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The Quarantine’s Club – Aviation

Aviation

Nuovo episodio di Quarantine’s Club, eccoci a parlare di un cockatil che negli ultimi anni ha purtroppo subito suo malgrado una parabola discendente di popolarità, nonostante resti un drink eccellente nella sua eleganza, con una piccola e inconfondibile particolarità: ecco a voi il protagonista di oggi, l’Aviation Cocktail.

Drink della famiglia dei Martini, le prime notizie dell’Aviation risalgono all’inizio del novecento, e la sua prima comparsa ufficiale avviene nel 1916, quando Hugo Esslin ne trascrive la ricetta all’interno del libro Recipes for Mixed Drinks.
Non vi sono – come sempre – notizie certe in tal senso, ma il suo nome ed il suo classico colore azzurro si dice siano degli omaggi, per alcuni ai piloti dell’aviazione della prima guerra mondiale, secondo altri al mondo dell’aviazione in generale, pionieristico ai tempi.

Storia curiosa quella della ricetta: la composizione originale del 1916 vede come ingredienti il gin, il succo di limone, il maraschino e la crème de violette, colei a cui è dovuto il classico colore azzurro/violetto.
Durante gli anni del proibizionismo, e la relativa fortissima restrizione sulla produzione e la commercializzazione degli alcolici, la crème de violette sparì letteralmente dal mercato, costringendo i bartender a codificare una ricetta priva di essa (e priva quindi anche della tonalità azzurra): il mitico Savoy Cocktail Book di Harry Craddock, datato 1930, riporta la
ricetta solamente con gin, succo di limone e maraschino.

E’ solo ai giorni nostri, nei primi anni duemila, che la crème de violette è ricomparsa sul mercato, e grazie ad essa alcuni barman ricominciarono a proporre l’Aviation nuovamente completo di tutti i suoi ingredienti – e tutti i suoi colori – al posto giusto.
A distanza di qualche anno diversi produttori hanno ricominciato a proporla nei loro cataloghi, al punto che nell’ultimo ricettario IBA è stata reinserita ed ufficializzata la ricetta originale: 45 ml di Gin, 15 ml di Maraschino, 15 ml di Succo di Limone e 1 bar spoon di Crème de Violette.

Nel dettaglio noi abbiamo utilizzato 45ml di Gin Fifty Pounds, il classico Maraschino di Luxardo, il succo di un limone di Sorrento e la Crème de Violette di Bitter Truth.
Inserire tutti gli ingredienti in uno shaker, preventivamente colmato di ghiaccio grossolanamente tritato. Shakerare una trentina di secondi e filtrare in una coppetta fredda da freezer (o pre-raffreddata con alcuni cubetti di ghiaccio).

Varianti

Avendo una variante “ufficiale” nella propria storia, la prima che vi suggeriamo di provare è proprio questa, ovvero quella senza la Crème de Violette. E’ realizzabile alla stessa maniera del drink precedente, semplicemente omettendo il quarto ingrediente: utilizzeremo quindi 45 ml di gin, 15 ml di succo di limone e 15 ml di maraschino. Rinunceremo però non solo al bel colore, ma anche alle eleganti note floreali della violetta.

Un’altra variante, quella dal risultato più contemporaneo, è quella che vede l’omissione (parziale o totale) del Maraschino, ed è quella che a gusto preferiamo.
Il Maraschino è per sua natura estremamente dolce, ed apporta al gusto del drink certamente una buona complessità, ma attraverso note dolci e “calde”, un po’ agée.
Per provare una variante più attuale, potreste provare semplicemente a ridurre la quantità di Maraschino, oppure a rimuoverla completamente inserendo un bar spoon di sciroppo di zucchero, per bilanciare l’altrimenti eccessiva acidità del succo di limone.
Sempre per piccoli passi e tentativi, potreste provare ad aumentare lievemente (7.5 ml anziché 5) la quantità di Crème de Violette, insieme allo sciroppo di zucchero, in modo da provare ad amplificare la nota floreale, prestando attenzione a non sconfinare -nuovamente – nel troppo dolce.

Martini

Parlando del Manhattan, abbiamo nominato la “sacra triade” del cocktail bar. S’intenda, nulla di precisamente definito o codificato, ma nessuno potrà mai dirvi il contrario: le tre colonne portanti, i tre cocktail più famosi della mixology mondiale, sono senza alcun dubbio il Manhattan, l’Old Fashioned e quello che probabilmente è il più importante – senza dubbio il più iconico – dei tre, il Martini.

