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Hamburger a Milano – Prima parte

Hamburger a Milano, Prima Parte

Dici “Hamburger” a Milano e la mente vola ai favolosi (sicuri sicuri?) anni ’80, ai paninari, a Burghy o al suo cugino d’Oltralpe Quick, a piazza San Babila, e via di uabbois uabbois.
Perfetto esempio di street food, opulento e sfacciato, così marcatamente Yankee da oscurare lo zio Sam, l’hamburger ha nel nostro Paese vissuto l’ultimo quarto di secolo da prigioniero in catene, non di ferro ma di bassa lega. Da circa tre anni, però, il panino a stelle e strisce è tornato a vivere una nuova primavera all’insegna, per la legge del contrappasso, della qualità prima di tutto.
La relativa semplicità di preparazione, il costo contenuto e la massima goduria sono a nostro modo di vedere le tre principali ragioni del successo del panino “bigger is better”. Infatti chi è in grado di assicurare differenti e sempre perfette cotture delle carni la differenza la fa, sempre, ma certo ci sono piatti assai più complessi da preparare. Nonostante i 4.99€-con-coca-e-patatine siano ben lontani, inoltre, un esemplare di qualità resta un pasto completo ad un prezzo estremamente accessibile. e in alcuni casi consente, a fronte di un esborso limitato, l’accesso a tavole e ambienti blasonati. Che lo si guardi poi esclusivamente con occhio affamato, o da un punto di vista più attento alle sfumature del gusto e alla ricerca della qualità, l’hamburger finisce per conquistare proprio tutti, dai 7 ai 77 anni. Nei casi più felici, poi, riesce ad essere persino fine, ma anche in questo caso resta Fred Flintstone approved.

L’anno scorso, quando pubblicammo la nostra prima classifica dei burger gourmet milanesi, eravamo francamente convinti che la Patty avesse già ballato la propria unica estate, come tante mode che abbiamo visto bruciare in fretta sulla piastra di una città che finisce per macinare inesorabilmente tutto, non solo la carne. Invece, a distanza di dodici mesi, ci troviamo a documentare un fenomeno tuttora in espansione e un panorama arricchitosi di nuove aperture, arrivate in un quadro già variopinto.
I locali di qualità si sono così moltiplicati, aumentando sensibilmente il livello medio e spingendo indietro di qualche gradino ottimi indirizzi che avevamo segnalato nella nostra precedente graduatoria, e al solito noi, novelli San Tommaso, abbiamo meticolosamente cercato di tenerci al passo con le novità, cercando di provare tutti quelli che, sulla scena meneghina (hinterland compreso), ci venissero segnalati positivamente o fiutassimo come interessanti. Quella che segue è allora solo la prima parte della nostra personalissima classifica, frutto di maratone tra bun sesamati, papaverati e lisci, cotture al sangue con affaccio sul bleu, salse ipercaloriche, farciture urbane o iconoclaste, tra picchi di goduria e digestioni eroiche.

#16: Mangiari di Strada
Ai margini della città, con un numero civico da Grand Boulevard, Mangiari di Strada dispensa un pressoché infinito assortimento di street food dall’Italia e dal mondo. Modaiolo non tanto per scelta quanto per conseguenza del successo ottenuto, poteva forse negare ai propri clienti una propria versione dell’hamburger? Ovviamente no anche se, per cottura della carne e consistenze, il risultato non è all’altezza dell’impegnativa dicitura “superhamburger” sulla lavagna.
Cosa ci piace: tutto molto bello, tutto molto etico.
Cosa non ci piace: nel burger gli elementi finiscono per confondersi eccessivamente.

#15: 202 The Grill
Punta di diamante di una piccola e ambiziosa catena, propone in realtà prodotti di qualità discreta ma non eccelsa, poco esaltata da una migliorabile cura nell’assemblaggio del panini.
Cosa ci piace: la posizione centrale e l’ambiente, decisamente più caldo e curato della media della concorrenza, rispecchiano le ambiziose intenzioni espresse sul sito.
Cosa non ci piace: il burger delude: pane eccessivamente spugnoso, imbevuto dei succhi di un pomodoro tagliato, come l’insalata, grossolanamente, bacon gommoso. Il tutto a partire da 16€, comprensivi di non indimenticabili patatine.

