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Under10: Valpolicella e Frascati

Fragrante primavera

Valpolicella Classico Superiore DOC 2017_Scriani

L’azienda agricola Scriani si trova nel comune di Fumane, nel cuore della Valpolicella. Il nome Scriani deriva dal dialetto “scrivan”  e si riferisce alla figura dello scrivano, presente anticamente sul territorio.

La zona di produzione del “Valpolicella Classico” comprende una fascia collinare estesa per 200 km tra Verona e il Lago di Garda. Dall’etimologia latina “Valle poli cellae”, ossia valle dalle molte cantine, questo epiteto testimonia l’antica vocazione vitivinicola della zona.

L’attuale titolare dell’azienda Scriani, Stefano Cottini, persegue ambiziosamente nuovi progetti che si sviluppano su una filosofia meno “conservatrice”, seppur attenta e rispettosa dei metodi di lavorazione tradizionale, porgendo uno sguardo lungimirante verso il futuro. Un esempio di tale approccio è l’utilizzo di diverse tipologie di legni: austriaci, francesi, italiani ed americani con l’intento di valorizzare ogni singolo prodotto in base alle caratteristiche della singola annata.

La gestione dei vigneti avviene in modo tradizionale e rispettoso dell’ambiente circostante, con la cura di conservare le aree boschive limitrofe. Viti di età compresa tra i 9 e i 40 anni, allevate secondo il sistema a pergola (singola o doppia) che permette una densità di impianto di 3000 piante per ettaro. I principali vigneti della cantina sono situati su una collina denominata “Monte S.Urbano” ad est e “La Costa” ad ovest.

Le uve di questo Valpolicella Classico Superiore provengono dai vigneti “Ronchiel”, “ La Costa” e “Monte S.Urbano” per un assemblaggio di 60% Corvina, 20% Corvinone, 10% Rondinella, 7% Croatina e 3% Oseleta.

Dal colore rosso rubino intenso e brillante, al naso si presenta fragrante, particolarmente fruttato con sentori di frutta rossa come ciliegia, prugna e marasca sotto spirito. Una leggera evoluzione affiora dalle note di caffè e frutta caramellata. In bocca l’ingresso è deciso, persiste la nota alcolica e il flavour di frutta rossa. Fresco e abbastanza equilibrato. Affinamento in botti di rovere da 26 hl per circa 12 mesi, seguito da altri 3 mesi in bottiglia. Si consiglia in abbinamento con i bigoli al ragù d’anatra o ad una parmigiana di melanzane.

Prezzo vendita online e-commerce Winedoor: 9,70 euro

 

Frascati DOCG Superiore 2018 – Casale Marchese

Casale Marchese è luogo di nobili e antichissime origini e poggia su due storiche cisterne romane. Nel 1301, il Casale venne citato in una Bolla di Bonifacio VIII come parte del feudo della famiglia Annibaldi. La tenuta ha ispirato artisti, poeti e letterati come Clara Wells, che lo riporta nel 1878 in uno dei suoi libri.

La famiglia Carletti – con a capo la settima generazione rappresentata da Alessandro e Ferdinando – è proprietaria dell’azienda Casale Marchese da circa due secoli ed ha avuto tra i suoi avi i due illustri cardinali Ludovico Micara e Clemente Micara, al quale è dedicato il vino “Clemens”.

L’azienda agricola Casale Marchese è immersa nel territorio del Frascati DOCG: 50 ettari di uliveti e vigneti, tra cui si trovano varietà come Malvasia Puntinata, Malvasia di Candia, Trebbiano Toscano, Greco, Bombino, Bellone. Recentemente sono state impiantate varietà internazionali come Chardonnay, Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc. La coltivazione segue le norme di produzione integrata, con l’esclusivo utilizzo di prodotti a basso impatto ambientale. Per ciò che concerne i processi di vinificazione, imbottigliamento e confezionamento si ricorre alle tecnologie maggiormente all’avanguardia.

