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La Piazzetta

Quante volte, nella nostra carriera di mangioni compulsivi, ci sarà capitato di sentire qualcosa tipo “…ah, quel ristorante, bello, ma si mangia poco e si spende tanto!”, luogo comune squisitamente provinciale, riportato troppo spesso solamente per sentito dire e normalmente riferito a uno tra i ristoranti più belli e conosciuti della zona? Purtroppo (o per fortuna, dati gli aggettivi poco sopra), nonostante Michele Mauri abbia aperto La Piazzetta da poco più di un anno, anche nel suo caso ci è arrivata all’orecchio “la maligna voce”. E anche stavolta, come il più delle volte accade, la stessa non è per nulla veritiera anzi, è del tutto priva di fondamento. Nel suo ristorante lo chef propone, all’interno di una bella e curata sala, una cucina semplice, ben eseguita e mai cervellotica, dai concetti legati alla tradizione e alla territorialità di materie e preparazioni, con uno stile impostato però in modo più fresco, moderno e attuale.

Dalla portata apparentemente più semplice fino al menù più completo e articolato, tutto è piacevole e rassicurante, senza grossi picchi né discese. I suoi piatti sono giustamente sviluppati per accomodare al meglio il più ampio bacino d’utenza possibile, dall’utente occasionale in cerca di un bel ristorante fino all’appassionato più scaltro. Per la controprova basta dare uno sguardo verso i tavoli che ci circondano. Ecco due amiche poco più che trentenni, una giovane mamma con il bimbo e la nonna, due distinte coppie di mezza età, due brutti ceffi con macchina fotografica a seguito (…ops, quest’ultimo è lo specchio): difficile trovare tanta eterogeneità in sala nella stessa serata. Lodevole l’importante restyling effettuato sull’ambiente, eseguito con buon gusto e non in maniera invadente e chiassosa, che ha perciò restituito un bel locale, dai toni si modaioli ma per nulla pacchiani o eccessivi. Tra l’altro, vista la comodità della nuova uscita autostradale, una volta tanto il ristorante è anche semplice e comodo da raggiungere, da qualsiasi parte si arrivi. Unica lieve pecca, durante la nostra visita è emersa un’eccessiva freddezza del servizio che mal si combina alla tipologia di locale, certo serio e professionale, ma ci saremmo aspettati un clima un po’ più friendly. Sarà solamente una questione di giusto rodaggio, una sorta di necessario assestamento di tutti gli ingranaggi.

In chiusura la carta dei vini, capitolo purtroppo poco stimolante, che si segnala per lo scarso appeal delle proposte. Comprendiamo però che nell’ottica di una rivoluzione di un certo peso del locale, la costruzione di una cantina impegnativa possa trovarsi nella parte inferiore della lista delle cose da fare. Diamo tempo al tempo, visto quanto fatto dall’apertura a oggi, siamo certi che alla prossima visita parecchie novità, non soltanto stappabili, ci attenderanno. Ce lo auguriamo.

Il pane ed i grissini.


Lenticchie, spuma di Parmigiano, insalatina di finocchi ed arance.

Filetto di gallinella in panatura di mais su millepunti di verdura croccante e gelato al rosmarino.

Tuorlo fritto, crema di patate, castagne pressate e pistacchi.

Petto d’anatra leggermente affumicato da noi, cavolo romanesco all’extra vergine, albicocche cotte al sole e riduzione di melograno.

Risottino carnaroli aglio, olio, peperoncino, gamberi rossi e il suo cuore.

Crema di cavolfiore, pioppini e polvere di liquirizia.

Spaghettoni al bronzo con bocconcini di luganega, porcini e tartufo nero.

Baccalà cotto con le cipolle e Porto su galletta di polenta di Storo (servito in sala).


Predessert: Chantilly e crumble di nocciole.

Semifreddo alla liquirizia con tegola di cioccolato bianco.

Flan al cioccolato fondente con la sua salsa e gelato alla vaniglia.

Scorcio della sala.