#14: Street Burger (ex Visconti Street Food)
Inizialmente lanciato da Matteo Torretta, questo centralissimo locale propone apprezzabili hamburger, acquistabili da asporto o da gustare intorno al bancone che contorna la cucina a vista.
Cosa ci piace: per essere tanto in centro il rapporto qualità prezzo (12 euro con patatine per un prodotto non top ma più che discreto) rimane uno dei punti di forza, e per le ordinazioni da asporto viene praticato il 20% di sconto.
Cosa non ci piace: il sistema di aspirazione e la cottura non espressa della polpetta, solo rigenerata al momento dell’ordinazione.

#13: Osteria Brunello
Dell’Osteria Brunello si parla, in genere, meno di quanto meriterebbe; ristorante dal rapporto qualità prezzo fra i migliori della città, da quest’anno si è cimentato anch’esso, con risultati apprezzabili, in questa grande sfida metropolitana. Da segnalare che l’hamburger è qui disponibile solo a pranzo, in un’unica versione, a 14 euro con patate al forno.
Cosa ci piace: il buon pane e l’ambiente tranquillo.
Cosa non ci piace: la polpetta, di discreta pezzatura (160g) ma troppo sottile, finisce per risultare inevitabilmente troppo cotta.

#12: Tizzy’s
Affacciato sui Navigli, questo New York Bar, tanto nel menù quanto negli arredi, vuole far respirare un po’ d’aria USA al pubblico meneghino.
Cosa ci piace: Un buon hamburger “classico”, dove solo il pane, un po’ troppo asciutto, non tiene il passo del resto degli ingredienti, di discreto livello. Ottimo rapporto qualità prezzo, con il cheeseburger proposto a 10€ comprensivi di patatine.
Cosa non ci piace: la curiosa scelta di non accettare prenotazioni sotto le otto persone, unita alla posizione ad alta densità di frequentazione, trasforma la possibilità di sedersi al tavolo per cena in una scommessa.

#11: Sunny Side Up
Ambiente ispirato ai fast food americani anni ’50, con tanto bianco/rosso/cromo; al primo impatto l’impressione è di essere entrati da Arnold’s , ovviamente al netto di Fonzie , brillantina, ciuffi e pantaloni in pelle.
Cosa ci piace: la variegata offerta a stelle e strisce, non solo inerente ai panini, e la possibilità di comporre il proprio burger a piacere.
Cosa non ci piace: un discreto burger ma senza punti di forza: nessun ingrediente spicca per ricercatezza o qualità.

Sunny side up, Hamburger a Milano, Prima Parte
L’hamburger di 202 The Grill

In apertura, l’hamburger di Tizzy’s

PISACCO IN 90 MINUTI (PIU’ TEMPI SUPPLEMENTARI)

Parte prima: l’intenso prepartita.

ore 14.45:
– Pisacco buongiorno, sono P.
-buongiorno, vorrei prenotare un tavolo per due, forse tre. E’ possibile?
-sì, è fortunato, hanno appena disdetto un tavolo. Per che ora?
-per le 20.30, a nome R. il mio numero è 328blablabla. Apro una parente: anche se le probabilità di venir schedato immediatamente sono minime quanto la mia popolarità tendo a prenotare con nomi di fantasia o, come in questo caso, con il cognome del mio commensale. Il numero naturalmente è invece autentico.
-perfetto, a stasera!
-a stasera.
Ore 19.15, squilla il telefono, numero privato:
-buonasera, parlo con il signor R.?
-(pausa di riflessione…. pensieri che si accavallano: il solito idiota che sbaglia numero, però che strano, conosco un R. ah già il ristorante) eeehm sssì sono io.

-buonasera, sono A. volevo dirle che il tavolo che aveva chiesto è disponibile!

-perché, c’era qualche dubbio?
-ah no, perché mentre lei telefonava in realtà stavamo anche prendendo un’altra chiamata. Comunque le confermo che il tavolo c’è. A stasera.
-a stasera. A proposito, saremo in 2.
Corro allo specchio. Sì, è un gigantesco punto di domanda quello che campeggia sulla mia faccia.

Parte seconda: il match.

