grandi chef fuori dal coro, capaci di far divertire anche gli avventori più smaliziati.
Per questo motivo, l’arrivo a Roma di Massimo Viglietti va salutato con sincero entusiasmo ed è, a nostro avviso, una delle migliori notizie di quest’anno.
In una cornice di eleganza decisamente retrò, spicca ancora più forte il contrasto con una cucina, viceversa, davvero mai vista, tanta è la personalità di uno chef che non si rifà a nessun altro. Un grado di originalità raro da trovare non solo nella capitale, che giustifica gli alti e bassi che, inevitabilmente, si sperimentano quando il livello di rischio è così alto.
Il menù degustazione, “wish you were here”, è, in ogni piatto, psichedelico, con contrasti, associazioni, nuance mai banali, mai già viste. Talvolta la costruzione si fa talmente complessa che ci si perde; in alcuni casi l’impiattamento (quasi mai bellissimo) richiede attenzione al commensale nella ricerca della combinazione migliore delle varie componenti. Mai, però, si cade nel déjà-vu, nella strizzata d’occhi ruffiana, men che meno nell’errore tecnico, perché la mano di Viglietti è sapiente.
Già folgorante è l’avvio: spinaci crudi, baccalà, foie gras d’anatra ed emulsione di balsamico. Un caleidoscopio che pare improbabile sulla carta e invece resta miracolosamente in equilibrio.
E gli altri piatti rischiano altrettanto, alcuni con grande successo (le cozze e fagioli), altri con meno fortuna (le polpettine di guancia, al cui equilibrio sarebbe indispensabile per ogni boccone il sapido brodetto di cottura servito però a parte, col consiglio di berlo alla fine) sempre però facendo pensare, spiazzando.
Anche sui dolci, personalità da vendere, e la banana con spugnole, meringa e gelato alle giuggiole vola dritto nell’empireo dei dessert dell’anno.
Spiace aver cenato in una sala desolantemente vuota, nella quale, peraltro, è possibile muoversi alla ricerca della bottiglia preferita, in un’offerta amplissima e prezzata in modo da far felici gli appassionati. Spaziando in un’offerta d’oltralpe ampia e non banale, si possono pescare chicche come il Nuit 1er cru 2006 di Prieuré-Roch che ci ha accompagnato (a 88 euro…) e anche le proposte italiane sono tante e non solo tra i nomi più noti, con grande profondità di millesimi.
Il voto è il risultato di una difficile media tra picchi anche superiori e qualche esito meno convincente, ed è soprattutto il riconoscimento di una statura di grande interprete cui si augura un meritato successo.

Gli amuse-bouche
amuse bouche, Enoteca al Parlamento, chef Massimo Viglietti, Roma
amuse bouche, Enoteca al Parlamento, chef Massimo Viglietti, Roma
Il pane, ineccepibile
pane ineccepibile, Enoteca al Parlamento, chef Massimo Viglietti, Roma
Insalata di spinacio crudo, baccalà e foie gras d’anatra, emulsione di balsamico
insalata di spinacio, Enoteca al Parlamento, chef Massimo Viglietti, Roma
Cozze al naturale, taccole, frutta secca e cioccolato a scaglie. Una riuscita fenomenale
cozze al naturale, Enoteca al Parlamento, chef Massimo Viglietti, Roma
Acciughe e agretti in frittura, robiola e marmellata di cedro, pomodorini alla bottarga, olio emulsionato al limone, riduzione di campari
acciughe agretti, Enoteca al Parlamento, chef Massimo Viglietti, Roma
Seppie saltate in padella con guanciale e olive, carciofo alla roma. Strizzata d’occhio al territorio, meno stimolante del resto della cena ma eseguita con perizia
Seppie salate, Enoteca al Parlamento, chef Massimo Viglietti, Roma
Triglia in frittura, formaggio di capra, fave, piselli e asparagi. L’anarchia nel piatto; trova la sua quadratura, per noi, solo alla fine, quando finalmente mescoliamo tutti gli ingredienti nel piatto e nel contorno (spezie, funghi, peperone ecc.)
triglia in frittura, Enoteca al Parlamento, chef Massimo Viglietti, Roma
Polpettine di guancia di vitello impanate e fritte, peperoni gialli e rossi, sedano rapa e, a parte, brodetto di riduzione di cottura (indispensabile all’equilibrio soprattutto in termini di sapidità)
polpettine di guancia di vitello, Enoteca al Parlamento, chef Massimo Viglietti, Roma
Dulcamara: cioccolato, olive e ricotta di bufala.
cioccolato, ricotta e olive, Enoteca al Parlamento, chef Massimo Viglietti, Roma
Banana con spugnole, meringa e gelato alle giuggiole: un colpo di genio, per un dolce memorabile.
banana con spugnole e meringa, Enoteca al Parlamento, chef Massimo Viglietti, Roma

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Recensione ristorante.

Il Palma di Alassio si avvia a completare il primo secolo di vita.
Un lungo percorso dove il ricambio naturale delle persone e l’evoluzione delle loro idee non si è mai fermato. La generazione al timone dell’istituzione Alassina , rappresentata oggi da Massimo Viglietti e Signora, ha da tempo abbandonato la linea di cucina che tanti riconoscimenti ottenne nel corso dei passati decenni. Oggi, in questo locale , piaccia o no, è possibile nutrirsi solo di idee anticonformiste trasformate in composizioni edibili solleticanti o spiazzanti.
Non per bizzarria fine a se stessa, quanto per esprimere un concetto cerebrale che si stacchi da ogni conformismo, che esca da ogni tracciato confortevole, da ogni percorso collaudato e funzionale pressoché in ogni altro locale ligure.

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