Villa litta Panza è una stupenda oasi di pace e serenità. Nel 1996 il conte Panza donò la villa al FAI, e con essa una collezione di opere di arte contemporanea di una profondità e qualità molto elevata. Una villa immersa nel centro di Varese ma con un parco esteso ed una vista mozzafiato. E’ qui che officia Matteo Pisciotta, chef che molti (compreso me) ricordano nelle sue pirotecniche evoluzioni all’Osteria del Sass di Besozzo. All’inizio moderatamente creativo, con un radioso futuro davanti a se. A seguire poi un periodo di contorsioni futuristico-spagnoleggianti che hanno fatto un po’ perdere il filo del discorso. Oggi di quel periodo decisamente pulp del cuocone varesino non vi è praticamente traccia nel menù di Luce, se non fosse per la citro (nitro aggiungo) ostrica. Una cucina che con gli anni si è arrotondata e seduta più sulle esigenze armoniose, semplici, concrete e dal gusto incisivo che desidera la clientela normale. E forse in questo periodo è la scelta giusta per sopravvivere. Anche se ci ricordavamo un tocco e una mano decisamente più fine ed elegante, oggi invece moderatamente indirizzata verso il lato estetico e molto più concretamente focalizzata sul gusto. I prezzi, rispetto alla qualità delle proposte, ci paiono in realtà forse un tantino eccessivi, ma al ristorante Luce, in Villa Litta Panza, mangerete bene. E soprattutto vi potrà capitare, come è capitato a noi, di iniziare il pranzo domenicale alle 14.00 senza che brigata e servizio facesse un plissè.
Gentili, educati, giovani, onnipresenti. Il servizio è informale ma decisamente sul pezzo. La carta dei vini, di intrigante formazione e di buona profondità, ha prezzi invidiabili. E la cucina si destreggia tra un’eccellente tartara con uovo fritto pochè, una buona lasagnetta ai frutti di mare, un migliorabile risotto al pomodoro verde e guanciale (scotto e mal mantecato) e una inconcludente anatra, mele alla cannella e aceto balsamico.
Un buon punto di riferimento in città, in un luogo incantevole, aperto tutti i giorni tranne il lunedì. Vale la pena prendersi una domenica, magari con una giornata primaverile calda.

Il pane

La battuta di fassone e l’uovo.

Salmone selvaggio appena marinato, cipolla di Tropea e uvetta, polenta croccante.

Fritto di calamaretti, porcini e crema di castagne del Brinzio.

Lasagna di mare.

Crema di carota e arancia, sarde e pomodoro cofit, cipollotto croccante.

Risotto al pomodoro verde e guanciale.

Filetto di fassone e fungo porcino.

Anatra, mele alla cannella, aceto balsamico.

Tonno scottato in guazzetto e crostone.

Cioccolato e Menta.

 


