Mauro Uliassi è la dimostrazione tangibile che con la tenacia e l’intelligenza si può raggiungere qualunque risultato. Una premessa obbligata, che non vuole affatto sminuire le indubbie capacità creative dello chef marchigiano, che ha saputo però metterle al servizio delle sue notevoli qualità umane.
In tanti anni di frequentazioni alla Banchina di Levante 6 quasi mai abbiamo assistito ad un colpo sbagliato o a una scelta fuori dagli schemi, e quando una decisione azzardata ci ha fatto storcere il naso (e sinceramente la nostra memoria stenta a ricordarla) state pur certi che l’appunto critico è stato recepito nel tempo esatto con cui il cameriere ha riportato in cucina il piatto messo in discussione.
Mauro Uliassi è un ingegnere della tecnica del gusto, metodico e preciso, che costruisce ogni preparazione sulle solide basi della conoscenza sua e di quella dei suoi avventori. Non si spinge mai più in là del suo coerente sapere, che ad oggi è di un livello altissimo. Negli anni le sue capacità sono cresciute a dismisura, da quei lontani primi anni ’90 quando sulla nostra tavola arrivavano fritti e grigliate miste, tra l’altro strepitose.
Mauro studia di continuo, si aggiorna, non si fa mai beccare in castagna. Ha un controllo assoluto del suo piccolo mondo in quel di Senigallia, ma con l’occhio osserva attentamente il panorama dell’alta ristorazione a livello mondiale. E riesce sempre a stare al passo con i tempi.
Un indubbio vantaggio avere in cucina una persona del genere, perché l’esperienza è sinonimo di garanzia, di continua scoperta, di estrema piacevolezza. Mauro passa con una facilità imbarazzante da complesse architetture che esaltano il mare, a classiche preparazioni d’ispirazione francese con la cacciagione, a creative interpretazioni della tradizione marchigiana che esaltano la memoria gustativa di un adolescente curioso che è diventato grande.
Nella nostra ultima visita abbiamo apprezzato la decisa sterzata verso preparazioni prive di grassi, che danno maggiore spazio a elementi vegetali e a un gusto fatto di acidità e leggerezza. Ecco: Mauro Uliassi, anche questa volta, ha fatto centro, metabolizzando alla perfezione dove l’alta cucina e la modernità culinaria si collocano oggi. Senza rivoluzioni o estremismi si siede accanto ai grandi di questo meraviglioso mondo, pretendendo a ragione il suo posto in prima fila. E la cosa straordinaria (non sempre ravvisabile nel suddetto mondo) è che fa tutto ciò colloquiando amabilmente con il più esperto gourmet ma anche con il neofita alle prime armi. I suoi piatti parlano a chiunque, sono la sintesi di un equilibrio gustativo e intellettivo che molti suoi colleghi gli dovrebbero invidiare (e dovrebbero imitare).
Poi c’è tutto il resto, il ristorante minimale ed elegante, la sala che gira come un orologio, la bella Catia (il Dna è lo stesso …) che tutto verifica e controlla, senza la quale probabilmente il fratello Mauro non potrebbe vivere serenamente la sua quotidiana esistenza da grande chef e da grande uomo.
In attesa del vino…
Loacker di foie gras e pralina di nocciole, oramai un classico.
Una bolla italica tanto per iniziare.
Crostino di alici, burro e tartufo nero: splendido inizio, tra note sapide e umami.
Gambero rosso con salsa bearnaise alle prugne e corteccia di cetriolo e capperi: piatto di grande impatto ed equilibrio tra il dolce, l’acido, il vegetale e il sapido. Non manca nulla.
Prima secca. Uno dei cavalli di battaglia di Uliassi: il brodo di vongole, i molluschi, le mandorle amare e le erbe giocano in un concentrato iodato da rimanere a bocca aperta.
Le bollicine erano finite…
Il fosso. Il ricordo d’infanzia dello chef, quando i fossi erano luoghi di caccia di bontà. Rane e lumache, cotture millimetriche, erbe dosate col bilancino. Da lacrime.