Minuto 1: veniamo fatti accomodare a un tavolo apparecchiato per tre. Ci vengono presentate immediatamente la carta delle vivande e quella dei vini. La prima è breve come si dovrebbe in un locale che vuole abbinare prezzi abbordabili e qualità; sono quattro le proposte per ciascuna voce e prendendo la combinazione più cara si sforano di pochissimo i 40 euro. Benissimo, questo è il low cost che ci piace. La lista enoica gioca a fare la ribelle, e da brava riot girl si dimostra affascinante alla prima occhiata, salvo rivelare tutto l’eccesso di gioventù ad uno sguardo più approfondito.
Il locale, va detto, tende a diventare facilmente rumoroso oltre l’accettabile per una conversazione di tono civile. La sensazione di brusio costante è molto simile a quella che si ha in un moderno bistrot parigino. Che brusio rimarrebbe, a Parigi, ma qui non siamo nella Ville Lumière e dopo pochi minuti, con la collaborazione di una gaia tavolata alle nostre spalle che forse vittima della crisi ha anticipato i festeggiamenti discotecari alla cena, inizio a sentirmi come un bovaro del bernese in balia degli ultrasuoni.

Minuto 25: vengono raccolte, dopo non breve indugio ed una finta degna del miglior Cassius Clay, le nostre ordinazioni.
Minuto 35: la sommelier giunge con la camminata del dottor Tomas a comunicarci che il vino scelto, uno dei pochi con più di 5 anni sulle spalle, non è disponibile. Tento un piano B, ma anche questo si scontra con l’annoso problema della siccità. Dopo estenuante trattativa troviamo l’accordo sulla base di un prestito con diritto di riscatto per un giovane Brunello, che si rivelerà d’eleganza del tutto inaspettata.

Minuto 36: giunge in tavola l’antipasto. Calamaro alla plancia con cipollotto e crema di avocado e lime, ottimo punto di partenza: si temeva il cipollotto in versione fuhreresca contro la Polonia, invece no. La materia prima c’è, la mano nel gestire gli accostamenti pure. Un piatto non banale e di alta scuola. Ad otto euro, qui ci scappa la lacrimuccia. Ma è il cipollotto.

Minuto 45: i giocatori in panchina iniziano il riscaldamento. Arriva una cameriera con tre piatti: la guancia per chi è? No, guardi, dobbiamo ancora avere i primi. Lascia gli altri due piatti e riporta indietro il terzo (o secondo, fate voi) incomodo. Il risotto alla milanese con ragù di vitello denota una non dichiarata nota limonosa e non è affatto lasciato “all’onda”, ma se la mantecatura è sospetta il risultato si fa invece apprezzare per la cottura e per l’ ottimo ragù in accompagnamento. Gli spaghetti al pomodoro e basilico con crema di mozzarella di bufala ci lasciano invece parzialmente interdetti non tanto per il condimento quanto per una cottura della pasta eccessivamente generosa che rende il tutto un po’ monocorde.

Minuto 46: mentre siamo ancora all’approccio con i primi, ci viene domandato quanti hamburger abbiamo ordinato. Uno solo, è la nostra risposta.

Minuto 50: appena finita l’ultima forchettata (letteralmente: l’amico R., tipo posato, non ha ancora posato le posate) i piatti vengono ritirati e sulla tavola stovagliata compaiono all’istante la guancia di vitello brasata con purè di patate al limone (limone?ma no!) e l’hamburger à la Berton. Lo chef Matteo Gelmini vanta trascorsi al Food Art che fu di Matteo Torretta, dove già ebbi modo di provare la guancia nella versione al bicchiere. Quella proposta qui manca un po’ della scioglievolezza dell’originale, effetto della lunghissima cottura a bassa temperatura, ma acquista un tocco di freschezza in più grazie la variante citrica, ripetitiva ma non certo fuori luogo.

Minuto 70: c’è spazio per l’ingresso del Waffle con gelato alla vaniglia e salsa ai fichi d’india, quest’ultima sciropposa e un po’coprente, a dirla tutta. L’insieme però funziona e da vita ad un dessert facile e goloso.

Minuto 90: si chiede il conto e si va via. La sommelier si scusa per il casino, si premura che il vino scelto sia piaciuto, striscia la carta dell’amico R. e ci saluta.