Entri al Sole di Ranco e la Storia, quella vera, la percepisci. Lo senti, come quando incontri un uomo molto ricco e ti accorgi subito se viene da una grande famiglia o se si è fatto da solo. Ciò che incanta è l’impressione di understatement nell’accoglienza, automatico dal momento che la stessa famiglia gestisce questo posto dalla metà del XIX secolo.
Salameleccherie abolite, cortesia senza orpelli.
La cucina di Davide Brovelli si muove un po’ sullo stesso filo conduttore, quello di una piacevolezza non banale ma che sia prima di tutto facile e diretta, in perfetta linea con un luogo che tiene alta la bandiera Relais&Chateaux e che non ha nessuna intenzione di mettere in discussione i gusti di una clientela internazionale che cerca prima di tutto una vacanza di relax sulle rive di uno dei più bei laghi italiani, seppur sulla sponda “magra”.
Meina, e poi Belgirate e Stresa sono di là, nelle belle giornate sembra di toccarle. Sono di là con le loro splendide ville, con i loro alberghi quelli sì talvolta ostentatamente sfarzosi, ma anche con la confusione delle mete più battute.
La cucina dicevamo, viaggia sulla linea della concretezza badando a sensazioni palatali confortevoli, forte di una materia prima mai meno che ottima (il calamaro della frittura è fra i più gustosi mai provati). La mano che tende a togliere quando possibile i grassi in eccesso, e perciò i buoni cannelloni di latte insieme agli spinaci all’aglio orsino portano con sé le note grasso/acide/fumé dello yogurt affumicato. Ad esser pignoli si potrebbe tuttavia rimproverare a questo piatto la mancanza di un elemento di netto stacco, sia gustativo che di consistenza.
La mano, dicevamo, sa essere piuma ma sa essere anche ferro, e lo dimostra con un primo piatto del giorno che di primo acchito sembra solo “de panza” come un tagliolino con pesto, calamaretti spillo ed olive taggiasche. In realtà l’esecuzione spettacolare toglie ogni spazio a domande più nerd. Un grandissimo tagliolino.
Convince di meno il crudo di luccio con caviale di luccio, ricci di mare e misticanza, non tanto per il pesce, al solito ottimo, ma per una certa invadenza della componente vegetale, soprattutto di fresco ma forse poco provvido peperone, su un pesce dalle carni non certo “aggressive” in bocca.
Notevoli i secondi, da una frittura come non capita spesso di mangiarne al branzino cotto nella creta, e perciò ben cotto ma tutt’altro che stopposo, servito con senape ghiacciata.
I dolci del Sole da sempre si collocano ad un livello medio molto alto. La crema cotta al frutto della passione convince soprattutto perché pur non rinunciando ad essere un vero dolce, con il gelato allo yogurt che interviene a moderare eventuali eccessi, è di leggerezza inconsueta per una preparazione di questo tipo.
Non si può parlare del Sole senza far menzione di Ivano Antonini, sommelier appassionato oltre che competente, che ci ha deliziato con alcune chicche assecondando tanto noi quanto i tavoli circostanti con scelte ad hoc con un occhio al rapporto qualità prezzo.

Al nostro arrivo troviamo già in tavola i pani e questo assortimento di burro con frutta secca, formaggella alla cipolla rossa e ricotta.

Crudo di lago, misticanze, ricci di mare e caviale di luccio.

Cannelloni di Latte, Spinaci all’Aglio e Yogurt affumicato.

Tagliolini con pesto, calamaretti spillo e olive taggiasche.

Branzino cotto nella Creta, Senape Ghiacciata prima..

..e dopo

“Fritto Misto”.

Un’ottima toma formazzina.

Predessert.

Frutto della passione e yogurt.

Piccola pasticceria…

..e anche della gradita frutta fresca, quasi sempre assente dalle grandi tavole.

Alcuni dei vini proposti.





L’accompagnamento all’aperitivo.

Sotto al Relais, il lungolago intitolato a uno dei pianisti italiani più dotati della seconda metà del secolo scorso, residente per alcuni anni ad Angera, nelle vicinanze.

Recensione ristorante.

Un bell’esempio di Osteria Moderna ad Azzate nel varesotto ad una cinquantina di chilometri da Milano.
Osteria abbiamo detto e mai termine oggi fu più abusato. Si fregiano del titolo, ormai, anche ristoranti stellati e addirittura bi-stellati. Ma non è questo il caso. (altro…)

Qual è il sogno ricorrente di ogni cuoco? Senza dubbio avere un ristorante di successo con una cucina che piaccia. Anzi, che piaccia a tutti, o quanto meno a molti. Ilario Vinciguerra ha realizzato il suo sogno già qualche tempo fa, dopo aver deciso di piantare le tende sul lago di Varese, portandosi con se il sole del sud per poter regalare qualche raggio luminoso ai palati lombardi che hanno gioito sin da subito per il talento del generoso ragazzone partenopeo. Forte delle sue esperienze acquisite in mezza Europa e fiero delle sue origini, Vinciguerra ha sempre creduto nelle potenzialità della sua cucina in cui ha saputo fondere il background campano con diverse contaminazioni di gusti di tutto il mondo, forgiando uno stile di cucina tutto suo, i cui capisaldi sono la leggerezza e l’immediatezza.

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