Questo Frascati Superiore di Casale Marchese è un uvaggio di Malvasia del Lazio, Trebbiano Toscano, Bombino e Bellone. Dal colore giallo paglierino intenso, al naso presenta un bouquet complesso e intenso, prugna Regina Claudia, papaia, camomilla e mughetto, con un leggero contorno di note erbacce. In bocca è persistente, con un sorso nel complesso armonico e fresco. Al gusto permane per la sua sapidità dal retrogusto dolce. È un vino che sa di primavera. Si consiglia in abbinamento con una pasta alla carbonara o un risotto allo zafferano e capesante.

Prezzo vendita online e-commerce Winedoor: 8,50euro

 

A due passi dal centro di Padova, solide competenze e qualche incertezza

La giovane insegna patavina guidata da Luca Tomasicchio offre un’esperienza gastronomica nuova ma, al contempo, riconoscibile. Lo chef, del resto, le ossa se l’è fatte di sicuro: top players di protagonisti del calibro di Massimiliano AlajmoCarlo Cracco fino a sconfinare nei laboratori di Ernst Knam e, di nuovo in cucina, da Heston Blumenthal, Tomasicchio vanta un curriculum assai intrigante.

Tuttavia, il percorso al Tola Rasa viaggia in parallelo tra due binari: da un lato l’originalità, dall’altro il trend, faticando in alcuni casi a far emergere il tratto personale dello chef. La piovra con spuma di formaggio caprino, composta di peperoni e peperoncino mostra una brasatura troppo blanda, che non riesce a sostenere l’irruenza di caprino e peperone e facendo precipitare il cefalopode nel regno della neutralità gustativa. Specularmente, anche la triglia con spuma d’aglio è un piatto che non trova una quadra proprio a causa della spuma troppo invadente e tecnicamente difettosa nella sbianchitura dell’aglio. In entrambi i casi, al pesce non viene concesso di mostrare la sua più intima  e naturale delicatezza.

Verso la definizione

Tomasicchio, però, sa anche stupire: di positiva memoria lo spaghetto che, nella sua semplicità, s’innesta deciso per la carica suadentemente mediterranea del binomio bottarga e foglie di cappero candito. Oppure la crema di zucchine con finocchio marinato al maracuja e sgombro, in cui il balsamico finocchio si eleva ulteriormente grazie alla spinta acida della maracuja, chiudendosi nel finale sapido dello sgombro arrostito. Voto positivo anche per la pasticceria che, seguendo la strada del less is more segna un punto pieno con la pera, mango e meringa.

Se il passaggio – a tratti altalenante – del percorso culinario ci lascia alcune perplessità, non si può certo dire lo stesso per la sala, guidata da Irina Romanoff, che vanta un’abile ed esperta conoscitrice che racconta e illustra con eleganza una carta dei vini di tutto rispetto.

La Tola Rasa che, siam certi, troveremo alla nostra prossima visita sarà una tavola più consapevole di sé, delle capacità acquisite e delle potenzialità ancora da dimostrare.

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Un bistrot moderno e accogliente che mette al centro la grande tradizione italiana

Giancarlo Perbellini è un eccezionale cuoco e non ci sono dubbi a riguardo: grande tecnica ed eleganza, piatti puliti, sostanza e avanguardia. Quanti, però, sanno che, nato pasticcere, diventato chef si è prontamente evoluto, in tempi non sospetti, in un grande imprenditore della ristorazione? Un regno – e un brand – che oggi può vantare una decina di insegne, che spaziano dai ristoranti stellati fino a format innovativi come i moderni bistrot/osterie.

A Verona, a pochi passi da Piazza Brà, Locanda 4 Cuochi propone piatti della tradizione rivisitati in chiave moderna, internazionalizzati. Aperta nel 2012, la Locanda è posto moderno e informale, caratterizzato da una pacata e ordinata eleganza e da un ambiente leggero, dai tratti domestici e casalinghi. E quando, seduti a tavola, ci si ritrova di fronte un foglio bianco e matite colorate, come resistere alla tentazione di colorare e disegnare per ingannare l’attesa?

Una cucina a vista dà il benvenuto: Dario Fracasso, allievo di Giancarlo Perbellini, guida una giovane brigata mentre la sala marcia sotto la regia di Moreno Pellegrini: servizio attento, easy e preciso, grandi sorrisi e consigli sulle etichette in un’interessante carta dei vini.