Come già detto non amiamo sviscerare e addentrarci troppo nella storia dei cocktail, e lo amiamo ancor meno quando parliamo di veri e propri monumenti quale è il Martini. Le attribuzioni sulla presunta nascita e relativa paternità sono a decine, tutte per di più condite dall’aura mistica/iconica (una su tutte, lo “shaken, not stirred” di bondiana memoria) che negli anni hanno aiutato a costruire e alimentare il mito.

Insomma il Martini è, vogliate concederci il paragone, il Rolex Daytona dei cocktail. Se ne potrebbe parlare per ore, ma tra appassionati basta una parola per intendersi su tutto un micro-mondo.

Potete ben capire, quindi, come parlare del Cocktail Martini risulti imbarazzante, dato questo alone di mitologia che si porta dietro; un cocktail dalla semplicità spiazzante, ma che nel tempo è diventato un vero e proprio must. Un drink che riesce a trascendere il “mi piace/non mi piace”, che va oltre la semplice posizione di amore o odio, ma che vede una vera e propria fazione, dalla sua – i martiniani – che codificano un preciso stile di bevitore.

Dichiararsi tali a un bartender, quasi fosse una religione, fa sì che scattino in automatico una serie di dinamiche tali da non rendere necessarie ulteriori spiegazioni. È un vero e proprio benchmark, che permette di far capire dall’altra parte del bancone, con una sola parola, quali sono i cocktail della carta che apprezzerai e quali evitare anche solo di proporti.

Abbiamo parlato di semplicità, perché il Martini altro non è che del Gin in purezza, sporcato da una goccia, poco meno, un sospetto di Vermouth dry.

La sua versione codificata IBA è il Dry Martini, ma di versioni ce ne sono a centinaia, rientranti in decine di scuole di pensiero in merito al suo stile. Paradossalmente, nonostante la sua semplicità intrinseca, è praticamente impossibile trovare due Martini uguali tra loro, ed è uno dei drink più difficili da preparare a casa: se è vero che un Gin&Tonic bene o male viene sempre buono, fare in casa un Martini degno del suo nome è affare alquanto complesso.

Passando dagli orologi alla cucina, concedeteci un secondo paragone: il Martini è lo “spaghetto al pomodoro” dei cocktail, semplice solo sulla carta.

La ricetta IBA del Dry Martini prevede 60 ml di Gin e 10 ml di Vermouth Dry, inseriti entrambi in un mixing glass, raffreddati una trentina di secondi e filtrati in una coppetta Martini, con la finitura di una zest di limone o un’oliva.

Per di più, soltanto nei cocktail IBA le varianti a base Martini sono non meno di una quindicina.

Per complicare le cose, partendo dalla ricetta del Dry, si apre una sorta di infinito diagramma a blocchi: gin più o meno secco, variante con la vodka, vermouth più o meno dry, vermouth inserito nel drink o “in&out” solo a profumare il ghiaccio, stirrato o shakerato (grazie Fleming…), nella variante Espresso/Pornstar/Dirty/French/Vesper/Hemigway, con zest di limone, oliva o entrambe… ce ne sarebbe veramente da scriverne un libro, e talmente tante varianti da cucire un Martini (quasi) su ogni cliente.

Per cercare di fare un po’ di chiarezza in questo mare alcolico abbiamo chiesto a uno che di Martini se ne intende: Lucio D’Orsi, proprietario ed Head Bartender nientemeno di un locale di nome Dry Martini a Sorrento, dedicato, come è facile immaginare, al Re dei cocktail. Un locale che tra le molteplici e interessanti proposte vanta la Carta dei Cento Martini, ovvero cento varianti codificate sul tema Martini.

Il consiglio di Lucio per tentare di replicare un buon Martini domestico è di provare il Direct Martini, invenzione di “The Maestro” Salvatore Calabrese, bartender dal curriculum che riesce ad essere più ricco di aneddoti ed esperienze dello stesso Martini Cocktail.

Racconta Calabrese di un esigente (e particolarmente pignolo) cliente che voleva un Martini “molto secco e molto freddo”, ma quando gliene veniva servito uno molto freddo, il metodo di raffreddamento in mixing glass faceva sì che il drink si diluisse e perdesse la sua componente dry. Viceversa, quando veniva data la priorità al lato dry del cocktail, esso non era abbastanza freddo.