Sogliola croccante in saor, prosciutto di Langhirano, formaggio fresco pugliese. Un piatto d’ispirazione artusiana, pensato e normalmente eseguito con la triglia, non disponibile nella nostra serata. La sogliola toglie qualcosa all’equilibrio del piatto data la sua delicatezza, ma la nota amara nel finale è da applausi.
Pollo con insalata. Il piatto nasce da una materia prima “top” e da una cottura straordinaria. L’equilibrio è retto tra l’aromaticità e l’acidità delle salse di Potacchio, all’aglio nero e al nero di seppia.
Seppiolina giovane sporca, granita di ricci di mare. Quando la granita si è sciolta il piatto è diventato perfetto.
Ricciola alla pizzaiola. Splendido piatto, di grande equilibrio.
Giusto un rosso per proseguire, arrivano le carni. Ma alla fine discreta delusione, per colpa di un’annata non memorabile.
Fusilli, fegato di seppie, cicoria, ricci e trito di gamberi. Forse il piatto della serata: acidità e leggerezza, aromaticità intensa ma controllata. Difficile fare meglio di così.
Tordi, cipollotti e raguse. Sapido e deciso, peccato per il cipollotto (eccessivo) che distrae il palato dal centro gustativo del piatto.
Anguria e cardamomo. In teoria la chiusura del menù degustazione.
Ma ecco la sorpresa: Tagliatelle di lepre cotta e cruda. Ora sì che siamo ko…
Gelato di formaggio bucarello e miele di Giorgio Poeta. Come esaltare in un dessert perfetto due grandi prodotti del territorio (il formaggio è di Trionfi Honorati di Jesi e il miele di Giorgio Poeta di Fabriano). Ecco l’intelligenza…
La scenografica zuppa inglese.
Petit four, decisamente non all’altezza delle aspettative.
Fine serata…
Settembrini è il nome di una galassia di locali che, da una decina d’anni, hanno reso vivace un quartiere romano di assopita eleganza, con una proposta molto articolata (dalle colazioni, al pranzo d’affari, al cocktail, alla cena più elegante, dallo street food alla ricercata gastronomia di prossimità con la collaborazione della Tradizione, storica bottega delle meraviglie di Vico Equense).
Il ristorante, governato a lungo da Luigi Nastri –oggi alla Gazzetta di Parigi di Nilssoniana memoria- è stato di recente affidato a Federico Delmonte a cui è stato chiesto di dedicarsi esclusivamente alla cura di questa parte della proposta, con l’evidente intento di darle un ulteriore slancio.
Diciamolo subito: la scelta è molto azzeccata, perché il giovane chef ha carattere da vendere. Nel suo curriculum nomi importanti (il Dorchester e Locatelli a Londra, esperienze da Genovese, Parini, Faccani), un’esperienza in proprio nella sua Fano (al Vicolo del Curato, bel locale non troppo capito nella cittadina) e la costante curiosità di chi ha una passione vera. Quello che ci voleva per raccogliere la sfida di dare un’identità a un ristorante un po’ bloccato dal suo stesso successo presso una clientela di famosi, sinonimo spesso, dalle nostre parti, di pigrizia e conformismo nel gusto.
La cucina che propone Delmonte ha il pregio di essere bella da vedere, molto leggera e solo apparentemente semplice, mentre ha sempre un plus di pensiero dietro, con la ricerca dell’ingrediente spiazzante, del contrasto di consistenze o temperature che non ti aspetti (anche se una certa indulgenza per preparazioni gelate negli antipasti andrebbe ripensata, nella logica di predisporre al meglio lo stomaco al prosieguo).
Piatto della serata, senza dubbio, la lingua con susina, melanzana e acqua tonica (foto in apertura) in cui l’ingrediente principale è cucinato con grande sapienza e gli ingredienti a contorno, con l’inseguirsi di toni, dolci, aspri, amari, affumicati, rendono la preparazione estremamente persistente. Nota di merito anche per le penne (Felicetti) con cozze, un concentrato di gusto che va dritto alla memoria e ricorda da vicino uno degli chef più stimati da Delmonte, Mauro Uliassi.