Una cucina solida, solo apparentemente classica, che fa riflettere 

Fin troppo semplice, però, è la battuta di manzo piemontese coi classici condimenti e un buono, quanto delicato, cannolo croccante farcito con spuma di taleggio, pesto di rucola e verdure fa da preludio a un piatto che, invece, mostra personalità: il sandwich di lingua, crema di funghi alla senape, lattuga e semi di papavero. I tortelli “cacio e pepe” con spuma di consommé di manzo sono evocativi: la pasta è ben tirata, forse un po’ spessa, ma sicuramente funzionale a un piatto rotondo, quasi ruffiano, di quelli che non possono non piacere. Diverso, invece, il risotto mantecato al burro acido, cipolline caramellate e aringa affumicata, che torna ad affermare la personalità della mano in cucina.

I secondi piatti non deludono: la testina di vitello brasata e glassata al rafano con insalatina e salsa pearà è golosa e l’anatroccolo – petto rosa con pancetta, prugne, porri e la coscetta fondente – inusuale sulle tavole contemporanee, vanta cottura notevole e ottima combinazione di ingredienti.

In chiusura non poteva mancare uno dei marchi di fabbrica: la millefoglie “Perbelliniana”, in questo caso al sesamo con fichi caramellati, gelato al mascarpone e aceto balsamico.

Nel centro storico di Verona, Locanda 4 cuochi è sicuramente un solido indirizzo per colorare, matite e foglio alla mano, la propria serata.

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Giuliano Baldessari e la cucina dei grandi

Ci sono diversi aspetti da considerare quando si giudica una cucina d’autore. In primo luogo, occorre tener conto della tecnica, della stilistica e del palato di chi cucina; in secondo luogo arrivano l’equilibrio, l’armonia e la cadenza delle portate nonché la capacità di rispettare, ed esaltare, la materia prima. Ma c’è anche la sua coerenza con l’attualità e, ultima ma non ultima, la provvidenziale sensazione di leggerezza che segue l’esperienza. Ci sono poi altri fattori, meno codificabili, che rendono una cucina memorabile, progressista, ispiratrice, finanche mitopoietica.

Alla luce di tutto questo, possiamo tranquillamente affermare che Giuliano Baldessari, chef di Aqua Crua, sia un grande cuoco.

C’è un fatto, però, che distingue il critico dal semplice appassionato, ed è la sua capacità di leggerne in nuce l’evoluzione, ed è proprio per questo che ci sentiamo di dire che la cucina di Baldessari abbia, davanti a sé, una parabola ascendente. Benché stia vivendo una fase adolescenziale che tende oggi all’eccesso, fa da sfondo l’educazione delle Calandre che lascia intravedere il sereno tra le nuvole, il canto degli usignoli in pieno inverno, il silenzio nel mezzo del vociare.

L’elogio del sottosopra

Quella di Baldessari è oggi una cucina che contempla due diverse prospettive: la prima parte dall’inizio, la seconda comincia dalla fine. In sostanza, si entra in contatto con una fase creativa che ha un’anima durante la degustazione e che evolve e muta nella fase di rielaborazione. Di impatto stravagante, a costo di sfiorare i confini dell’ineleganza, i piatti si mostrano tronfi, spregiudicati, irriverenti, grazie a ingredienti che delineano una cucina che sa osare senza vergogna. Stimoli che divertono, andando a creare affinità elettive tra mondi e gusti completamente avulsi.

Ma è nella seconda fase, quella durante la quale l’apparenza si siede sul seggiolino assegnatole, in cui emergono la profondità palatale e la cultura gastronomica di Giuliano Baldessari. Non un eccesso fine a se stesso, non una spezia usata a fini decorativi, non un passaggio che non racconti la volontà di un cuoco che ha deciso di fare le cose sul serio, che ricorda gli insegnamenti dei suoi maestri e che li interpreta secondo il suo intuito, seguendo la sua natura. Ciò che rimane delle fettuccine, miso di pasta fermenta, foglie di kaffir e caffè d’alga, è quanto di più complesso ci si possa immaginare, in cui le note grasse sono lo spartiacque tra una capolavoro dissacrante e uno di stampo ecclesiastico, dove i profumi dell’incenso si infrangono sul contraccolpo rancido, armonizzati da una piacevole e necessaria citricità agrumata, sempre sorretti da una cottura magistrale.