Calabrese quindi  pensò a un metodo per rispondere a entrambe le richieste, con una semplicità a tratti comica: pose in freezer per 48 ore una bottiglia di Gin, insieme a una coppetta Martini. Solo al momento del servizio li tolse dal freezer, versando 60 ml di Gin nella coppetta pre-raffreddata, e sporcando il drink con un cucchiaino di Vermouth Extra Dry. Così facendo, servì un perfetto Martini mantenendo fede a entrambe le richieste: “molto secco e molto freddo”.

Estremamente semplice e diretto, “Direct” perché tutto viene inserito direttamente nel bicchiere. Noi lo abbiamo realizzato con il re dei Gin, il secco e meraviglioso Crown Jewel di Beefeater, finito da un cucchiaino scarso di Martini Extra Dry e una scorza di limone, prima strizzata sulla superficie del cocktail e poi inserita a lato dello stesso.

Varianti

Proporre una variante del Martini, per gli innumerevoli motivi di cui abbiamo parlato sopra, non è certo affare per deboli di cuore: scegliendone una se ne omettono a decine altrettanto interessanti o importanti. Noi ci abbiamo voluto comunque provare, proponendone una versione comunque agilmente realizzabile a casa, molto caratterizzata e ben codificata, ma soprattutto adatta da proporre a chi trova il Martini classico eccessivamente secco: eccovi il Breakfast Martini.

Iniziamo con il premettere che l’inventore del Breakfast è, ed è un caso (o forse no), sempre Salvatore Calabrese.

Viene realizzato shakerando 50 ml di Gin, 15 ml di Triple Sec, 15 ml di succo di limone, e 1 bar spoon di marmellata di arance.

Noi abbiamo utilizzato il come da ricetta 50 ml di Star Of Bombay, unito a 15ml di Cointreau, del succo di limone spremuto fresco e un bar spoon (o due cucchiaini da caffé, se non disponete dello stirrer) di marmellata di arance Callipo, avendo cura di evitare i pezzi di scorza troppo grossi per non rischiare di occludere i fori filtranti dello shaker. Inserire, appunto, tutti gli ingredienti nello shaker, riempito come sempre a metà di ghiaccio. Shakerare per trenta secondi, servire in una coppetta Martini ghiacciata e finire sempre con una scorza, ma questa volta di arancia.

Mai come in questo periodo è possibile assistere ad una semplificazione dell’offerta gastronomica, certo sempre alquanto sfaccettata ma con buona parte delle proposte che volgono ad un approccio “smart” alla tavola. Un tripudio di bistrot in tutte le salse, ristorantini con carte semplici e stringate, enoteche con cucina, fino ad arrivare ai food truck; tutti luoghi dove è possibile mangiare -alle volte anche bene- con una cifra congrua, spesso conveniente, ma senza troppi orpelli.
Questo trend è sovente riscontrabile nei centri delle grandi città, dove i costi degli affitti gravano in maniera decisa sullo scontrino e, per far sì che il conto finale si mantenga in una media accettabile, è necessario smussare le altre voci di spesa.

Ora prendete questa premessa per intero, gettatela nel cestino, e pensate all’esatto opposto.

Un’operazione mastodontica, più unica che rara nel panorama italiano. Tre interi palazzi storici, in una delle più eleganti zone del centro di Milano (praticamente a ridosso della Scala), profondamente ristrutturati ed uniti armoniosamente per creare il primo, magnifico Mandarin Oriental sul suolo italico.
I lavori di realizzazione hanno richiesto più tempo del previsto ma, una volta calate le coperture, quel che vi si celava sotto ha lasciato tutti senza parole.

Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano

Il filo conduttore è uno solamente: nessun compromesso.
L’ingresso, i cortili, il personale, le camere, i materiali utilizzati, i servizi… tutto è stato pensato, scelto e realizzato con il solo scopo di offrire la massima qualità possibile.
In questo tripudio di assoluta eccellenza, l’aspetto ristorativo non è certo tenuto in secondo piano, anzi, gioca un ruolo da vero protagonista: se da una parte troviamo uno dei cocktail bar già più in vista della città, e dall’altra un bistrot frequentatissimo, il vero e proprio fiore all’occhiello, la primadonna, è il ristorante gastronomico della struttura, Seta.
Com’è possibile, in così poco tempo dall’apertura, mandare a regime uno dei migliori ristoranti che la città ricordi?
Semplicissimo: identifica i migliori e più adatti allo scopo, falli tuoi, e mettili in condizioni di esprimersi al meglio.