Dolci non sempre dello stesso livello (decisamente più interessante il “biancomangiare, carota, sedano e liquirizia” del “dolce carioca”) che dimostrano abbastanza chiaramente di non essere la prima passione dello chef; probabilmente l’area su cui concentrarsi di più per un ulteriore passo in avanti.
Un locale da tenere d’occhio, insomma, sia per il frequente rinnovamento dell’offerta (anche nei più agili menù del pranzo si lascerà molto spazio alle ispirazioni offerte dal mercato) sia, soprattutto, per il potenziale di crescita che questa cucina ci sembra avere.
Gli antipasti cominciano dai ravioli ripieni di olive accompagnati da aperol spritz ghiacciato.
Cappasanta, cocco, cipolla e lime. Contrasti e sfumature di gusto davvero ben gestiti, La mano è quello di uno chef di razza.
Ricciola, prosciutto, melone e lavanda. Bella variazione sul tema del più scontato (e incongruo) degli antipasti all’italiana.
Crostino con cipolla ed erba creola. Molto buono, ma ancora su temperature molto basse che non per tutti predispongono piacevolmente al seguito.
Penne e cozze. Piacere quasi primordiale, grande concentrazione di sapori.
Baccalà, burrata, cardamomo e anguria. Il piatto meno riuscito, la dolcezza combinata di burrata e anguria domina e non riesce a esaltare un baccalà cucinato comunque in maniera ineccepibile.
Filetto di maiale…come una piadina. Una golosa piadina scomposta, da gustare con le mani per goderne appieno, con qualche rischio, la succulenza della carne, cucinata a dovere.
I dessert, nessuno dei due folgoranti ma il bianco mangiare è sicuramente interessante (funziona bene l’abbinata sedano e liquirizia e il tortino alla carota nascosto nel bicchiere aggiunge una piacevole masticabilità)
Petits-fours finali, il macaron più buono che bello
In carta si possono pescare belle bottiglie, da sempre, grazie alla sapiente selezione di Luca Boccoli. Ricarichi talvolta molto convenienti, anche se in passato la percentuale di veri e propri affari era più alta.
Mauro Uliassi e Pino Cuttaia: che cosa hanno in comune questi due fenomeni della ristorazione italiana degli anni duemila?
Primo indizio: entrambi officiano in località di mare.
Secondo: tutti e due sono famosi per essere persone squisite, umili, dal sorriso facile (qualità di non poco conto).
Ma c’è un terzo ed insospettabile segno di distinzione che mi è balenato nella mente mentre ero seduto in questa meravigliosa terrazza affacciata sulla spiaggia di velluto: la trasversalità delle loro cucine.
In molti siamo d’accordo nell’affermare che mai come adesso si è mangiato così bene in Italia. Potremmo girare per un mese a pranzo e a cena con la garanzia di un pasto da Re. Questo perché abbiamo un esercito di grandissimi chef, ma non tutti hanno l’abilità di arrivare al grande pubblico come Mauro Uliassi e Pino Cuttaia, il che li colloca sulla cima del podio anche come ristoratori.
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Allora. Organizzatevi. Vi consigliamo la bassa stagione, isolata dal frastuono dei motori e dagli schiamazzi dei bagnanti. Una suggestiva tranquillità ed il muto rumore delle onde vi avvolgeranno non appena entrerete. Da un lato il porto, dall’altro il mare. Già il mare. A separarvi dal mare ci sarà soltanto una vetrata: la profondità della spiaggia sembra accorciarsi. Arriva il piatto: la prospettiva cambia. Il mare è lì ma voi non lo sapete. Pensate sia solo un piatto di alta cucina, ma la vera percezione la scoprirete solo al primo assaggio. C’è il mare! Con tutti i sentori e i profumi minerali e inebrianti. L’insegna recita “Uliassi – Cucina di mare”. Ma forse sarebbe più corretto scrivere “Cucina di mare.. e non solo”, e nelle prossime righe capirete il perché.