Una cucina dai tratti druidici, addirittura mistici, rivelatrice di intimismi inaspettati, che sussurra facendo sentire la sua energia vitale e che brilla lasciandosi ammirare.

Baldessari riesce nel gioco di prestigio capace di impressionare per la sostanza a dispetto della forma. Diverte senza stancare. Innova seguendo un percorso di studio molto accurato, quasi religioso. Nasconde la profondità del suo pensiero sotto abiti anticonformisti. Racconta una storia che sta prendendo forma, che si allunga e si infittisce giorno dopo giorno, e che, senza dubbio, potrà regalarci nel breve futuro soddisfazioni e colpi di scena ancora migliori.

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Al confine tra Verona e Vicenza, una trattoria moderna che fa di semplicità virtù

Alberto Mori è un uomo educato, riservato e dedito al lavoro capace di godere dei suoi traguardi con un’umiltà destinata a pochi e in grado di apprezzare la normalità come un dono divino. Dopo anni di apprendistato alla corte di Simone Padoan, re dei lievitati e patron della pizzeria I Tigli, in compagnia della moglie decide di aprire Al Callianino a Montecchia di Crosara, incantevole località sul confine vicentino-veronese. Le pareti color pastello, sulle quali campeggiano fiori e peperoncini, disegnano la natura pacifica e creativa della sua cucina: nessun volo pindarico, nessuna forzatura, ma solo una sana reinterpretazione dei sapori della memoria, cui strizza l’occhio anche la carta dei vini, con forte riferimento a etichette naturali, con una buona scelta di etichette territoriali e d’Oltralpe. Qui si viene per stare bene, per trovare serenità in un luogo che profuma di valori dimenticati, trattati con intelligenza contemporanea. E non è un caso che sia la meta prediletta di illustri suoi colleghi, durante il giorno di riposo.

Il pranzo della domenica ai giorni nostri

Ogni domenica, a pranzo, si può trovare un menu dedicato a quanto di più tradizionale si possa chiedere sul territorio, in cui tagliatelle con i fegatini, risotto al tastasal e il gran bollito misto con pearà la fanno da padrone. Ogni giorno, va invece in scena la cucina identitaria dello chef.
La Battuta di Neanderthal (tartare di manzo, nocciole, maionese, senape e midollo) è la dimostrazione di come lo stupore possa diventare obiettivo, divenendo l’unica causa esistenziale per un uomo. Reiterato nella presentazione e forse ormai, almeno all’apparenza, anche nel gusto, siamo stati colti da piacevole sorpresa, andando a spiare l’intimità tra carne e midollo, aizzata dal gioco di temperatura che ne prolungava la piacevolezza gustativa, con il garbo della senape a richiamare la masticazione e la setosità della maionese a chiudere con eleganza la migliore versione di questo piatto che ricordiamo.
Fantastici gli Gnocchi di ricotta, spuma di parmigiano e tartufo della Lessinia, in cui la morbidissima consistenza degli gnocchi è supportata, come meglio non si potrebbe, da una spuma di parmigiano impeccabile, mentre il tartufo veste i panni di attore non protagonista, limitandosi a portare con sé un gentile omaggio al territorio. Riso, peperone bruciato, crema di Asiago e acciughe cavalca il trend dei risotti mediterranei visti da una prospettiva nordica. Non difetta dal punto di vista tecnico, ma lascia troppo spazio all’esuberanza dell’acciuga, che non riesce a essere pacata adeguatamente dal carattere lattico dell’Asiago.

Una semplice analisi tecnica starebbe stretta ad Alberto Mori e al suo team, che sono stati in grado di dare vita a un locale che profuma di casa, in cui l’accoglienza è al primo posto. Un locale dove tornare e ritornare.

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