Proprio per questo in cucina non c’è solamente uno chef di grido, ma un’intera squadra, talentuosa ed affiatata: l’executive è Antonio Guida, uno tra i nomi più importanti nel panorama della cucina classica nostrana, insieme al suo fido secondo, Federico Dell’Omarino, ed al loro capo Pasticcere, Nicola Di Lena, la massima espressione del dessert in chiave italiana.
Una squadra così unita, già da anni fianco a fianco al Pellicano, non ha praticamente richiesto tempi di rodaggio, partendo subito a rotta di collo, con un livello che si è dimostrato altissimo fin dai primi servizi.

E la loro cucina è probabilmente la più adatta alla tavola di un grande hotel di respiro internazionale: classica, fine ed equilibrata, dai contrasti armonici, mai astratta o cerebrale anzi, materica e di sostanza, senza per questo mai scadere nel dozzinale, rimanendo costantemente elegante e sussurrata. Una cucina dagli innumerevoli livelli di lettura, tutti straordinariamente appaganti e, proprio per questa sua caratteristica, è davvero molto difficile trovare qualcuno a cui questi piatti non piacciano, o anche che soltanto non ne rimanga pienamente soddisfatto.
Una strabiliante grande table in chiave tricolore, a cui forse manca soltanto un pizzico di ulteriore finezza e di cura nell’impiatto per scendere nell’arena -ad armi pari- con i grandissimi a livello mondiale. Non ultimo gioverebbe una sorta di ricerca dello spunto, della ruvida imprecisione stilistica, dell’accelerazione in dissonanza di qualche ingrediente, senz’altro un bene come contrappunto all’iperclassicismo imperante di questa cucina.
Ma riflessioni del genere, a soli tre mesi dall’apertura, suonano indubbiamente come un pregio, prima ancora che un difetto.

Data la cura al dettaglio globale, d’eccellenza non è solo l’aspetto meramente gastronomico, ma anche l’importantissimo -e spesso trascurato- diretto contatto con il cliente. In sala troviamo il bravo Alberto Tasinato, giovane ma tra i più brillanti e capaci maître di casa nostra, che coordina una squadra in grado di girare anch’essa già in armoniosa sincronia. Non un tempo sbagliato ed un profluvio di accortezze, sorrisi, consigli e parole giuste.
Carta dei vini già interessante e di spessore, con oltre 700 etichette e un’ampia scelta di vini al calice. Ricarichi, com’è facile immaginare, necessariamente allineati al luogo.

In definitiva, un luogo davvero imperdibile, uno tra i pochi indirizzi in grado di catapultare il cliente oltre il concetto di “ristorante”, riuscendo a soddisfare in contemporanea palato, spirito ed ego, in un affascinante e inimitabile turbine epicureo.

Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
L’amuse bouche: capasanta cotta e cruda, bisque e gocce di yuzu.
amuse bouche, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Il pane, una sola eccellente versione di Altamura, autoprodotta.
pane, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Il burro, in due versioni: salato classico ed un concentrato (e magnifico) burro alle alghe.
Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
La prima portata.
Cavolfiore con salsa al latte di mandorla, succo di yuzu e frutti di mare.
Equilibratissimo il croccante/amaro della mandorla, la lieve acidità dello yuzu e la freschissima sapidità dei frutti di mare. Partenza in quarta.
Cavolfiore, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
La bottiglia che ci accompagnerà per la serata.
Krug, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Astice blu arrosto con zabaione, capperi, patate affumicate e tè Matcha.
Piatto dalla deriva molto classica, con l’astice morbido adagiato su una base di zabaione lievemente dolce e vellutata. La spinta tannica del tè e la decisa nota affumicata delle patate (che ricorda molto la scamorza, tanto è intensa) lo spingono ad un livello superiore.
Astice blu, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Riso in cagnone con verdure, maccagno e polvere di lampone.
Semplicemente, uno dei migliori risotti mai provati.
riso in cagnone, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Gnocchi di patate al nero di seppia con zuppa di granseola all’arancia.
Gnocchi lievi e vaporosi ma dalla bella componente sapida, fanno da ariosa texture ad una zuppa di pesce concentrata e dall’acidità tenue. Da mangiarne senza fermarsi mai.
gnocchi, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
gnocchi, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Petto di pollo ficatum con crema di cannellini alle alghe, fregola e garusoli.
La nobilitazione del pollo, dalla carne succulenta e gustosa, ulteriormente valorizzato da una persistente e concentrata salsa…
petto di pollo, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
…con il vino in accompagnamento. Abbinamento non usuale, ma perfettamente funzionante…
vino, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
…e un boccone da Re, a chiudere il piatto.
boccone del re, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Il piatto per il servizio del pollo. Il diavolo si nasconde nei dettagli.
pollo, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Maialino di cinta senese al macis con salsa di sedano rapa e barbabietola marinata al campari.
Una versione non banale dell’inflazionatissimo maialino, dalla croccantissima e squisita pelle.
maialino di cinta senese, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Petto di piccione farcito con scaloppa di fegato grasso, polenta al pan brioche e ananas.
Altissimo comfort food. Piatto di stampo iperclassico, con le lievi acidità di ananas e lime a salvare dalla deriva stucchevole.
petto piccione, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Il vino in accompagnamento, un ottimo Pinot Nero dell’Oltrepò.
vino, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Il predessert: crema di limoni e frutti rossi.
predessert, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
I dessert, sublimi per cura nel dettaglio, esecuzione, rigore stilistico e gusto. Si potrebbe fare una cena intera solo di dolci.
Ananas arrosto con tapioca al frutto della passione e gelato allo zenzero.
dessert, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Cioccolato Jivara al lime, salsa al caramello e fior di sale e gelato all’avena.
cioccolato Jival, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
La piccola (grande) pasticceria…
piccola pasticceria, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
…con il caffè, servito in una tazzina di rara bellezza.
caffè, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Dettagli, si diceva?
Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
L’illuminazione del tavolo affianco al nostro, in una delle due salette a lato della sala principale, in grado di garantire un pizzico di privacy in più.
illuminazione, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano

Infine, per un aperitivo o un after dinner da Seta, ma anche soltanto un passaggio in zona, non mancate una sosta al meraviglioso Mandarin Bar. Qualsiasi sarà la vostra scelta, sia che optiate per un cocktail classico o per uno dei signature cocktail di Mattia Pastori e della sua valida squadra, varrà il medesimo discorso fatto per tutto il resto della struttura: eccellenza.
Bravissimi i bartender così come tutto lo staff di servizio, in grado ambedue di entrare immediatamente in sintonia con il cliente e comprenderne le esigenze e le preferenze.
Chapeau, Mandarin Oriental Milano.

Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
Le nostre scelte, per non sbagliare: Martini Cocktail, con Tanqueray N°Ten e twist di limone (alla base)…
martini cocktail, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
…e un superlativo Negroni del Professore, con whiskey in luogo del gin ed una coreografica affumicatura al caffé svelata al tavolo.
neuroni, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
I tavoli del bistrot/bar, con il carrello dei dolci (sempre disponibile, da mattina a sera, ovviamente by Di Lena) che occhieggia tentatore dall’angolo…
bistrot bar, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano
bistrot bar, Seta, Chef Antonio Guida, Mandarin Oriental, Milano

Paco Meralgo
Parco Meralgo, Barcellona
La rilettura in chiave “haute cuisine” del classico tapas bar. Tutto è addobbato a festa in questo locale che gioca con le parole “para – comer – algo”, tradotto “ per mangiare qualcosa”: dall’arredo, decisamente più fashion del medio tapas bar, alla presentazione dei piatti.
Tapas di buon livello, eppure qualcosa stride nel meccanismo: sembra mancare un’anima a questo locale che cerca di darsi un tono senza riuscirci fino in fondo. Gamberi di Palamòs non degni della loro fama, ostriche senza infamia e senza lode, da non perdere invece le favolose crocchette di seppia. Non basta una bella scatola a rendere interessante il regalo.
Parco Meralgo, Barcellona
Parco Meralgo, Barcellona
Parco Meralgo, Barcellona
Insalata Paco Meralgo.
insalata, Parco Meralgo, Barcellona
Patate bravissimes.
Patatas Bravas, Parco Meralgo, Barcellona
Crocchette di pollo e prosciutto e Crocchette di seppie “Obama”.
Crocchette, Parco Meralgo, Barcellona
Crocchette, Parco Meralgo, Barcellona
Pan y tomate.
Pan y tomate, Parco Meralgo, Barcellona
Asparagi verdi grigliati.
Asparagi, Parco Meralgo, Barcellona
Gamberi di Palamòs alla piastra.
Gamberi, Parco Meralgo, Barcellona
Ostriche galiziane.
Ostriche, Parco Meralgo, Barcellona
Cannoli alla crema.
Cannoli, Parco Meralgo, Barcellona
Crema catalana.
Crema Catalana, Parco Meralgo, Barcellona
Melone.
Melone, Parco Meralgo, Barcellona