I commenti a caldo.

Ore 23.45, Tangenziale est di Milano. Squilla il telefono:
-Carlo, ma la prenotazione era a nome mio o a nome tuo?
-a nome tuo, perché?
-ah allora l’ho fatta io la figura del co-ione.
-perché, che è successo?
-abbiamo pagato 3 hamburger.

Il Processo di Biscardi.

Il giorno dopo, ore 12, Bibibì bii bii bibibì (messaggio di R.):
mi hanno appena risposto alla mail, ci rimborsano i due hamburger e inoltre ci invitano a cena.

Incidenti di percorso a parte, Pisacco è certamente un’esperienza di livello ad un prezzo a cui spesso un qualsiasi livello non riusciamo neppure a trovarlo, oltretutto a Milano e in una delle zone maggiormente preda dei semplici cacciatori di coperti. Realtà come questa danno realmente la misura del concetto di grande qualità (che include tutto, un ottimo pane, un caffè importante) ad un prezzo accessibile. Dobbiamo fare il tifo per questo locale, sperare che non si snaturi, come è già capitato ad altri nel passato dopo pochi mesi di successo, e che il suo successo faccia da traino per la trasformazione di un’eccezione in uno standard per i ristoranti moderni di fascia di prezzo medio-bassa.
La consulenza di Andrea Berton è palpabile non solo nelll’eccellente hamburger, peraltro ora uniformato al prezzo di una qualsiasi hamburgeria gourmet della città, ma anche nell’efficienza della brigata di cucina, assai più avanti di quella di sala.
L’invito a cena (che per inciso abbiamo cortesemente declinato, accettando ovviamente il rimborso) a due perfetti sconosciuti denota inoltre un savoir faire ed una cortesia che rendono ben tangibile l’idea della volontà di far bene che qui si riscontra.

Spaghetti con pomodoro, basilico e crema di mozzarella di bufala.

Risotto alla milanese con medaglione di ragù di vitello.

L’hamburger Berton.

Guancia di manzo brasata, puré di patate al limone.

L’eccellente fagiolina del Trasimeno.

Waffle, gelato alla vaniglia, salsa ai fichi d’India.

Di ottima fattura tanto il pane quanto il caffè.

Qual è il miglior Hamburger di Milano? Abbiamo la risposta, ne siamo certi. Anche perché questa è stata una lunga (ahinoi) e faticosa (per il fegato soprattutto) inchiesta che abbiamo condotto in questi ultimi mesi. Usiamo giustamente il plurale, perché è scesa in campo tutta la formazione di Passione Gourmet, una squadra composta da tanti amici appassionati che si confrontano, provano e riprovano, e alla fine decidono assieme. Abbiamo girato Milano assaggiando e ri-assaggiando. Il responso è stato pressoché unanime. Un tour iniziato, leggendo qua e la, tra quelli che sono considerati i migliori hamburger della città, con la memoria dei più “anziani” di noi che rivangava il ricordo dei primi panini nei lontani anni ’80. Le fonti di oggi su cui confidare? Ovviamente la stampa tradizionale, molto attendibile, ed in particolare gli articoli a tratti pittoreschi del buon Visintin, ma anche il tom tom di gola dei blogger più autorevoli.
Cosa ne è uscito? Sostanzialmente che la moda degli hamburger gourmet spopola.
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Recensione Ristorante

Le Strade di San Francisco. Due detective, tra cui un giovanissimo Michale Douglas, che risolvevano casi a volte inquietanti e sempre e comunque spettacolari sono tra i miei ricordi di gioventù. San Francisco è sempre stato il mio desiderio sin da ragazzino. Tornare in quei luoghi, tra una pallottola e l’immancabile inseguimento in auto, che finiva sempre sulla duna della tormentata e collinosa città. San Francisco non ha deluso affatto le attese.

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Recensione Ristorante
Questa è una bella storia di due giovani ragazzi Milanesi, Beniamino Nespor e Eugenio Roncoroni, amici per la pelle e nati con la giacca da chef. Si, perché la loro passione ha radici profonde. Giunge voce che persero clamorosamente un concorso di polpette all’Argentario, qualche anno or sono, votati però come i migliori nientepopodimeno che da Allan Bay e Raffaella Prandi. (altro…)