Dry Martini
Dry Martini, Barcellona
L’indizio su cosa ordinare sta nel nome del locale stesso.
Questo cocktail bar di gran fascino fa parte dal 1996 dell’impero di Javier de las Muelas, ma è stato aperto nel 1978 da Pedro Carbonell. A quell’epoca veniva servito solo ed esclusivamente dry martini, e in questi 37 anni ne sono stati serviti più di un milione (c’è un conteggiatore alle pareti).
Dry Martini, Barcellona
Un dry martini eccezionale, difficile trovare di meglio.
Dry Martini, Barcellona
Buoni anche gli altri cocktail disponibili in carta, più o meno classici.
Kumquat Mojito.
cocktail, Dry Martini, Barcellona

Cala del Vermut
Cala del Vermut, Barcellona
Nonostante la posizione estremamente centrale e il conseguente afflusso turistico, questo locale mantiene una identità molto forte ed è anche frequentato da autoctoni.
Buona qualità delle tapas, semplici ma ben fatte, di impostazione decisamente rustica.
Pochi fronzoli, tanta sostanza, per un locale quotidiano
Una tortilla da urlo, ma è da provare assolutamente il vermut.
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
prosciutto, Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Vermouth, Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona

Negro Carbon
Negro Carbon, Barcellona
Davvero buono l’hamburger di questo locale a due passi dalla fermata della metro Barceloneta che, oltre ai panini, serve carne alla griglia di ottimo livello.
Bella atmosfera, servizio cordiale: un ottimo indirizzo per un pasto veloce di grande soddisfazione a poco più di 10 euro.
520
520
Negro Carbon, Barcellona
Negro Carbon, Barcellona
Don Pollo: petto di pollo con cipolla, lattuga e peperoni (con pane ciabatta).
Don Pollo, Negro Carbon, Barcellona
Don Pollo, Negro Carbon, Barcellona
Gringa: Bacon grigliato, formaggio cheddar e Emmental, cetriolo sottaceto, lattuga e pomodoro. Accompagnto da anelli di cipolla e salsa Barbacoa N.C.
Gringa, Negro Carbon, Barcellona

E, per finire, una carrellata di indirizzi segnalati come interessanti, purtroppo non testati direttamente da noi.

Bar Canete – Carrer de la Unió, 17 – aperto dalle 13 alle 24 1

Tossa –Carrer de Nàpols 291 tossabcn.com. Aperto lun-ven 7am-11pm, Sabato 7am-5pm

Quimet i Quimet
Carrer del Poeta Cabanyes 25, Aperto lun-ven 12-4pm, 7pm-10.30pm, Sabato 12-4pm

Maitea
Carrer de Casanova 157, maitea.es. Aperto lun.sab 11am-24

Casa Jacinta
Carrer de Tamarit 154, Aperto lun.sab 11.30am-4pm, 6.30pm-24, Dom 11.30am-4pm

Bar Bodega Quimet Carrer de Vic, 23

Morryssom, Calle Girona, 162

Dos Palillos, http://www.dospalillos.com/home.php?rest=1&lang=es ,Carrer d’Elisabets, 9

Casa de Tapes Canota http://casadetapas.com/contacto/
Carrer de Lleida, 7

Mundial Bar, Plaça Sant Agustí Vell 1, Aperto dal martedì alla domenica 13-16.30 e 21-23.30

Can Kenji, Carrer del Rosselló, 325,
http://www.cankenji.com/

Bacoa Universitat (hamburger)
Ronda de la Universitat, 31 oppure Carrer del Judici, 15

Barcellona